La salute lombarda è solo merce
Intervista di Olivier Turquet a Vittorio Agnoletto. A seguire “Lettera a Speranza sulla Riforma sanitaria Moratti/Fontana” e gli articoli di Francesca Del Vecchio e Vittorio Agnoletto
(Foto di Medicina Democratica)
Agnoletto: in Lombardia la salute è stata trasformata in merce
Intervista di Olivier Turquet – da Pressenza
Vittorio Agnoletto è stato inserito dalla rivistaSanità Informazione fra i 10 professionisti della scienza che nel 2021 hanno avuto un impatto nellalotta alla pandemia; è il portavoce italiano della campagna europea No profit on Pandemic; facciamo con lui il punto della situazione.
Come sta andando la campagna e quali sono le prospettive?
La campagna nessun profitto sulla pandemia diritto alla cura si sta ampliando continuamente ed è sostenuta dalla società civile di tutta Europa. E’ evidente che oggi ha acquisito ancora maggiore importanza che nel passato; la vicenda della variante Omicron dimostra che lì dove non arrivano i vaccini è più facile che si sviluppi una variante maggiormente aggressiva che poi circola in tutto il mondo e noi non sappiamo quanto i vaccini che stiamo utilizzando saranno in grado di bloccare quella variante. Per esempio, oggi stiamo sperimentando che i vaccini disponibili sono efficaci in misura ridotta contro Omicron; sono migliaia e migliaia le persone vaccinate che comunque si sono infettate, anche se sembra fortunatamente che Omicron sia meno aggressivo della variante Delta. Ma questa situazione ci manda un segnale per il futuro: se arriveranno altre varianti maggiormente aggressive non è detto che i vaccini riusciranno a fermarle.
L’obiettivo che noi abbiamo adesso come campagna europea è lo stesso che hanno i movimenti di tutto il mondo: chiedere che l’Organizzazione Mondiale del Commercio si riunisca; la riunione prevista per il 30 novembre è stata rinviata a causa dell’impossibilità delle delegazioni di raggiungere Ginevra per via delle limitazioni sui voli a causa di Omicron; noi siamo sicuri che la decisione di sospensione momentanea dei brevetti possa essere assunta anche in una riunione online nella quale venga accolta la proposta di India e Sudafrica per una moratoria di tre anni. Nel frattempo, bisogna fare il possibile per modificare la posizione della Commissione Europea che è tale perché è sostenuta da diversi governi europei tra i quali Germania, Francia e Italia. Quindi il nostro governo ha un’enorme responsabilità e questo è il motivo anche dell’appello che, l’ultimo dell’anno, ho rivolto al Presidente del Consiglio Draghi chiedendogli un atto formale del Governo Italiano di appoggio alla proposta di moratoria, votato in Parlamento, approvato in Consiglio dei Ministri e formalizzato all’interno delle istituzioni europee.
A proposito del governo: un tuo commento sugli ultimi provvedimenti e sulla sua strategia generale.
Spesso sembra che le decisioni assunte dal governo rispondano a meccanismi di compatibilità politica dei partiti che formano il governo e alle pressioni di Confindustria ed altri settori economici.
Per esempio, la decisione di cancellare la quarantena per chi è venuto in contatto stretto con un positivo e ha fatto tre dosi di vaccino o greenpass rafforzato da meno di 4 mesi risponde a valutazioni politiche del governo ed è comprensibile che incontri il plauso di molte persone attualmente rinchiuse in casa. Ma dal punto di vista scientifico non ha alcuna giustificazione: gli oltre 126 mila positivi identificati qualche giorno fa, in sole 24h, non sono certamente stati tutti contagiati da non vaccinati e inoltre, a differenza di quanto avviene per i ricoverati in terapia intensiva e per i deceduti, per i positivi non vengano fornite le percentuali tra vaccinati e non vaccinati.
