Alla guerra continuo ad andarci con i miei occhi

di Natalino Piras

 

 

Nico Orunesu, Sposi contadini, 1995

Collegio dei docenti. Lo scolastico è di bianco sporco e svetta più del solito da una piazza d’armi che oggi incombe sempre più da metà costa, con le imposte di verde scuro a dare al contesto più abbagliante cupezza, come quella di certi poeti maudit solo a metà, ulcerosi quando li conosci, sempre fottiprossimo. Come Falsitano Partes, antico compagno di scuola di Malcom.

«Ho la faccia gonfia ma non metterò gli occhiali da sole. Alla  guerra continuo ad andarci con i miei occhi. Lascerò che gli sguardi mi feriscano. Forse sono ancora troppo convinto di poter imporre quanto ho dentro, la mia presunta potenza. Gli occhiali da sole io li metto quando guido l’alfa rossa e mi canto dentro missis robinson, la musica più rivoluzionaria che abbia mai conosciuto».

Al primo collegio dei docenti, Malcom rivide Falsitano Partes, noto Tzoloppe, dirigente scolastico. Non lo incontrava da quasi quarant’anni, da quando avevano fatto la maturità classica nella stessa sessione. Tzoloppe, di faccia scura, nonostante il soprannome di uva bianca, aveva gli occhi gonfi e se li stropicciava, come se avesse dormito poco o niente, come reduce da una notte di bagordi. Indossava camicia salmone e vestiva un completo di vellutino bianco sporco, lo stesso colore dei muri umidi dei due caseggiati tra di loro contigui. Tzoloppe non era molto alto, grassoccio, i denti rifatti, barba corta e brizzolata come i capelli, occhi colore tendente al metallico. Aveva meritata fama di gran bevitore. Mai perdeva la battuta mordace, attaccare prima di subire, forse per innata ferocia e protervia pastorale, quella che si vuole mangiare il mondo e come i cani piscia per segnare il territorio. Succhiava sigarette, una dopo l’altra. Salutò Malcom strizzando gli occhi e con il suo tipico intercalare: quindiché. Gli era rimasto da studente liceale e poi di studi giuridici, ottenuta, secondo radio astores, a base di piritas e altre forme di pecorino e vaccino, ogni tanto qualche agnello, qualche porcetto, non sempre di lecita provenienza, e mettiamoci pure dolci a seconda delle stagioni, papassinos e casatinas e tornando al salato vero e proprio anche salcicce, eh! quelle sarcicce del comunista Fortunè.

«Quindiché» disse Tzoloppe e a Malcom si riacutizzarono dolori che aveva cominciato a sentire come annuncio di stagione fredda. «Quando ho letto il tuo nome sulla lista dei nuovi precari, mi sono informato se eri tu. Ma non facevi il giornalista?»

«Lo sono ancora. Mi sono preso un anno sabbatico.»

«O te lo hanno dato, quindiché. E proprio qui dovevi venire. Astores non è un luogo ambito.»

«E tu allora?»

«Io qui ci vivo da tempo. È casa mia e qui ho casa e moglie. Ah…eccola che arriva. Ma già vi conoscete.»

Homera porse la mano a Malcom, molle, quasi flaccida, come ad assolvere un indesiderato dovere, un gesto che abbassò ad arido tutto il subbugliare dei sentidos, un invernarsi del cuore, un cadere del tuffo del cuore.

Tzoloppe chi sa se si accorse. Passò oltre, avviandosi alla sala riunioni dopo aver spento la sigaretta nel posacenere su una finestra del corridoio. Malcom e Homera restarono per un attimo uno di fronte all’altra. Ma l’uomo era solo, brivido dentro e corpo di marmo, nell’impossibilità a girarsi intorno, una salvazione dagli sguardi che si sentiva addosso nonostante altri che giungevano facessero finta di non vedere, indifferenti facce spente di colleghi e colleghe.

Natalino Piras, Barbaricinorum libri – La scuola di Astores

https://www.facebook.com/natalino.piras

Immagini: Nico Orunesu

 

 

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