11.500 bambini sono stati uccisi a Gaza
articoli e video di Gideon Levy, Gian Luigi Deiana, Alberto Negri, Matteo Saudino, Francesco Masala, Larissa Sansour, Antonio Cipriani, Manlio Dinucci, Jonathan Cook, Chris Hedges, Benedetta Sabene, Kyle Anzalone, Giacomo Gabellini, Naga, Gaetano Colonna, Elena Basile, Alessandro Orsini, Wyatt Reed, Max Blumenthal
11.500 bambini sono stati uccisi a Gaza. Un orrore di questa portata non ha spiegazione – Gideon Levy
Ci vogliono sette minuti per visualizzare l’elenco di migliaia di bambini morti, che scorrono alla stessa velocità delle loro povere vite.
Duecentosessanta nomi di bambini la cui età era 0; nomi di bambini che non sono riusciti a festeggiare il loro primo compleanno, né potranno mai festeggiare qualsiasi altra cosa. Ecco alcuni dei loro nomi: Abdul Jawad Hussu, Abdul Khaleq Baba, Abdul Rahim Awad, Abdul Rauf al-Fara, Murad Abu Saifan, Nabil al-Eidi, Najwa Radwan, Nisreen al-Najar, Oday al-Sultan, Zayd al- Bahbani, Zeyn al-Jarusha, Zayne Shatat. Che sogni avevano i loro genitori per loro? Poi ci sono centinaia di nomi di bambini di uno e due anni; bambini di tre o quattro anni; bambini che avevano cinque, sei, sette o otto anni, fino ai giovani adolescenti uccisi.
Migliaia di nomi, uno dopo l’altro, degli 11.500 bambini uccisi dalla macchina da guerra sionista a Gaza negli ultimi quattro mesi. L’elenco scorre come i titoli di coda di un lungo film, con una melodia lugubre in sottofondo. La rete Al-Jazeera ha pubblicato nel fine settimana l’elenco dei nomi a lei noti, per un totale della metà degli 11.500 uccisi, secondo il Ministero della Sanità di Hamas. Un bambino ucciso ogni 15 minuti, uno su 100 bambini a Gaza.
Intorno a loro restavano i bambini che avevano assistito alla morte dei loro cari, i genitori che seppellivano i loro figli, le persone che avevano estratto i loro corpi dal fuoco e dalle macerie, migliaia di bambini storpi e decine di migliaia traumatizzati per sempre. Secondo i dati delle Nazioni Unite, 10.000 bambini hanno perso entrambi i genitori in questa guerra, una guerra in cui muoiono due madri ogni ora.
Nessuna spiegazione, nessuna giustificazione o scusa potrà mai dare un senso questo orrore. Sarebbe meglio se la macchina della propaganda israeliana non ci provasse nemmeno. Nessuna storia secondo cui “Hamas è responsabile di tutto” e nessuna scusa che indichi che Hamas si nasconda tra i civili. Un orrore di questa portata non ha altra spiegazione se non l’esistenza di un esercito e di un governo privi di limiti stabiliti dalla legalità o dalla moralità.
Pensate a questi bambini, che sono morti nelle loro culle in fasce, ai bambini che hanno cercato inutilmente di scappare per salvarsi la vita. Chiudete gli occhi per un momento e immaginate i 10.000 minuscoli corpi adagiati uno accanto all’altro; apriteli e vedrete le fosse comuni, i pronto soccorso sovraffollati, con le ambulanze che portano sempre più bambini che vengono portati dentro, non si sa se vivi o morti.
Sta accadendo anche adesso, a poco più di un’ora di auto da Tel Aviv. Ciò sta accadendo senza che ne venga data notizia in Israele, senza alcun dibattito pubblico sulla furia violenta che Israele si è permesso di scatenare a Gaza questa volta, più che mai. Ciò accade anche senza che nessuno in Israele rifletta su cosa porteranno queste uccisioni di massa, su ciò che Israele potrebbe trarne e quale prezzo pagherà per questo. Non disturbateci, stiamo uccidendo bambini.
I luoghi comuni sono banali e patetici: “Hanno iniziato”, “non c’è scelta”, “cosa dovremmo fare?” “L’IDF sta facendo tutto il possibile per evitare l’uccisione di persone innocenti”. La verità è che a Israele non importa, non si interessa nemmeno. Dopotutto, i palestinesi non amano i loro figli e, in ogni caso, crescendo sarebbero solo diventati dei terroristi.
Nel frattempo, Israele a Gaza sta cancellando intere generazioni, e i suoi soldati stanno uccidendo un numero di bambini così elevato da fare a gara con la più crudele delle guerre. Ciò non sarà e non potrà essere dimenticato. Come può un popolo dimenticare coloro che hanno ucciso i suoi figli in questo modo? Come possono le persone di coscienza in tutto il mondo rimanere in silenzio davanti a un simile massacro di innocenti? Il fatto che Israele non stia dibattendo su questo problema internamente, non provi evidente empatia o rincrescimento, desiderando solo di continuare questa guerra, fino a quando non verrà ottenuta una “vittoria finale”, non disturba il mondo. Il mondo rimane a guardare stordito.
La verità è che è impossibile rimanere in silenzio. Persino Israele, così assorbito dal dolore e dalla preoccupazione per la sorte degli ostaggi; Israele, che ha subito gli orrori del 7 ottobre, non può ignorare ciò che sta accadendo a Gaza. Ci vogliono sette minuti per visualizzare l’elenco di migliaia di bambini morti, che scorrono alla stessa velocità delle loro povere vite. Alla fine non si può restare in silenzio; sono sette minuti che lasciano con il fiato sospeso, angosciati e profondamente sconcertati.
Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo ultimo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org
10.000 BAMBINI UCCISI NEGLI ATTACCHI DI ISRAELE SU GAZA – Gian Luigi Deiana
la guerra di cancellazione non concede lapidi nè cimiteri: ma possiamo conservare i nomi, leggerne anche solo uno o due, e poi guardare in giro, il vuoto
Know their names: Palestinian children killed in Israeli attacks on Gaza –
https://interactive.aljazeera.com/aje/2024/israel-war-on-gaza-10000-children-killed/
Israele vuole Rafah e cacciare i palestinesi – Alberto Negri
Al valico di Gaza con l’Egitto si ammassano 1,5 milioni di palestinesi. Israele vuole il controllo militare del corridoio e spingerli via. La formula due popoli e due stati sta per essere liquidata, il resto sono chiacchiere.
Licenza di uccidere per altri trenta giorni – Francesco Masala
Nella COP 26, a Glasgow, 100 paesi dissero stop deforestazione entro il 2030. Ancor più significativo perché c’è la firma di Brasile, Congo, Indonesia, Cina, Canada, Russia: quegli Stati dove si concentrano le foreste più preziose del pianeta (qui).
L’accordo è durato poco, dopo qualche giorno il Brasile e Indonesia hanno cambiato idea (qui)
Il messaggio, in Brasile, è stato quello di accelerare l’abbattimento di alberi entro il 2030.
A Gaza succede lo stesso, mentre il mondo plaude alla sentenza della Corte internazionale di Giustizia de L’Aja sul genocidio israeliano.
Gli assassini al potere in Israele lo interpretano così: se i giudici fossero stati seri avrebbero preteso la fine dello sterminio entro DUE giorni, i TRENTA giorni che la Corte internazionale di Giustizia prescrive sono esattamente quelli che servono ai genocidi israeliani per finire di distruggere Gaza, far morire di bombe o di fame i sopravvissuti, completare la pulizia etnica.
