Omonimie: Daniele Barbieri (x e y)
Era inevitabile che una rubrica intitolata «omonimie» prima o poi affrontasse lo strano (ma veridico) caso dei due – o forse più – Daniele Barbieri.
Mi piacerebbe scrivere: «Tutto cominciò in una notte buia e tempestosa mentre 3 cinesi con il contrabbasso venivano fermati dalla polizia. La scena non sfuggì a Giampaolo Dossena e a Vladimir Majakovskji, ben celati sulla loro macchina del tempo, che però si distrassero subito, per continuare il loro litigio sulle poesie palindrome».
Mi piacerebbe… ma questa è forse un’altra storia e magari la racconterà qualcuno di Torino o di Piacenza.
Io – che sono io, o almeno credo – posso solo dirvi come a un certo punto ho incontrato quello che chiamerò Dbx per distinguerlo da me (d’ora in poi Dby).
Mi era già capitato di incrociare un Dbk, un Dbj e così via con parecchie variazioni. Fu divertente perchè quando abitavo a Roma in rapida successione due persone mi chiesero aiuto, prima per trovare una casa in affitto e poi informazioni sulla mia mostra fotografica “vecchia Roma che non ci sei più” o una roba del genere. Siccome «a chiedere non è (quasi mai) morto nessuno» cercai di farmi spiegare dai due cosa diavolo volessero da me che non lavoravo nel ramo immobiliare o in Vaticano (che a Roma è lo stesso) e non sapevo fare fotografie. Venne fuori che c’era un Daniele Barbieri al Sunia (allora glorioso, poi meno) e un altro, buon fotografo. Divertente.
Pochi anni dopo lavorai a «Politica ed economia» e mi chiesero d’occuparmi di Ia, intelligenza artificiale e (sempre insieme al mio fratellino per cooptazione cioè Riccardo Mancini) ci provai. A un certo punto scoprimmo che a Reggio Emilia c’era un giovane guru, un gurino dunque, dell’Ia dal nome che mi sembrò un po’ deja vu, Daniele Barbieri da alloraper me fu DbIa. Naturalmente mi gingillai con la buffa idea di un articolo intitolato «Daniele Barbieri intervista Daniele Barbieri» ma poi lasciai correre. Il mio amico Giorgio intanto mi mandava notizie su un tabaccaio modenese, Daniele Barbieri, rapinato dai banditi e cose del genere: persino un necrologio. E sempre Giorgio mi regalò una cassetta di liscio (lissssssio, come si dice qui) di Daniela Barbieri: il che non aggiunse troppi guasti alla mia del resto già problematica identità sessuale. Qualcun altro mi avvisò che un omonimo si aggirava in qualche organizzazione neofascista. Sì, questo era seccante ma immagino che chi mi conosca un po’ troverebbe forse plausibile che io mi trasformi in una cantante di liscio ma in un fascista sicuramente no.
In tutto ‘sto casino danielbarbierano non ricordo più quando e come scoprii che c’era anche un Daniele Barbieri bolognese: «allievo di Umberto Eco», «fumettaro», «ha quasi la tua stessa età»,«insegna al Dams di Bologna», «più bello di te» erano le prime voci. Se la memoria non mi tradisce, Daniele Brolli sghignazzò chiedendomi un pezzo per la rivista «Cyborg» dove già aveva scritto (o doveva scrivere? boh) l’altro Daniele Barbieri, insomma il “damsologo”. Era la fine degli anni ’80 e – parte il contrabbasso in sordina (ma è Mingus non i tre cinesi) poi forte rullo di tamburi alla Max Roach e a solo di tromba davisiana – i destini di Dbx (lui) e di Dby (me medesimo, carne e piume) stavano per incrociarsi.
