Formazione contro povertà: la ricca torta del Recovery Fund
di Gianluca Cicinelli
Tredici milioni di adulti italiani tra i 25 e i 64 anni per trovare lavoro dovrebbero riqualificarsi in quanto hanno “conoscenze obsolete”, bassa istruzione e arrivano al massimo alla terza media. Ce lo dice uno studio dell’Inapp, Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, un ente pubblico di ricerca. Essendo circa 33 milioni gli italiani in età lavorativa parliamo di oltre un terzo della popolazione “attiva”, cifra già enorme così, ma estendendo la ricerca ai cosiddetti “analfabeti funzionali”, coloro in possesso di un titolo anche universitario ma con scarse capacità digitali, di alfabetizzazione e di calcolo, la ricerca arriva a identificare in un italiano su due le persone che necessitano di riqualificazione a causa dell’innovazione e del cambiamento tecnologico in atto nel mondo del lavoro.
A completare il quadro va aggiunto il particolare che a frequentare corsi di formazione sono in prevalenza i già occupati, sia per migliorare all’interno del posto di lavoro che per crearsi nuove occasioni, mancano quelli che devono fare formazione per restare all’interno dell’albo professionale a cui appartengono anche se non sono occupati, come accade ad esempio per i giornalisti. Ed ecco, come d’obbligo, il paragone con gli altri Paesi europei: Italia 24% di frequentanti corsi di formazione contro una media europea del 52%.
Dovremmo parlare quindi di un’emergenza formativa, che sicuramente c’è, eppure mi permetto di eccepire qualche riflessione intorno alla vera emergenza che è quella della mancata offerta di lavoro. A scatenare l’interesse verso l’aspetto formativo, mostrato, come è comprensibile, soprattutto da Confindustria, è un appello sottoscritto dagli esperti dell’Inapp e di altri enti di ricerca su come verranno impiegati nella futura “formazione permanente” i soldi del piano Next Generation europeo, i 209 miliardi di euro in sei anni del Recovery Fund, che prevede circa 49 miliardi per la digitalizzazione e l’innovazione oltre a circa 16 miliardi per istruzione e cultura a cui si aggiungono circa 12 miliardi per la ricerca.
Ma c’è qualcosa che non torna. Senza sottovalutare affatto l’importanza della formazione, ma mettendo in evidenza l’assoluta inadeguatezza della formazione pubblica e privata rispetto alla disoccupazione crescente in maniera esponenziale per la crisi scatenata dal covid.
Pensiamo allo smart working, destinato a cambiare strutturalmente e non soltanto in occasione della pandemia il rapporto del singolo con il lavoro. Pensiamo a come i continui cambiamenti tecnologici richiedano un lavoratore dalla mente più flessibile, veloce nell’apprendimento e nell’adeguarsi alla mobilità dell’offerta lavorativa. Pensiamo a come questa offerta sia talmente diversificata e particolare da rendere obsoleta, questa sì davvero obsoleta, la standardizzazione della formazione così come avviene adesso. Altrimenti non capiremmo perchè in Italia laureati con Master e Dottorati conseguiti ad Harvard o in altri prestigiosi atenei continuano a fare le consegne a domicilio per Foodora o preparare pacchi per Amazon per sopravvivere.
La risposta dei padroni è semplice, come spesso accade: siccome oggi i costi dela formazione ricadono interamente su di noi, adesso noi ci prendiamo i soldi previsti dalla formazione nel piano Next Generation. Chissà se si riferiscono a quei corsi estremamente qualificati che già praticano, ad esempio per intortare la gente dai telefoni dei call center (tre giorni dietro un esaltato che urla minacce nella cornetta per poi riproporle in proprio dopo il “corso” – e ne parlo come esperienza diretta – previsti e pagati come tre giorni di lavoro) oppure a come pedalare mantenendo un battito cardiaco inferiore ai 60 per secondo tipo Fausto Coppi per i rider, ma sono certo che invece, in maniera illuminata, si riferiscono ai report della Boston Consulting Group che prevedono come entro il 2022 il 27% dei posti di lavoro disponibili verrà costituito da ruoli che ancora non esistono.
La formazione è una parola dietro cui si nascondono aspetti mai molto noti all’opinione pubblica perchè considerati noiosi e poco attraenti per i lettori. E’ fondamentale naturalmente, ma per essere efficace deve avere dietro una visione del mercato del lavoro che altrimenti si trasformerà in una fabbrica di attestati e master il cui unico scopo sarà di decorare le già ricche pareti piene di titoli di carta delle generazioni in cerca di lavoro o ricollocazione. Una formazione efficace è un elemento decisivo nella lotta alle vecchie e nuove povertà. Per questo non può essere lasciata in mano a chi la povertà, almeno quella vecchia, ha contribuito a crearla come Confindustria ma deve essere sotto stretto controllo dello Stato. E questa è una delle poste in gioco reali dell’attuale crisi di governo.