Il trentunesimo giorno appariranno i maledetti complici, Van der nazi Leyen, il giardiniere suprematista Borrell, tutti i sostenitori europei dei nazisti ucraini e degli sterminatori israeliani, a distribuire caramelle e merendine, fra i bambini sopravvissuti. come Victoria Nuland a Kiev.
E parleranno di ricostruzione, di pace, di due paesi e due popoli (quello palestinese in Egitto, o sulla Luna).
I crudeli, gli ipocriti, gli imbecilli – Antonio Cipriani
I crudeli, gli ipocriti e gli imbecilli. Questi i migliori interpreti che abbiamo di una fase storica in cui la disumanità ha preso il sopravvento e in cui avere un dubbio, conservare principi etici, pensare alle ragioni degli altri e al bene comune è roba da perdenti. La cattiveria vince in ogni campo. Declinata secondo le opportunità concesse da quel mare di indifferenza che aiuta gli ipocriti a fingere che va tutto bene, e che “lontano dagli occhi lontano dal cuore” e altre finzioni scenografiche e culturali che rendono ogni efferatezza accettabile, se conveniente.
Poi ci sono gli imbecilli. E sono tanti, troppi, dilagano, prendono per buone le verità della televisione e si schierano come un sol uomo sul fronte delle sciocchezze più inutili, in prima linea per difendere la ferocia che si fa sistema, costi quel che costi, disposti a pagare un prezzo altissimo in cambio della certezza assoluta che se il mondo fa così schifo è perché c’è un nemico da combattere. Che sia di una etnia diversa, che sia lo straniero, il povero, il senza diritti, il disoccupato, il giovanissimo che teme per il proprio futuro e quindi esprime senso critico.
Il crudele, l’ipocrita e l’imbecille in modi diversi dettano la narrazione, da queste parti.
E tutti noi che non siamo crudeli, che manteniamo memoria delle crudeltà del passato, che conosciamo la differenza tra sfruttato e sfruttatore, tra vittima e aguzzino, tra chi schiaccia e chi viene schiacciato, tra esercito occupante e luoghi occupati, tra chi cannoneggia le case e chi scappa atterrito, dobbiamo districarci nella rete assurda degli ipocriti, fatta di indifferenza e conoscenze selezionate da arte per non creare fastidi.
E abbiamo di fronte un mare di imbecilli, ottusi, felici che ci sia chi muore ingiustamente, che festeggiano i manganelli, il razzismo, il genocidio, raggianti per avere finalmente voce in capitolo sulla scena tragica della storia: giornalisti, politici, portavoce del malcontento che si fa stupidità, della rabbia pronta ad essere indirizzata contro le vittime, mai contro chi causa la profonda, lacerante ingiustizia sociale in cui viviamo.
La crudeltà, abbinata a una bella dose di ipocrisia, regna sovrana in un ecosistema in cui l’ignoranza detta le regole.
Con la guerra all’Agenzia Onu per i rifugiati, l’Occidente si schiera apertamente con il genocidio israeliano – Jonathan Cook
Israele trama da tempo la caduta dell’UNRWA, consapevole che è uno dei maggiori ostacoli allo sradicamento dei palestinesi come popolo.
C’è un importante retroscena nella decisione degli Stati Uniti e di altri importanti Stati occidentali, tra cui il Regno Unito, di congelare i finanziamenti all’United Nations’ Relief and Works Agency (UNRWA), il principale canale attraverso il quale l’ONU distribuisce cibo e servizi sociali ai palestinesi più disperati e indigenti.
Il taglio dei finanziamenti – adottato anche da Germania, Francia, Giappone, Svizzera, Canada, Paesi Bassi, Italia, Australia e Finlandia – è stato imposto nonostante la Corte internazionale di giustizia (CIG) abbia stabilito venerdì che Israele potrebbe commettere un genocidio a Gaza. I giudici della Corte mondiale hanno citato a lungo funzionari delle Nazioni Unite che hanno avvertito che le azioni di Israele hanno lasciato quasi tutti i 2,3 milioni di abitanti dell’enclave sull’orlo di una catastrofe umanitaria, compresa la carestia.
L’inconsistente pretesto dell’Occidente per quella che equivale a una guerra all’UNRWA è che Israele sostiene che 12 dipendenti locali dell’ONU – su 13.000 – sono coinvolti nell’evasione di Hamas dalla prigione a cielo aperto di Gaza il 7 ottobre. L’unica prova sembra essere una confessione forzata, probabilmente estorta con la tortura, da combattenti palestinesi catturati da Israele quel giorno.
Le Nazioni Unite hanno immediatamente licenziato tutto il personale accusato, apparentemente senza un giusto processo. Possiamo supporre che ciò sia avvenuto perché l’Agenzia per i rifugiati temeva che la sua già esile ancora di salvezza per la popolazione di Gaza, così come per altri milioni di rifugiati palestinesi in tutta la regione – in Cisgiordania, Libano, Giordania e Siria – fosse ulteriormente minacciata. Non c’era da preoccuparsi. Gli Stati donatori occidentali hanno comunque tagliato i finanziamenti, facendo precipitare Gaza ancora di più nella calamità.
Lo hanno fatto senza considerare che la loro decisione equivale a una punizione collettiva: circa 2,3 milioni di palestinesi a Gaza rischiano di morire di fame e di diffondere malattie letali, mentre altri 4 milioni di rifugiati palestinesi in tutta la regione sono a rischio imminente di perdere cibo, assistenza sanitaria e istruzione.
Secondo il professore di diritto Francis Boyle, che ha presentato un caso di genocidio per la Bosnia alla Corte Mondiale circa due decenni fa, ciò sposta la maggior parte di questi Stati occidentali dalla loro attuale complicità con il genocidio di Israele (vendendo armi e fornendo aiuti e copertura diplomatica) alla partecipazione diretta e attiva al genocidio, violando il divieto della Convenzione sul genocidio del 1948 di “infliggere deliberatamente al gruppo [in questo caso, ai palestinesi] condizioni di vita calcolate per portarlo alla distruzione fisica in tutto o in parte”.
La Corte mondiale sta indagando su Israele per genocidio. Ma potrebbe facilmente allargare la sua indagine agli Stati occidentali. La minaccia all’UNRWA deve essere vista sotto questa luce. Non solo Israele si sta facendo beffe della Corte mondiale e del diritto internazionale, ma anche Stati come gli Stati Uniti e il Regno Unito lo stanno facendo, tagliando i finanziamenti all’agenzia per i rifugiati. Stanno dando uno schiaffo alla Corte, indicando che sostengono a quattro mani i crimini di Israele, anche se si dimostrano di natura genocida.
La creatura di Israele
Di seguito è riportato il contesto adeguato per comprendere cosa sta realmente accadendo con questo ultimo attacco all’UNRWA:
- L’agenzia è stata creata nel 1949 – decenni prima dell’attuale massacro militare di Israele a Gaza – per provvedere alle necessità di base dei rifugiati palestinesi, tra cui la fornitura di cibo essenziale, l’assistenza sanitaria e l’istruzione. Il ruolo dell’agenzia a Gaza è enorme perché la maggior parte dei palestinesi che vi abitano ha perso, o discende da famiglie che hanno perso, tutto nel 1948. Fu allora che subirono dall’esercito israeliano pulizia etnica nella maggior parte della Palestina, in un evento noto ai palestinesi come Nakba, o Catastrofe. Le loro terre furono trasformate in quello che i leader israeliani definirono esclusivamente “Stato ebraico”. L’esercito israeliano si mise a distruggere le città e i villaggi dei palestinesi all’interno di questo nuovo Stato, in modo che non potessero più tornare.
