Frontiere di morte e speranze in movimento
Il 6 febbraio «Giornata Mondiale di lotta al regime di morte alle frontiere».
Con 4 link per scaricare «Benvenuti 2021», «Buchi neri», «La Fortezza Europa contro i diritti umani: storie e testimonianze dal confine bielorusso-polacco» e «Rapporto sulle condizioni socio-sanitarie di migranti e rifugiati negli insediamenti informali della città di Roma».
E ancora articoli e interviste di Roberta Ferruti e Yasmine Accardo.
Intervista a Gianfranco Schiavone (di Roberta Ferruti)
Gianfranco Schiavone è presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà-Ufficio Rifugiati. Tra i fondatori del sistema Sprar (Sistema nazionale di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), e dell’Asgi (Associazione studi giuridici sull’ immigrazione) è autore di numerose pubblicazioni in tema di diritto dell’immigrazione e protezione internazionale. Ma, soprattutto, è da anni un riferimento indispensabile per chi si occupa di migrazioni e accoglienza. Negli ultimi mesi ha partecipato con convinzione al “Tavolo Lo Sai?” (promosso da Europasilo, Refugees Welcome, Recosol, ma anche amministratori e studiosi) per trovare delle risposte concrete allo stallo in cui si trova l’accoglienza oggi in Italia. Con lui abbiamo cercato di tracciare un quadro sulle varie tappe e criticità del sistema attuale.
È trascorso un anno dall’approvazione delle modifiche ai decreti sicurezza, cosa è cambiato?
Sarebbe forse ingeneroso dire che a un anno esatto dalla promulgazione della legge 173 del 2020 non sia cambiato nulla. Credo che comunque questa legge è stata estremamente importante, ha prodotto alcuni cambiamenti anche se modesti ma soprattutto questi cambiamenti vanno letti guardando al complesso della situazione europea. È inquietante lo sfaldamento, con un forte aumento delle violazioni dei diritti fondamentali delle persone ai nostri confini esterni: la terribile vicenda al confine tra la Polonia e la Bielorussia ne è soltanto la più recente e violenta dimostrazione. Quindi la situazione italiana va sempre letta all’interno di questo contesto che volge verso una discesa del livello di rispetto dei diritti fondamentali e che segna probabilmente la sua storia in maniera indelebile. Da questo punto di vista e considerata la storia recente, l’Italia nell’ultimo anno ha forse reagito meglio di altri territori e la legge 173 ha avuto il suo ruolo.
Cosa intendi esattamente?
Pensiamo ai tre punti fondamentali. Il primo è una riscrittura delle disposizioni sui soccorsi in mare con un articolo che è stato anche giustamente criticato perché la migliore formulazione sarebbe stata l’integrale abrogazione delle modifiche introdotte dal decreto Salvini. Comunque la nuova norma precisa le disposizioni per gli interventi di soccorso in mare, il rispetto dei diritti fondamentali delle persone così come prevede il principio di non respingimento e l’obbligo appunto di soccorrere sempre e comunque. Questo, come sappiamo, non avviene nella realtà, ma insomma diciamo che ora abbiamo un sia pur timido miglioramento rispetto all’epoca precedente. Il secondo aspetto fondamentale in senso migliorativo delle misure introdotte dalla legge 173 riguarda la protezione speciale, cioè il ripristino di quel terzo status di protezione che oggi consente al nostro paese di dare attuazione, forse non del tutto completa, all’articolo 10 della Costituzione configurando il diritto d’asilo come un diritto soggettivo da riconoscere allo straniero che si trova in condizioni di mancato esercizio delle libertà fondamentali. Quindi in situazioni molto diverse e più ampie da quelle previste dalla nozione di protezione internazionale. In particolar modo per come è stata riformulata la nozione di protezione speciale in relazione ai divieti di respingimento e di espulsione, a seguito dell’obbligo di rispettare la vita privata e familiare, questa previsione è decisamente innovativa.
Una protezione speciale a tutto tondo?
