Lavoratrici/lavoratori maltrattate/i di tutto il mondo: uniamoci

di Vito Totire, medico del lavoro/psichiatra.

Nei primi anni del 2000 scoppiò il tema del mobbing a livello mediatico.
Ci fu un motivo alla base di questa “esplosione”; infatti lavoratrici e lavoratori sono sempre stato oggetto di vessazioni (basterebbe citare Simone Weil), non sempre “motivate” da esigenze di produttività ma da altre cause: sadismo, maschilismo, autoritarismo, razzismo.
Solo che in quella fase storica a causa di certi fenomeni di ristrutturazione diventarono vittime di mobbing anche molti “mandarini” che fino a quel momento erano non solo rimasti indenni da strategie persecutorie ma che, eventualmente, le avevano agite anche personalmente nei confronti di altri.
I rapporti che questi soggetti avevano con giornalisti e media facilitarono la denuncia pubblica di un fenomeno che tuttavia non era affatto nuovo.
Dopo un po’ di anni il fenomeno è parso (ma era solo una impressione superficiale ) in riflusso.
In verità oggi come sempre, e forse anche di più, la precarietà delle organizzazioni del lavoro e la negazione dei diritti hanno agìto da terreno di coltura per vessazioni e avversatività sempre più diffuse.
Alcune organizzazioni sono arrivate a controllare le manifestazioni di pensiero dei lavoratori persino attraverso il “controllo ” dei social.
Se su un social esprimevi un parere critico nei confronti della tua azienda e potevi essere spiato e rischiavi il posto di lavoro.

In questo clima oppressivo e stagnante, negli ultimi giorni, sono emersi due eventi , di diversa natura.
A Pietrasanta, casa del popolo Solaio (la immagine esterna dell’edificio mostra la immagine del “Che”) il gestore (a cui va il nostro encomio, pur avendo fatto una cosa “normale” ….ma di questi tempi) sanziona il comportamento di un
“socio” che si era rivolto con frasi scurrili e offensive nei confronti di una lavoratrice. Siamo consapevoli tutti che questa encomiabile condotta è controcorrente rispetto a quanto succede e quanto si tollera irresponsabilmente in tanti altri posti di lavoro in Italia e nel mondo.
Infatti da quando il decreto 81/2008, recependo le istanze dei lavoratori
e degli operatori della prevenzione, ha definito l’obbligo di valutare il distress lavorativo (con riferimento anche alle differenze di genere, di età e di paese di provenienza) l’obbligo sancito è rimasto, al 90% se non peggio, solo sulla
carta. Certo il gestore della casa del popolo di Pietrasanta non è partito dal documento di valutazione del rischio bensì dalla cultura politica di “sinistra”,  e non sarebbe stato concepibile la accettazione di una violenza psicologica contro una lavoratrice sotto la immagine del “Che” !
Rimane però un problema: far emergere il “sommerso” e contrastare avversatività, costrittività e violenze psicologiche che lavoratori e lavoratrici subiscono tutti i giorni nella consapevolezza che le violenze debordano anche spesso in violenze fisiche, pur essendo quelle psicologiche a volte altrettanto se non persino più lesive di quelle fisiche (abbiamo visto il “suicidio” del lavoratore dipendente della Metro di Mestre).

Nel quadro di questa consapevolezza arrivano alcuni dati Inail. Questi dati spesso presentati da alcuni media come “oro colato” sono tuttavia sempre parziali (ricordiamo la inossidabile azione di denuncia di Carlo Soricelli), ma proprio in ragione della loro parzialità sono ancora più inquietanti.
Veniamo al punto: Inail ci fa sapere che nel primo trimestre del 2024 si è verificata una crescita di segnalazioni relative a “disturbi psichici e comportamentali” del 17.9% rispetto al primo semestre dell’anno precedente.
Le segnalazioni sarebbero state 22.000. Il dato è parziale ma enorme al tempo
stesso perché:

