Chavela Vargas, la rude voce della tenerezza

Il ricordo di Maria Teresa Messidoro

 

Ti chiedo scusa Chavela.

Ti chiedo scusa perché non sono riuscita a sentire la tua voce dal vivo nell’assordante mondo che mi circondava: parole, canzoni, messaggi, slogan, urla di proteste, rivendicazioni e interminabili incontri hanno sommerso il tuo canto.

Ti ho incontrata, purtroppo, soltanto dopo la tua morte, avvenuta il 5 agosto del 2012.

Non lo dico a te, che sai benissimo quando ci hai lasciato orfani della tua voce; anzi, lo sentivi già qualche giorno prima, quando eri a Madrid per presentare il tuo ultimo disco: malata, hai voluto tornare in Messico, nonostante il parere sfavorevole di tuttə.

Volevi andartene per sempre proprio in Messico, perché ti sentivi messicana fino in fondo, anche se eri nata in Costa Rica.

“Noi messicani nasciamo dove cazzo ci pare”, ripetevi con la tua consueta impertinenza.

Con la stessa cocciutaggine con cui dal 2019, in diverse interviste, confessavi che ti sarebbe piaciuto morire di domenica perché il funerale si sarebbe così svolto di lunedì o martedì, “per non far perdere il fine settimana a nessuno” (1)

Ed infatti la tua voce si è spenta definitivamente una domenica!

Avevi le idee chiare su tutto, anche sul tuo funerale: “voglio che al mio funerale stiano davanti le puttane e gli ubriachi. Tutti gli altri possono venire dietro” (2)

Perché tu Chavela non ti eri mai dimenticata di loro, unici compagni nella tua discesa all’inferno, le uniche persone capaci di darti un po’ di affetto sincero, una protezione discreta e una generosa ospitalità, sicuramente non in case lussuose come quella a cui eri stata abituata negli anni del tuo primo successo.

Sei nata il 17 aprile del 1919 in un piccolo e anonimo paesino del Costa Rica, San Joaquín de Flores, il tuo vero nome era Maria Isabel Anita Carmen de Jesús Vargas Lizano.

Si racconta, e tu stesso lo raccontavi a tutti, che non hai mai giocato con le bambole; preferivi scappare di notte per andare a fare il bagno nuda nel fiume o a far correre i cavalli che non ti appartenevano; ti piaceva ascoltare le serenate, anche se i vicini recriminavano sull’ora tarda in cui lo facevi.

I tuoi genitori non si volevano bene, né lo volevano a te: ad un certo punto sono stati alcuni zii a prendersi cura di te, ma non ti sei rattristata troppo per la mancanza dei tuoi genitori. “Che Dio li tenga pure all’inferno” così li hai liquidati nel racconto della tua vita.

Sei diventata adolescente senza avere un fidanzatino, perché gli uomini non ti piacevano, cosa molto grave a San Joaquín.

A diciassette anni sei scappata in Messico, dove hai cercato di sopravvivere adattandoti a qualsiasi lavoro, per poi poter cantare per le strade o nei bar di infima categoria. Non sopportavi che gli uomini ti mettessero le mani addosso, per difenderti hai comprato un revolver e hai dimostrato quando è stato necessario che lo sapevi usare.

Così sei diventata Chavela Vargas, la cantante che cantava rancheras, il genere musicale messicano drammatico per eccellenza, ricco di passione e di nostalgia: canzoni in cui soltanto le donne erano colpevoli di tradimenti e della fine degli amori. Ma la tua voce roca e seduttrice, accompagnata dalla chitarra, ha trasformato quelle canzoni, dando un altro significato e spessore al ruolo delle donne. Cantavi con l’immancabile classico poncho, sempre rosso, e indossavi i pantaloni, quando poche donne osavano farlo. Fumavi imperturbabile tabacco e ingoiavi tequila misurandola in litri. Anni dopo, facendo un calcolo approssimativo, dirai che nella tua vita hai consumato quarantacinquemila litri di tequila, litro più litro meno.

Nel 1949 hai incontrato José Alfredo Jiménez, una stella della ranchera, anzi, La stella, prima che arrivassi tu, ovviamente; per te è cambiato tutto, basta quartieri fumosi e popolati soltanto da miserabili, basta bar di infima categoria; ti aspettava il lusso di Acapulco, la festa di nozze nel 1957 di Liz Taylor e Mike Todd, quando si dice che sei finita a letto con Ava Gadner; divennero tuoi amici Picasso, Pablo Neruda, Federico García Lorca e Gabriel García Márquez.

Per venti anni hai bevuto, fumato, e soprattutto cantato.

Poi hai incominciato la discesa all’abisso, accompagnata dall’alcool e dalla solitudine: José Alfredo, morto nel 1973, non poteva più darti una mano, nessuno voleva o sapeva dartela; hanno incominciato a dire di averti visto in un atrio, dormire per terra, confusa per l’alcool e il fumo. Qualcuno ha detto che eri scomparsa, forse morta.

Fortunatamente non era vero. E così, come se fosse passato un attimo, nel 1991 tu sei riapparsa in un bar di donne intellettuali, con la voce quasi uguale a quella di sempre. Pedro Almodóvar ti volle per il suo film Kila, per cantare Luz de la luna.

