Ancora sulle elezioni europee

articoli di Angelo Ruggeri e Danilo Tosarelli

Ad onta della “europeizzazione” UE che svuota il senso del voto e della partecipazione popolare all’elezione della rappresentanza nazionale in un Parlamento cadetto – Angelo Rouge-Ruggeri

Il contesto istituzionale in cui si collocano le elezioni nazionali per il “parlamento europeo” sovrastato dalla “cupola” di potere di ben 5 organi non elettivi: tre burocratici organi monocratici  e cinque  burocratici organi collegiali – di cui tre di natura presidenzialista.

La crisi di regime dei primi anni ‘90, dominata dal protagonismo “leghista” e favorita dai partiti protagonista – a sinistra come a destra-  della c.d. “seconda repubblica” , ispirata dal Piano P2 di Licio Gelli, mirato anche alla “terza” e al presidenzialismo e già indicato però dal Mussolini di Salò, ha cancellato le basi della dialettica democratica ispirata  dalla forze sociali e politiche antifasciste , che fondarono per la prima volta in Italia la democrazia e la Costituzione della Repubblica fondata sul lavoro e sulla sovranità popolare. L’attuale governo,”in nome del popolo” smantella la sovranità popolare, nella misura in cui ha smantellato da due anni il governo parlamentare. Per anticipare, da quando è in carica, sia il regime di “governo del capo” di mussoliniana memoria, sia la messa fuori gioco del Parlamento che si vuole attuare con le cosiddette “riforme istituzionali” e “riforme costituzionali”. Che nella misura in cui puntano a sostituire il sistema parlamentare con uno presidenziale, non rientrano nella categorie “riforme” ma in quelle di “rottura” di una costituzione, che essendo di tipo “rigido” non consente alterazioni nel suo impianto fondamentale, se con quello “sbrego” alla Costituzione tanto invocato da Cossiga e da Miglio che altro non sarebbe che un “colpo di stato” che si sta ora cercando di attuare nonostante che Cossiga e Miglio non ci siano più.

Per separare ancor più il Palazzo dal Paese e incrementare l’astensionismo svuotando il senso del vota dei cittadini per il Parlamento, hanno smantellato la forma di governo parlamentare, perché è la forma con cui il popolo sovrano, prima elegge il Parlamento, istituzione della “democrazia diretta” del popolo e poi il popolo governa tramite il governo parlamentare, ogni giorno e per tutta la legislatura.   Perché “demo/kratia”, “democrazia” non significa “votare”, significa potere del popolo, come tale non è ne riducibile ne riconducibile al solo voto e ad un solo giorno: tanto meno per porre col presidenzialismo, al posto del popolo e sopra il popolo che sta al vertice del sistema istituzionale,  un “capo” del governo. Cosi riducendo il popolo a SUDDITO che ogni cinque anni sceglie il SOVRANO vero, al quale per cinque anni il popolo abdicherebbe la sua sovranità. Una operazione che si capisce bene che , ovviamente, non rientra in quella ne di “riforma” ne di “adeguamento” prevista ai sensi dell’art.138/C..

Per tutto questo ma anche  perché rimetterebbe  in gioco PERSINO la scelta, effettuata con il referendum del 1946 a favore della Repubblica, contro il sistema duale che non può essere reintrodotto surrettiziamente con il presidenzialismo, qualunque esso sia, che si chiama “monarchia repubblicana” proprio per il carattere duale del suo sistema di poteri.

L’anticipato esautoramento del Parlamento, ispirata dal proprio naturale autoritarismo insito già nel nazi-fascista  “führerprinzip”, è stato per far passare insieme alle stangate economiche-sociale contro i ceti popolari e a favore delle imprese, le stangate alla democrazia e la manovra istituzionale che ne è il necessario corollario.

Le une e le altre fatte  sempre  con metodi da “colpo di stato”, di continue, sistematiche deroghe alle procedure costituzionali, e ricorrendo sempre al voto di fiducia per imporre come norma parlamentare il voto segreto, poiché non è un caso che istituendo la camera dei fasci e delle corporazioni si sia stabilito che le votazioni dell’assemblea legislativa avessero luogo “sempre in modo palese” .

