Buenos Aires… e il suo sogno

Un reportage di Angelo Maddalena

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Camilo mi aveva avvertito, quando due mesi fa lo avevo incontrato a Genova per dirgli che volevo fare un reportage in Argentina. Mi aveva anche “indottrinato”. «In Argentina è tutto peggiorato con il nuovo presidente Macri, che nel giro di un anno ha distrutto quello che di buono aveva fatto Cristina Kirchner». Lui parla con cognizione di causa: abita a Buenos Aires e gestisce insieme ad altri uno spazio teatrale nel barrio Monserrat, “una casa teatro”, effettivamente ricavata nel piano terra della casa di Camilo. Uno stile antico e poético: il parquet, pochi tavolini in uno spazio adiacente il palco e la platea. Uno stile che mi ricorda la Comuna Baires, gruppo di artisti italoargentini che negli anni della dittatura argentina si erano rifugiati a Milano, e negli anni ’90 – quando io iniziavo a frequentare l’università cattolica a “Sant’Ambrogio” – si erano trasferiti in via Favretto, a due passi da casa mia.

Camilo mi dice che il governo di Cristina Kirchner, in modo magari indiretto (mantenendo bassi i costi delle bollette della luce per esempio, al contrario del governo attuale che li ha fatti andare alle stelle) sosteneva i piccoli teatri indipendenti e i centri culturali popolari.

Un ciclista argentino che vive a Bordighera (a due passi da dove abito attualmente) mi diceva che comunque «Cristina aveva rubato tanti soldi» ma incalzato dalle mie domande “documentate” aveva ammesso che «sì Macrì è un Berlusconi argentino, controlla i media (tra le altre cose è propietario di Media libre, l’ebay argentino); e sì, Cristina era più “socialista” di Macri».

Adesso sono qui e posso verificare dal vivo. All’aeroporto, appena arrivato, un po’ il caldo afoso e un po’ la gestione “burocratica e collettiva” degli autobús, mi avevano spinto verso la convivialità dell’autostop. Un po’ improbabile nell’immaginario comune e “pericoloso” nell’immaginario di Roberto, che abita a Madrid ma ha famiglia in Argentina e viaggiava seduto accanto a me in aéreo: «Stai attento a Buenos Aires, ti potrebbero derubare». La provvidenza supera tutto e tutti: in questo caso si chiama Matias, 35 anni, ha appena accompagnato suo fratello in aeroporto e viaggia con il figlio seduto nel seggiolone dietro (Omero: occhi neri e ciglia lunghe, una gioia). In macchina accenno alle lunghe file un po’ insensate che ho dovuto fare in aeroporto: per i controlli dei passaporti code allungate da “serpentine” inspiegabili; approssimazione e spaesamento degli addetti al ritiro bagagli; altre code per controllo bagagli all’uscita e ultima coda per cambio di soldi al Banco Nacional. Matias mi dice che le cose stanno cambiando ma quando si parla di governo attuale, lui dice che quello di prima era «un desastre». Ma come il “ciclista di Bordighera” ammette che Macri e il suo entourage controllano i media ecc. Nella strada che percorro a piedi per arrivare a casa di Camilo, incontro le madri di Plaza de Mayo, simbolicamente è ovvio. Un murales con il volto di Che Guevara lungo l’Avenida de Mayo è stampato sulla facciata di quello che potrebbe sembrare un cinema, invece è una libreria nonché la sede della «Asociación Madres de plaza de Mayo», di cui riconosco il símbolo: un fazzoletto bianco legato attorno alla testa (avevo scritto un articolo intitolato «Madri oggi ma di chi?», pubblicato dalla rivista «Alfazeta» nel 1998, in occasione della riapertura dei processi ad alcuni generali della dittatura da parte dei parenti di italoargentini desaparecidos). Mi riprometto di tornarci perché adesso «sta serrada».

Lì vicino c’è una specie di chiosco, su una fiancata leggo «Macri=dittatura». Penso: esagerato. Chissà se anche per la Kirchner qualcuno aveva scritto cose simili? Dovrei chiederlo a Camilo. E glielo domando la sera stessa quando ci vediamo a casa sua. Mi risponde con alcuni dati che non lasciano dubbi in merito: «In meno di un anno, l’Argentina ha aumentato il suo debito estero più di come aveva fatto la Junta militar tra il 1976 e il 1983», questo sì che è un «desastre»!

