«Conversazione» su Elio Vittorini
Lella Di Marco dona un «garofano rosso» ai-alle giovani che hanno appena sostenuto gli esami di maturità
La scordata della bottega è uno straordinario pretesto non solo per ricordare un antifascista, un inarrestabile combattente alla ricerca (sempre e comunque) della VERITA’ ma anche per invitare i meno giovani a leggere le sue opere, studiarne il pensiero e la scrittura (fra realismo e lirismo) con quella voglia di vivere e di cambiare il mondo che Vittorini definisce «molto bello, vario ma molto offeso».
Uno come lui poteva nascere ovunque ma forse non è un caso che sia nato in Sicilia. E’ rimasto sino in fondo siciliano, magari un po’ anomalo con un inguaribile ottimismo. Isolano dunque ma supera i confini dell’isola. Ama la sua terra, cresce in quella cultura in senso ideale e antropologico: ha profonde radici in essa che non reciderà mai, fino a sostenere che in terra di Sicilia vorrà finire i suoi giorni.
Nasce a Siracusa il 23 luglio 1908 da famiglia di origine contadina di cui sarà sempre fiero, comincia a frequentare l’istituto tecnico con scarso successo però non rifiuta lo studio, il sapere la conoscenza. Probabilmente non riesce a tollerare la dinamica della scuola fascista: metodi didattici, imposizioni, contenuti, adunate, il “CREDERE-OBBEDIRE-COMBATTERE”.
Nato nel 1908: dunque in pieno fascismo è adolescente e poi giovane con il vigore fantastico dei ragazzi che vogliono intraprendere il viaggio della propria vita nel vigore della rivolta, per cambiare l’incultura, il provincialismo della letteratura italiana, alla scoperta di un rinnovato sistema dello stare assieme e di altre culture. In altri Paesi… In pieno regime fascista non è facile né indolore.
Nel suo essere autodidatta forti si manifestano i legami formativi con la cultura greca: il lirismo poetico e un certo riferimento alla dialettica socratica, per la ricerca del VERO dentro e fuori di sé.
Dalla Sicilia si allontana molto presto alla ricerca di lavoro ma anche di nuove realtà. Naturalmente fra mille contraddizioni e spesso senza averne percezione. Come l’avere accolto con entusiasmo all’inizio “la rivoluzione fascista” vista come rinnovamento sociale, organizzazione, punto di riferimento per giovani e meno giovani orfani di ideali … tanto che si definì FASCISTA DI SINISTRA. Non entro nel merito, anche perché con il senno di poi sarebbe insensato… Ma quello che ha senso è la scoperta e il riconoscimento della sua onestà intellettuale fin da giovanissimo, della sua scrittura o meglio di quello che lo stesso Vittorini chiamava «l’orgoglio dello scrivere»: l’essere uomo nella tragedia umana e politica, nel baratro riuscire a trovare la vena di lirismo, la dimensione onirica, una profonda umanità filosofica letteraria esistenziale, non intimista ma sempre politica.
La critica letteraria ha espresso pareri diversi sulla sua produzione e a mio avviso ancora non ha esaminato a fondo e il valore reale della persona e la sua scrittura. Di fatto Vittorini rimane un personaggio anomalo, un tassello prezioso grazie al quale la letteratura italiana valica i confini nazionali.
In codesta sede, io preferisco soffermarmi su due romanzi che amo particolarmente e che ritengo di grande attualità: «Il Garofano Rosso» e «Conversazione in Sicilia».
IL GAROFANO ROSSO per le vicissitudini dolorose che ne sospendono la pubblicazione – per la censura fascista – è come un’opera corale: l’espressione di una generazione che cresce durante il fascismo con l’ansia della ribellione e del riscatto. Concordo con Gianna Manzini nel riconoscergli «il fascino dei libri della prima giovinezza quando il talento è una specie di follia e vivere è come viaggiare in incognita con se stessi». Il (conteso) garofano rosso in un liceo di Siracusa è dono d’amore di una studentessa a un compagno di scuola ma il fiore come simbolo interessa e coinvolge, oltre il protagonista, diversi gruppi di ragazzi furiosamente vitali. Erano gli anni del delitto Matteotti e in quel periodo rovente anche un garofano rosso all’occhiello poteva apparire come un simbolo sovversivo. In quella fase i giovani erano posseduti da diffidenza nei confronti del potere ma anche da un bisogno di ribellione che li portava a simpatizzare con qualsiasi movimento rivoluzionario. Con il presagio che altre esigenze avrebbero finito per prevalere in politica, nell’amicizia e nell’amore . In pratica «entrare nella vita degli adulti» con la stessa incertezza dolorosa.