- L’UNRWA è separata dalla principale agenzia dell’ONU per i rifugiati, l’UNHCR, e si occupa solo dei rifugiati palestinesi. Anche se Israele non vuole che lo si sappia, il motivo per cui esistono due agenzie ONU per i rifugiati è che Israele e i suoi sostenitori occidentali nel 1948 insisteterono sulla divisione. Perché? Perché Israele temeva che i palestinesi finissero sotto la responsabilità del precursore dell’UNHCR, l’Organizzazione Internazionale per i Rifugiati. L’IRO era stata istituita subito dopo la Seconda guerra mondiale, in gran parte per far fronte ai milioni di ebrei europei in fuga dalle atrocità naziste.
Israele non voleva che i due casi venissero trattati come paragonabili, perché stava spingendo molto affinché i rifugiati ebrei venissero insediati nelle terre da cui aveva appena espulso i palestinesi. Parte della missione dell’IRO consisteva nel cercare di ottenere il rimpatrio degli ebrei europei. Israele temeva che questo principio potesse essere usato sia per negargli gli ebrei che voleva per colonizzare le terre palestinesi, sia per costringerlo a permettere ai rifugiati palestinesi di tornare alle loro case. In un certo senso, quindi, l’UNRWA è una creatura di Israele: è stata creata per mantenere i palestinesi come un caso a parte, un’anomalia.
Campo di prigionia
- Tuttavia, le cose non andarono esattamente secondo i piani di Israele. Dato il suo rifiuto di permettere il ritorno dei rifugiati e la riluttanza degli Stati arabi confinanti a essere complici dell’atto originale di pulizia etnica di Israele, la popolazione palestinese nei campi profughi dell’UNRWA è aumentata a dismisura. Il problema è diventato particolarmente grave a Gaza, dove circa due terzi della popolazione sono rifugiati o discendenti di rifugiati. La piccola enclave costiera non aveva la terra o le risorse per far fronte alla rapida espansione del numero di rifugiati. Il timore di Israele era che, con l’aggravarsi della situazione dei palestinesi di Gaza, la comunità internazionale facesse pressione su Israele per ottenere un accordo di pace che permettesse il ritorno dei rifugiati alle loro case.
Questo doveva essere fermato a tutti i costi. All’inizio degli anni ’90, mentre veniva presentato il presunto “processo di pace” di Oslo, Israele ha iniziato a rinchiudere i palestinesi di Gaza in una gabbia d’acciaio, circondata da torri di tiro. Circa 17 anni fa, Israele ha aggiunto un blocco che impedisce alla popolazione di muoversi dentro e fuori Gaza, anche attraverso le acque costiere della striscia e i suoi cieli. I palestinesi sono diventati prigionieri in un gigantesco campo di concentramento, a cui sono negati i più elementari collegamenti con il mondo esterno. Solo Israele decide cosa può entrare e uscire. Un tribunale israeliano ha poi appreso che dal 2008 in poi l’esercito israeliano ha sottoposto Gaza a una dieta da fame, limitando le forniture di cibo.
C’é stata una strategia che prevedeva di rendere Gaza inabitabile, cosa su cui le Nazioni Unite hanno iniziato a mettere in guardia nel 2015. Il piano d’azione di Israele sembra essere stato più o meno questo:
Rendendo i palestinesi di Gaza sempre più disperati, era certo che gruppi militanti come Hamas, disposti a combattere per liberare l’enclave, avrebbero guadagnato popolarità. A sua volta, ciò avrebbe fornito a Israele la scusa sia per inasprire ulteriormente le restrizioni su Gaza per far fronte a una “minaccia terroristica”, sia per distruggere Gaza a intermittenza come “rappresaglia” per quegli attacchi – o ciò che i comandanti militari israeliani hanno variamente chiamato “falciare l’erba” e “riportare Gaza all’età della pietra”. Il presupposto era che i gruppi militanti di Gaza avrebbero esaurito le loro energie nella continua gestione delle continue “crisi umanitarie” che Israele aveva architettato.
Allo stesso tempo, Israele avrebbe potuto promuovere una doppia narrazione. Pubblicamente avrebbe potuto dire che è impossibile per lui assumersi la responsabilità del popolo di Gaza, dato che è così chiaramente coinvolto nell’odio per gli ebrei e nel terrorismo. Ma nel frattempo, in privato, avrebbe detto alla comunità internazionale che, data l’inabitabilità di Gaza, è urgente trovare una soluzione che non coinvolga Israele. La speranza era che Washington fosse in grado di convincere o corrompere il vicino Egitto ad accogliere la maggior parte della popolazione indigente di Gaza.
Maschera strappata
- Il 7 ottobre, Hamas e altri gruppi militanti hanno realizzato ciò che Israele aveva ritenuto impossibile. Sono usciti dal loro campo di concentramento. Lo shock della leadership israeliana non è solo per la natura sanguinosa dell’evasione. È che quel giorno Hamas ha distrutto l’intero concetto di sicurezza di Israele, progettato per mantenere i palestinesi schiacciati e gli Stati arabi e gli altri gruppi di resistenza della regione senza speranza. La settimana scorsa, con un colpo di grazia, la Corte mondiale ha accettato di processare Israele per genocidio a Gaza, facendo crollare la tesi morale di uno Stato ebraico esclusivo costruito sulle rovine della patria palestinese.
La conclusione quasi unanime dei giudici, secondo cui il Sudafrica ha presentato un caso plausibile di genocidio da parte di Israele, dovrebbe costringere a rivalutare tutto ciò che è stato fatto in precedenza. I genocidi non emergono dal nulla. Si verificano dopo lunghi periodi in cui il gruppo oppressore disumanizza un altro gruppo, incita contro di esso e lo maltratta. La Corte mondiale ha implicitamente ammesso che i palestinesi avevano ragione quando insistevano sul fatto che la Nakba – l’operazione di esproprio di massa e pulizia etnica di Israele del 1948 – non è mai finita. Ha solo assunto forme diverse. Israele è diventato più bravo a nascondere quei crimini, fino a quando la maschera è stata strappata dopo l’evasione del 7 ottobre…
IL SILENZIO DEI DANNATI – Chris Hedges
Le nostre principali istituzioni umanitarie e civili, comprese le più importanti istituzioni mediche, si rifiutano di denunciare il genocidio di Israele a Gaza. Questo smaschera la loro ipocrisia e complicità.
A Gaza non c’è più un sistema sanitario efficace. I neonati muoiono. Ai bambini vengono amputati gli arti senza anestesia. Migliaia di malati di cancro e di persone che hanno bisogno di dialisi non vengono curati. L’ultimo ospedale oncologico di Gaza ha cessato di funzionare. Si stima che 50.000 donne incinte non abbiano un luogo sicuro dove partorire. Vengono sottoposte a parti cesarei senza anestesia. I tassi di aborto spontaneo sono aumentati del 300% dall’inizio dell’assalto israeliano. I feriti muoiono dissanguati. Non ci sono servizi igienici né acqua pulita. Gli ospedali sono stati bombardati e bombardati. L’ospedale Nasser, uno degli ultimi funzionanti a Gaza, è “prossimo al collasso“. Le cliniche e le ambulanze – 79 a Gaza e oltre 212 in Cisgiordania – sono state distrutte. Sono stati uccisi circa 400 medici, infermieri, operatori sanitari e operatori sanitari – più del totale di tutti gli operatori sanitari uccisi nei conflitti di tutto il mondo messi insieme dal 2016. Altri 100 sono stati detenuti, interrogati, picchiati e torturati o sono scomparsi ad opera dei soldati israeliani.
