La Neolingua nel Nicaragua orteguista…

… nel segno del caudillismo e del culto della personalità

di Bái Qiú’ēn

Il sandinista sa che la correzione ideologica non vale nulla senza una condotta pratica coerente, ma una condotta pratica positiva non è sufficiente se non è accompagnata da una definizione ideologica rivoluzionaria. (Carlos Fonseca, ¿Qué es un sandinista?, 1975)

L’art. 1 dello Statuto del Frente Sandinista de Liberación Nacional (FSLN) approvato nel 1998 e successivamente riconfermato fino a oggi afferma con chiarezza l’obiettivo di «realizzare la felicità di tutti i nicaraguensi, costruire una società con democrazia politica ed economica, giustizia sociale e un vero stato di diritto». Tra i suoi princìpi basilari, all’art. 6 sancisce «la critica e l’autocritica, la fraternità tra i suoi militanti, l’onestà, la solidarietà, la tolleranza, la libertà di opinione, il rispetto delle convinzioni religiose individuali, la non discriminazione, la formazione ideologica degli stessi militanti, la democrazia interna e l’unità».

Quando nel 1979 trionfò la Rivoluzione Popolare Sandinista, il FSLN non era come vari altri movimenti rivoluzionari: la sua dirigenza plurale era la negazione evidente dello storico caudillismo e del culto della personalità. Uno dei princìpi essenziali era il pluralismo sia nel Paese sia all’interno del partito.

Il 30 aprile 2022, rivolgendosi ai militanti della Gioventù sandinista nella manifestazione in occasione della Giornata internazionale dei lavoratori Daniel disse: «Nelle vostre mani sta già passando la Bandiera della Patria, la Bandiera della Sovranità, la Bandiera del Popolo Lavoratore […] poco a poco la state prendendo». Era il riconoscimento ufficiale del fatto che i militanti della Gioventù sandinista, essendo da tempo agli ordini di Rosario detta Chayo, sono destinati al comando del partito e del Paese, mentre si emarginano sempre più tutti i veterani combattenti della guerriglia antisomozista e della guerra per fermare la contra negli anni Ottanta. È la stessa Rosario a nominare al dedazo i più fedeli a varie cariche pubbliche o di partito. I più impreparati tra loro sono destinati a una rapida e brillante carriera.

Un mese prima, alla fine di marzo 2022, con una circolare della Comisión Nacional de Atención al Sandinismo Histórico diretta da Leopoldo Rivas Alfaro giunse l’ordine di smantellare le strutture del sandinismo storico: «queda desactivado totalmente las estructuras y el funcionamiento del sandinismo histórico a nivel territorial nacional». Per quanto non esistano prove, vox populi afferma che l’ordine fu impartito direttamente da Rosario, la quale non tollera strutture e organismi che non rispondano a lei direttamente e che non può manovrare a suo piacere.

Ben sapendo che la “vecchia guardia” non sopporta granché né Rosario né i giovani acefali allevati a slogan e promesse (che qualcuno definisce «chayotal», giocando sull’appellativo di Rosario e il campo coltivato a chayotes), il 30 aprile 2022 Daniel ha aggiunto che questa transizione «deve avvenire in armonia e non con uno scontro […] poiché colui che alimenta lo scontro attenta all’unità della famiglia sandinista, della famiglia nicaraguense e della patria». Si era fermato un attimo prima di definire come possibili traditori tutti coloro che appartengono alla “vecchia guardia” e si oppongono al ricambio generazionale. Il sottinteso era: cari combattenti e militanti storici, è ora di smettere di chiedere più spazi di partecipazione sia nel Governo sia nelle strutture del cosiddetto Potere popolare: appartengono alle nuove leve allevate dalla generalessa Rosario e a lei ciecamente obbedienti.

