Cile: la battaglia di Santiago
Un intero Paese in piazza contro il caro trasporti. La polizia del presidente Piñera reprime senza pietà, ma la rivolta ha come obiettivo il modello economico neoliberista e non si placa.
Foto: Resumen Latinoamericano
In Cile il maggior levantamiento popular dai tempi del pinochettismo si è manifestato lo scorso fine settimana. Evento scatenante è stata la protesta contro l’aumento del prezzo del biglietto del trasporto pubblico, unito alle improvvide dichiarazioni del presidente Sebastián Piñera e di alcuni dei suoi ministri. Tuttavia, quella che può essere definita a tutti gli effetti una sorta di vera e propria intifada andina, rappresenta un netto rifiuto a quel modello neoliberista su cui avevano scommesso anche governi di centrosinistra, da Ricardo Lagos a Michelle Bachelet. Non è servita, infatti, la rapida marcia indietro di Piñera, che al pari di Moreno in Ecuador ha subito ritirato la decisione presa. Santiago e le altre città del paese continuano a bruciare e ad ardere di rabbia perché il Cile è un paese dalle fortissime disuguaglianze sociali. In alcuni quartieri della capitale la vita è da primo mondo, in altri l’aumento delle tariffe del trasporto pubblico significa, per chi vi abita, spenderci almeno 1/3 del proprio salario.
Sebastián Piñera ha delegato per intero la gestione dell’ordine pubblico al generale Javier Iturriaga e, incredibilmente, si è recato in pizzeria per festeggiare il compleanno del nipote, come testimoniato su twitter dal giornalista cileno Max Valdes. Coprifuoco dalle 9 di sera alle 7 di mattina, vietata la libertà di riunioni pubbliche, le funzioni di polizia attribuite ai carabineros, i carri armati per le strade. Le tv trasmettono in maniera ossessiva gli scontri e gli episodi di vandalismo per mostrare che il paese e il governo sono in ostaggio di criminali. In pochi cercano di capire i reali motivi per cui la maggioranza dei cileni, senza alcuna organizzazione da parte di partiti, sindacati o movimenti sociali, ma in forma del tutto spontanea e auto-organizzata, è scesa nelle strade e nelle piazze.
L’aumento del prezzo del trasporto pubblico voluto dalla ministra Gloria Hutt è il secondo dall’inizio dell’anno. Il biglietto per viaggiare nella metropolitana di Santiago del Cile (140 km sottoterra), tra i più cari al mondo, era stato alzato nuovamente nel tentativo di ripianare il debito del piano di mobilità Transantiago, un servizio di autobus di proprietà privata promosso dal governo “socialista” di Lagos travolto dagli scandali finanziari e adesso denominato Red Movilidad.
Foto: Resumen Latinoamericano
Nel giro di pochi giorni la sonnolenta Santiago, abituata al refrain dell’economia cilena come una di quelle trainanti dell’intera regione, a scapito però delle fasce sociali più deboli e impoverite del paese, ha deciso di mettere in pratica la protesta degli studenti che, in numero sempre maggiore, hanno iniziato a scavalcare i tornelli delle stazioni metro per usufruire gratuitamente del servizio, soprattutto a seguito della provocatoria dichiarazione del ministro dell’Economia Andrés Fontaine, secondo il quale, per poter utilizzare la metro ad un prezzo più abbordabile, era necessario svegliarsi all’alba. Le tariffe del trasporto pubblico variano infatti in base all’orario di utilizzo dei mezzi.
Decine di migliaia di persone si sono rapidamente adeguate e la protesta, a quel punto, è divampata. Nella rabbia dei cileni, come in quella degli argentini che quasi venti anni fa erano scesi in piazza contro il corralito e i diktat del Fondo monetario internazionale al grido “Que se vayan todos”, c’era l’insofferenza contro le politiche di privatizzazione del sistema sanitario e dell’istruzione, le difficoltà quotidiane delle persone più anziane a causa di pensioni misere e l’odio verso quelle transnazionali che si sono accaparrate l’intero paese con il beneplacito dei vari governi di destra e di centro-sinistra. Il levantamiento del Cile rappresenta un pugno nello stomaco al modello economico neoliberista.