Questo aiuta a chiarire che l’abolizione del voto segreto, e il voto palese di fiducia, è sempre connesso al controllo del governo sulle camere, per fare del governo il “comitato direttivo del parlamento”, come invocato dal già giurista fascista Mortati e scopo del presidenzialismo del capo del governo,  con l’obbiettivo di coprire dietro la stabilità governativa l’ordine pubblico economico come apparato ideologico di stato, prodotto dalla commistione dello stato – e delle regioni come a Genova – con la grande impresa capitalista, che come al tempo del fascismo storico, anche l’attuale neofascismo implementa ma di cui non si parla mai. Cosi coprendo che l’attuale governo è, sì, l’espressione di un sociale reazionario e dell’ideologia d’impresa proprio della neo-reazionaria Lega, ma che sottratto alla Lega si è coniugato col l’autoritarismo e presidenzialismo da sempre bandiera del neofascismo, per cui il governo, in realtà, nella misura in cui in generale non difende i ceti sociali popolari, non difende nemmeno gli interessi tale sociale che lo ha votato. Ben più portato a rappresentare l’antipopolare borghesia e piccola borghesia di estrema destra, sostiene gli interessi e il classismo dittatoriale del potere d’impresa capitalista, ed interessato a ricercare la “passività del consenso (che non è democrazia come ricordava Gramsci a proposito anche del fascismo).

Quindi ad occupare quante più caselle del potere, di apparati collegati al governo, di mass media e di informazione multimediale, apparati pubblici e privati e ideologici di stato – è facendo questo che ad ogni è sempre bastato il 40% dei voti, senza avere ma la maggioranza dei voti  –  per un consenso passivo e col potere dall’alto, combinare “affaire” ( come fatto anche dalla sinistra borghese), come casta subalterna a quella industriale-finanziaria e ai suoi faccendieri , l’altra vera cast del’oligarchia che, storicamente e inevitabilmente , il “bipolarismo” specie se pende verso il bipartitismo suggerito dal Mussolini di Salò, produce e di cui è piena  la cronaca  anche di questi mesi.

Per tutto questo è servito e serve smantellare il governo parlamentare che, come da costituzione, serve al popolo che elegge il parlamento e che come da  demoKratia  significa potere del popolo , cosi  significa anche che a governare deve essere il popolo e non gli esecutivi di governo – come sarebbe col presidenziale rafforzamento dell’esecutivo come vuole il capitalismo, che per questo ricorse persino al fascismo.

Poiché per democ/kratia il governo non deve governare ne comandare, ma in quanto “esecutivo” deve “eseguire” ed ubbidire al popolo che decide tramite il governo parlamentare: tanto che per Costituzione il governo è solo il capo della pubblica amministrazione che però costituzione deve essere anch’essa democratizzata rovesciando la sua forma gerarchica del potere dall’alto pari a quello che vige nelle imprese private e introducendo la “democrazia organizzativa”, vale a dire la collegialità tra tutti i dipendenti a prescindere da differenza di ruolo e di funzione, perche tutti sono parimenti importanti e indispensabili per realizzare e raggiungere gli obbiettivi deliberati dal governo parlamentare del popolo e per farlo con la socializzazione e democratizzazione di tutti gli apparati (come ad es. in certa misura si facevano con le famose riunione di apparato del PCI ma senza la distorsione di segretari che si mettevano a capo tavola anziché insieme a tutti gli altri)