C’è, nel Vittorini degli esordi, questo sentimento di una pienezza di vita in grado di trasfigurare ogni esperienza in una piccola mitologia personale, un modo di vita ingenuo e carico di naturale istintività ed entusiasmo.
Il regime fascista si insedia al potere: mentre l’Italia si impoverisce sempre più culturalmente e umanamente, l’Europa vive la grande stagione delle avanguardie: le opere di Joyce, di Pound e di Eliot, di Woolf e del gruppo di Bloomsbury, di Kafka e dei surrealisti.
Di questo Vittorini vuole parlare e non come storico. Intanto è già uomo. Cerca lavoro al Nord. Fa di tutto – da Firenze a Torino – e l’esperienza lavorativa è molto ricca. Conosce intellettuali, attivisti politici, giornalisti , artisti. Scopre che gli “umili” siciliani sono ovunque mentre chi era povero è diventato o pensa di essere borghese.
CONVERSAZIONE IN SICILIA nasce in tale clima sociale e anche di preoccupazione soggettiva che il libro (un altro tentativo di romanzo) riprende in modo ossessivo. Il contenuto ci arriva attraverso i dialoghi dei personaggi: il senso di smarrimento, di continua sofferenza per il mondo offeso nonostante la sua bellezza…
Scrittura difficile da capire senza il continuo ricorso alle note. Il testo è centrato sulla Sicilia ma l’isola è soltanto un pretesto per non incorrere nuovamente nella censura. Dentro c’è tutto: l’emigrazione, la solitudine, il dolore della de-umanizzazione che il regime fascista ha prodotto, i cambiamenti, le mutazioni antropologiche ma soprattutto la ricerca di amore… per vivere.
Innovativo, bizzarro e inconsueto. Il tono della narrazione è decisamente allegorico e pieno di simboli. Del resto ,come esprimersi altrimenti, se si vuole agitando le coscienze scuotere l’indifferenza dei più, riferendosi anche all’intellettuale di regime impudico e banditesco? Come chiedere pietà per il MONDO OFFESO, esprimere disprezzo per il perbenismo cattolico del borghese e per un regime che aveva intorpidito le menti e i corpi in tutto il Paese?
«Conversazione in Sicilia» è un classico che stilisticamente risente delle recenti letture dell’autore, nonostante un certo verismo che ricorda Verga o Silone. Può essere definito, e non è la mia una ripetizione lessicale, un testo fantastico e FANTASTICO.
La poetica ovvero il senso della sua scrittura
Tutti i libri scritti da Vittorini gli hanno provocato sofferenze e lacerazioni pur nella costante ricerca della verità e della libertà.
Riprendo le sue parole dalla prefazione a «Il garofano rosso», scritto 13 anni prima e pubblicato nell’edizione del 1948 (Medusa degli italiani) e che fu omessa nelle edizioni successive. «Scrivo perché credo in una verità da dire; e se torno a scrivere non è perché mi accorgo di altre verità che si possono aggiungere e dire “in più”, dire “in oltre” ma perché qualcosa che continua a mutare nella verità mi sembra esigere che non si smetta mai di ricominciare a dirla. Uno non scrive per arricchire il mondo della cognizione di qualche “altra” cosa … C’è su di noi un impegno che rende terribile la nostra vocazione, ed è questo che si esercita con ogni libro, con ogni scritto, ripeterla ogni giorno non in qualche altra sua consistenza ma in qualche altro suo aspetto che varia . C’è una questione di vita o di morte nel nostro mestiere. Si tratta di non lasciare che la VERITA’ appaia morta… Essa è presente fra di noi e il giorno in cui si fermasse, anche solo il tempo di una generazione , addio: non la filosofia o la poesia sarebbero morte, ma la verità stessa non avrebbe più posto nella nostra vita».
