C’eravamo tanto armati/9

In Italia una nuova forza operativa della NATO in Europa

di Giacomo Simoncelli (*)

Il primo luglio è stata inaugurata una nuova forza operativa nella base NATO di Solbiate Olona, in provincia di Varese. Si tratta del Comando NATO a Reazione Rapida (Nrdc-Ita), quartier generale della nuova Allora Reaction Force (AFD) per i prossimi tre anni, con varie esercitazioni già programmate.
Questo nuovo schieramento era stato deciso al vertice NATO di Vilnius, nel luglio 2023, con l’obiettivo di aumentare la capacità di deterrenza e difesa con riferimento esplicito alla Russia. Si parla di 300 mila uomini, mezzi e tecnologie all’avanguardia in ambito militare.
A comporre questa nuova forza saranno unità britanniche e spagnole, il Naval Striking and Support Forces dell’alleanza atlantica, il Comando Italiano delle Forze Marittime, e anche il NATO Space Center e il NATO Cyber Operation Centre.
A presenziare all’inaugurazione del Comando c’erano sia il generale a capo delle forze NATO in Europa, Christopher Cavoli, sia il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito italiano, il generale di corpo d’armata Carmine Masiello. La guida dell’ARF è stata affidata al generale di corpo d’armata Lorenzo D’Addario.
Cavoli ha indicato la scelta di costituire l’ARF come in linea col “processo di ricostruzione della nostra capacità di condurre operazioni di difesa collettiva. Non è quello che volevamo […] ma l’invasione illegale e brutale dell’Ucraina da parte della Russia ha cambiato la situazione e ha cambiato anche quello che facciamo“.
Ovvero, rilanciare la militarizzazione dei territori europei e l’impegno che la UE deve assumersi nella difesa del proprio fronte con Mosca. Per dare fondamento a questa strategia vi sono stati studi accademici, ma anche una sorta di prova generale con Steadfast Defender, la più grande esercitazione militare NATO dai tempi della Guerra Fredda, da poco conclusa.
Ed è preoccupante che la nuova forza abbia lo scopo di garantire uomini prontamente impiegabili in tutti i domini. Infatti, lo scorso fine settimana è stato alzato il livello di allerta delle basi USA in Italia, Germania, Bulgaria e Romania.
La motivazione, hanno riportato due funzionari statunitensi alla CNN, è il timore di un attacco terroristico contro personale o strutture militari. Si è dunque passati dal livello Bravo, che indica una “maggiore e prevedibile minaccia di terrorismo“, a quello Charlie, che riguarda una “minaccia imminente di terrorismo“: è subito dietro il livello massimo di allarme.
Non si era giunti a tanto almeno da dieci anni, e ciò avviene in questi mesi estivi mentre si stanno svolgendo le fasi finali degli Europei di calcio e ci si prepara alle Olimpiadi di Parigi. Tra le basi coinvolte c’è anche quella italiana di Aviano, dove si stima siano presenti tra le 50 e le 80 testate nucleari di Washington.
Ad essere precisi, non è stato reso noto quale sia stato lo specifico allarme lanciato dall’intelligence USA. È chiaro però che non può riguardare tanto la Russia, che difficilmente si potrebbe imbarcare in operazioni nei territori NATO, quanto piuttosto il terrorismo islamico.
Dietro questa formula è più probabile che si nasconda l’allarme per le ritorsioni contro il genocidio dei palestinesi, che preoccupano per il sempre più delegittimato sostegno alle politiche sioniste. E sappiamo che con la lotta al terrorismo Washington ha giustificato conflitti in mezzo mondo e crimini di guerra annessi.
È evidente che qui si parla di un pericolo specifico, ovvero quello per i comandi militari e per gli uomini di stanza in Europa (al punto che nella base aerea di Spangdahlem, nell’ovest della Germania, agli aviatori è stato proibito di indossare l’uniforme fuori dalle installazioni).
Ma è un segnale importante della militarizzazione della società e della deriva bellicista del modello occidentale. Con l’Italia in prima linea a fare da avanguardia della NATO, e da cui deriva dunque l’incrementata importanza della lotta contro l’alleanza atlantica nel nostro paese.