 Il nuovo sovrano, il popolo, nel modello costituzionale rilegittimato dal popolo nei referendum  costituzionali del 2006 e del 2016, in cui i cittadini hanno dimostrato di avere la stesa idea di stato, di governo e di democrazia dei Costituenti,  occupa il vertice della scala gerarchica istituzionale e legislativa. Subito sotto c’è e non deve esserci altro che il Parlamento da cui, nella unità e continuità della sovranità popolare, discende la centralità del Parlamento, non del governo o del suo capo come nel modello monarchico liberale e fascista,  in nome di una concezione “democratica” anche della programmazione stessa, nel duplice senso di prevedere contenuti vincolanti nei confronti del sistema delle imprese private e pubbliche, e di spostare l’asse del potere politico-sociale dal primato dell’esecutivo, alla centralità del parlamento e quindi delle forze politiche e sociali rappresentative della società , nonché delle organizzazioni sindacali e di quello che è stato configurato come lo “statuto dei lavoratori”; e alla centralità delle assemblee locali e regionali e non già dei loro esecutivi e ancor meno dei loro presidenti, anche per passare alla loro effettiva introduzione nel sistema democratico della Repubblica delle autonomie, e non già per il decentramento e il plurivertismo federalistico, avviato improvvidamente nel 2011. Si vede ora quanto aberrante sia stato l’impulso verso la deriva che oggi si vorrebbe frenare, imputabile in modo irrefutabile proprio al centrosinistra che per oltre un decennio ha puntato a spezzare l’organica continuità/interdipendenza tra Prima e Seconda Parte della Costituzione.

In senso opposto a quella fase di lotte aspre ed anche sanguinose – per prepotenza di chi governava e non certo per colpa di una strategia “avventuristica” della sinistra – che è stata vissuta anzitutto culturalmente per spostare l’asse della politica verso il potere sociale in nome di una esigenza di ricomposizione unitaria degli interessi che comportava conseguentemente il potenziamento del ruolo del parlamento e con esso del sistema delle assemblee elettive : fino alla concreta attuazione dell’ordinamento regionale in nome della repubblica delle autonomie, non certo per mere esigenze di decentramento come si fece col trucco semantico della “devolution” neo-federalista, ma per ristrutturare un sistema di potere rimasto esente dal controllo democratico e sovrapposto alla società, si da dare la falsa immagine della superfluità e quindi della diseconomicità delle istituzioni rappresentative e di tutto ciò che nell’organizzazione pubblica dovrebbe servire gli interessi deboli. Ben diversamente dall’idea della destra sociale politica leghista e meloniana secondo cui – che come si vede dalla manovre economico-sociali del governo – l’intervento pubblico nell’economia va conformato agli interessi organici e indivisibili del capitalismo privato.

Una volta c’era un certo Renzi che esultava per aver ottenuto nelle elezioni nazionali per il Parlamento UE, il  40% di consensi sul 60% dei votanti. Oggi c’è una Pd che esulta per avere ottenuto il 24% dei voti del per avere ottenuto 49% dei votanti. Parimenti alla “capo” del governo di neo-liberisti (FI), neo-reazionari (Lega) neofascisti (FDI), che la manipolazione maggioritaria dei voti gli ha dato una artificiale maggioranza dei seggi, pur essendo un governo di  infima minoranza del corpo elettorale (20%, uno ogni cinque elettori) e minoranza persino dei già scarsi votanti (44% sul 63% di votanti), la quale “capa” è anch’essa tutta gaudente per il 28% sul 49% dei votanti ottenuto  dal suo “Partito di Dio patria e famiglia”. Se si guarda alla mediocre figura della capo del governo e del personale  di governo, è ovvio che non li si consideri pericolosi neofascisti. Ma l’essere incapaci e all’altezza del compito e il nasconderlo dietro l’accondiscendenza in Europa e la tracotante arroganza dietro atteggiamenti buffoneschi e da macchietta ipocrita mai visti neanche tra i suoi predecessori di cui è una epigone, fatto salvo quello che parlava sul balcone di Piazza Venezia,  non li rende meno pericolosi.