In un certo senso sì. Si tratta di una sorta di divieto di sradicamento, o diritto di radicamento delle persone che si sono costruite in qualunque modo una vita in Italia e il cui allontanamento violerebbe la loro vita privata e familiare. Un modo diverso e molto più ampio di quello della legislazione precedente. La nuova norma pone il rispetto della vita privata e familiare all’interno del diritto d’asilo configurandolo, per l’appunto, come un diritto fondamentale che l’amministrazione e lo stato non possono violare. Possono soltanto agire con un allontanamento della persona, laddove ci siano esigenze molto forti di tutela dell’ordine pubblico. Situazioni molto particolari e gravi e non certo qualsiasi violazione dell’ordinamento che ha portato quella persona a ricevere delle sanzioni penali…
Benvenuti – [Marco Calabria, Gianluca Carmosino e Riccardo Troisi]
Viviamo anni in cui sempre più parole perdono di significato e il loro portato di idee. Una di queste parole, un verbo, è proteggere. Possiamo davvero continuare a pensare che siano i governi e gli Stati, come appaiono oggi, così poco amati e in declino, a proteggerci dalle grandi minacce del nostro tempo? Quello a essere protetta, in qualunque contesto, è un diritto fondamentale per ogni vita. Possiamo cominciare a immaginare espressioni organizzate della politica – magari comunitarie, cittadine, rurali, più vicine alle realtà locali di ogni giorno – potenzialmente capaci di farlo? Possiamo smettere di aggirarci come sonnambuli, l’espressione metaforica è di Arundhaty Roy, nei meandri dell’architettura di un capitalismo della sorveglianza che, una volta preso il controllo del nostro tempo e di ogni comportamento non assimilabile alla sua riproduzione, ci chiede anche di esserne felici? Possiamo provare a proteggerci l’una con l’altro da quell’architettura?
Libertà di movimento
Gli anni che passano si portano via una cosa dopo l’altra. Quello che si avvia a conclusione mostra in prima pagina, sul territorio italiano, certamente ancora il segno della pandemia e delle sue molteplici conseguenze, anche sul piano delle restrizioni delle libertà di movimento. Per quel che riguarda i migranti e i rifugiati (la distinzione è arbitraria, può avere senso solo in specifici contesti normativi), le persone limitate nei movimenti per eccellenza nel mondo contemporaneo, è stato un anno durissimo. Lo hanno segnato le vite stroncate in mare ma anche, in misura certo diversa, le detenzioni nei luoghi di concentrazione, su entrambe le sponde del Mediterraneo. Le detenzioni amministrative di persone che non hanno commesso reati sono state introdotte in Italia alla fine del secolo scorso, con una mostruosità giuridica. L’istituzione dei Centri di permanenza “temporanea”, con la legge Turco-Napolitano (1998), venne dettata, tra le altre cose, dal prevalere delle retoriche dell’invasione e dell’emergenza, generate in buona parte da scelte irresponsabili dei grandi mezzi d’informazione.
Logiche di emergenza
Oltre vent’anni dopo, il sistema di accoglienza italiano, ricucite solo in superficie le ferite prodotte dalla furia devastante dei decreti sicurezza introdotti dal primo governo Conte, è ancora largamente dominato dalle logiche di emergenza. Dal punto di vista giuridico, il concetto di emergenza non può essere disgiunto da eventi contingenti, dall’insorgere di particolari situazioni estreme che non ne permettono la gestione con leggi ordinarie. Dal punto di vista politico, in genere, le logiche di emergenza sono solite ostacolare o rendere impossibile il riconoscimento delle ragioni sociali e culturali che generano le crisi, le responsabilità ad esse connesse e gli interessi in gioco. Concentrano l’attenzione sugli effetti immediati di quel che accade, o si presume che accada. Poi tutto scivola via, nel rumore di fondo della palude mediatica.
Un paese di transito
Negli anni più recenti, la costruzione dell’emergenza è stata quasi sempre utilizzata dai poteri dominanti per introdurre logiche di controllo, segregazione e contenimento al fine di tutelare presunti interessi generali, leggasi nazionali. L’apporto mediatico a quella costruzione ha scandito spesso i tempi della costruzione dell’emergenza in modo intermittente, con periodi di sovraesposizione mediatica seguiti da lunghe pause di silenzio. Fino alla successiva emergenza. Ne consegue, con ogni evidenza, l’enorme difficoltà nella proposizione di interventi risolutivi o “strutturali”, capaci di produrre reali cambiamenti in profondità e alternative politiche che esulino dal contesto emergenziale. Non si tratta di errori di valutazione, sono strategie e consapevoli scelte politiche. L’Italia viene considerata un “paese di transito” incapace di accogliere ma soprattutto di includere (azione che, a differenza dell’integrare, comporta un cambiamento culturale profondo e non la “normalizzazione” dell’altro) nuovi cittadini soltanto perché sceglie di esserlo. Lo scelgono i suoi governi. Ogni giorno.