I soldati israeliani entrano abitualmente negli ospedali per effettuare evacuazioni forzate – mercoledì le truppe sono entrate nell’ospedale al-Amal di Khan Younis e hanno chiesto ai medici e ai palestinesi sfollati di andarsene – e per rastrellare i detenuti, compresi i feriti, i malati e il personale medico. Martedì, travestiti da operatori ospedalieri e civili, i soldati israeliani sono entrati nell’ospedale Ibn Sina di Jenin, in Cisgiordania, e hanno assassinato tre palestinesi mentre dormivano.
I tagli ai finanziamenti per l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) – punizione collettiva per il preteso coinvolgimento nell’attacco del 7 ottobre di 12 dei 13.000 operatori dell’UNRWA – accelereranno l’orrore, trasformando gli attacchi, la fame, la mancanza di assistenza sanitaria e la diffusione di malattie infettive a Gaza in un’ondata di morte.
Le accuse, prive di prove, che includono l’accusa che il 10% di tutto il personale dell’UNRWA di Gaza abbia legami con gruppi militanti islamici, sono apparse sul Wall Street Journal. La giornalista, Carrie-Keller Lynn, ha prestato servizio nelle Forze di Difesa Israeliane (IDF). Viste le numerose menzogne che Israele ha utilizzato per giustificare il suo genocidio, tra cui “bambini decapitati” e “stupri di massa“, è ragionevole pensare che si tratti di un’altra montatura.
Le accuse, i cui dettagli rimangono scarsi, si basano apparentemente su confessioni di detenuti palestinesi, sicuramente dopo essere stati picchiati o torturati. Queste accuse sono state sufficienti a far sì che 18 Paesi, tra cui Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Germania, Francia, Australia e Giappone, tagliassero o ritardassero i finanziamenti all’agenzia vitale delle Nazioni Unite. L’UNRWA è tutto ciò che si frappone tra i palestinesi di Gaza e la carestia. Una manciata di Paesi, tra cui Irlanda, Norvegia e Turchia, mantengono i loro finanziamenti.
Otto dei dipendenti dell’UNRWA accusati di aver partecipato all’attacco del 7 ottobre nel sud di Israele, in cui sono state uccise 1.139 persone e 240 sono state rapite, sono stati licenziati. Due sono stati sospesi. L’UNRWA ha promesso un’indagine. Rappresentano lo 0,04% del personale dell’UNRWA.
Israele sta cercando di distruggere non solo il sistema sanitario e le infrastrutture di Gaza, ma anche l’UNRWA, che fornisce cibo e aiuti a 2 milioni di palestinesi. L’obiettivo è rendere Gaza inabitabile e fare pulizia etnica dei 2,3 milioni di palestinesi di Gaza. Centinaia di migliaia di persone stanno già morendo di fame. Oltre il 70% delle abitazioni è stato distrutto. Più di 26.700 persone sono state uccise e oltre 65.600 sono state ferite. Migliaia sono i dispersi. Circa il 90% della popolazione di Gaza prima della guerra è stata sfollata, e molti vivono all’aperto. I palestinesi sono ridotti a mangiare erba e a bere acqua contaminata.
Noga Arbell, ex funzionario del Ministero degli Esteri israeliano, durante una discussione al Parlamento israeliano il 4 gennaio, ha dichiarato: “Sarà impossibile vincere la guerra se non distruggiamo l’UNRWA, e questa distruzione deve iniziare immediatamente“.
“L’UNRWA è un’organizzazione che perpetua il problema dei rifugiati palestinesi“, dichiarò il primo ministro Benjamin Netanyahu nel 2018. “Perpetra anche la narrativa del cosiddetto ‘diritto al ritorno’ con l’obiettivo di eliminare lo Stato di Israele, e quindi l’UNRWA deve scomparire“.
Un alto funzionario israeliano rimasto anonimo ha elogiato la sospensione dei finanziamenti all’UNRWA, ma ha insistito mercoledì che il governo non chiedeva la sua chiusura.
Dall’inizio degli attacchi israeliani sono stati uccisi più di 152 dipendenti dell’UNRWA a Gaza – tra cui presidi di scuole, insegnanti, operatori sanitari, un ginecologo, ingegneri, personale di supporto e uno psicologo. Più di 141 strutture dell’UNRWA sono state bombardate e ridotte in macerie. Il bilancio delle vittime è la più grande perdita di personale durante un conflitto nella storia delle Nazioni Unite.
La distruzione delle strutture sanitarie e l’uccisione di medici, infermieri, operatori sanitari e personale è particolarmente ripugnante. Significa che i più vulnerabili, i malati, i neonati, i feriti e gli anziani, e coloro che li assistono, sono spesso condannati a morte.
I medici palestinesi stanno chiedendo ai medici e alle organizzazioni mediche di tutto il mondo di denunciare l’assalto al sistema sanitario e di mobilitare le loro istituzioni per protestare.
“Il mondo deve condannare gli atti contro i professionisti del settore medico che si stanno verificando a Gaza“, scrive il direttore dell’ospedale Al-Shifa, Muhamad Abu Salmiya, arrestato insieme ad altro personale medico dagli israeliani nel novembre 2023 mentre stava evacuando con un convoglio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e tuttora detenuto. “Questa corrispondenza è un appello a tutti gli esseri umani, a tutte le comunità mediche e a tutti gli operatori sanitari del mondo affinché chiedano la cessazione di queste attività antiospedaliere all’interno e intorno agli ospedali, che è un obbligo civile secondo il diritto internazionale, le Nazioni Unite e l’OMS“.
Ma queste istituzioni – con alcune eccezioni degne di nota come l’American Public Health Association che ha chiesto un cessate il fuoco – sono rimaste in silenzio o, come nel caso del dottor Matthew K. Wynia, direttore del Center for Bioethics and Humanities dell’Università del Colorado, hanno tentato di giustificare i crimini di guerra israeliani. Questi medici – che in qualche modo trovano accettabile che a Gaza venga ucciso un bambino in media ogni 10 minuti – sono complici del genocidio e violano la Convenzione di Ginevra. Essi abbracciano la morte come soluzione, non la vita.
Robert Jay Lifton nel suo libro “The Nazi Doctors: Medical Killing and the Psychology of Genocide” scrive che “i progetti di genocidio richiedono la partecipazione attiva di professionisti istruiti – medici, scienziati, ingegneri, capi militari, avvocati, ecclesiastici, professori universitari e altri insegnanti – che si combinano per creare non solo la tecnologia del genocidio, ma gran parte della sua logica ideologica, del clima morale e del processo organizzativo“.
Nel novembre 2023, un gruppo di 100 medici israeliani ha difeso il bombardamento degli ospedali di Gaza, sostenendo che erano usati come centri di comando di Hamas, un’accusa che Israele non è stato in grado di verificare.
I presidi delle scuole di medicina statunitensi e le principali organizzazioni mediche, in particolare l’American Medical Association (AMA), si sono uniti alle schiere di università, scuole di legge, chiese e media per voltare le spalle ai palestinesi. L’AMA ha bloccato il dibattito su una risoluzione per il cessate il fuoco tra i suoi membri e ha invocato la “neutralità medica”, anche se ha abbandonato la “neutralità medica” per denunciare l’invasione russa dell’Ucraina.
Denunciare questo genocidio ha un costo, un costo che non intendono pagare. Temono di essere attaccati. Temono di distruggere le loro carriere. Temono di perdere i finanziamenti. Temono la perdita di status. Temono la persecuzione. Temono l’isolamento sociale. Questa paura li rende complici.