Ritornò in vita il tuo poncho rosso e nero, la tua voce riprese coraggio, quella voce che Almodóvar definiva “la voce disperata della tenerezza”.

Soltanto quando hai compiuto 81 anni hai dichiarato pubblicamente la tua omosessualità, ma non hai mai nascosto il tuo interesse per le donne, anzi.

La tua lunga, lunghissima relazione con Frida Kalo ha fatto storia; l’hai ammirata per il suo essere artista e per il suo impegno politico, l’hai amata, e lei ha amato te, non resisteva al tuo fascino.

Il tuo ultimo amore platonico è stata Salma Hayek, l’attrice che doveva interpretare proprio Frida in un film; tu avevi già passato gli ottanta anni, lei ne aveva trentacinque, ma che importa? Raccontavi che sì, l’hai sempre rispettata, anche se le hai rubato qualche bacio.

Macorina è la canzone che hai scritto quando hai conosciuto a Cuba, probabilmente a casa del poeta cubano Nicolás Guillén, Maria Calvo, una bellissima donna di Guanajay, che ha vissuto rompendo schema: tu eri ancora profondamente triste per la morte di Frida, e lei ha saputo risvegliare la tua anima.

Sei stata capace di scrivere la storia di quella cubana che sapeva di mango, la storia che dal 1961, l’anno della prima registrazione, è diventato un inno, lo slogan di quelle migliaia di donne che sono costrette a vivere le proprie relazioni lesbiche in un clima di clandestinità e asfissia sociale.

Ponme la mano aquí, Macorina, ponme la mano aquí: l’ho riascoltata molte volte e ti ho immaginato mentre la cantavi, magari guardando intensamente negli occhi una spettatrice che si stava riconoscendo  nella sua mascolinità, grazie alla tua voce suadente.

L’elenco delle tue canzoni divenute immortali è lungo, passando per la celebre La llorona, o Un mundo raro, Rayando el sol, El dia que me dijiste, El último trago, …

Non mi trasformo per l’occasione in critica d’arte, derideresti il mio scopiazzare di qua e di là: per capire la tua grandezza, occorre semplicemente ascoltarti, magari immaginandoti, provocante e tenera, come sei stata fino alla fine.

Fino a quando hai potuto cantare nell’Olympia di Parigi, quando qualcuno ha affermato che stavi uguagliando il mito di Edith Piaf.

D’altra parte, ancora poco prima di morire, hai scritto in Twitter questo messaggio: “Non morirò perché sono una sciamana, e noi non moriamo, noi sciamane semplicemente trascendiamo”

È vero, tu sei diventata immortale, una donna libera, capace di vivere fino in fondo la propria vita senza compromessi o rinunce, senza paure e rispettando tutte le persone che ti hanno circondato.

L’ultima compagna della tua vita, Alicia Elena Pérez Duarte, avvocata, magistrata, investigatrice, specializzata in diritti umani di genere, curatrice di un documentario su di te, uscito alcuni anni fa,  ha scritto: “La personalità di Chavela era così forte che muoveva fino all’ultima tua cellula. Era di quelle poche persone che quando ti abbracciano ti fanno tremare, capace di portarti in cielo semplicemente con il loro cantare” (3)

Ti devo salutare, Chavela, ma voglio raccontarti un’ultima cosa, che sicuramente ti piacerà: pochi anni fa, due cantanti, Antonio De Martino e Fabrizio Cammarata, hanno scritto un libro e registrato un disco, dal titolo “Un mondo raro”, in cui hanno dato vita ad una una storia di euforia e di solitudine, di incontri folgoranti e struggenti adii, tra iniziazioni sciamaniche e amori travolgenti, scaldati da litri di tequila.(4)

Insomma, è la tua storia, la storia di tante donne, non importa se ricantata da due uomini: ma a te non importano le categorie, non è vero?

Ciò che conta è il cuore, la tenerezza, l’incanto di una voce per sempre immortale.

Arrivederci Chavela: scusami, non berrò tequila alla tua salute, perché non mi piace, ma berrò un traguito (5) di un buon vino bianco delle bellissime Alpi Apuane.

Ti sarebbe piaciuto, perché ha il sapore di una terra di anarchia e di lotta che avresti condiviso a tuo modo.

“Che il trucco non spenga le tue risate

che il calendario non arrivi di fretta

che quelli che aspettano non contino le ore

che la fine del mondo ti trovi ballando

che il cuore non passi di moda

che ogni notte sia la prima notte di nozze

che non ti comprino per meno di niente

che non ti vendano amore senza spine”

tratto da Noches de boda

 

  1. https://www.elviejotopo.com/topoexpress/salio-los-infiernos-lo-cantando/
  2. Idem
  3. https://ibero909.fm/blog/chavela-vargas-documental-alicia-elena-perez-duarte
  4. Un mondo raro, vita e incanto di Chavela Vargas, di Antonio De Martino e Fabrizio Cammarata, La nave di Teseo
  5. Un piccolo sorso

 

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

 

Teresa Messidoro

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