Nella misura in cui proprio per la loro pochezza, sono costretti a ricorrere, a copiare, a plagiare e riproporre quanto è stato fatto, detto e proposto dai altri, come da Miglio fin dal 1947 e da ben  prima della Repubblica, perché imparagonabile alla ben altra e superiore caratura dei Mussolini, Rocco, Gentile, Beneduce,ecc., pur se nella dimensione della suburra romana, aspira ad esserne l’epigone almeno in sedicesimo. Copiando e plagiando come è sua abitudine fin dal plagio dell’Inno d’Italia e del “Fronte della gioventù” e dell’organizzazione dei giovani partigiani, diretta dal segretario della FGCI (Federazione giovani comunisti) Eugenio Curiel assassinato a Milano  il 25 aprile del 1945.

In  un rigurgito e rimasticatura, a cento anni esatti dal governo Mussolini,  di quanto fatto, detto e proposto esattamente da Lui: dalla Legge maggioritaria del 1923 che, presentandola, Mussolini la definì “La madre di tutte le riforme; al premierato del 1925. Fino al Mussolini di Salò (le cui indicazioni tutte riprese nel DDL costituzionale del MSI del 1980 – quindi facile da ricopiare – firmato da Giorgio Almirante: donde che Meloni ha postato la sua foto accanto a lui, titolata: “da Giorgio a Giorgia”),  che indicò e dettò ai fascisti del futuro: il “presidenzialismo”, il “bipartitismo” o “bipolarismo”, e  il “pluralismo fascista”: cioè il pluralismo presidenzialista, pluralismo di “capi” prestanome del potere presidenzialista e nuova casta detentrice del potere di concorrere per la palma del potere autocratico, nel quadro dell’ordinamento classico-liberale occidentale nei due tratti fondamenta di industrialismo e struttura capitalistica dell’economia, come il fascismo stesso con tutto il so nazionalismo e patriottismo e statalismo si mantenne in continuità con quello liberale-classico con in più la forma di potere autoritario, proprio del carattere oggettivamente eversivo del “sistema delle imprese”, che sono istituzionalmente contrarie alla democrazia  e quindi ben disposte, sempre, a convivere con un sistema di dittatura di classe e di autoritarismo di stato.

“Presidenzialismo”, “bipartitismo” e “bipolarismo” e   “pluralismo fascista”: sono le stesse cose che , mutatis mutandis, propone il DDL costituzionale dell’attuale governo e che la Tele-Meloni di Vespa voleva inscenare col confronto a due, Meloni-Schlein.

Tra la prima e la seconda Vispa Teresa della personalizzazione presidenzialista, che hanno fatto di tutto per cancellare dalla TV e dal Paese la dialettica del pluralismo democratico, come fosse già in vigore il bipolare-presidenzialismo mussolininano, copiato e proposto dalla Meloni. Il cui ”individualismo animalesco”, come disse Gramsci del fascismo, è reperibile nella  greve e sfacciata personalizzazione, che è la plastica rappresentazione , ovviamente, anche della giusta e prolungata marginalizzazione dell’ideologia e delle forze neofaste che la Repubblica antifascista ha relegato nello sterquilinio della storia (per questo odiano tanto l’antifascismo da non volere sentirne ne pronunciarne il nome), ma anche delle idee “codine”, degne del suo “amato” Tolkien, e dello scadimento nella reclamistica e slogan da cultura d’impresa, come quando ha pensato fosse un colpo di genio – suggerito dal suo capo marketing- invitare scrivere sulla scheda “Giorgia” ( e tale fu detto dai mass media di sua “proprietà” al punto che fece cancellare dalla TV un semplice ricordo del 25 aprile). Ora, senza scomodare Gramsci, come ci ha ricordato Dostoevskij, c’è anche una legge universale per le idee: le idee volgari, immediate, , vengono capite con insolita rapidità, e sempre dalla folla, da tutta la piazza – come quella di Vox in cui declamava “io sono Giorgià…”; non basta, vengono considerate grandiose e geniali, ma solo il giorno della loro apparizione. Quel che vale poco dura poco. Una rapida comprensione è solo il segno della volgarità di quel che si è, e di ogni idea è proprio tale rapidità.