E cosa succede a coloro che esprimono il proprio dissenso? Vengono bollati come antisemiti e sostenitori del terrorismo. La professoressa di psicologia clinica della George Washington University Lara Sheehi è stata cacciata dal suo posto di lavoro. All’ex capo di Human Rights Watch, Kenneth Roth, è stata negata uincarico presso il Carr Center for Human Rights Policy (sic! N.d.T.) di Harvard a causa dei suoi presunti “pregiudizi anti-Israele”. Il professore di San Francisco Rabab Abdulhadi è stato citato in giudizio per aver sostenuto i diritti dei palestinesi. Shahd Abusalama è stata sospesa dall’Università di Sheffield Hallam, nel Regno Unito, dopo una feroce campagna diffamatoria, anche se l’istituzione si è poi accordata sulla sua richiesta di risarcimento per discriminazione. Il professor Jasbir Puar della Rutgers University è un bersaglio continuo della lobby israeliana e subisce continue molestie. Gli studenti e i docenti di medicina in Canada rischiano la sospensione o l’espulsione se criticano pubblicamente Israele.
Il pericolo non è solo quello di denunciare i crimini israeliani. Il pericolo, ancora più importante, è che vengano smascherati la bancarotta morale e la codardia delle istituzioni e dei loro leader.
Questo mi porta alla dottoressa Rupa Marya, professoressa di medicina all’Università della California, San Francisco (UCSF), il cui appello a smettere di bombardare gli ospedali e a esaminare l’impatto del sionismo come ideologia razzista ha scatenato un torrente di attacchi al vetriolo contro di lei, attacchi tacitamente avallati dalla scuola di medicina in cui lavora.
È stata diffamata come antisemita e presa di mira dalla Canary Mission, un’organizzazione sionista che cerca di diffamare e distruggere le carriere di studenti e docenti che criticano Israele e difendono i diritti dei palestinesi. Le sono stati revocati gli incarichi di conferenze e ha ricevuto minacce di morte e messaggi come: “suicidati, ritardata truffatrice negra”, “troia adescatrice di ebrei” e “i bianchi sono il popolo più grande della Terra. Lo sai”.
Potete vedere la sua dichiarazione sulla campagna contro di lei qui.
C’è un contrasto sorprendente tra il trattamento riservato alla dottoressa Marya e quello riservato ai medici che si dichiarano favorevoli al genocidio. Matt Cooperberg, medico dell’UCSF e titolare della Helen Diller Family Chair in Urology, ha visto “apprezzati” (liked, N.d.T.) suoi post sui social media come “RIMUOVETE I PALESTINESI DALLA MAPPA”(sic!) e una citazione dell’ex primo ministro israeliano Golda Meir: “Siamo in grado di perdonare gli arabi [sic!] per aver ucciso i nostri figli. Non siamo in grado di perdonare gli arabi per averci costretto a uccidere i loro figli“.
“La cattedra assegnata a Cooperberg proviene dalla Helen Diller Family Foundation, il più grande contributore della UCSF, che finora ha donato circa 1,15 miliardi di dollari al campus sanitario“, scrive Marya. “Nel 2018, a causa di un errore su un modulo fiscale, si è scoperto che la Helen Diller Family Foundation finanziava la Canary Mission. La Fondazione ha cercato di cancellare il suo legame dopo questa denuncia“.
Prosegue Marya:
“Come membro della facoltà alla UCSF, il disonorato dermatologo Howard Maibach ha sottoposto ed ha iniettato a più di 2.600 detenuti neri e di colore sostanze chimiche, in esperimenti che riecheggiavano gli esperimenti dei medici giudicati al Processo dei Medici (Norimberga, N.d.T.) solo pochi anni prima di andare alla Scuola di Medicina in Pennsylvania“. Lì studiò sotto la guida di Albert Kligman, che gli insegnò come sfruttare i neri per la sperimentazione medica, ampiamente documentata nel libro-verità horror “Acres of Skin“. Maibach sviluppò anche il concetto di differenze razziali nella pelle, portando avanti le idee razziste della pseudoscienza dell’eugenetica. La razza è una costruzione sociale che sancisce il suprematismo. Non è una realtà biologica.
La maggior parte degli esperimenti di Maibach furono condotti senza consenso informato e, sebbene l’UCSF abbia presentato delle scuse, Maibach è ancora impiegato presso l’Università della California. La sua famiglia sostiene gli Amici dell’IDF ed è rappresentata da Alan Dershowitz, che ha anche lui sostenuto il bombardamento degli ospedali di Gaza. Dershowitz ha tentato di impedirmi di parlare al primo National Health Equity Grand Rounds dell’AMA, dove la studiosa Harriet Washington, che studia la sperimentazione medica sui neri, ha evidenziato le pratiche razziste di Maibach. Sulla scia dell’omicidio di George Floyd, docenti, tirocinanti e studenti di colore dell’UCSF hanno portato alla luce la storia di Maibach e molti hanno espresso il loro orrore per il fatto di dover continuare a sedere nella stessa stanza di quest’uomo durante i Grand Round di dermatologia. Ma il problema non è solo un uomo. È un sistema che permette a una persona con questi valori e queste azioni di continuare a essere presente nella nostra comunità di studenti e praticanti.
La disumanizzazione dei palestinesi è tratta dal copione di tutti i progetti coloniali dei coloni, compreso il nostro. Questo razzismo, in cui le persone di colore sono bollate come “animali umani”, è codificato nel DNA delle nostre istituzioni. Infetta coloro che vengono scelti per guidare queste istituzioni. È al centro della nostra identità nazionale. È il motivo per cui i due partiti al potere e le istituzioni che li sostengono si schierano con Israele. Alimenta la logica perversa di fornire armi e miliardi di dollari di sostegno a Israele per sostenerne l’occupazione e il genocidio.
La storia non ci giudicherà benevolmente. Ma riverirà coloro che, sotto assedio, hanno trovato il coraggio di dire no.
ISRAELE DISTRUGGE L’UFFICIO DELL’AGENZIA BELGA PER GLI AIUTI A GAZA – Kyle Anzalone
Foto dell’edificio che ospitava gli uffici dell’agenzia umanitaria Enabel prima e dopo la sua distruzione
Un funzionario belga ha pubblicato delle foto che mostrano l’edificio che ospitava gli uffici della sua agenzia umanitaria a Gaza, distrutto da un attacco aereo israeliano sull’enclave palestinese assediata. L’edificio è stato preso di mira perché il Belgio si rifiuta di tagliare l’assistenza all’Agenzia palestinese delle Nazioni Unite.
Caroline Gennez, il ministro belga della Cooperazione allo Sviluppo e della Politica delle Grandi Città ha postato su X le foto dell’edificio prima e dopo la sua distruzione: “L’edificio degli uffici di Enabel, l’Agenzia belga per la cooperazione allo sviluppo, a Gaza, è stato bombardato ed è completamente distrutto“, ha spiegato il suo post. “Attaccare edifici civili è e rimane totalmente inaccettabile“.
Ha aggiunto che Bruxelles ha convocato l’ambasciatore di Tel Aviv.
Il vicepresidente esecutivo del Quincy Institute, Trita Parsi, ha osservato che Israele ha preso di mira l’ufficio [dell’agenzia] belga perché Bruxelles sta resistendo alle pressioni per tagliare i finanziamenti all’agenzia palestinese delle Nazioni Unite. “Il Belgio è uno dei Paesi occidentali che si è rifiutato di tagliare i fondi all’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione). Israele ha appena bombardato l’ufficio dell’Agenzia belga per la cooperazione allo sviluppo a Gaza“, ha scritto su X. “Questo è il risultato diretto dell’impunità che Washington ha garantito a Israele“.