Il giorno prima del mio colloquio con Camilo, migliaia di porteñi (argentini della capitale) hanno manifestato contro queste e altre “notizie disastrose” del governo Macri. «Solo il potere del movimiento sindacale unito può mettere un freno alla hambre (fame, miseria)» escalama Hugo Yasky, “titular” della Centrale de Trabajadores de la Argentina. La notizia è in seconda pagina del quotidiano «Pagina 12» del 5 novembre: ci sono Yasky e tanti altri lavoratori e disoccupati della capitale fotografati e raccontati da un servizio che riempie due pagine. «Si perdono posti di lavoro e cresce el hambre» è il titolo del secondo articolo. Nella pagina successiva una notizia inquietante si collega alle “similitudini” con la dittatura. «Una intimidación con armas in mano» è il titolo. Proprio a pochi isolati dalla casa dove dormo in questi giorni, nella sede porteña dell’associazione Tupac Amaru, tre uomini armati hanno fatto irruzione minacciando le persone che si trovavano all’interno della sede («udicada en San Jose’ y Mexico, nel barrio de Monserrat»). Camilo mi informa che non è un fatto isolato, negli ultimi mesi fatti del genere hanno colpito altre sedi di associazioni politicizzate: «è in atto la criminalizzazione dei movimenti sociali di base» ci tiene a precisare Camilo. Gli uomini hanno urlato «dovete smetterla di rompere il cazzo con la Milagro». L’associazione Tupac Amru ja denunciato il fatto e ne attribuisce la responsabilità al governo Macri, responsabile di aver arrestato Milagro Sala (*) quasi un anno fa con accuse pretestuose e vaghe (“istigazione alla violenza” per aver organizzato una manifestazione popolare). Accuse che non reggono, «quindi il governo ne inventa altre sempre più ridicole». In Plaza de Mayo venerdì c’erano anche quelli del Comitato «por la libertad de Milagro Sala».

Milagro Sala è la fondatrice del Movimento Tupac Amaru in Argentina, che con soldi statali ha realizzato numerosi progetti di sostegno sociale e popolare. Per dirne una: anche il quotidiano «La Nacion», legato ai grandi imprenditori e fortemente conservatore, nel numero del 6 novembre, pur denigrando Milagro Sana e i Tupac Amaru, riconosce che «molta gente non avrebbe avuto mai una casa se non fosse stato per Milagro». Papa Francesco ha chiesto più volte al governo argentino di rivedere le sue posizioni su Milagro. E l’Onu ha recentemente approvato una risoluzione per chiederne la scarcerazione. Dentro «Pagina 12» ho trovato tre annunci che mi hanno colpito, non pensavo di trovarli…dopo quarant’anni: annunci di persone (con le foto dei volti) scomparse durante la dittatura militare. Tutti e tre gli annunci hanno in comune una ricorrenza del giorno della scomparsa: il 5 novembre. Ambrosio de Marco Patrizia Dell’Orto, Mirta Manchiola e Eduardo Anibal Marino, desaparecidos nel 1976 e nel 1977.

In quel finire degli anni ’90, alla Comuna Baires avevo saputo dei processi che si riaprivano contro alcuni generali, processi riaperti grazie ai parenti di desaparecidos italiani e avevo scritto un articolo pubblicato su «Il Giorno». Un mese fa, in una libreria di Bordighera che vende quasi solo libri a metà prezzo (si chiama Remainder questo canale per il recupero di vecchi libri), ho trovato «Desaparecidos», pubblicato nel 2001 dalle edizioni il manifesto. Racconta di come due avvocati cattolici e uno di sinistra si sono battuti per una causa persa… o forse più che persa: fare condannare i generali responsabili delle torture e della morte (con desaparición) di 8 italoargentini. Gli avvocati – sostenuti dalla Lega per i diritti de popoli e dalle famiglie degli italiani desaparecidos – hanno vinto la causa e hanno fatto condannare i generali. Anche in questo senso, mi informa Camilo, sotto il governo di Cristina Kirchner si stava meglio: «l’Argentina è l’unico Paese che ha portato avanti i processi contro i generali della dittatura militare. Questo è stato fortemente voluto dalla Kirchner che ha finanziato le associazioni di tutela dei diritti umani». Macri, al contrario, ha dimezzato i fondi per le stesse associazioni e ha chiuso l’Agenzia che indagava sulle complicità civili dell’ultima dittatura. Non ci si stupisce se si tiene conto che «la famiglia Macri, prima della dittatura, deteneva meno di 7 grandi aziende, e dopo la dittatura ne aveva “accumulate” poco meno di 50!». Camilo riconosce, nonostante si chiami di secondo nome Ernesto (due rivoluzionari in uno!) non si trovi in linea con i papi, che Bergoglio ha spesso deplorato nei suoi discorsi i danni delle privatizzazioni con riferimenti al governo argentino. E mentre si è intrattenuto due ore e fatto fotografare sorridente con Cristina, non è andato oltre i venti minuti di colloquio con Macri, e nella foto di rito – come sottolinea Camilo – «sono troppo seri per sembrare armoniosi». In chiusura Camilo mi dice anche che papa Francesco ha nominato come suo “assessore principale” un argentino molto vicino ai movimenti social e lui stesso dirigente di un’associazione di diritti umani.

(*) In “bottega” se n’è parlato più volte: cfr Argentina: Milagro Sala è la prima prigioniera politica di Mauricio Macri e i post successivi. NELLA FOTO anche Angelo indossa, in solidarietà, il viso di Milagro Sala. (db)

 

 

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