Ad infettarsi con la variante Omicron sono anche moltissime persone vaccinate tre volte, le quali, se è vero che raramente evolvono verso le fasi avanzate della malattia è altrettanto vero che diventano potenziali involontari propagatori dell’infezione. Con Omicron il massimo dell’infettività si ha nei 2-3 giorni precedenti alla comparsa dei sintomi e nei 2-3 giorni successivi; dal punto di vista scientifico avrebbe avuto quindi più senso ridurre il tempo di isolamento per chi è risultato positivo ma asintomatico e ridurre, senza azzerarla, la quarantena per i contatti. Ma a prevalere non sono state le considerazioni sanitarie ma le ragioni dell’economia o meglio dei padroni dell’economia e il rischio di veder crescere ulteriormente i positivi e di conseguenza i ricoverati e i deceduti è concreto.
Il comitato tecnico-scientifico conosce queste evidenze e avrebbe dovuto considerarle; chi governa deve compiere delle scelte e assumersene le responsabilità senza però piegare la scienza ai suoi obiettivi.
Ma soprattutto è sbagliato pensare una strategia centrata solo sui vaccini: i vaccini svolgono un ruolo fondamentale, ma per bloccare o limitare la diffusione del virus da soli non sono sufficienti. E’ necessario insistere sul distanziamento, sull’uso delle mascherine che avevano raggiunto prezzi esorbitanti (prima che il governo finalmente stabilisse un prezzo fisso), rendere gratuiti i tamponi (il cui costo reale è di pochi euro) in modo tale che le persone possano sapere subito se sono infette. Sono misure di sanità pubblica fondamentali. Se invece i tamponi non si trovano e bisogna andare dai privati e pagarli 100-170€ e fare sei ore di coda in piedi al freddo, è evidente che meno persone andranno a fare il tampone e quindi rischieranno di infettare altri.
Ci sono anche altre misure di sanità pubblica che avrebbero dovuto essere praticate; hanno avuto un tempo lunghissimo per aumentare il numero dei mezzi di trasporto urbani e interurbani, ma nulla è stato fatto; avrebbero dovuto: potenziare il servizio di medicina del lavoro per andare almeno a verificare l’uso dei dispositivi di protezione individuale e il rispetto del distanziamento; incentivare lo smart working anziché criminalizzarlo; sdoppiare le classi pollaio, cercare altre aule, modificare gli orari. Nulla di tutto questo.
Per non parlare del fatto che ormai da oltre un mese si è totalmente rinunciato al contact tracing, cioè si è rinunciato a inseguire il virus. Tutta l’attività di medicina territoriale è stata ridotta ai minimi termini, i medici di famiglia sono stati totalmente abbandonati a se stessi.
Si punta solo e unicamente sul vaccino, ma il vaccino moltiplicherebbe la sua utilità se fosse inserito in una complessiva strategia di sanità pubblica.
La pandemia ha messo in evidenza tutte le decadenze di un sistema sanitario privatizzato: dove chiediamo di intervenire con forza per evitare futuri disastri?
Il disastro che una regione come la Lombardia ha sperimentato nella prima fase della pandemia, ma che sta sperimentando anche adesso, non è un fatto isolato: la Lombardia è semplicemente una delle regioni in Europa dove maggiormente il liberismo è penetrato all’interno della sanità e dove la salute è stata trasformata in merce. Fino a prima della pandemia era il modello a cui guardavano alcune forze politiche non solo di destra, ma anche che si collocano nel centro-sinistra.
Perché c’è stato il fallimento del modello lombardo e si sono evidenziati enormi limiti anche a livello nazionale nelle strategie di contrasto alla pandemia? I motivi sono tanti.
Primo: la forte penetrazione delle strutture private all’interno del servizio sanitario pubblico attraverso i meccanismi di accreditamento; il privato quando interviene in sanità, come in qualunque altro settore, ha l’obiettivo di costruire i profitti e questi in sanità si costruiscono sui malati e sulle malattie non sulle persone sane e sulla salute. Ha quindi un obiettivo diverso da quello del servizio sanitario pubblico in cui più si riesce a prevenire, più si riduce il numero dei malati e delle malattie, più lo Stato, cioè noi, risparmiamo. La conseguenza di questa forte presenza del privato nel servizio sanitario pubblico è che quest’ultimo si è andato modellando sempre più a somiglianza del modello privato, scegliendo di abbandonare a se stessi i servizi di prevenzione e la medicina territoriale, ignorando l’epidemiologia, non aggiornando il piano pandemico e lasciando unicamente sulla carta, ma non nella realtà, un piano di allert che fosse in grado di attivare immediatamente le necessarie indagini sanitarie ogni volta che giungesse dai medici del territorio la segnalazione della comparsa di una nuova patologia o il moltiplicarsi, senza un’apparente ragione, di alcuni quadri clinici.