Sebastián Piñera ha subito delegato la gestione della piazza ad Andrés Chadwick, il ministro dell’Interno che ancora non ha dato alcuna spiegazione sul caso della morte di Camilo Catrillanca, il giovane mapuche ucciso dalla polizia cilena il 14 novembre 2018. Chadwick, noto per le sue simpatie verso il regime militare, non ha perso tempo ed ha conferito pieni poteri alla polizia. Da qui è scaturita una repressione inaudita e il Cile si è trasformato, di nuovo, in uno stato di polizia. La battaglia di Santiago e delle altre grandi città cilene assomiglia molto alla rivolta di Quito contro Lenín Moreno. L’aumento del prezzo del combustibile, al pari di quello del trasporto pubblico, è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso, convincendo sia Moreno sia Piñera ad una rapida marcia indietro. Tuttavia è difficile che le rivolte di esauriscano in breve. In Ecuador e in Cile si tratta di due battaglie antisistema che hanno spiazzato il potere dominante. Le comunità indigene, dopo il tradimento di Rafael Correa a seguito delle sue politiche estrattiviste, si sono presi di nuovo la scena, in Cile sono stati gli studenti a dar vita alla protesta, dopo che lo Stato credeva ormai di averli messi a tacere. In entrambi i casi l’obiettivo è chiaro: cacciare i due presidenti e ciò che rappresentano. Le mobilitazioni dei cosiddetti pìngüinos all’epoca della Concertación e poi le proteste degli universitari in occasione della prima presidenza Piñera sembravano solo un ricordo, e invece la storia ha presentato il conto ad un governo ancora fortemente nostalgico della dittatura.
Foto: Resumen Latinoamericano
Non è la prima volta che i cileni scendono in piazza contro l’aumento del trasporto pubblico. Era già accaduto nel 1947, contro il governo di González Videla, in occasione della cosiddetta huelga de la chaucha, e di nuovo nel 1957, quando il generale Abdón Parra Urzúa represse nel sangue una nuova mobilitazione contro il caro biglietti per conto del governo del militare Ibáñez del Campo, da cui Piñera sembra aver preso esempio per far tornare l’ordine nelle strade. Chissà se dopo Piñera e Moreno anche Bolsonaro non sarà costretto a fare i conti con le piazze del suo paese?
Segnalo una serie di riflessioni e analisi su quanto sta accadendo in Cile:
– “Tra i carri armati di Sebastián Piñera e i voti per Evo Morales, la partita sempre aperta in America latina”, di Gennaro Carotenuto, http://www.gennarocarotenuto.it/28539-tra-i-carri-armati-di-sebastian-pinera-e-i-voti-per-evo-morales-la-partita-sempre-aperta-in-america-latina/
– “Cile, così iniziano le rivoluzioni”, di Isabel Allende, http://www.strisciarossa.it/la-rabbia-del-cile/
– Un appello di Amnesty International: https://www.amnesty.it/stato-di-emergenza-in-cile-indagare-sulluso-eccessivo-della-forza-arresti-e-torture/
– Foto reportage da Santiago del Cile, Redazione cilena di Pressenza: https://www.pressenza.com/it/2019/10/questa-non-e-guerra-e-protesta-fotoreportage-da-santiago-del-cile/
Non è guerra, è protesta. Appello alla solidarietà con il popolo cileno
https://www.pressenza.com/it/2019/10/non-e-guerra-e-protesta-appello-alla-solidarieta-con-il-popolo-cileno/
Segnalo altri aggiornamenti dal Cile:
“La ribellione studentesca e la perdita di consenso”
Sandra Trafilaf Yañez
Dopo 7 giorni di protesta in Cile, che si è rapidamente trasformata in una esplosione sociale nazionale inarrestabile senza direzione da parte dei partiti politici tradizionali, con richieste che vanno al di là degli aumenti del biglietto del trasporto pubblico, e contro ogni pronostico degli analisti più avveduti, quello che si avvicina è l’istallazione delle già conosciute “misure di unità” per negoziare percorsi per la soluzione di fronte alla crisi delle istituzioni e della cultura repubblicana che ripudia la violenza del popolo e che privilegia la propria quotidiana violenza istituzionale.
Questo fatto, bisogna dirlo con onestà, è avvenuto dopo che un pugno di adolescenti, studenti secondari tra i 12 e i 19 anni, hanno fatto appello ad eludere l’illegittimo pagamento del biglietto della metro nella città di Santiago, imposto dal sistema economico neoliberale, che impatta in modo negativo sulla già insostenibile qualità della vita della massa lavoratrice. Prima sono stati soli/e, ma in meno di quattro giorni non solo Santiago ardeva in fiamme, ma tutto il paese scendeva in strada a protestare, a distruggere i simboli del consumo e la proprietà privata di alcuni pochi impresari.