(*) Tratto da Contropiano.
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Le forze armate ucraine bombardano Sebastopoli grazie al supporto dei droni USA di Sigonella

di Antonio Mazzeo (*)

Domenica 23 giugno alle 12 ora locale, l’Ucraina ha attaccato la Crimea lanciando 5 missili Atacms di produzione statunitense. Secondo quanto ufficialmente dichiarato da Mosca, quattro missili sarebbero stati neutralizzati dalla contraerea mentre il quinto è caduto su una spiaggia di Sebastopoli causando la morte di 5 persone di cui 3 bambini, mentre altre 120 persone sarebbero rimaste ferite.
Diversi analisti internazionali, nelle stesse ore dell’attacco missilistico, hanno tracciato il volo di un drone Global Hawk di US Air Force (Forte 10 in codice) che dopo il decollo dalla base siciliana di Sigonella ha raggiunto il Mar Nero; a circa 200 Km a sud della città di Yalta (Crimea) il velivolo ha spento il transponder rendendosi invisibile agli apparati radar. Il drone è poi rientrato nella mattinata del 24 giugno a Sigonella (ore 6 locali).
In un’intervista rilasciata il 25 giugno a Sussidiario.net, Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, ha dichiarato che “un dettaglio importante è che il lancio dei missili Atacms di solito è accompagnato da quello di droni ricognitori che lo guidano e che hanno la loro base madre a Sigonella, in Italia”.
Gaiani ha aggiunto che “l’impiego degli Atacms, comunque, comporta un ampio supporto tecnico americano: vengono usati con i lanciatori Himars e l’attacco è anticipato da un drone in volo sul Mar Nero. Droni che decollano dalla base siciliana di Sigonella e che fungono da ricognitori e da guida per i missili”.
Ancora una volta si conferma l’irresponsabile ruolo chiave della stazione aeronavale di Sigonella nel sanguinoso conflitto russo-ucraino e la cobelligeranza delle autorità italiane che autorizzano i voli USA e NATO di intelligence e di coordinamento degli attacchi delle forze armate di Kiev contro obiettivi militari e civili russi.
Ignobile il silenzio delle forze politiche e sociali e dei media siciliani e nazionali.

(*) Tratto da http://antoniomazzeoblog.blogspot.com.
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L’Italia vuole ordinare più di 550 carri armati dalla tedesca Rheinmetall

di Stefano Porcari (*)

Come fanno le azioni delle industrie degli armamenti a guadagnare il 3-4% in un solo giorno. Semplice! I governi acquistano consistenti armamenti dai privati, la notizia viene messa in circolazione et voilà il gioco è fatto.
Il quotidiano economico tedesco Handesblatt, ha rivelato ieri che l’azienda di armamenti tedesca Rheinmetall sta per ricevere il più grande ordine nella storia dell’azienda. Secondo le dichiarazioni di due addetti ai lavori dell’Handelsblatt, lo Stato italiano vuole ordinare il carro armato principale Panther e il veicolo da combattimento di fanteria Lynx sviluppati dall’azienda di armamenti di Düsseldorf. Il gruppo sta collaborando con il produttore italiano Leonardo.
Mercoledì pomeriggio, entrambe le società hanno confermato la costituzione della joint venture in un comunicato. “Le sinergie tecnologiche e industriali tra Leonardo e Rheinmetall sono un’opportunità unica per sviluppare carri armati e veicoli di fanteria all’avanguardia”, ha dichiarato l’amministratore delegato di Leonardo Roberto Cingolani nel comunicato stampa.
Secondo l’amministratore delegato di Rheinmetall, Armin Papperger, entrambe le aziende vogliono servire il mercato italiano e altri Stati partner che necessitano di modernizzazione nel campo dei sistemi di combattimento.
L’Handelsblatt aveva già riferito in esclusiva sulla joint venture e sull’ordine mercoledì mattina. Di conseguenza, le azioni di Rheinmetall sono aumentate di oltre il quattro percento. Le azioni di Leonardo hanno guadagnato a volte più del tre per cento.
L’economia di guerra si sta rivelando un magnifico affare per le aziende private di armamenti. Gli stati spendono i soldi pubblici per comprare le armi e le aziende, oltre che con i soldi pubblici, si arricchiscono anche “sui mercati” con la sopravalutazione delle loro azioni in Borsa. Tutti contenti di spingere l’Europa – e forse l’intera umanità- di nuovo verso il baratro della guerra.