La settimana scorsa, Israele aveva informato l’UNRWA che una dozzina di suoi dipendenti ha partecipato all’attacco di Hamas del 7 ottobre. La dirigenza dell’agenzia aveva agito immediatamente licenziando i dipendenti, anche se le prove fornite da Tel Aviv si basavano su confessioni rese durante gli interrogatori. Si tratta di una fonte dubbia, visti i diffusi abusi di Israele sui prigionieri palestinesi negli ultimi quattro mesi.
Tel Aviv ha poi affermato di avere anche prove ottenute da telefoni cellulari.
Gli Stati Uniti, la Germania e molti altri Paesi occidentali hanno tagliato i fondi all’UNRWA a causa delle accuse israeliane. Linda Thomas-Greenfield, ambasciatrice statunitense presso le Nazioni Unite, ha dichiarato che Washington non riprenderà i finanziamenti all’UNRWA finché l’organizzazione non sarà sottoposta a riforme sostanziali. “Dobbiamo esaminare l’organizzazione, come opera a Gaza“. Ha continuato, “come [l’UNRWA] gestisce il suo personale e per garantire che le persone che commettono atti criminali, come questi 12 individui, siano ritenute immediatamente responsabili, in modo che l’UNRWA possa continuare il lavoro essenziale che sta facendo“.
Diversi funzionari per i diritti umani hanno avvertito che i tagli agli aiuti spingeranno Gaza verso la carestia e aumenteranno la morte dei palestinesi nella Striscia. Michael Fakhri, Relatore Speciale delle Nazioni Unite per il diritto all’alimentazione, ha scritto domenica su X: “Alcuni Stati hanno deciso di tagliare i fondi all’UNRWA per le presunte azioni di un piccolo numero di dipendenti. Questo punisce collettivamente oltre 2,2 milioni di palestinesi. La carestia era imminente. La carestia è ora inevitabile“.
Boicottaggio Teva e Rathiopharm – Naga
Dal 1987 l’associazione NAGA Odv fornisce assistenza sociale, legale e sanitaria gratuita a persone straniere di Milano effettuando circa 10.000 visite mediche all’anno. I farmaci costituiscono la seconda voce di spesa del NAGA
Come associazione che si impegna per la difesa dei diritti di tutte le persone, indipendentemente dalla loro origine, non possiamo tollerare le continue sofferenze a cui è sottoposto il popolo palestinese, che da 75 anni vede la graduale espropriazione delle proprie terre e dal 1967 vive sotto un regime di apartheid e occupazione militare.
Sottolineiamo che l’etica e l’impegno quotidiano che guidano il nostro agire ci spingono a condannare le azioni violente dirette contro obiettivi civili, indipendentemente da quale parte provengano. Inoltre, l’associazione Naga ha fra i propri valori fondanti e principi guida l’antirazzismo ed è dunque nella natura stessa dell’organizzazione l’opposizione ad ogni forma di antisemitismo, così come di islamofobia.
La portata del massacro in atto nella striscia di Gaza e le aggressioni ai palestinesi in Cisgiordania, accompagnate dal silenzio complice quando non dall’aperto sostegno di molti governi occidentali, ci fanno sentire l’urgenza di una presa di posizione forte per chiedere l’immediato cessate il fuoco e l’apertura di una soluzione di tipo politico-negoziale, contro la logica spietata e inutile della repressione militare.
Al fine di fare pressione sul Governo e sulla società civile israeliana e di far sentire la propria voce nel contesto italiano, Naga ha deciso di mettere in atto fino a quando non verrà intrapresa seriamente una via negoziale di risoluzione del conflitto un boicottaggio dei farmaci prodotti dalla società israeliana TEVA e dalla consociata Rathiopharm che prevede la sospensione dell’acquisto di farmaci a marchio Teva.
Auspichiamo che tutti i colleghi e le colleghe che operano nell’ambito della salute possano unirsi a questo boicottaggio intraprendendo azioni analoghe nella loro attività quotidiana, e diffondendo quanto più possibile l’appello all’azione.
800 funzionari statunitensi ed europei chiedono la fine del sostegno a Israele
Più di 800 funzionari statunitensi ed europei hanno firmato una lettera nella quale esprimono la loro opposizione alle politiche dei rispettivi governi a sostegno di Israele nella sua guerra contro Gaza.
I funzionari firmatari di questa lettera hanno affermato che considerano loro dovere migliorare le politiche dei loro governi e lavorare per i loro interessi, in particolare per cambiare la loro posizione riguardo alla guerra del regime israeliano contro i palestinesi nella Striscia di Gaza, i cui morti e feriti sono per lo più donne e bambini.
“Le attuali politiche dei nostri governi indeboliscono la loro posizione morale e indeboliscono la loro capacità di difendere la libertà, la giustizia e i diritti umani in tutto il mondo”, si legge in un estratto della lettera.
Inoltre, hanno ammesso che le posizioni dei governi statunitensi ed europei potrebbero essere state uno dei fattori di “gravi violazioni del diritto umanitario internazionale, commettendo crimini di guerra e persino pulizia etnica o genocidio”.
Il New York Times ha precisato che i firmatari non hanno rivelato la propria identità per timore di possibili ripercussioni. Questa lettera è circolata silenziosamente tra i funzionari pubblici di diversi paesi ed è stata firmata da più di 800 di loro.
Il media nordamericano ha evidenziato che la lettera mostra il livello di disgusto dell’opinione pubblica per le azioni dei leader nordamericani, britannici ed europei nel sostenere le politiche di Israele.
Circa 80 dei firmatari della lettera appartengono a istituzioni statunitensi. La maggior parte di coloro che lo hanno firmato sono dipendenti del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.
In una dichiarazione rilasciata ieri, il Ministero della Sanità palestinese ha comunicato che 27.131 palestinesi hanno perso la vita e altre 66.287 persone sono rimaste ferite a causa della guerra genocida di Israele contro la Striscia di Gaza.
Elena Basile – “E’ chi non denuncia i crimini di Israele che favorisce l’antisemitismo”
Mi ero ripromessa di non personalizzare il dibattito, come avvenuto in passato, con Paolo Mieli e altre note voci del microcosmo mediatico, in quanto la difesa delle posizioni politiche ed etiche non deve essere contaminata da polemiche avvilenti. Ma non posso non rispondere all’editoriale di Mieli sul Corriere della Sera del 22 gennaio. Sono convinta che non otterrò risposte alle obiezioni razionali che pongo alle sue argomentazioni, ma spero che i lettori trarranno beneficio dallo smascheramento di alcune operazioni culturali di moda oggi.
Il potere fragile nelle dittature risponde al dissenso con la violenza, quello forte e radicato delle democrazie si limita a oscurare il pensiero non in linea con la narrazione dominante. È quanto di comune accordo i media mainstream fanno nei confronti della sottoscritta. Capisco che Mieli abbia un particolare affetto e rispetto per la storia di Israele. È in buona compagnia. Molti altri sono i giornalisti in auge che, talvolta per rispetto reverenziale verso una lobby potente e talvolta per convinzione, illustrano al lettore le ragioni di Tel Aviv. Mieli in particolare, pur ammettendo che le critiche al governo di Benjamin Netanyahu e dei suoi predecessori sono libere, punta l’indice contro l’antisemitismo che traspare dalle manifestazioni pro-Palestina e contro chi farebbe paragoni indebiti tra Israele e il nazismo. Non ho mai visto un giornalista indignarsi contro chi accosta Putin a Hitler, anche se Putin in Ucraina non ha commesso gli orrori a cui assistiamo a Gaza.