• Vista la tendenza “negazionista” dell’Inail ci interessano, oltre che le segnalazioni, i riscontri dei “casi” “riconosciuti”. Abbiamo dati che riguardano altre patologie (per esempio le osteoarticolari) che
dimostrano:
a) una altissima percentuale (anche superiore al 50%) di “casi” disconosciuti
b) una significativa e drammatica disomogeneità territoriale (i riconoscimenti più che per “merito” dell’Inail sono correlati dalla attribuzione alla parte lesa del cosiddetto onere della prova
c) drammatica pure la discrepanza a sfavore delle donne
d) il tutto è correlato alla prassi Inail che tende a validare acriticamente il DVR del datore di lavoro.
Questa tendenza al disconoscimento e sicuramente per i disturbi reattivi della sfera psichica ancora peggiore.
• Stante questa tendenza negazionista le 22.000 segnalazioni devono essere considerate un numero enorme e particolarmente significativo di come  avversatività e costrittività si ripercuotano sulla salute mentale di lavoratori e lavoratrici, per il semplice motivo che non tutti i medici che osservano
propongono a cuor leggero al lavoratore di aderire all’invio del primo certificato nel timore di indurre aspettative destinate a rimanere frustrate.
D’altra parte non si sono sviluppate presso i servizi di medicina del lavoro delle USL adeguate capacità di accoglienza per lavoratori/lavoratrici maltrattati/e che avrebbero potuto orientare e supportare meglio i riconoscimenti, fermo restando che, come sempre, ci interessa più la prevenzione che arrivare al riconoscimento del danno.
• L’inquadramento nosografico dei disturbi psichici è di per sé costrittivo e “iniquo”: il decreto sulle malattie professionali indica due voci (ma entrambe in LISTA II): disturbo dell’adattamento e disturbo post-traumatico da stress.
Una classificazione nosografica astratta e cervellotica, non solo, ma (grazie
al “legislatore” ) lucidamente opportunistica perché inventa ad esempio che il disturbo post-traumatico da stress (DPTS) possa sì comportare un danno biologico ma non superiore al 15% quando tutta la letteratura scientifica internazionale evidenzia che i danni per la psiche umana possano essere molto più rilevanti. Le “motivazioni” della barriera al 15% sono penose e facilmente intuibili…
L’impostazione nosografica va dunque riformulata senza barriere percentuali e con maggiore chiarezza (soprattutto per il disturbo dell’adattamento) rispetto alla natura reattiva dei disturbi stessi.
Va superata la attuale tendenza a mettere sotto inchiesta la vittima senza mai indagare sulla, eventuale, personalità sadica del mobber. Se e quando si deve fare una valutazione questa deve essere a tutto campo.

Vogliamo ricordare a tutti il magistrale lavoro della psicanalista dottoressa Isabella Merzagora (*) per comprendere a pieno le dinamiche della molestie nei luoghi di lavoro; va cancellata la collocazione in lista II a favore della Lista I (ovviamente nell’ambito di una riscrittura complessiva delle tabelle, visto che persino per le patologie da amianto- se in lista II e qualche volta anche se in Lista I- oggi il lavoratore per il riconoscimento Inail deve spesso andare in tribunale !)

In conclusione 22.000 primi certificati in tre mesi (diventerebbero quasi 90.000 in un anno) sono una significativa e macroscopica punta dell’iceberg che evidenzia una condizione diffusa e massiccia di gravi maltrattamenti subiti dai
lavoratori in Italia, considerato il numero ancora più grande dei lavoratori che, in quanto ricattati anche dalle forme contrattuali, si ritengono obbligati a “soffrire in silenzio”.
Ve lo immaginate Satnam Singh, il lavoratore morto dissanguato a Latina che va dal medico di base per chiedergli se si può fare una segnalazione all’Inail per i maltrattamenti subiti ?
Il “mercato del lavoro” in Italia (e nel mondo) è peraltro connotato da ampie isole di lavoro schiavistico: individuata di recente un’isola schiavistica a Lodi /agricoltura e a Bologna (assistenza agli anziani) in cui maltrattamenti e
vessazioni sono considerati “normali”, dunque episodi ed eventi che non entreranno mai nelle inattendibili (per difetto) statistiche Inail, istituto che riesce ad assommare alle “sottosegnalate” le “sottoriconosciute”.
Basta subire e soffrire in silenzio. Alziamo la testa…

Segnalazioni e richieste di sostegno possono essere indirizzate a:
Centro studi/osservatorio per il benessere lavorativo, 333.4247329, via Mengoli 31/2 40128 Bologna vitototire@gmail.com vitototire@pec.it.

(*) Merzagora, Travaini e Pennati, Colpevoli della crisi ?, Psicologia e psicopatologia del criminale dal colletto bianco, F.Angeli.
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alexik

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