Secondo: noi abbiamo un servizio sanitario concentrato quasi unicamente sulla cura e con un approccio totalmente individualizzato; la prevenzione quasi non esiste. La medicina negli ultimi 30-40anni ha avuto come obiettivi fondamentali aumentare l’attesa di vita e il numero di giorni trascorsi senza malattia degli ultrasessantacinquenni. Si è cercato di realizzare questi obiettivi unicamente attraverso interventi personalizzati puntando sullo sviluppo della chirurgia e di nuovi farmaci. Oggi, di fronte a una pandemia si riduce il numero dei morti se si interviene il prima possibile per evitare che l’agente infettivo si diffonda, limitandone la diffusione; per fare questo è necessario un rapporto stretto tra il servizio sanitario e la popolazione, tra i professionisti della salute e le strutture sociali intermedie, perché se si devono modificare dei comportamenti dei cittadini è fondamentale un rapporto stretto con le strutture organizzate nella società. Questo riguarda la pandemia, ma anche l’impatto delle tematiche ambientali sulla salute, dei tumori ecc. E’ necessario cambiare il paradigma della medicina.
Oggi bisogna potenziare la medicina di comunità che è fondata sull’individuazione dei bisogni sanitari di ogni popolazione, l’elaborazione di un progetto sanitario, l’individuazione degli obiettivi prioritari con la conseguente capacità di andare a verificare se questi obiettivi sono raggiunti o meno. Riprendere per capirci alcune delle intuizioni di “Nemesi Medica” di Ivan Illich.
Se tutto questo non ci sarà, e così sembra da come vengono individuate le priorità sanitarie con i fondi del PNRR, rischieremo, nel caso di una nuova pandemia, di trovarci una situazione molto simile a quella attuale.
E’ risultato molto controverso il tema della vaccinazione a adolescenti e bambini. Quale la tua opinione a riguardo?
Nell’ultimo mese è stata fatta una campagna a tamburo battente perché venissero vaccinati i bambini dai 5 agli 11 anni; a fronte di una posizione assolutamente decisa in questa direzione della Società Italiana di Pediatria altre società pediatriche come quelle francese, tedesca, norvegese e varie realtà scientifiche europee hanno assunto posizioni molto diverse. Qual è il punto? Di fronte ad ogni provvedimento si devono valutare i rischi e i benefici per ogni specifica popolazione: i bambini ad oggi certamente si infettano, ma è rarissimo che sviluppino dei sintomi ed è ancora più raro che possono evolvere verso malattia grave; dall’inizio della pandemia i bambini tra i 5 e gli 11 anni deceduti per Covid sono 9 e nella quasi totalità erano bambini con altre gravi precedenti patologie. L’infezione da Coronavirus-19 nei bambini si presenta in genere in modo completamente asintomatico e sono rarissime e comunque clinicamente trattabili, altre patologie infiammatorie che si potrebbero sviluppare nei bambini a causa del Covid.
D’altra parte, la sperimentazione presentata dalla Pfizer ha coinvolto un numero estremamente limitato di bambini, poco più di 2,000, ed è durato pochi mesi; infatti la stessa Pfizer in un suo documento afferma “Il numero di partecipanti all’attuale programma di sviluppo clinico è troppo piccolo per rilevare eventuali rischi potenziali di miocardite associati alla vaccinazione. La sicurezza a lungo termine del vaccino COVID-19 nei partecipanti da 5-12 anni di età sarà studiato in 5 studi sulla sicurezza dopo l’autorizzazione, compreso uno studio di follow-up di 5 anni per valutare a lungo termine sequele di miocardite/pericardite post-vaccinazione” ; queste frasi sono presenti nel documento che l’azienda farmaceutica ha consegnato a EMA e a FDA (gli enti che in Europa e negli USA approvano l’immissione sul mercato di farmaci e vaccini). Stiamo parlando di una popolazione, i bambini, il cui organismo è in una fase di grande crescita e sviluppo, con caratteristiche differenti dal corpo di un adulto; il principio di precauzione non può essere ignorato.