Premetto, a scanso di equivoci, che ho conosciuto l’intellighenzia ebraica in molti Paesi in cui ho servito a cominciare dall’Ungheria, dove ho avuto il privilegio di avere come interlocutore François Fejtö, convertitosi al cattolicesimo ma grande rappresentante della storia del popolo ebraico e del suo pensiero. Nutro una particolare ammirazione per la diaspora e le prime interpretazioni laiche del sionismo mi hanno trovato concorde. Condanno invece le interpretazioni messianiche del diritto degli ebrei alla terra promessa e le altre convinzioni irrazionali e di stampo religioso circa il popolo eletto che fanno a gara con la retorica statunitense relativa all’eccezionalismo degli Usa come potenza indispensabile.
L’antisemitismo ha avuto storicamente come bersaglio gli ebrei della diaspora, le loro usanze, la loro religione, le loro capacità commerciali, addirittura i loro tratti somatici. Oggi le manifestazioni pro-Palestina criticano le politiche di Netanyahu che sono contrarie al diritto umanitario e internazionale, realizzano crimini di guerra a Gaza, l’apartheid in Cisgiordania e sono sotto giudizio della Corte Internazionale di Giustizia Onu sull’ipotesi di intenti genocidi.
Non c’è ombra di antisemitismo. Quante volte è capitato anche a Mieli, nel criticare il nazismo, di fare riferimento ai tedeschi, senza per questo nutrire alcun intento razzista? L’operazione culturale portata avanti dalle élite asservite è costituita dalla delegittimazione delle critiche alle politiche criminali e di occupazione di Israele in Palestina, che vengono ipocritamente accusate di antisemitismo. La Germania, come Stato sconfitto nella Seconda guerra mondiale, è stata stigmatizzata per i crimini nazisti e il popolo tedesco ancora non si è liberato dal senso di colpa storico.
L’impunità che Mieli vorrebbe assicurare con la sua retorica a Israele non fa affatto bene alla comunità ebraica, i cui migliori rappresentanti hanno preso le distanze dalle spedizioni punitive realizzate ricorrentemente da Israele contro gli innocenti di Gaza. Di fronte ai massacri in corso, l’ipocrita trasformazione dell’oppressore in vittima che Mieli attua, richiamando a sproposito l’Olocausto e l’antisemitismo che poco hanno a che vedere con la strategia del governo israeliano, potrebbe alimentare un odio ingiustificato dei cittadini contro il popolo ebraico. La propaganda potrebbe fomentare fenomeni di rivalsa ingiustificata contro gli ebrei senza distinzioni, soprattutto da parte delle popolazioni arabe in Europa che fraternizzano con le vittime innocenti palestinesi. Chi vuole lottare contro l’antisemitismo deve pronunciare parole di giustizia e verità. L’Europa condanni i crimini di Israele, faccia rispettare il cessate i fuoco, sanzioni il terrorismo di Stato che è esecrabile come quello di Hamas. Questa sarebbe una politica a favore della comunità ebraica e contro i crimini di odio.
Immagini, caro Mieli, le invettive che le verrebbero naturali contro Hamas se stesse trucidando 10 mila bambini ebrei come quelle giustamente pronunciate il 7 ottobre con la strage di 1.300 ebrei israeliani. Dopo quel giorno, però, è stato Israele a uccidere 10 mila bambini palestinesi. I doppi standard creano risentimento e violenza cieca. Il mondo ne è pieno. Non fornisca al sonno della ragione anche il suo contributo.
L’Unicef ha reso noto il numero shock dei bambini orfani a Gaza – Alessandro Orsini*
A Gaza ci sono 19.000 bambini che rimarranno orfani o soli senza alcun adulto che si prenda cura di loro. 12000 bambini sono stati uccisi e più di 1000 hanno gli arti amputati, sempre per le bombe americane che Israele lancia su Gaza tutti i giorni. La Commissione europea è schierata compatta al fianco di Netanyahu. Israele dichiara che sta massacrando tutti questi innocenti perché deve difendere il proprio diritto a esistere che però nessuno minaccia perché Israele possiede centinaia di testate nucleari e può contare sull’esercito americano al gran completo. La verità è che Israele massacra tutti questi bambini non per difendere il proprio diritto a esistere, ma per rubare la terra ai palestinesi.
Come si può essere fieri dell’Unione europea?
(Dati Unicef riportati da BBC)
*Post Facebook del 1 febbraio 2024
Cosa è successo il 7 ottobre? Soldato israeliano rivela l’ordine di sparare indiscriminatamente contro un kibbutz – Wyatt Reed e Max Blumenthal
The GrayZone
Nuove rivelazioni si aggiungono al crescente corpo di prove che indicano che molti israeliani morti il 7 ottobre sono stati uccisi dall’esercito israeliano. Nel frattempo, il governo israeliano ha messo il bavaglio ai prigionieri liberati da Gaza per evitare di danneggiare ulteriormente la narrazione ufficiale.
Testimonianze di prima mano di soldati israeliani, per quanto inesperti, rivelano l’ordine di aprire il fuoco contro le comunità israeliane quando i miliziani palestinesi hanno violato le recinzioni che circondano Gaza il 7 ottobre.
Un servizio “entusiasmante” di una compagnia di carri armati tutta al femminile, pubblicato dalla rete israeliana N12 News, contiene ammissioni da parte del capitano ventenne – identificata solo come “Karni” – che le è stato ordinato da un soldato “in preda al panico” di aprire il fuoco sulle case del kibbutz Holit, indipendentemente dal fatto che contenessero o meno dei civili.
Dieci israeliani sono stati uccisi a Holit il 7 ottobre; tra i morti non c’erano bambini.
“Il soldato mi ha indicato e mi ha detto: “Spara lì – i terroristi sono lì””, ha raccontato il capitano nel filmato appena pubblicato, sottolineando che quando ha chiesto “ci sono civili lì?”, il suo connazionale ha risposto semplicemente “non lo so” e le ha ordinato di “sparare” comunque un colpo di carro armato contro gli edifici.
Alla fine, ha ricordato, “ho deciso di non sparare” perché “questa è una comunità israeliana”. Invece, ha aggiunto, “ho sparato con la mia mitragliatrice contro una casa”.
Mentre il governo israeliano e il suo esercito di propagandisti internazionali hanno incolpato solo Hamas per una serie di macabre uccisioni il 7 ottobre, insieme ad affermazioni infondate di stupri, torture e decapitazioni di bambini, i commenti nel rapporto di N12 si aggiungono a un crescente corpo di prove che dimostrano che i bombardamenti dei carri armati israeliani sono responsabili di molte delle vittime subite nei kibbutzim israeliani. Secondo i soldati intervistati, tra gli altri uccisi dalla compagnia di carri armati in questione ci sono presunti miliziani palestinesi ai quali dicono di averli schiacciato a morte il loro veicolo.
“Il mio autista vede due terroristi sulla strada e lo segnala”, racconta il capitano al suo intervistatore N12. Quando “le dico di investirli, lei si limita a investire i terroristi e passa oltre”, spiega allegramente.
La compagnia femminile di carristi sembra essere stata addestrata sui veicoli meno avanzati dell’arsenale israeliano e le sono stati affidati solo compiti di difesa dei confini. Nel caos dell’assalto di Hamas del 7 ottobre, sono state costrette a salire su veicoli più avanzati, dotati di un sistema di armi a controllo remoto (RCWS).
