Banditi

di Natalino Piras

Nico Orunesu, dalla serie “Banditi”, 2023

 

Luisu, “Corvo” era il suo nome di battaglia, la macchia più che il campo aperto, fu commilitone, compagno di sbandamento e insieme partigiano con Joglieddu “Varadda”. Sino all’ora della sua morte.

Luisu di Orgosolo, classe 1924 come Joglieddu, sarebbe potuto essere uno dei banditi che combatterono al Morgogliai, nel Supramonte, il 10 luglio del 1899, quando Luisu non era ancora nato.

Qui da noi la tradizione si incarna nei fatti e i fatti nei corpi, dentro le anime.

Più di un secolo fa, il 10 luglio 1899, ci fu la battaglia del Morgogliai. Il nome è di per sé contenitore di suoni e onomatopee. L’orografia è selvaggia. Ma potrebbe pure darsi che quel  Morgogliai ai richiami il murguè, murguleu, che significa vino. Dice Wagner, linguista tedesco del sardo, che la parola Morgogliai è “probabilmente preromana” ma, non bastasse Orgosolo, il luogo Morgogliai confina con il Supramonte di Oliena, terra di vino.

Oltre tutti questi giri e rigiri, la battaglia del Morgogliai rimane una parte fondante del nostro romanzo storico, come sardi e come irrisolta questione meridionale, un frammento significativo della storia come falso.

In Sardegna, il 10 luglio 1899, ci fu la battaglia del Morgogliai, nel Supramonte di Orgosolo. Da una parte esercito e carabinieri. Dall’altra la banda dei fratelli Serra Sanna di Nuoro, quelli che nel postumo romanzo autobiografico “Cosima”, Grazia Deledda definisce «i fratelli***» . L’epica popolare ha messo quella battaglia sotto una lente di ingrandimento. I fatti furono narrati tra gli altri dal tenente dei carabinieri Giulio Bechi nel libro “Caccia grossa”, pubblicato per la prima volta nel 1900. Giulio Bechi, che partecipò alla battaglia del Morgogliai, pagò con il carcere l’accusa di aver diffamato i sardi nel suo libro. Morì poi in battaglia, nel carnaio della prima guerra mondiale.

In realtà Morgogliai fu una lunga sparatoria. Lo scontro tra eserciti fu preceduto dalla famosa notte di San Bartolomeo, quando a Nuoro e dintorni un intero distaccamento militare di centinaia di uomini, soldati e carabinieri, intervenne per arrestare in massa le famiglie dei latitanti e chi li proteggeva.

Quel tempo è un’ idea radicata, dove riesce, nella gente sarda, memoria di guerra vera e propria. Una guerra che contrapponeva diverse Nassones, nazioni, a un altro Stato. I banditi alla macchia arrivarono a essere centinaia. C’era chi li definiva tzigantes, giganti. Altri invece li chiamava titules, esseri spregevoli.

I banditi avevano protezione in alto e in basso. Ma non costituirono mai un esercito vero e proprio come invece ce ne furono, prima e dopo l’Unità, nel Sud dell’Italia. Il bandito sardo resta un tipo solo. Non è come i briganti dell’Aspromonte riuniti per bande, né come i rivoltosi delle diverse Bronte e Alcara Li Fusi, narrati da Verga, Sciascia e Consolo.

C’è una differenza nella differenza, il fatto che rispetto a questo tipo di briganti i banditi sardi, già portatori di alterità, diventano ancor più altri.

Per esempio rispetto al bandito Giuliano. Il bandito Giuliano viene circa mezzo secolo dopo la battaglia del Morgogliai. Mise insieme un esercito separatista siciliano, finanziato dai servizi segreti italiani e americani. Questo esercito era funzionale al potere criminale dello Stato e a quello della mafia, almeno fino a che la mafia non decise di sbarazzarsi di Giuliano.

Niente di tutto questo per i banditi sardi. Sbarazzati e basta.

Natalino Piras, Barbaricinorum libri. Pentalogia. 2 Teodicea

 

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Immagini: Nico Orunesu

 

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