Non mi pare quindi che per la popolazione tra i 5 e gli 11 anni vi siano forti evidenze che i benefici superino i rischi.
Vari colleghi, pur condividendo queste mie perplessità, obiettano che si debbano vaccinare i bambini per evitare che costoro poi infettino gli adulti; ma in questo caso l’obiettivo prioritario dovrebbe essere quello di raggiungere i milioni di adulti che non si sono vaccinati e di convincerli.
La logica di vaccinare i bambini per evitare che trasmettano l’infezione ad un adulto, al di là delle possibili valutazioni etiche, perde gran parte delle sue ragioni, di fronte ai i dati di questi giorni, con migliaia di persone vaccinate che si sono infettate. Il vaccino è invece estremamente utile nel bloccare la progressione della malattia nelle persone positive; per questo l’obiettivo prioritario deve restare quello di vaccinare tutti coloro che potenzialmente potrebbero evolvere verso le fasi avanzate della malattia e come abbiamo detto, i bambini sono quelli che rischiano molto meno di tutti gli altri.
Questo non significa rifiutare a priori la vaccinazione dei bambini, ma aspettare che siano pubblicati i risultati di ricerche più vaste e più approfondite.
Ad oggi si potrebbe proporre la vaccinazione a tutti i bambini che hanno delle fragilità o delle altre gravi patologie, per i quali il Covid potrebbe rappresentare un rischio significativo.
Resto perplesso quando vedo gran parte del mondo scientifico italiano invocare, senza porsi nessun interrogativo scientifico e senza valutare i pro e i contro, la vaccinazione dei bambini come una delle soluzioni alla situazione attuale, mentre mi pare evidente che le priorità per contrastare il virus, oggi dovrebbero essere altre.
Ultima questione. Sono fermamente convinto che tutte le società scientifiche che sono chiamate a pronunciarsi, a fornire indicazioni, ad elaborare linee guida sulle terapie non dovrebbero ricevere fondi da aziende farmaceutiche che producono farmaci relativi alle patologie delle quali loro si occupano. Sarebbe un importante contributo per un dibattito più trasparente al riparo da qualunque conflitto d’interesse.
https://www.pressenza.com/it/2022/01/agnoletto-in-lombardia-la-salute-e-stata-trasformata-in-merce/
Lettera a Speranza, Riforma sanitaria Moratti/Fontana: il Gattopardo lombardo non rispetta le indicazioni di Agenas e va respinta dal Governo
COMUNICATO STAMPA
Inviata oggi una lettera al Ministro della Salute Roberto Speranza affinchè respinga la legge 22/2021, la riforma Moratti -Fontana perchè non rispetta le indicazioni date da lui attraverso Agenas e potrà peggiorare le condizioni di criticità della sanità lombarda.
Milano, 27.12.2021 .“Abbiamo inviato in data odierna una lettera al Ministro della Salute Roberto Speranza perché da una lettura puntuale della Legge 22/2021 la non riforma Moratti -Fontana, in ‘riforma’ della Legge Maroni (23/2015), risulta evidente che quanto da lui richiesto tramite Agenas (lettera del 16.12.2020) non è stato attuato, pertanto la legge va respinta dal Governo, ai sensi dell’art. 127 della Costituzione della Repubblica”, ha dichiarato Marco Caldiroli, presidente nazionale di Medicina Democratica, anche a nome del Coordinamento Regionale per il diritto alla salute – Dico 32 e delle 57 associazioni e organizzazioni lombarde che hanno ripetutamente manifestato durante l’iter di discussione della legge per il rilancio della sanità pubblica e territoriale. “Le modifiche sono gattopardesche, di fatto il cambiamento è puramente fittizio, anzi le modifiche andranno a creare ulteriori squilibri organizzativi, che non potranno che peggiorare l’accesso ai servizi sanitari fondamentali: si assisterà a un aggravamento complessivo per esempio rispetto alle liste di attesa e alle possibilità reali di cura per le fasce di popolazione più svantaggiate e per i redditi più bassi”.