Nel rapporto dell’N12, il generale di brigata Raviv Mahmia ha ammesso che affrontare una banda di miliziani nel Kibbutz Holit è stato un compito “molto complesso” per il quale le giovani carriste “per molti versi… non erano addestrate a combattere”.
“Hanno sparato nelle comunità israeliane, guidando su strade normali”, ha osservato.
Imbavagliare i prigionieri israeliani liberati per salvare la narrazione
Le rivelazioni secondo cui le truppe israeliane avrebbero ricevuto l’ordine di aprire il fuoco indiscriminatamente sulle comunità israeliane arrivano mentre i servizi di sicurezza del Paese compiono sforzi disperati per controllare la narrazione della guerra di Gaza.
A seguito di un accordo di cessate il fuoco temporaneo che ha visto decine di prigionieri ebrei rilasciati da Gaza a partire dal 24 novembre, il Canale 12 di Israele ha rivelato che le autorità di Tel Aviv hanno istituito nuove regole che richiedono che gli israeliani liberati siano strettamente monitorati quando rilasciano interviste.
I prigionieri liberati dalla custodia di Hamas “dovranno ricevere una stretta supervisione e saranno istruiti su cosa dire ai media e cosa no”, ha chiarito il rapporto.
Al momento della pubblicazione, nessuno degli israeliani liberati di recente aveva parlato pubblicamente con i media. Le apparizioni dei prigionieri sui media israeliani sono diventate sempre più rare dopo il rilascio di Yochaved Lifshitz, 85 anni, che è stata aspramente criticata per aver stretto la mano a uno dei suoi custodi di Hamas e aver riconosciuto che “ci hanno trattato con gentilezza”.
I recenti commenti di una parente di un’altra anziana donna israeliana rilasciata il 24 novembre, Ruth Munder, sembrano convalidare questa tesi.
Descrivendo il periodo trascorso dagli israeliani a Gaza, il familiare ha detto: “Fortunatamente, non hanno vissuto esperienze spiacevoli durante la loro prigionia; sono stati trattati in modo umano”.
I recenti commenti di un parente di un’altra anziana donna israeliana rilasciata il 24 novembre, Ruth Munder, sembrano convalidare questa tesi.
Descrivendo il periodo trascorso dagli israeliani a Gaza, il familiare ha dichiarato: “Fortunatamente, non hanno vissuto esperienze spiacevoli durante la loro prigionia; sono stati trattati in modo umano”.
“Contrariamente ai nostri timori”, Munder “non ha incontrato le storie orribili che avevamo immaginato” e, alla fine, i custodi dei prigionieri “non hanno fatto loro del male”, ha dichiarato il familiare al quotidiano israeliano Jerusalem Post.
Allo stesso modo, la sorella di un lavoratore tailandese preso in ostaggio a Gaza ha raccontato ai media internazionali che suo fratello è stato “trattato molto bene” e “sembrava felice” quando è stato rilasciato.
Un ospite del canale israeliano Channel 13 News ha riconosciuto che “è importante ricordare che molti hanno accusato [l’ex prigioniera israeliana] Yochaved Lifschitz [di slealtà], ma lei ha dichiarato proprio queste cose. Ha subito un cattivo trattamento ed è stata descritta come causa di un significativo danno mediatico, accusata di mentire a causa della prigionia del marito, che Hamas l’ha influenzata, facendole il lavaggio del cervello prima del suo rilascio. Ma ogni parola che ha detto era vera, e queste persone fanno le stesse affermazioni”.
Al momento di lasciare Gaza per Israele, la prigioniera israeliana Danielle Aloni ha lasciato una lettera ai suoi carcerieri di Hamas ringraziandoli per ” il senso di umanità ineguagliabile che avete mostrato verso di me e verso mia figlia Emilia. Siete stati come genitori per lei, invitandola nella vostra stanza ogni volta che lo desiderava”.
Ha concluso esprimendo gratitudine per “l’atto gentile che avete mostrato qui nonostante la difficile situazione che stavate affrontando voi stessi. E per le difficili perdite che vi hanno colpito qui a Gaza. Vorrei che in questo mondo potessimo essere amici”.
Durante il periodo di prigionia, Aloni è apparsa in un video in cui lacerava Netanyahu per la sua incapacità di negoziare il suo rilascio e quello degli altri ostaggi.
Sebbene il governo israeliano possa sostenere che Aloni sia stata costretta a scrivere la lettera sotto estrema costrizione, non le ha ancora permesso di parlare pubblicamente della sua esperienza a Gaza.
ANPI naz: BASTA con la strage degli innocenti
“La Segreteria nazionale ANPI lancia un appello alle istituzioni, ai partiti, ai sindacati, alle associazioni, perché, al di là di qualsiasi orientamento ideologico, si intervenga subito per far cessare il massacro di palestinesi in corso da mesi e per impedire l’ennesimo bagno di sangue che avverrà con l’annunciato attacco alla città di Rafah, nella striscia di Gaza al confine con l’Egitto, dove si è concentrato più di un milione di abitanti di Gaza, costretti a rifugiarsi dopo l’invasione e i bombardamenti israeliani.
L’orribile massacro, dall’ANPI immediatamente condannato, perpetrato da Hamas nei confronti di civili israeliani il 7 ottobre 2023, non giustifica affatto l’immane strage in corso: più di 28mila morti, circa 70mila feriti: donne, bambini, giornalisti, medici, personale dell’ONU.
Facciamo nostri:
• il documento proposto da tante voci ebraiche, fra cui il giornalista Gad Lerner, le scrittrici Edith Bruck e Livia Tagliacozzo, lo storico Carlo Ginzburg, in cui si afferma che “i massacri di civili perpetrati a Gaza dall’esercito israeliano sono sicuramente crimini di guerra; sono inaccettabili e ci fanno inorridire”;
• l’ordinanza dalla Corte di Giustizia Internazionale che impone al governo israeliano di adottare “tutte le misure in suo potere per impedire atti di genocidio a danno dei palestinesi di Gaza”;
• la dichiarazione del Segretario generale dell’ONU Guterres per cui “solo una pace negoziata che soddisfi le legittime aspirazioni nazionali sia dei palestinesi che degli israeliani, la visione a lungo termine di una soluzione a due Stati, può portare stabilità a lungo termine al popolo di questa terra e del Medio Oriente”.
Denunciamo gli atti criminali del governo ultranazionalista di Netanyahu e le affermazioni di tante personalità israeliane: il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha dichiarato: “Stiamo mettendo Gaza sotto assedio completo. Non avranno elettricità, non avranno cibo, non avranno acqua, non avranno carburante, chiuderemo tutto. Stiamo combattendo contro animali umani e ci comporteremo di conseguenza”; diversi deputati del Likud – il partito nazionalista israeliano – hanno dichiarato di voler spazzare via i palestinesi da Gaza; addirittura il ministro del patrimonio Amihai Elyahu, a domanda sull’uso dell’arma atomica su Gaza, ha risposto. “È una possibilità”.
Non possiamo chiudere gli occhi davanti a tutto ciò: siamo in presenza della violazione di tutti i diritti di cui l’occidente democratico e il nostro Paese si fanno portabandiera.
Per questo lanciamo un appello per una mobilitazione generale e urgente per fermare la carneficina, per la fine dell’occupazione, per l’autodeterminazione del popolo palestinese, per la prospettiva indilazionabile di due popoli in due Stati, pacifici, autonomi e sicuri”.
13 febbraio 2024
https://www.anpi.it/basta-con-la-strage-degli-innocenti-mobilitiamoci-contro-il-massacro-dei-palestinesi-due-popoli-due