Poco dopo (inizio anni ’90 direi) qualche associazione di catto-trogloditi non avendo nulla da fare alzò una cagnara contro il fumetto «Dylan Dog», chiedendo addirittura al governo (quello pure aveva poco da fare) di vietarlo. In quei giorni io ero stato venduto – o forse mi avevano dato in prestito, senza diritto di riscatto – al Cagliari (ehm volevo dire al quotidiano «L’unione sarda») e mi chiesero se potevo fare un pezzullo. Dissi «yuk, yuk troppo gusto per me » (come fa Pippo quando trova le arachidi) e ne scrissi. Fate conto che fosse un giovedì. Difendendo Tiziano Sclavi dai catto-trogloditi. Accadde che la domenica successiva sul bel supplemento culturale de «Il sole-24 ore» – interessante che uno dei quotidiani meno banali sia dei padroni, vero? – uscisse un articolo analogo (insomma W Dylan e abbasso i talebani) a firma Daniele Barbieri. Era lui (Dbx) che interferiva nella mia vita. O viceversa. Ma eravamo d’accordo, sulla stessa minuscola barricata di nuvolette: bello. Ci fu chi malignò: «scrivi sull’Unione sarda, collabori a il manifesto, sei sul Sole-24 ore, poi cosa vuoi, la Cnn?» e naturalmente non credette all’omonimia.
Il momento più difficile del nostro ancora non incontro fu verso fine secolo quando, ormai trasferitomi a Imola, una qualche segreteria di università mi cercò: «dottor Barbieri, scusi ma per un incidente abbiamo perso il suo indirizzo, ci ricordavamo però che abitava vicino a Bologna, bla-bla». In sostanza mi chiedevano il ccb, conto corrente bancario, per mandarmi i soldi di certe lezioni. Era il periodo in cui lavoravo per «il manifesto», dunque pagato male e di rado. Per 40 secondi cavillai (avete notato? È un anagramma di vacillai) pensando al dettato costituzionale sulla redistribuzione del reddito, alla famosa frase di Marx ed Engels «danielibarbieri di tutto il mondo unitevi», a quei quattro (Robin Hood, Mattia Pascal, Clark Kent e Victor Serge) con identità segrete o labili… Insomma fui tentato ma poi sbottai: «con grande dispiacere devo dirvi che non sono quel daniele barbieri, chiedete al Dams».
Non passò molto tempo da quel “bel” gesrto che mi trovai a una manifestazione antirazzista nell’Antoniano di Bologna (sì, quello dello Zecchino d’oro però il mago Zurlì non c’era). Nell’intervallo una tipa che ricordo sexi e misteriosa («era una notte buia e tempestosa») si accostò e mi chiese se fossi Daniele Barbieri. Ammisi qualcosa e quando mi chiese di seguirla lo feci, naturalmente omettendo la battuta bogartiana («è una vita che aspetto di seguirti») che subito mi era venuta alle labbra. La tipa sm (cioè sexi e misteriosa) mi presentò, con un sogghigno mi parve, a un’altra tizia: «Daniela guarda chi c’è, Daniele Barbieri». E codesta Daniela, con una frase lungamente preparata e faccia da Stregatto, disse: «ciao, sono la moglie di Daniele Barbieri». Rimasi spiazzato, quasi come quel giorno che in una stazione incontrai Babbo Natale (ma questa ve la racconto un’altra volta).
D’accordo, vi risparmio i particolari ma in sintesi: 1) tramite moglie, Dbx non mi volle ridare quei soldi in nome della “omonimia-omonimia fai come se la tua banca fosse la mia” però 2) mi invitò, sempre tramite moglie, a cena.
Mi piacerebbe dire che la sera dell’incontro nuvole verdi saettavano nel cielo giallo ma sarebbe una grave imprecisione cromatica. Tutto quasi normale nel cielo.
A quella cena finalmente lo vidi, ne constatai la materialità e mi rassicurai: non era bello come me. Poi seppi che Dbx aveva un figlio (come Dby) e fin qui…. che sua moglie lavorava spesso con migranti (come la mia) e fin qui…ma a un certo punto scoprii che aveva un fratello che si chiamava Dario come il mio. Con voce tremante gli chiesi: «hai anche una sorella?» e siccome l’addetto all’Improbabile quel giorno era in servizio lui disse «sì». Ansioso di verificare se Newton, Einstein e soci avessero preparato un piano B per farmi abbandonare quell’assurdo universo… gli chiesi il nome. L’addetto all’Impossibile invece non era in servizio e dunque Dbx rispose sensatamente rassicurandomi: avevamo due sorelle con nomi diversi. Fu un momento storico come quando scoprii che quel Babbo Natale era il mio amico Alvaro.