Personalmente ho capito in pieno la poetica di Vittorini negli anni 70 ascoltando e studiando Ludovico Geymonat, il nostro maggiore filosofo della scienza che negli anni 70 era uno dei riferimenti teorici per i gruppi della nuova sinistra che si manifestavano in “La resistenza continua”. Geymonat fu antifascista fin dal ‘29, con un ruolo di primo piano nella guerra di liberazione in Piemonte, mantenendo poi un costante impegno civile e – considerato il suo mestiere di filosofo – legato all’assunzione di precise responsabilità pratiche nell’ambito del mondo della prassi.
Molte le analogie fra i due. Scabrose le loro posizioni sul modo di intendere il nesso fra vita e cultura, aspre le critiche a quegli intellettuali “pronti a suonare il piffero dietro i vincitori”, alla cultura come evasione o fuga dalle responsabilità pratico-materiali per rifugiarsi in un mondo ideale, contemplativo, autoreferenziale. Sono concordi nel sostenere che «ogni opzione culturale si radica in un atto della volontà e tende a realizzare all’interno della realtà effettuale un certo mondo di valori». Nessuna rivoluzione politica può essere vincente senza una rivoluzione culturale. Con tempi diversi ovviamente. Cosa non realizzata dopo la sconfitta del fascismo. Sono concordi nel sostenere che – malgrado la Resistenza – il fascismo è riuscito a salvarsi dalle sue stesse rovine. Questa era la tesi di Geymonat, in cui l’amarezza del partigiano si intreccia alla lucidità di analisi. La spregiudicata riflessione sulla sconfitta della Resistenza costituisce un invito all’abbandonare la tradizionale retorica per affrontare con coraggio la realtà. Anche Vittorini ha posto con forza il rapporto Cultura-Potere, il tradimento della Resistenza, i “compromessi” del PCI, le mistificazioni degli intellettuali comunisti nella rinuncia a un esame critico e razionale del mondo, lasciando aperta una questione storica che costituisce, ancora oggi, uno dei drammi dell’Italia.
Ho conosciuto Vittorini a Bologna nel 1964, a un dibattito sull’avanguardia letteraria. L’ho visto intellettualmente vivace, incuriosito dai giovani scrittori d’avanguardia. Dal loro stile, dai loro sperimentalismi, dalla destrutturazione del linguaggio, dall’uso della PAROLA a cui lui stesso puntava. Manifestava la sua approvazione-solidarietà a quelli di loro che nell’uso della parola e della scrittura rivoluzionata indicavano una forma di lotta politica.
Quella sera Vittorini era vivace, felice, pieno di speranza. Pronto a imparare da quei giovani del GRUPPO 63 …
Seppi dopo che l’anno prima era stato operato di tumore allo stomaco ma che, malgrado la malattia, aveva voluto riprendere il lavoro alla collana “nuovi scrittori stranieri” (per Mondadori) e poi al Nuovo Politecnico per Einaudi .Nel 65 il cancro si manifestò ancora rendendo impossibile ogni cura. Vittorini morì nella sua casa di Milano nel 1966.
Opere letterarie – riviste letterarie
- Piccola borghesia, Firenze, Edizioni di Solaria, 1931.
- Nei morlacchi; Viaggio in Sardegna, Firenze, F.lli Parenti, 1936.
- Nome e lagrime, Firenze, F.lli Parenti, 1941.
- Conversazione in Sicilia, Milano, Bompiani, 1941.
- Uomini e no, Milano, Bompiani, 1945.
- Il Sempione strizza l’occhio al Frejus, Milano, Bompiani, 1946.
- Il garofano rosso, Milano, Mondadori, 1948; Milano, Bompiani, 2018.
- Le donne di Messina, Milano, Bompiani, 1949.
- Sardegna come un’infanzia, Milano, Mondadori, 1952; Bompiani, 2014.
- Erica e i suoi fratelli; La garibaldina, Milano, Bompiani, 1956.
- Le città del mondo, Torino, Einaudi, 1969; a cura di G. Lupo, Collana Contemporanea, Milano, BUR, 2012.
- Il brigantino del papa, Collana Piccola biblioteca La Scala, Milano, Rizzoli, 1985.
- Gli inverni marini, Milano, Henry Beyle, 2012.
- Il canto delle sirene, Lombardi, 2013.
- Il Politecnico: settimanale di cultura contemporanea fondato da Vittorini. Il primo numero, pubblicato dall’Editore Einaudi, esce il 29 settembre 1945. Dal numero 39, la rivista diventa mensile. Nel dicembre del 1947 la rivista non viene più edita. La ristampa anastatica integrale dei numeri della rivista fu pubblicata da Einaudi nel 1975.