È sufficiente osservare le fotografie e i video delle manifestazioni pubbliche orteguiste per notare l’assenza della “vecchia guardia” e la massiccia presenza di giovani perfettamente allineati come militari in parata, che applaudono, gridano slogan o inneggiano secondo il copione stabilito dalla stessa Rosario. Risulta innegabile che, poco a poco ma inesorabilmente, si è verificata una frattura tra il FSLN-partito personalistico e il FSLN-movimento: il primo tenta con tutti i mezzi a sua disposizione di annientare il secondo, senza rendersi conto che non può esistere un esercito formato da soli generali

Il meccanismo essenziale per tentare di reggere all’infinito questo “gioco” è accrescere a dismisura è il culto della personalità, che Gramsci catalogava tra «i fenomeni di idolatria, che sono un controsenso nel nostro movimento, e fanno rientrare dalla finestra l’autoritarismo cacciato dalla porta» («Per un’associazione di coltura», Avanti!, ediz. piemontese, 18 dicembre 1917).

Per quanto l’art. 53 dello Statuto indichi la necessità di «Promuovere il ricambio generazionale» e «la promozione dei giovani dirigenti negli organi direttivi del partito», per cui le parole di Daniel paiono rispettarlo, questo ricambio generazionale è previsto che debba essere sostenuto con «azioni di formazione e rafforzamento delle capacità dei giovani con prospettive dirigenziali». Peccato che Rosario preferisca avere un piccolo esercito da comandare a bacchetta, il quale non faccia e non si faccia domande. Non è dato sapere se la decisione di Daniel di chiudere le scuole di partito all’inizio degli anni Novanta provenga da lei ma è più che probabile se si considera la situazione oggettiva in cui si trova oggi il FSLN.

I militanti della “vecchia guardia” hanno ormai tra i 65 e i 70 anni di età, sono pensionati (spesso con pensioni che non consentono di vivere degnamente), soffrono di svariate malattie croniche e nella loro maggioranza sbarcano con difficoltà il lunario (il che non è una novità: alcuni anni fa doña Cándida, la madre di Leonel Rugama, neppure aveva il denaro necessario per sistemare il tetto della propria abitazione a Estelí). Pochi di loro, forse nessuno, sopporta Rosario e la sua smania di potere. Neppure gradiscono che il partito finisca completamente nelle mani di giovani non preparati politicamente (né culturalmente).

Poiché, invece, i militanti storici sono abituati a pensare, non è garantito che eseguano sempre fedelmente gli ordini. Di certo Rosario conosce le ultime strofe di una nota poesia di Bertolt Brecht: «Generale, l’uomo fa di tutto. / Può volare e può uccidere. / Ma ha un difetto: / può pensare». L’unica cosa che hanno appreso a perfezione quelli della Juventud Sandinista è che non devono pensare e comportarsi come semplici peones.

Nella metà di luglio del 2023, ossia nei giorni del 44° anniversario del trionfo rivoluzionario, si riunirono circa seicento delegati della Juventud Sandinista a livello nazionale, i quali stabilirono all’unanimità di «accrescere il loro sostegno a Daniel e a Rosario». Non alla Rivoluzione o alla Patria, ma a Daniel e a Rosario, ossia alla famiglia regnante. Un tempo, noi italiani le avremmo definite «truppe cammellate».

Nello stesso 2023, i dati di un sondaggio della Cid Gallup (realizzato tra il 20 maggio e il 5 giugno) attestavano che soltanto il 16% della popolazione approvava l’azione del governo e del FSLN. Pur senza prendere per oro colato questo dato, appare evidente che persino nelle file dei militanti sandinisti era assai diffusa la disillusione, dopo sedici anni di orteguismo e dopo gli eventi del 2018. Alla faccia dell’«unità della famiglia sandinista» osannata da Daniel l’anno precedente.

Per quanto la famiglia sia in genere definita come l’istituzione grazie alla quale la società si perpetua sul piano culturale, in realtà, traducendo dalla Neolingua, Daniel aveva affermato: «colui che alimenta il confronto attenta all’unità della famiglia Ortega-Murillo, che incarna il partito e la patria», anzi, è sia il partito sia la patria. Quasi come un novello Luigi XIV: «La patrie c’est moi». Il confronto, la dialettica, la critica sanciti dallo Statuto del partito, sono banditi perché antinazionali e antipatriottici. Nella concezione orteguista i termini «famiglia sandinista», «famiglia nicaraguense» e «Patria» sono sinonimi intercambiabili ma indicano essenzialmente la famiglia Ortega-Murillo.