Lo scenario che si prospetta è drammatico: chi ha i soldi e ha possibilità di accesso ad assicurazioni sanitarie o a welfare aziendale avrà un accesso privilegiato nel privato e potrà curarsi, per tutti gli altri sarà sempre più problematico e difficile, con gravi conseguenze sulla salute pubblica.. La sanità lombarda rischia in questo modo di diventare un pessimo modello anche per le altre regioni, tanto più in una prospettiva di autonomia differenziata. “Il documento Agenas dava prescrizioni e raccomandazioni puntuali- sottolinea Angelo Barbato, presidente del Forum per il Diritto alla Salute, anche a nome del Coordinamento Regionale per il diritto alla salute – Dico 32- che la legge non attua. Tra quelle principali: la confusa frammentazione di competenze tra ATS e ASST permane e viene resa ancora più evidente nel campo della programmazione; la funzione dei distretti non corrisponde a quanto richiesto; risultano inoltre ancora inefficaci le modalità di controllo degli erogatori privati accreditati”.
Nella lettera al Ministro della Salute viene presentata una analisi delle criticità evidenziate da Agenas, che non vengono risolte ma anche ulteriormente appesantite: il Coordinamento Regionale per il diritto alla salute – Dico 32 ritiene che vi siano le condizioni per il rinvio da parte del Ministero della legge 22/2021 al Consiglio Regionale della Lombardia per aprire un percorso legislativo di vera riforma del servizio sanitario regionale, superando squilibri tra pubblico e privato e potenziando la medicina territoriale con servizi partecipati e coerenti, con una programmazione basata su obiettivi collettivi di prevenzione, cura e riabilitazione, alla base della riforma sanitaria del 1978.
https://www.medicinademocratica.org/wp/?p=12725
Via libera alla riforma della Sanità lombarda, che come prima punta sul privato – Francesca Del Vecchio
Con 48 voti a favore e 26 contrari il Consiglio regionale approva il provvedimento dell’assessora Letizia Moratti, insorgono le opposizioni. Vittorio Agnoletto: «È il funerale della sanità pubblica»
di Francesca Del Vecchio (*)
Regione Lombardia dice sì alla riforma sanitaria griffata Letizia Moratti: 48 i voti a favore, 26 i contrari in Consiglio regionale, dove viene licenziato un testo fotocopia di quello proposto dalla Giunta e già approvato in Commissione Sanità lo scorso 27 ottobre. 16 giorni di discussione, convocazioni domenicali – andate buca per mancanza dei numeri legali (per colpa del centrodestra) – espulsioni di consiglieri e proteste per un «voto scontato», come ha subito precisato il Pd lombardo. L’ok conclusivo alla legge è «il funerale della sanità pubblica», come definito da Vittorio Agnoletto che era già sceso in piazza contro questa riforma insieme a Medicina Democratica e altre associazioni.
La revisione della legge regionale n.23 del 2015, conosciuta come legge Maroni, vale circa 2,7 miliardi di euro; cifre che andranno a ingrassare ulteriormente il comparto sanitario privato.
«Questa legge non rimedia agli errori del passato, né rispetto all’eccessiva deregulation pubblico/privato di Formigoni, né riguardo la distruzione della medicina di territorio di Maroni – spiega il medico e consigliere di +Europa-Radicali, Michele Usuelli – Sulla medicina territoriale, non si è neppure stati in grado di copiare quanto previsto nel Pnrr dal governo».
Proprio a proposito di Pnrr, Marco Caldiroli, presidente di Medicina Democratica, entra nel dettaglio: «Hanno fatto finta di inserire gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza – case di comunità, ospedali di comunità e assistenza domiciliare integrata – mettendo però un piccolo codicillo che dice che tutto ciò sarà aperto al privato», spiega Caldiroli. «Un altro passo verso un ulteriore sbilanciamento. In questo caso, dando anche la medicina territoriale e di prossimità in pasto ai privati».