Da allora Dbx (sempre lui, credo) e Dby (quasi sempre io) giocarono un po’. Non lo convinsi che sarebbe stato divertente scambiarsi abiti, stipendi e (ove consenzienti) mogli per un anno e neppure a fare un libro insieme ma, poco dopo, con l’aiuto di Andrea Mameli riuscii a tenere con lui una lezione a Cagliari. Lui quel giorno parlò di nuvolette (cioè fumetti) e fantascienza, io di nuvole (nere, purpuree e atomiche) nelle pagine della buona fantascienza. Vorrei aggiungere: fu un trionfo sino a che una nave pirata scaricò all’improvviso i Monthy Pithon e Valerio Evangelisti che ci rapirono per affidarci alle fantasmatiche mani della Donna Bufalo di tante leggende pellerossa. Vorrei aggiungerlo ma sarebbe esagerato: diciamo che andò benino e due-tre persone ci chiesero delucidazioni. Niente pirati o Donne Bufalo.
Per ora mi fermo.
Tutto questo gran pippone di racconto è anche un pretesto per farvi leggere i libri di Dbx che non sono malaccio (beeeeeeelli come i miei sarebbe impossibile) e dunque andate subito al post successivo.
Alla fine ci sono riuscito: Dby recensisce Dbx. Uno di questi giorni lo intervisto. O viceversa?
grande 🙂 fa bene sorridere di prima mattina, ti mando un abbraccione
Bisogna chiedersi se esiste un DB(aleph).
Già, come sarebbe un Db(aleph) che rappresenti il prototipo di ogni db esistente? La mia individualità (già in questa sede piuttosto confusa) rabbrividisce al pensiero.
Da parte mia potrei raccontare come sia entrato una volta da Feltrinelli grosso modo ventenne, e vi abbia trovato un libro con in copertina il mio nome, senza che io l’avessi scritto – episodio a partire dal quale ho fatto sogni inquieti per anni, dove continuamente sembrava che avessi fatto cose che non ricordavo di avere fatto.
Poi le maree della vita mi hanno sospinto verso Dby, che ho prima spiato (in realtà contando di presentarmi, ma le circostanze lo impedirono) e poi un bel giorno incrociato, quando mi moglie mi disse: “Sai, ho conosciuto Daniele Barbieri” (che è in sé una affermazione preoccupante, quando ti chiami così e sei sposato con lei da diversi anni).
Da allora i destini di Dbx e Dby sono stati più intrecciati, e anche senza dover paventare un Db(aleph) forse si è manifestato un minimo di una presenza composita, cui potremmo dar nome Dbxy.
Dbxy ha agito pubblicamente per la prima volta a Cagliari (come racconta Dby), ma ci saranno sicuramente altre occasioni.
Del resto, Dbxy esiste di sicuro ogni volta che vogliono dare a lui dei soldi miei, o a me delle grane sue. Prima o poi faremo una cooperativa.
E grazie della parallela recensione.
A presto
db
Bello!
Pensa che quando avevo diciotto anni uscì sul Corriere della sera un articolo su un tale Giuliano S. diciottenne, ucciso dalla camorra perché aveva molestato una che non doveva…
colgo l’occasione per segnalare che la rubrica OMONIMIE (come altri spazi di codesto blog) è a disposizione di chi passa da queste parti… per raccontare storie di sue omonimie o che gli (le) sono piaciute. (db)
Dani,grazie. Troppo divertente.Anche io vorrei un’omonima… un po’ ti invidio. Non sapevo dei regali di giorgio…e neanche del tabaccaio. Che avevi incontrato babbo Natale e ti piacciono le arachidi di pippo sì. Questo ti rende inconfondibile e speciale.
Divertentissimo Daniele (o Danieli?).