Ma la greve volgarità della sua “personalizzazione”,  é indice dell’aura mediocrità della sua concezione della politica e del tempo d’oggi: dell’aurea mediocrità e dell’insensibilità, della passione per l’ignoranza, per l’accidia – cosi tanto palesata rispetto ai poveri, ai salari da fame dei lavoratori e ai cittadini tutti impoveriti dal sistema di produzione e dalla legge del valore di scambio, cioè del profitto, del capitalismo -, passione per l’inettitudine al lavoro e  al pensare, per il bisogno di ogni cosa pronta, non sapendo  riflettere e arrivare a maturare proprie idee, al tal punto non sapendo cosa si sta facendo e si vuole fare, dal dover arrivare a pensare e a dire “o la và o la spacca”.

Quindi non è per un vezzo o per il piacere di chiamarli neofascisti, che non si osa fare per non chiamare le cose col loro che costituisce il distintivo piccolo borghese nell’usare parole non “déplaisante”, cioè parole offensive per la loro verità. Rinunciando ad appropriarsi della realtà come vuole la militanza rivoluzionaria che consente di valicare le conoscenze libresche o “intellettuali”, per riappropriarsi di ogni frammento della realtà tumultuosa e contraddittoria osservata dal versante della “alta politica”, a cui evidentemente rinuncia non solo la destra neofascista ma anche chi dovrebbe denunciarla chiamandola col suo proprio nome. Senza fare i nomi la realtà non esiste insegna Brecht, e la concezione della storia della realtà in ogni suo frammento, di Nizan e Benjamin: “ si enumera gli avvenimenti senza distinguere  tra i piccoli e i grandi perché nulla di ciò che si è verificato va dato per perduto” (W. Benjamin in Angelo Novus).

Per una ricognizione critica più completa e approfondita su di essi, toccherà e spetterà all’umanità redenta  dagli odierni rapporti di produzione. Ma intanto per la storia, serve anche la storia dell’immediato, coi suoi nomi e cognomi, con un fine determinato nell’attualità presente, in una condizione sociale nella quale, come Brecht rammentava, la barbarie non è ancora superflua. Un fine immediato che pericolosamente ripete il dramma della storia pre-repubblicana e pre-democratica, nella di forma di farsa, che però ha sempre come obbiettivo il mussoliniano presidenzialismo del premierato regime del “capo del governo” . Obbiettivo comune sia al neofascismo terrorista e stragiste, specie di “Ordine Nuovo” plagio di Gramsci fatto dal suo fondatore, quel Pino Rauti, di cui la capo del governo, sopranominata per altro “rautina”, ha fatto sui pubblicamente gli ideali e l’esempio, indicandoli da seguire ai suoi “fratelli”, tanto da aver dedicato a Pino Rauti un circolo di FDI proprio a Brescia luogo della strage per cui sono stati condannati quelli di Ordine Nuovo di Pino Rauti, operanti per il presidenzialismo sul piano occulto ed extraparlamentare cosi come anche sul piano parlamentare il neofascismo cresciuto alla luce della fiamma tricolore che arde perenne sulla tomba di Mussolini, a Predappio, diventato e assunto come simbolo della continuità dal MSI ad AN a FDI, per un presidenzialismo perseguito da oltre 70 anni: anche ricorrendo alla violenza, alle stragi terroristiche, agli omicidi, all’assassinio di Moro e all’omicidio del PCI, tramite un “golpe” interno derivato dopo la cospirazione ordita contro Berlinguer e aver manovrato per favorire (solo favorire?) la sua morte.

Solo chi è abituato a separare le questioni “istituzionali” da quelle economico-sociali, può credere e dire il presidenzialismo e solo per distrarre dai problemi sociali-economici e politici, che non solo non vanno separati, ma occorre sottolineare la loro stretta interdipendenza e la convergente linea  di incostituzionalità che ciascuna di esse esprime, di fronte  a modifiche apprestate sia con “leggi ordinarie” che con anticostituzionali leggi di “revisione costituzionali” contro cui non basterebbe e non basta semplicemente opporsi, ma è necessario far vale una Resistenza ad oltranza, appellando il popolo che ha dimostrato la grande forza vitale e la sua ampiezza storica sia moralmente che politicamente.