Benvenuti Ovunque
Nelle pagine che seguono, in questo nostro secondo Rapporto sull’accoglienza diffusa in Italia, intitolato con ostinazione “Benvenuti” – questa volta anche in dialogo vivo con i versi di Wole Soyinka, premio Nobel per la letteratura nel 1986, che trovate in controcopertina – c’è soprattutto una declinazione dettagliata, limitata per lo più ai problemi dell’accoglienza, della pervasività nefasta delle inossidabili logiche emergenziali. Quell’influenza malefica proviamo a raccontarla, giorno per giorno, settimana dopo settimana, nelle centinaia di articoli pubblicati ogni anno su “Benvenuti Ovunque”, la testata interna a Comune-info in cui raccogliamo l’informazione dedicata ai migranti, ai rifugiati e ai richiedenti asilo. E la raccontiamo qui, nei diversi approfondimenti sulle difficoltà cronicizzate che ostacolano anche solo il riavvio (dopo lo smantellamento salviniano) di un sistema pubblico marcato in profondità dal dominio del controllo delle prefetture e dall’impronta emergenziale.
L’accoglienza diffusa
L’intervista a Gianfranco Schiavone traccia un quadro molto preciso di un sistema che la legge indica come binario e la realtà delle volontà politiche fa pendere decisamente da una parte, la solita. Roberta Ferruti ci racconta invece le potenzialità e le capacità di resistenza di straordinarie esperienze di accoglienza diffusa, messe tenacemente in rete, malgrado cresca la criminalizzazione della solidarietà. È avvenuto a Riace, com’è a tutti noto, ma lo si vede anche al confine con la Slovenia, come spiega Gian Andrea Franchi nella conversazione con Rossella Marvulli. La registrazione video di un incontro molto ricco di sguardi plurali, che insieme compongono la trama della restituzione di dignità alla parola accoglienza, allarga lo sguardo della critica dell’emergenza sostenendolo con proposte puntuali, praticabili e ambiziose. Sono state raccolte intorno al tavolo “Lo Sai?” a conclusione di un lungo e partecipato percorso di incontri territoriali che è andato avanti per mesi. Di quell’incontro trovate anche una sintesi scritta.
L’Europa dei fili spinati
Non poteva certo mancare, in questo nostro resoconto annuale sullo stato delle cose dell’accoglienza, un punto di vista rigoroso sull’esternalizzazione delle frontiere e sui silenzi, le responsabilità e le complicità dell’Unione Europa sulla tragedia di persone inermi, strumentalizzate e respinte. Bambine e bambini compresi, naturalmente, quelli che magari si preferisce chiamare “minori stranieri non accompagnati”, privandoli – spiega Lavinia Bianchi – della condizione di soggetto di diritto per poi collocarli all’interno di strutture. Ingranaggi di un apparato. Di quell’Europa lì, perché sappiamo bene che ce n’è anche un’altra, meno visibile e meno raccontata, si occupano Filippo Miraglia, a partire dallo scandaloso doppio ricatto esercitato sui rifugiati ammassati al confine tra Bielorussia e Polonia, e Fulvio Vassallo Paleologo, soprattutto dal punto di vista giuridico, con una lunga analisi del quadro normativo sulla protezione internazionale e una breve storia ignobile di Frontex, l’agenzia del divieto d’entrata.
Settant’anni di pace
Accanto all’Europa abbiamo messo la guerra. In questo piccolo angolo del mondo, si continua a credere che non esista solo perché non si combatte dentro i confini continentali: nei settant’anni di “pace” seguiti al secondo conflitto mondiale, almeno duecento milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case. Lo ricorda l’ottimo articolo di Fabio Alberti. Molte di quelle persone sono nate in Afghanistan. Fanno parte di un esodo che dura da oltre venticinque anni, ne scrivono Paolo Moroni e Orlando Di Gregorio del Laboratorio Percorsi di secondo welfare. Un esodo condannato a un’eterna dimensione emergenziale che suscita una pietà effimera quanto surreale anche in Italia. La denuncia dell’Asgi è netta e non afferma certo una novità. Eppure ogni volta pare si debba ricominciare da capo. Mancanza di memoria? Il tema della rimozione del passato anche recente, per quel che riguarda le donne e gli uomini in fuga da Kabul, è estenuante quanto scandaloso. Per fortuna, sulla memoria c’è anche chi lavora in tutt’altra direzione creando comunità narrative e coinvolgendo da molti anni i soggetti della migrazione nella raccolta di storie e testimonianze. È l’Archivio delle memorie migranti di cui si è preso cura Alessandro Triulzi.
