FATE (VOCE DEL VERBO FARE)
una neuropoesia di PABUDA per chi a Goro… fa schifo
fate schifo, è un dato di fatto:
cine-ripreso, audio-registrato,
tele & radio documentato.
suona male stare a dirvelo?
io credo
sarebbe molto meno fraterno
e amichevole
lasciarvi tra le nebbie dei distinguo,
lasciarvi indecisi
tra gli apparenti opposti:
– da un lato – l’apologia
che del vostro schifo fanno
i seminatori d’odio professionisti
e – dall’altro – la relativizzazione,
la beneducata disinformazione,
la pelosa & democratica
presa di distanza
con annessa demagogica
parziale giustificazione
(per capirci…
si legga Mauro su “Repubblica”)
congegnata per sortire,
alla fine della fiera,
una generale e italianissima
autoassoluzione.
ma voi, da qualche parte
(su un quaderno,
su un bloc notes, su un diario,
o su un foglietto)
per non dimenticarlo, segnatevelo:
fate schifo: è un dato di fatto:
non conta quel ch’eravate,
dicevate, facevate sino all’altro ieri:
conta quel ch’adesso
avete pensato, avete detto,
avete fatto.
a quanto pare, a cose fatte,
neppure vi vergognate.
è un peccato, davvero:
non dovreste vergognarvi
di provar vergogna,
(e, magari, di chiedere scusa
a ciascuna di loro e al mondo intero):
è un peccato non vi passi neppure
per la testa
perché, di fatto, è l’ultima chance
che vi resta:
la vergogna potrebbe essere un aiuto,
una spinta, un punto di partenza,
per pensare allo schifo nauseante
ch’avete messo in piazza
e cominciare a provare, anche voi,
l’unico senso giusto:
l’istintivo, primordiale, umano disgusto.
ma manco un leggero rossore
sulle vostre guance vedo.
fate schifo – il concetto, a questo punto,
dev’essere chiaro, credo –
ma fate anche un po’ paura:
siete un segnale, un allarme che urla
e rompe i timpani:
perché di gente che coi mezzi più vari
(più discreti e astuti dei vostri, magari)
fa lo schifo che fate voi
ce n’è un’enormità:
ce n’è nelle campagna e nelle città,
tra il popolino arricchito, indebitato, ignorante
e tra l’oligarchia milionaria e potente,
tra gli analfabeti e tra i laureati,
tra i rimbecilliti che si cuociono il cervello
davanti alla tv
e tra i rimbecilliti che s’inventano
e ammanniscono programmi e notiziari,
quiz, concorsi, cronache sportive
e documentari…
dentro alla tv.
ce n’è: nell’elettorato e tra gli eletti,
tra gli atei e tra i baciapile,
tra gli accattoni disperati
e tra i vescovi ingioiellati,
tra gli operai e nei consigli
d’amministrazione:
ce n’è per ogni dove:
tra i liberali e tra gli ex comunisti,
tra gli eterni democristiani e – ovviamente –
tra i fascisti e i nazionalisti
(quelli neri, i rosso-bruni, gli azzurri e i verdi).
per ora, schifoso popolo
di qualche centinaio d’italiani fieri
e fiere italiane
che t’ammazzi di lavoro
per tener ben sopra il rosso, in banca, il conto
e fai quelle cose schifose
senza vergognartene punto,
per ora, popolo obbrobrioso,
ti crogioli abbastanza tranquillo
nella melma catodica maleodorante
delle tue coraggiose imprese
per tenere dodici donne emigrate e senza casa
alla larga dal tuo paese…
perché la sai lunga
e perché ti trovi in abbondante compagnia:
con te c’è buona parte della triste e piccola
borghesia
ma pure ci son certe stelle
della moderna aristocrazia.
e t’illudi che tra schifosi siete tutti uguali:
sgobboni e magnati,
politici razzisti e razzisti popolani, alla pari.
palle! popolo minaccioso, allevatore d’odio
e, all’occorrenza, di redditizi molluschi bivalvi
quando sarai veramente,
seriamente nella merda –
alla prossima crisi globale
verticale
dello spaghetto allo scoglio –
i tuoi compagni virtuali,
giornalistici e mediatici, di bravate xenofobe
t’abbandoneranno:
altri e più preziosi frutti di mare
ed (e)lettori
e inquilini, e correntisti e alcolisti
e dipendenti
e consumatori e radio-telespettatori
da spolpare
facilmente si procureranno:
abbandonandoti al tuo misero, fetente, destino:
in una scarpata, una trincea,
una bancarotta fraudolenta, un ospizio,
un pollaio industriale,
un manicomio, una cella, una sala operatoria,
un sottomarino alla deriva.