# 1. Scuola
© Valentina A. Mmaka
La mia è stata una di quelle infanzie che vengono definite felici, una “casa” comoda cui tornare metaforicamente nei momenti più svariati anche quelli che si affollano di dubbi e incertezze, anzi soprattutto quelli. Ne conservo un ricordo nitido. Tutto, stranamente, mi appare vivo e reale come se il solo fatto di richiamarla alla memoria me la facesse apparire senza alcuna ruga, senza alcun segno del tempo passato.
Anche della scuola ho un ricordo sereno e gioioso. A Johannesburg frequentavo la Houghton School, una scuola stile inglese, con ampi parchi e campi sportivi, classi numerose ma straordinariamente ordinate e pulite. Ricordo le mie insegnanti, Mrs Viljoen e Mrs Ritz, che oggi mi guardano da una fotografia in bianco e nero con il loro sorriso rassicurante e le loro braccia sicure attorno alle spalle dei miei compagni dall’evidente aria impacciata di fronte all’obiettivo della macchina fotografica. Le insegnanti erano sì severe ma anche materne quando si trattava di conciliare le difficoltà, qualunque esse fossero, sia alle elementari che alle medie. Ricordo che all’epoca, e siamo negli anni ‘70, le insegnanti avevano la facoltà di usare la bacchetta o tutt’al più una tirata d’orecchi per disciplinare un comportamento scorretto e fuori dalle righe. Metodi utilizzati con estrema moderazione peraltro in quel caso. Nella mia memoria ricordo di avere ricevuto una sola dolorosa strizzata d’orecchi in prima elementare e poi nulla più… con il senno di poi mi sono fatta l’idea che essa non ha avuto seguito semplicemente perché non mi era piaciuta e quindi, per evitarne ulteriori, penso avessi imparato a ponderare comportamenti “scorretti”.
La vita insegna, le esperienze si accumulano e riconosco oggi come ieri, la totale inutilità di simili sistemi disciplinari tanto da osteggiare ogni forma di punizione corporale a scopo “educativo”, nessuna istituzione preposta alla formazione e all’istruzione dei bambini dovrebbe consentire l’utilizzo di sistemi altri che non siano la parola, il dialogo civile. Purtroppo però mi accorgo oggi, che possono esistere scuole dove accade di peggio che una bacchettata sulle mani, o una strizzatina d’orecchi. Anche le parole, anzi soprattutto le parole, possono fare male. Qualcosa che stringe le corde emotive di chi va a scuola per imparare, che scuote le sue certezze e vorrebbe capire il significato di atteggiamenti impropri ad un educatore.
Il fatto accade in Italia e ancora una volta mi offre l’occasione per denunciare il sistema scolastico italiano come un sistema qualunquista, pressappochista, niente affatto meritocratico e invece “corrotto”, salvo poche eccezioni. E’ vero non si deve generalizzare. E’ vero, un episodio non può rappresentare una intera realtà. Ma di certo questo episodio non è isolato, e tutt’al più semmai lo fosse sarebbe comunque un fatto grave di cui rendere conto. Non serve ribadire che una consuetudine inizia sempre con un fatto, c’è sempre un punto di partenza, un episodio iniziale. Lasciarlo passare inosservato significa sostenerlo e alimentare la proliferazione di fatti simili.
Siamo in una bella città della provincia italiana, una provincia come tante, e diversamente da altre lasciate al degrado, abbastanza in tono con la sua ricchezza culturale e artistica. Siamo in una scuola secondaria di I grado. Siamo in una classe con un’abbonante metà di bambini stranieri che hanno scelto per motivi di culto di sostituire l’insegnamento della religione cattolica con l’ora di materie “alternative” messa a disposizione dal ministero della Pubblica Istruzione. Purtroppo però accade che il docente di materie alternative di questa classe sembra completamente far sprofondare nel buio più totale i suoi alunni. Due alunne (sorelle), di due classi diverse, sono chiaramente insospettite dal metodo pedagogico del docente che accoglie i bambini utilizzando un linguaggio “orchesco” e modi brutali, un verbo umiliante e scorretto che va dalle minacce sulla vita, a gesti che simulano azioni dal significato inquietante, riferimenti alla morte e a possibili punizioni corporali, un’ironia sull’orlo dell’isteria. E’ una giornata come le altre, le due alunne partecipano alla lezione, poi ad un certo punto una delle due decide di uscire dall’aula con la scusa di andare in bagno e invece va chiedere un “aiuto” e non tanto perché sia stato loro indirizzato qualche commento o gesto improprio, bensì per una semplice ragione di giustizia civile che alberga in loro come in tanti giovani, nei confronti dei loro compagni “vittime” del professore-orco, vittime della sua ira, della sua incapacità di instaurare un dialogo civile.