- Il Menabò: rivista-collana fondata nel 1959, diretta in collaborazione con Italo Calvino, pubblicata da Einaudi.
RIFLESSIONE A LATERE
Non posso non pensare ai giovani di oggi e trovare analogie fra la loro situazione e quanto descritto in «Il garofano rosso» da Vittorini. Stesso periodo di incertezze, confusione, assenza di “Padri Culturali” e di riferimenti concreti anche di aggregazione. Non riscontro nei giovani di oggi fervori rivoluzionari né energia vitale da spendere per un rinnovamento anche se di tanto in tanto esplodono sintomi di ribellione.
In fondo sono lasciati soli: nella comunicazione che li sollecita a impadronirsi delle idee ufficiali, dei “valori” in una società sempre più impoverita anche culturalmente e in una scuola svalorizzata che tende a livellare puntando al ribasso.
E’ evidente anche lo svilimento di alcune materie come la Storia, ridotta anche nei libri di testo a meri racconti di fatti o piatte biografie di personaggi; magari in attesa di eliminazione totale dallo studio tanto per non contribuire, come istituzione, alla formazione di una coscienza civica.
Allora, con il pensiero rivolto a chi ha appena sostenuto gli esami di maturità – avendo scelto lo studio , la conquista del sapere, come mezzi fondamentali per raggiungere alcuni obiettivi della loro vita – voglio ricordare:
- il giovane cingalese Ernesto con obiettivi chiarissimi sul suo futuro di medico … con eventuale specializzazione a Londra per potere curare anche i malati italiani
- – Mariem, italo-egiziana che a conoscenza di come i disturbi dell’apprendimento (tipo la dislessia) siano in aumento soprattutto fra i bambini di origine migrante, intende specializzarsi in psicologia infantile e logopedia per poterli sostenere professionalmente
- Il giovane Tamil, con il senso della natura del suo Paese nel cuore: non ha esitazione a laurearsi in scienze forestali e architettura dei boschi, professione da potere esercitare ovunque …
- Yoi italiana, appassionata di patrimonio artistico, decisa a frequentare l’Accademia di belle arti .puntando fondamentalmente all’insegnamento, per trasmettere a bambini e giovani la capacità di scoprire il bello nell’arte e poterne godere nella vita
- Olfa di origine tunisina che punta ad approfondire la conoscenza delle lingue straniere e della cultura araba in ogni suo aspetto per poterla diffondere anche in Italia
- Mammut di origine palestinese che vuole intraprendere gli studi per conseguire la professione di medico e curare ammalati indipendentemente dal colore della pelle
- Leonardo anarchico (con buone e riflettute letture dei classici dell’Anarchia), minimalista, essenzialista, vegetariano, contro ogni forma di consumo superfluo e indotto etc … sensibile allo sfruttamento sul lavoro e a tutto ciò che tende a ridurre spazi di libertà individuali e di aggregazione… lui intende continuare gli studi e acquisire competenze sulle scienze umane, i diritti delle persone, la comunicazione e la libertà di espressione
Questi e tanti altri che io stessa conosco mi appaiono ragazzi/e notevoli, disposti a intraprendere gli studi universitari.
Maggiore determinazione e chiarezza sulla futura professione nei-nelle giovani di origine migrante , mentre più confusione e incertezza sul futuro nei-nelle giovani autoctoni. Questi ultimi manifestano maggiore sensibilità verso la cura dell’ambiente per non distruggere il pianeta o nei confronti di una sana alimentazione, le forme di autoproduzione alimentare o le tecniche per risparmiare.
In tutti/e scarsa consapevolezza politica, unita però a sfiducia nelle istituzioni e nei partiti. Nessun riferimento politico né a forme di aggregazione. In TUTTI-E voglia di entrare nel mondo degli adulti nonostante le molte incertezze . Voglia di “adultità” senza il pensiero di inevitabili nuove responsabilità…
SUL MONDO GIOVANILE pesano la gran colpa della politica e la grave responsabilità di molti intellettuali, meschini e ingordi pronti a suonare il piffero dietro ad ogni politico o potente contribuendo, anche, alla produzione di idee tossiche.
Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.
una visione completa e FANTASTICA