Se resta scritto qualcosa l’omominima acqusta un particolare valore. Ricordo un episodio di 14 anni fa. L’Unione Sarda pubblicò una notizia di cronaca. Una persona stava intrattendo i passanti con il gioco delle tre carte e venne denunciata per questo. Pochi giorni dopo, esattamente l’8 gennaio 1996, sempre in cronaca di Cagliari, comparve una breve precivazione: “non si tratta del trentenne cagliaritano Andrea Mameli ricercatore del Crs4 (peraltro nostro apprezzato collaboratore)”…
:-)))))
L’omonimia è uno dei possibili antidoti di carattere galileaiano alla tentazione di vedere se stessi al centro del proprio sistema cosmologico. Nulla di male in ciò, beninteso, nella misura in cui tale egocentrismo è sano, cioè non va a discapito degli altri. Eppure può essere un utile lezione di umiltà scoprire che il nostro codice identificativo anagrafico non è unicamente nostro ma ne condividiamo la proprietà con altri. Il più illustre, che io sappia, dei miei non pochi omonimi è uno stimato monsignore, autore di un buon numero di testi di carattere religioso. E’ stato buffo dover chiedere al curatore di un sito che si occupa dell’opera dell’uomo di chiesa in questione, di espungere dalla pia bibliografia un testo irriducibilmente altro, indebitamente intrufolatovisi. Trattasi di un romanzetto per il quale sono in debito con Daniele (il nostro, non l’omonimo). Confesso di temere che la prefazione che mi ha generosamente regalato possa essere considerata il suo unico errore editoriale. Ma naturalmente nei recessi più riposti del mio cuoricino autoriale spero che potrà invece essere ricordata come una delle sue più lungimiranti aperture di credito, rivolta in questo caso a un’operina che ha una sua ragion d’essere. Come si dice in questi casi, ai posteri l’ardua sentenza. Prima di congedarmi, scusandomi con Daniele per questo spazio indegnamente occupato, riduco la distanza ideologica dal monsignore omonimo facendo pubblicamente mea culpa per non aver dato seguito, a dispetto delle mie intenzioni, a quell’unico testo, l’intruso clandestino nella corazzata libresca dell’illustre prelato. Ho tanti motivi per avere smesso di scrivere (spero soltanto temporaneamente). Quando riuscirò a ricominciare mi auguro possa essere ad maiorem Dei gloriam (in realtà sarebbe più onesto ammettere che ho in mente qualcosa più del genere Cicero pro domo sua) e soprattutto non a detrimento del canone letterario occidentale. Che gli dei e i lettori (e Harold Bloom) mi perdonino
caro monsignore che subdolamente ti fingi un omonimo,
l’unico erroree del dbctsi ovvero daniele-barbieri-che-temporaneamente-son-io è stato non riconoscere nel fanta-scritto che prefassi (prefeci? mah) la tipica personalità schizoide della fede con la frusta maiuscola. Come gli asceti del sesso umano sognano di congiungersi carnalmente con gli dei o le dee, così i monsignori si fingono bibliotecari di babele, appassionati di fantascienze quando dubitano che lassù gli angeli cantino libri sacri per sempre intellegibili (o dirigibili?)
caro monsignore,
attendo con ansia il suo prossimo peccato letterario e non me ne voglia se rido un poco.
Megllio scherzo che schizo (o era schivo? non ricordo mai)
dbctsi
(monsignore si legga Sawyer, le farà tornar voglia di peccare, ehm volevo dire di scrivere)
Grazie Dibbì,
apprezzo l’ironia, la generosità, l’incoraggiamento. Quanto allo ‘schizoide’ temo sia una condizione cui manchi soltanto l’attestazione ufficiale dell’establishment (come si diceva una volta, quando cominciavo le scuole elementari). Ma, poichè nulla è casuale, sto finalmente colmando una grave lacuna che riguarda lo schizoide (diciamo pure il paranoico) più geniale della letteratura americana del XX secolo, come tu sai molto meglio di me. Ho da poco finito di leggere la biografia di PKD scritta da Emmanuel Carrére (Je suis vivant et vous etes morts), e ho cominciato I simulacri. Da Baudrillard a Dick passando per Ballard (absit iniuria verbis).
Ho appena letto che non riesci a star dietro al blog, e me ne dolgo, ma effettivamente tenerne uno è un lavoro parallelo (e non retribuito) che si aggiunge a tutti gli altri impegni cui la centrifuga del quotidiano ci sottopone, soprattutto noi ‘ingenui’ che alle slot machines (o Playstation, per me fa lo stesso) o ai capitali esportati illegalmente all’estero preferiamo attività di arricchimento interiore, possibilmente in armonica collaborazione con persone a noi affini (può sembrare strano ma io in giro non è che ne trovi tante…).
Oltre ai ringraziamenti di rito, mi congedo elargendoti la mia benedizione (laica)