Il genitore delle due alunne scosse dall’esperienza si reca immediatamente dalla dirigente scolastica, firmando un foglio contenente parola per parola tutte le espressioni e le azioni commesse dal docente durante la sua ora intimando la stessa dirigente a prendere provvedimenti immediati ed esonerando quantomeno le sue figlie dalla frequentazione dell’ora concedendo loro una opzione adeguata ai criteri di una scuola civile. Il fatto raccontato nei minimi particolari viene sottoposto anche all’attenzione del Provveditorato agli studi.
Dopo pochi giorni dalla “denuncia”, avvenuta poco prima di Natale presso la dirigente d’istituto della scuola, il genitore riceve una telefonata privata da una delle insegnanti della scuola e colleghe del suddetto docente. Una telefonata capitata nel periodo natalizio che intende nascondere la reale natura di essa, dietro a una sequela di auguri e buoni proponimenti per il nuovo anno. E’ in sostanza una telefonata di raccomandazione, di non perseguire il docente-collega per vie giudiziarie altrimenti «gli si rovina la carriera». In fondo l’insegnante «sta attraversando un momento difficile», «una persona scossa da un recente incidente», «una persona evidentemente esaurita» con «problemi familiari di un certo peso» (sfido chiunque a negare di avere problemi di qualunque natura!). Una telefonata di quelle che inducono a sospettare l’esistenza di comportamenti omertosi all’interno della scuola e mi viene da pensare che siamo sempre alle solite… un peccato tutto italiano?
Dopo questo fatto, diverse domande mi sono posta e ancora oggi restano senza risposta.
Possibile che gli altri studenti non abbiano provato lo stesso disagio nel condividere con il docente in questione momenti di degrado morale? Possibile che non ne abbiano parlato in famiglia? Possibile che il comportamento inadeguato del professore non li abbia “feriti” nella loro sensibilità? L’insegnante che ha telefonato al genitore delle due alunne, si è lasciata scappare la frase: «questi bambini stranieri… hanno i loro problemi, le famiglie talvolta non parlano neppure l’italiano, vivono in condizioni di disagio e talvolta sono indisciplinati e prepotenti tanto da fare arrabbiare i professori». E con questo? Giustifichiamo il docente-orco perché i suoi studenti sono “dissociati” o semplici indisciplinati? Ci sono ovunque alunni così e di qualunque provenienza. A maggior ragione la scuola è colpevole di non svolgere le sue funzioni per offrire il meglio soprattutto in presenza di studenti con problematiche sociali e famiglie assenti, incapaci, per motivi vari, di occuparsi della formazione dei propri figli.
E poi. Come può un docente, che a detta della dirigente avrebbe un curriculum impeccabile, proseguire a svolgere un incarico così delicato come quello di educatore in una scuola pubblica? E’ giusto permettere che prosegua il corso della sua carriera senza una pausa di riflessione sul suo operato? E poi: Con quali criteri la scuola italiana sceglie i suoi docenti? Esiste un esame accurato delle qualità, non solo curricolari, ma anche morali, intellettuali, umane di chi ha il compito di formare le giovani menti di domani? Non posso parlare per tutti i Paesi del mondo, ma almeno per quelli dove ho studiato io e in alcuni altri nelle cui scuole ho lavorato: e mi sento di dire che la bacchettata sulle mani sarebbe nulla a confronto di una violenza verbale che scuote le corde più sensibili di un ragazzo lasciandolo in balia di se stesso, nei suoi dubbi e nelle sue convinzioni infrante, anche se solo per un istante.
La scuola fornisce ai genitori e tutori di studenti minori una carta che reca il titolo di PATTO DI INTESA in cui sono elencati i diritti e i doveri di insegnanti, studenti e famiglie. Un patto scritto che richiede la collaborazione di tutte la parti in concorso, ma se è la scuola a fallire per prima nell’attenersi a questo “patto”, cosa resta alla famiglia che nell’istituzione scolastica confida chi più chi meno, chi addirittura tutto non avendo altri mezzi per poter guidare i propri figli.
La scuola è un diritto di tutti, lo studente ha diritto a ricevere un insegnamento adeguato e corretto e nel pieno rispetto dei diritti umani. Gli articoli 33 e 34 della Costituzione Italiana garantiscono che la formazione scolastica non può essere fine a se stessa ma anzi deve cercare di consentire un perfetto e armonioso integrarsi dell’individuo nella comunità sociale, tanto da poter parlare di una formazione integrale della persona umana. Se mancano queste premesse, io per prima in quanto genitore, preferirei astenermi dal mandare i miei figli a scuola piuttosto che rischiare di incontrare sul loro percorso docenti come quello sopra descritto.