Già nel 2006, gli studenti secondari misero sotto scacco il sistema educativo, contestando il cuore del sistema imposto dalla dittatura, con una Costituzione che ci governa fino ad oggi. In questi giorni, di nuovo hanno ottenuto una rottura nel modo di fare politica attraverso il “consenso”, così magistralmente amministrata da tutti i governi post-dittatoriali, cominciando da Patricio Aylwin fino a Sebastián Piñera. In quattro giorni, 71 stazioni della metro sono state distrutte, c’è stato un attentato contro il grande capitale saccheggiando supermercati e catene di farmacie che lucrano sulla vita e la salute, e il caos ha illuminato le notti, anche in “Stato d’Emergenza.
La risposta di un governo che amministra gli interessi del grande capitale è la medesima di sempre, portare tutto il peso della repressione nelle strade. Questa volta sono andati più lontano, sabato mattina è stato decretato lo “Stato d’Emergenza” che ha messo la sicurezza pubblica nelle mani delle FF.AA. Sono state proibite le manifestazione e il diritto di riunione. Un militare berretto nero, Javier Iturriaga del Campo, è apparso di fronte alle telecamere della televisione, insieme al presidente Piñera e ai suoi ministri, annunciando le nuove misure. I militari assumono il controllo del paese ed escono a reprimere insieme alle forze di polizia.
Dopo più di 30 anni si torna a decretare il coprifuoco, in quattro regioni del paese. Parallelamente, i mezzi di comunicazione di massa, protettori della proprietà privata, fanno infruttuosamente il loro lavoro per intimorire il popolo. Ci sono appelli alla pace, a proteggere i beni privati, ad organizzarsi contro i saccheggi. Informano minuto per minuto sullo stato di guerra, e fanno appello all’intervento delle forze armate, senza ripugnanza, e fanno appelli a che il popolo fermi il saccheggio, come se non tenessero i militari nelle strade a sorvegliare la ribellione.
Questi adolescenti rompono con le politiche del consenso, la medesima che coordina il miglior modo di rubare tutto al popolo e alla natura, per poi suggellare con leggi deformi che sono approvate in un parlamento cooptato dagli impresari. La gente ha continuato a stare nelle strade, nonostante l’invocazione della Legge sulla Sicurezza Interna dello Stato, nonostante il coprifuoco. Questi giovani, studenti secondari tra i 12 e i 19 anni, sono nati con gli occhi puliti dal trauma che il terrore del Colpo di Stato ha originato nel 1973. Sono le nostre figlie, i nostri figli senza questa memoria emotiva nei loro corpi, senza il peso di vivere in un paese senza punizione, dove dirigenti di partiti politici hanno negoziato il genocidio con quote di potere. Non hanno paura, non danno nessun senso ai loro decreti e coprifuochi, un berretto nero nella telecamera, è un altro soldato in più.
Ci sarà un prima e un dopo queste lotte intraprese dalle e dai secondari. Hanno incendiato il mito che rispondere con violenza alla loro violenza assassina, comporterebbe le pene dell’inferno. Ha comportato solo quello che sappiamo, quello che già abbiamo vissuto, i costi che sempre abbiamo dovuto pagare per andare avanti nella giusta lotta per cambiare sistemi che non opprimano. Hanno rotto la paura di tre generazioni che oggi sfida i militari e i loro autoblindati nelle strade, facendo suonare le pentole. Ma allo stesso tempo, hanno lasciato in silenzio, che ferisce le orecchie, tutti i dirigenti dei partiti politici e coloro che per anni sono scesi a patti sui principi e le richieste.
Ora, l’opportunismo che li caratterizza li smuove a prendersi la tribuna e vogliono preparare i loro tavoli a quattro gambe per negoziare. Già la stanno fabbricando dietro le quinte, e la abbelliscono con le loro migliori tovaglie e stoviglie, per invitare quelli di sempre e darsi al grande festino con l’esplosione sociale che ancora non si ferma, che non vuole fermarsi, che avanza e cresce in ogni angolo. Ci vogliono installare la pace come un mantra.
Non è per i $30 pesos di aumento del biglietto della metro. È per i 46 anni di dittatura, è per l’appropriazione delle nostre energie in lavori schiavi, è per la negazione di assistenza sanitaria, è per la mercantilizzazione dell’Educazione, è per il diritto ad una casa, ad una vita degna, ad una vecchiaia senza paure economiche, è per la protezione delle nostre risorse naturali, è per la repressione del popolo mapuche, è per il diritto ad avere diritti, è per la vita.
22-10-2019
Rebelión
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https://www.izquierdadiario.es/Chile-denuncian-abusos-y-amenaza-de-violaciones-contra-las-mujeres-detenidas
https://www.pressenza.com/it/2019/10/cile-la-base-dellingiustizia/