 

 

 

L’ASTENSIONISMO? E’ UNA GRAVE MALATTIA SOCIALE – Danilo Tosarelli

 

Lasciamo a Bruno Vespa il dibattito su chi ha vinto o perso queste Elezioni Europee.

Sono dibattiti sterili, dove vincono tutti a sentir le loro chiacchiere. Nessuna onestà.

Io so solo e di questo voglio parlare, che un italiano su due non è andato a votare.

 

Hanno votato solo il 49,69% degli italiani. Il dato più basso nella storia della Repubblica.

Nonostante alcune elezioni amministrative che di solito favoriscono la partecipazione.

Grande scetticismo, verso un Parlamento Europeo troppo lontano dai bisogni della gente?

Troppo semplice. In realtà questa diserzione di massa arriva da lontano, molto lontano.

 

C’è qualcuno, che ha voglia di affrontare seriamente una questione così pregnante?

E’ vero, le elezioni Europee non entusiasmano. Dal 1979 ad oggi, i votanti sono meno 30%.

Ma sono i raffronti tra le varie elezioni politiche che evidenziano la gravità del fenomeno.

Nel 1979 votarono il 90,95% degli elettori, nelle ultime del 2022 il 63,91%. Un meno 27%.

 

Il fenomeno ha motivazioni come la fine delle ideologie, il ricambio generazionale, i partiti. Si dice.

Gli italiani hanno bisogno di motivazioni per votare. Oggi la politica vive una mediocrità avvilente.

Salvatore Marra (CGIL). “La gente non crede più nella politica, ma neppure nelle istituzioni.

Pensa che non siano utili a risolvere i loro problemi e di migliorare la loro qualità di vita e di lavoro”.

 

Navigo sul web. Ecco il meme “Barbie Astensionismo” tratto dalla pagina satirica “Sapore di Male”.

“Sono delusa dalla politica e non vado a votare. Resto sul divano e lascio che il 30 o 40% decida

anche per me. Tanto non cambia nulla e la gente non ti merita…”

Seguono a breve distanza, commenti di tanti altri che si lamentano. Non votano, ma si lamentano.

 

La verità amara è che siamo diventati un Paese di santi, navigatori (sul web) e Barbie astensioniste.

Sui social ci hanno abituato a mettere i like di consenso, sostenere l’influencer di turno, ma poi…

Non traduciamo lo stesso meccanismo premiante, quando si deve votare per la nostra democrazia.

 

Nei mesi scorsi abbiamo visto scendere in piazza tanti giovani e meno giovani. Migliaia di persone.

Per difendere il valore della pace contro la guerra, contro i femminicidi, per salvaguardare il Pianeta.

Una partecipazione che ridà speranza e fiducia nel futuro. Come conciliare con la scelta astensione?

Non avrebbe più senso, una partecipazione massiccia e consapevole che si esprime con un voto?

 

Non è così. Sono molti i diciottenni che non hanno ritirato la tessera elettorale per il loro primo voto.

Certamente, nessuno ha spiegato loro quanto sia importante recarsi al seggio. Non sono consapevoli.

Dall’altra parte, persone molto anziane che si fanno accompagnare, perchè il bastone non basta più.

Apprezzano cosa sia un voto libero. Loro hanno conosciuto momenti dove tutto ciò non era consentito.

 

Aumenta sempre più il rifiuto del voto e chi fa questa scelta non ci tiene a farlo sapere. E’ preoccupante.

Il contagio di astensioni affiora solo alla fine, quando il responso delle urne produce cifre clamorose.

L’astensione rimane un fatto privato per i più e non una rivendicazione pubblica, magari con motivazione.

Il fenomeno è talmente grave, che dovrebbe suscitare una discussione importante nel Paese. Non è così.