Non a caso, nel dicembre dello stesso 2023 Daniel ha concesso al figlio Laureano i pieni poteri per agire a nome del Governo, con tanto di possibilità di firmare accordi internazionali. A tutti gli effetti, può operare in sostituzione di qualsiasi ministro come se fosse a capo di qualsiasi ministero (pur senza nomina specifica e riconosciuta). A tutti gli effetti Laureano è tutti i ministri e dirige tutti i ministeri.

Contemporaneamente gli ha assegnato il ruolo di «rappresentante speciale del segretario generale del FSLN», con potestà di firma. Poiché, da quando è stata istituita questa funzione, l’unico segretario politico del FSLN è lo stesso Daniel, ossia il padre biologico, è evidente che la scelta della successione non spetterà al Congresso o all’Asamblea sandinista (svuotati già da tempo del loro potere decisionale). Tanto meno appartiene alla militanza di base, la quale serve solo per votare e per andare alla manifestazione celebrativa del 19 luglio. Eppure, tra i princìpi di democrazia interna, lo Statuto del FSLN stabilisce lo svolgimento di «Elezioni democratiche in tutti gli organi dirigenti del partito, dalla base agli organismi superiori» (art. 10).

Il successore naturale di Daniel, in base alla Costituzione, è Rosario in quanto vicepresidente eletta (in palese violazione dello stesso dettato costituzionale, art. 147). Resta però un problema non secondario: chi designare come vicepresidente nel momento in cui Rosario diverrà presidente? Se la Costituzione fosse rispettata, «l’Assemblea nazionale dovrà eleggere un nuovo vicepresidente» (art. 149). Nonostante la schiacciante maggioranza di deputati orteguisti, è evidente che Daniel e Rosario non abbiano la certezza della fedeltà assoluta di ciascuno di loro nel momento in cui dovranno scegliere il nuovo vicepresidente. Per cui la bandiera della patria (leggasi: della famiglia Ortega-Murillo) è meglio che passi già oggi nelle mani del figlio Laureano, in perfetta armonia e senza scontri. Con questa mossa Daniel ha dimostrato con chiarezza non soltanto che nulla conta l’Asamblea Nacional, ma che non si fida neppure dei suoi più fedeli sostenitori.

La successione dinastica è già stata stabilita con chiarezza: a Daniel seguirà Rosario, la quale avrà Laureano come vice. E sarà pure il segretario nazionale del FSLN, senza che nessuno lo elegga in un congresso. Come in qualsiasi monarchia che si rispetti, il potere è ereditario all’interno della famiglia regnante. Il re è morto, viva il re (o la regina).

Ancora lo Statuto del FSLN stabilisce che le decisioni debbano essere assunte attraverso «Un processo democratico in cui si combinano libertà di coscienza e libertà di pensiero, ampia espressione, partecipazione e discussione preventiva […]. Questo processo è tollerante nei confronti delle altre opinioni, non presuppone sanzioni, coercizione o discriminazione della minoranza con criteri diversi» (art. 10).

Ciò nonostante, se qualcuno avrà da ridire in merito alla successione già decisa, attentando in tal modo «all’unità della famiglia sandinista, della famiglia nicaraguense e della patria», sarà automaticamente considerato un vendepatria. A tutti gli effetti Daniel e Rosario sono il FSLN e le loro decisioni sono insindacabili (in barba ai dettami statutari del partito).

Questo Statuto tuttora vigente si riferisce però a un partito che non esiste più nei fatti, a un partito che aveva condotto alla vittoria con la lotta armata e con quella civica un intero popolo e difeso la Rivoluzione negli anni Ottanta dall’aggressione militare organizzata e finanziata da Washington.

Da tempo, la “vecchia guardia” è ben cosciente di questo mutamento avvenuto molecolarmente e, pur riconoscendo ancora Daniel come leader, ha la percezione che quello che dirige il partito e lo Stato sia un sandinismo senza Sandino, senza la storia del FSLN e senza una chiara coscienza di classe. Un mutamento che ha assai poco a che vedere con ciò che si definisce pragmatismo e con l’adattamento alle mutate circostanze (sia nazionali sia internazionali): piuttosto è strettamente connesso con la conquista del partito per interesse personale di Daniel e il mantenimento del potere governativo ottenuto grazie al voto sincero e convinto nel 2006 dei militanti e dei simpatizzanti.