(*) Tratto da Contropiano.
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Leva obbligatoria? Osservatorio si schiera contro il reclutamento. Il futuro deve essere di pace

di Marcella Pastore (Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università) (*)

Su Enciclopedia Treccani la “leva militare” è definita come «il servizio militare obbligatorio prestato in Italia fino al 2005 dai cittadini maschi al 19° anno di età, e il complesso delle operazioni per la chiamata alle armi dei cittadini nati in un determinato anno». Scorrendo ulteriormente possiamo leggere che «il d. legisl. 215/2001, ha sospeso la l. militare obbligatoria, introducendo anche la possibilità di arruolamento delle donne […] con d.l. 115/2005, il 1° luglio 2005 è stata messa completamente fine all’obbligatorietà […] dal 1° gennaio 2005 l’arruolamento è divenuto esclusivamente su base volontaria e a carattere professionale» ().

Nel maggio 2024 (anticipato già nel febbraio da un’altra proposta di cui più avanti), appare – perché proprio ci mancava – il progetto di legge della Lega (titolo: “Istituzione del servizio militare e civile universale territoriale e delega al Governo per la sua disciplina”) per reintrodurre la leva universale con sei mesi obbligatori per ragazzi e ragazze. Si tratta di un progetto verso il quale non è stata nemmeno celata – ed è tutto dire – una certa freddezza da parte del Ministro della Difesa Guido Crosetto quando ha dichiarato che “le forze armate non possono essere pensate come un luogo per educare i giovani, cosa che deve essere fatta dalla famiglia e dalla scuola”.

In un contesto come quello attuale sarebbe, come dire, rivoluzionario parlare invece di pace e dell’arte della diplomazia. Non è questa una rivoluzione auspicabile anche per la Lega? Già è difficile immaginare che, per come strutturato, l’insegnamento di educazione civica impartito da qualche anno per volontà del Ministero dell’Istruzione possa essere di qualche utilità “sul campo”. Per parte nostra possiamo solo augurarci che non si tratti di un campo di battaglia.

Ma veniamo alla proposta sempre della Lega risalente a febbraio (“Modifiche al codice dell’ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, in materia di istituzione di una riserva ausiliaria dello Stato”): il già citato articolo de ilSole24ore fa il punto su una “riserva militare” «da costituire sul modello israeliano”, cioè “un mini-esercito supplementare che, secondo la proposta, potrebbe essere mobilitato dal governo sia in tempo di conflitto o di grave crisi suscettibili di ripercuotersi sulla sicurezza dello Stato». Si tratta di un punto che già emergeva in un articolo del 10 febbraio: «i riservisti verrebbero attinti esclusivamente dal bacino dei cittadini italiani che hanno già prestato servizio come Volontari in ferma triennale (VFT) o Volontari in ferma iniziale (VFI) e che attualmente sono in congedo. Ciò consentirebbe di selezionare, su base volontaria, personale già formato e addestrato dalle Forze Armate».
Mutatis mutandis, ciò sarebbe più semplice con la reintroduzione preventiva della leva obbligatoria di sei mesi per ragazzi e ragazze.

Chi vive il mondo della scuola lo può quotidianamente toccare con mano: il diritto allo studio e al successo formativo, pur garantito anche in ambienti svantaggiati, non riesce ad evitare gli altissimi tassi di dispersione scolastica registrati ultimamente.
La leva obbligatoria offrirebbe quindi, nell’ottica di chi la propone, una soluzione definitiva a chi non ha avuto altre risorse se non quelle fornite da una propaganda d’altri tempi e distorsiva dei nostri. Mentre le grandi organizzazioni convenzionate e il MIM ci parlano di PNRR, AI, ITC, Classroom e Labs in piani come il Next Generation UE, lo spirito creativo, dell’”uomo forte al comando” che anela ai “pieni poteri”, alla prossima generazione italiana ha da offrire una prospettiva tutt’altro che green e sostenibile e anzi lontana dal grande rilancio di cui avrebbe bisogno la scuola italiana. Di grande in realtà c’è solo il richiamo a qualcos’altro.

Come Osservatorio contro la Militarizzazione delle scuole e delle università, sosteniamo i percorsi di cultura profonda alla pace e salutiamo le proposte di cui abbiamo letto a febbraio e maggio con gli occhi dell’Alberto Sordi de La grande guerra, grande lui con la sua voce: “BBoni… State BBoooni”.

(*) Tratto da Osservatorio contro la Militarizzazione delle scuole e delle università.
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alexik

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