Se ne parla brevemente subito dopo lo spoglio, ma poi le sabbie mobili dell’indifferenza ricoprono tutto.

 

I partiti non sono preoccupati di tale situazione? Abbiamo ormai una maggioranza di astenuti. Possibile?

Lo scrittore Erri De Luca porta un esempio illuminante. ” Hai sentito che è aumentata la benzina? Che importa, io metto sempre 20 euro..” La politica risponde allo stesso modo. Qualunque sia il tasso di rinuncia dal voto, lei tira sempre fuori i suoi 20 euro inflazionati. Peccato che entra meno rifornimento nel

serbatoio della democrazia..”  (quotidiano l’Unità del 12 giugno 2024).

 

Il sociologo Salvatore Palidda, ha la sua chiave di lettura in merito al fenomeno astensionismo. E’ esplicito.

“Oggi si vota meno, perchè i partiti hanno alimentato l’astensionismo per avere meno clientele da coltivare  o comprare e quindi la possibilità di governare con una quantità di voti relativamente ridotta”. Agghiacciante.

 

Sono consapevole che affrontare il tema dell’astensionismo sia scomodo, ma è ormai per me inderogabile.

Lo capisci che è un tema scottante, perchè “chi detta l’agenda del mondo” preferisce sempre scoprirlo dopo.

Il professor Turi Palidda mette il dito nella piaga ed ha il coraggio di dichiarare “ciò che è meglio non dire”.

 

Ma davvero ci dobbiamo arrendere a questo crescente depauperamento dei nostri livelli di democrazia?

Un sistema elettorale proporzionale, certamente favorirebbe un riavvicinamento alla politica di molte persone.

Ne sono convinto da sempre, perchè credo nell’importanza del ruolo dei partiti ed in politica è imprescindibile.

Occorre recuperare e rendere più riconoscibili le diverse culture politiche. Il maggioritario le annichilisce.

 

Un sistema elettorale non è solo un meccanismo che trasforma i voti in seggi. E’ persino banale affermarlo.

Un diverso sistema elettorale ha il potere di condizionare le logiche di comportamento degli elettori. Eccome.

Il poter scegliere il proprio parlamentare, è la stessa cosa che affidare alle segreterie di partito tale compito?

Un proporzionale puro o con soglia di sbarramento? La mia nostalgia per il proporzionale puro rimane intatta..

 

Lasciatemi concludere con delle informazioni, che voglio affidare alla vostra riflessione con tono semiserio.

Lo sapevate che fino al 1993 in Italia esisteva l’obbligo di voto? Occorrevano motivi validi per giustificarsi.

E che la menzione “non ha votato” restava iscritta nei certificati di buona condotta per 5 anni? Divertente?

Tutto ciò è rimasto in vigore dal 1957( DPR 361/1957 ) sino al 1993 ( LEGGE 277/1993). Percentuale votanti?

Vi invito a verificare i grafici dei votanti. Io l’ho fatto e dopo il 1993 hanno iniziato ad aumentare gli astenuti.

 

Oggi tutto ciò non esiste più. Rimane in vigore l’art.48 della Costituzione “L’esercizio di voto è dovere civico”.

Giova precisare, che l’obbligo di voto esiste in Belgio, Lussemburgo, Grecia, con sanzioni non più rispettate.

In Australia, Brasile, Argentina, Perù, Uruguay, Thailandia, Turchia, per citare i maggiori. Non più con sanzioni.

 

Giova precisare, per onestà di cronaca, che anche questi Paesi hanno percentuali di astensioni simili a noi.

Fatta salva l’Australia che viaggia intorno al 10% e la Turchia con il 13%, gli altri variano tra il 21% e il 26%.

Vorrà dire che dovrò ancora attendere, per vedere i tanti leoni di tastiera schiodarsi dal loro divano…

Magari per recarsi al seggio e votare, naturalmente dopo essersi accertati che è quello il giorno delle elezioni..

 

L’astensionismo è ormai una grave malattia sociale. Riusciremo a trovare la medicina giusta?

 

Redazione
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