I manifesti politici e le scenografie delle manifestazioni mostrano (o tentano di mostrare) Daniel come continuatore di Carlos Fonseca e di Sandino. Lo stesso si può affermare in relazione all’uso della bandiera del FSLN. Un tentativo di identificazione, tramite l’appropriazione dei simboli, che non riesce più a persuadere la totalità dei militanti e dei combattenti storici. Come, del resto, l’appropriazione della bandiera nazionale da parte dell’orteguismo non convince buona parte della popolazione, ossia di quel Pueblo Presidente che non conta un accidente ma che è diventato un mantra.

Pur essendo un fortissimo legame storico-culturale a una specifica lotta politica e a una scelta di campo, i simboli politici sono stati trasformati in presupposti fondanti di una nuova identità che si dimostra nei fatti esattamente all’opposto di quella originaria, pur mantenendo un’esteriorità ingannevole.

A prescindere dalle distinte posizioni assunte dopo il 2018 da coloro che a livello internazionale hanno sostenuto negli anni Ottanta il processo rivoluzionario del Nicaragua, nessuno (o pochissimi) riesce a mettere in dubbio che buona parte dei contestatori che scesero nelle strade per protestare erano sandinisti (militanti o simpatizzanti). Indirettamente Daniel lo ha confermato il 30 aprile 2023, proprio nel momento in cui ha affermato che «colui che alimenta lo scontro attenta all’unità della famiglia sandinista, della famiglia nicaraguense e della patria».

La recente “mossa” nei confronti di suo fratello Humberto, obbligato dal 19 maggio agli arresti domiciliari mascherati da assistenza medica continua e accusato di tradimento, ribadisce a chiare lettere che nell’attuale FSLN a nessuno è consentito dissentire o criticare, fosse pure un consanguineo: realtà sancita già nel 1998 con la questione di Zoilamérica, la figliastra di Daniel. che la salute dell’ex capo dell’Esercito popolare sandinista e ministro della Difesa non sia in buona salute, è cosa nota da tempo, ma che neppure la moglie Angelica possa uscire dall’abitazione è tutt’altro discorso: la sera di martedì 11 giugno pare abbia avuto un attacco cardiaco (a causa di un possibile infarto) e la polizia lo ha trasportato all’Ospedale militare, impedendo alla consorte di accompagnarlo.

Nel corso delle tre settimane in cui è stato costretto agli arresti domiciliari (senza poter ricevere alcuna persona), più volte ha richiesto la presenza dei medici privati specializzati che l’hanno in cura, ma si è dovuto accontentare del medico pubblico (unica persona che poteva entrare e uscire dall’abitazione circondata costantemente dalla polizia) che si limitava a rilevare di tanto in tanto il livello della pressione sanguigna.

Lo stress causato dalla non libertà di movimento è probabilmente la causa del suddetto malore. Come sa perfettamente chiunque (medico o meno che sia) una persona di 77 anni sofferente di gravi problemi cardiaci (e varie altre patologie) non può essere deliberatamente sottoposta a una condizione di arresto (per quanto domiciliare), poiché questa condizione potrebbe condurlo alla morte. Un caso molto simile fu quello che ha visto il decesso di Hugo Torres, comandante guerrigliero incarcerato nonostante le gravi condizioni di salute e malcurato. Giocare con la salute e la vita di un essere umano rende evidente il livello di stupidità criminale che caratterizza la famiglia Ortega-Murillo. Per la quale, l’unità e il potere sono intoccabili e indiscutibili. Soprattutto dopo il 2018, avendo trionfato militarmente (ma non politicamente) sulle proteste popolari; però, come disse a suo tempo José de Sousa Saramago: «La victoria tiene algo negativo; jamás es definitiva». La vittoria ha qualcosa di negativo; mai è definitiva.

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