C’è un altra cosa che finirà definitivamente nel business sanitario: l’assistenza mutualistica assicurativa del welfare aziendale. In poche parole: adesso un lavoratore può iscriversi a forme mutualistiche convenzionate con la propria azienda a prezzi bassi uniformati «per ottenere la prestazione sanitaria in regime privato senza passare dalle lungaggini del pubblico. Quello che hanno in testa in Regione – aggiunge Caldiroli – è invece di aprire delle corsie preferenziali a chi è iscritto a queste mutue di carattere paritetico. Quindi, ci saranno delle strutture in cui il lavoratore con questa forma mutualistica sarà facilitato rispetto ad altri. Si crea così un mercato differenziato delle persone a seconda del tipo di tutela assicurativa. Tutto con il placet di Regione».
Caldiroli ha molti dubbi anche sull’assistenza territoriale ai malati, per esempio i cronici, «trattati più come clienti, che come persone e pazienti» e sulla gestione delle liste d’attesa: «Non si può continuare ad avere due Cup distinti. Bisognerebbe uniformare come chiesto da tempo e renderlo operativo, nonostante l’ostruzionismo dei privati». Non ha dubbi, dunque, sulla ricetta da adottare: «Guardare indietro e ripescare i principi base su cui si fondava la legge sanitaria della Lombardia del ‘78: necessitarismo di accesso, partecipazione, medicina territoriale e gratuità».
Ovviamente critici e delusi dall’esito dell’Aula anche gli esponenti della minoranza dem in consiglio regionale: «In questi anni – ha detto Fabio Pizzul, capogruppo Pd – hanno separato il sanitario e il socio-sanitario, ospedale e territorio, medici di medicina generale e sistema sanitario, pubblico e privato, ricchi e poveri». Qualcuno nella minoranza, comunque, comincia a guardare al prossimo voto regionale lanciando dardi infuocati all’indirizzo di Fontana & co.: «Pagherete la vostra arroganza nel 2023».
(*) dal quotidiano «il manifesto» del 1.12.2021
Il bazar della Riforma Moratti, funerale del Servizio Sanitario Lombardo – Vittorio Agnoletto
Se la Lombardia fosse uno stato indipendente, come chiedeva Umberto Bossi, oggi sarebbe al 7° posto nel mondo come numero di morti per Covid in relazione agli abitanti: 343/100.000; nella prima fase della pandemia, la Lombardia era addirittura al primo posto: una tragedia nella tragedia, nella regione che si vanta di avere il miglior servizio sanitario del Paese.
Un modello di sanità portato in palmo di mano non solo dalla destra, ma anche da settori del centrosinistra.
In Lombardia circa il 40% della spesa sanitaria corrente è destinata alle strutture private convenzionate.
Per il privato, come in qualunque altro settore, l’obiettivo è fare profitti, ma in questo caso i profitti si fanno sulle malattie e sui malati, non sulle persone sane, quindi, la prevenzione per i privati è solo una pericolosa concorrente. Il privato sceglie i settori nei quali investire: non il pronto soccorso, né il dipartimento d’emergenza, ma la cura delle patologie croniche e la specialistica di alto livello.
Al contrario, il servizio pubblico più previene, meno persone si ammalano, più risparmia; ma in Lombardia (e non solo) il servizio pubblico da oltre venticinque anni è gestito con la stessa logica e i medesimi obiettivi del privato.
LA SPESA È ORIENTATA verso una medicina unicamente curativa, la parte del leone la fanno gli interventi di altissima specialità e le cure di ultima generazione, spesso ancora inserite nei trial di sperimentazione; queste eccellenze richiamano malati da ogni parte d’Italia, ma per le caratteristiche e per i costi che hanno (una terapia oncologica con gli ultimi farmaci può superare i 100.000 euro) possono riguardare un numero limitato di persone spesso curate in strutture private convenzionate, le quali si aggiudicano gran parte dei finanziamenti.
In assenza di una programmazione sanitaria pubblica a farne le spese, è stata la medicina preventiva e le strutture territoriali ridotte al minimo, private del personale e delle risorse necessarie: dalla carenza dei medici di medicina generale, all’esiguità dell’assistenza domiciliare, alle liste di attesa lunghe talvolta anche un anno, alla chiusura dei servizi di psichiatria, alla insufficienza di quelli dedicati ai minori, alla mancanza di personale nella medicina del lavoro ecc.
Un sistema sanitario così organizzato non è stato in grado e non lo sarà in futuro, di contrastare una pandemia che si deve fronteggiare innanzitutto sul territorio in uno stretto rapporto tra popolazione e strutture sanitarie.
La scadenza istituzionale che obbligava la Lombardia a modificare la legge sulla sanità poteva rappresentare un’occasione unica per modificarne l’impianto, facendo tesoro della dura lezione impartita dalla pandemia.
NULLA DI TUTTO QUESTO. La legge Moratti/Fontana approvata il 30 novembre va nella direzione opposta. Stabilisce ”l’equivalenza delle strutture pubbliche e private accreditate” questo significa che il pubblico, con i suoi doveri e vincoli, farà da supporto al privato che potrà scegliere dove e come collocarsi;
- vengono istituiti i distretti sanitari, ma le Case e gli ospedali di comunità potranno essere gestite dai privati che le utilizzeranno per indirizzare i cittadini verso le loro strutture di diagnosi e cura;
- la programmazione rimane inesistente e non inciderà nel selezionare la presenza del privato dentro il servizio pubblico, tutto sarà trasformato in un grande bazar nel quale ogni mercante presenta la sua merce: chi potrà acquisterà, gli altri si arrangeranno con attese di mesi e mesi;
- l’impostazione rimane ospedalocentrica, prevenzione e medicina territoriale continueranno a far la parte di Cenerentola, l’epidemiologia e i piani pandemici restano fantasmi;
- rimangono sia le ATS, Agenzie di Tutela della Salute (dovrebbero essere le ASL) che le ASST, le Aziende Socio sanitarie Territoriali, in un’enorme confusione di ruoli, ma con una pletora di posti da dirigente da distribuire secondo i noti criteri di fedeltà politica;
- nulla cambia nella gestione delle RSA quasi completamente in mano ai privati;
- viene lasciato grande spazio alle assicurazioni private con è il rischio che in futuro potranno utilizzare percorsi riservati di accesso al Servizio Sanitario…
Lo scenario futuro verso il quale ci stanno portando è evidente: la possibilità di curarsi dipenderà dal proprio portafoglio e dall’assicurazione privata, per gli altri rimarrà solo una limitata assistenza sanitaria di base.
LA PARTITA NON È CHIUSA; in Lombardia si è costituito “Dico 32. Campagna per il diritto alla salute” che attorno ad una proposta di ventidue punti ha raccolto l’adesione di decine di associazioni e che è riuscita a chiamare alla mobilitazione tutto lo schieramento di opposizione, comprese quelle forze politiche che in regione negli anni passati non avevano certamente svolto un deciso ruolo di contrasto alle politiche di privatizzazione.
Questa non è una vicenda puramente lombarda; rappresenta uno dei punti più avanzati di penetrazione della logica liberista nel mondo sanitario; i nostri corpi sono trasformati in merce che genera enormi profitti e la vicenda dei brevetti sui vaccini per il Covid né un altro esempio.
Durante le trattative sul TISA, l’Accordo sul commercio dei servizi, rappresentanti di fondi finanziari hanno esplicitamente dichiarato che la sanità sarebbe l’ambito più redditizio per gli investimenti privati a condizione che “gli Stati, le Chiese e le opere caritatevoli si ritirino” lasciando libero il campo.
Ed è quello che sta accadendo.
Ma non è detto che debba finire così. Le competenze e le risorse umane per bloccare queste strategie ci sono e non sono poche, in Lombardia, in Italia e nel mondo.
(*) dal quotidiano «il manifesto» (02 dicembre 2021).