Il razzismo di ogni giorno
Ci sono almeno altri due temi, pur limitando il discorso all’accoglienza, che ci sembrava essenziale sottolineare. Il primo è che il razzismo si combatte, con qualche speranza di successo, non solo con le normative e sui gommoni ma se lo si affronta nella vita di ogni giorno. Per questo siamo andati a cercarne la profondità nei supermercati delle province basche, con la straordinaria indagine raccontata magistralmente da June Fernández. Ne fanno le spese le donne discriminate per antonomasia, le zingare, che in Spagna si chiamano gitane, una popolazione che in quel paese riesce almeno a vivere, per il 92 per cento, in case o appartamenti veri. Un’utopia realizzata, se la si guarda dalle periferie delle città italiane. La seconda immersione nella vita quotidiana, a far da contraltare al razzismo antizigano, è la bella esperienza del mondo di Coloriage, la sartoria che abbiamo scelto per “arredare” tutte le nostre pagine con il prezioso reportage fotografico bianconero di Leonora Marzullo e Manuel Grande. Andate poi sul sito del laboratorio romano di saperi e pratiche artigianali a inondarvi di tonalità brillanti e di meraviglie del colore.
Aprire i concetti
Il secondo tema che ritenevamo impossibile trascurare è quello del linguaggio. L’articolo di Laura Morreale è forse il più importante, dal punto di vista del grande racconto contenuto in questo quaderno, perché prova ad aprire il concetto stesso di accoglienza e a guardare nelle sue profondità meno scontate, visibili e discusse. È solo così che si sfugge alla falsa rappresentazione dei salvatori e dei salvati e si rivela quanto il lessico che utilizziamo generalmente, anche tra chi si batte strenuamente per l’affermazione dei diritti delle persone migranti, sottintenda e riproduca un rapporto di disuguaglianza. Aprire i concetti è la cosa più ambiziosa e importante che tentiamo di fare, con alterne fortune, dal 2012 sulle pagine di Comune-info. Non abbiamo molta compagnia in questa disperata impresa, ma non ci siamo ancora stancati, teniamo duro. O almeno ci proviamo, perché vogliamo arrivare in un mondo che non esiste, come quello del sogno dei migranti. I migranti hanno abolito le frontiere tra il mondo che esiste e quello che desiderano. Rifiutano di pensare che ogni speranza sia un’illusione.
Bussare alle porte
In uno splendido articolo uscito su Doppio Zero un paio di anni fa e intitolato “Derrida a Riace”, Gianluca Solla ricorda come il filosofo francese avesse visto già negli anni ‘90 del secolo scorso l’incombente ricchezza di questioni che le migrazioni avrebbero portato all’interno dell’orizzonte europeo: “Nel momento in cui si pretende di abolire le frontiere interne, si procede a un blocco ancora più stretto delle frontiere esterne della cosiddetta Unione Europea. Coloro che chiedono asilo bussano successivamente alle porte di ciascuno degli Stati dell’Unione europea e finiscono per essere respinti a tutte le frontiere. Con il pretesto di lottare contro un’immigrazione travestita da esilio o in fuga dalla persecuzione politica, gli Stati respingono sempre più spesso le domande di diritto d’asilo… lasciano che sia la polizia a fare la legge”.
Illegalità e terrorismo
L’unica istanza diventa così quella della polizia, come un altro acuto osservatore del Novecento, Walter Benjamin, aveva a suo tempo prontamente profetizzato, sottolinea Solla, aggiungendo poi che “senza invenzione politica, senza il coraggio che serve perché la polis sia qualcosa in più di una semplice espressione territoriale, non si evita che le città perdano vitalità propositiva per chi ci vive, per esempio musealizzandosi. Giocoforza allora soccombere alle istanze poliziesco-securitarie della nostra Società: la polizia finisce per sostituire la politica, diventa la vera erede della polis, ossia ne decreta la morte ad oltranza. Da qui sorge quella equiparazione di illegalità e terrorismo, che è il vero sintomo della brutalità linguistica e politica della nostra epoca”.
Il controllo del territorio
Le frontiere sono state inventate per dividere le persone. Una falsa rappresentazione della realtà che dura da troppo tempo. Così come l’accoglienza prigioniera delle logiche emergenziali finge di dividerne la gestione in un sistema binario per affermarne in realtà soltanto una, quella dello Stato e delle questure. Ancora una falsa rappresentazione della realtà. A noi le frontiere piace guardarle dalla parte di chi non ha l’ossessione del controllo del territorio in nome di una presunta identità nazionale. Fino a farle via via scomparire.
[Marco Calabria, Gianluca Carmosino e Riccardo Troisi]
Scarica il rapporto gratuitamente:
Buchi neri: ecco il sito dedicato alla detenzione amministrativa degli stranieri
Da oggi è online. E’ realizzato dalla Coalizione italiana per le libertà e i diritti civili (Cild), ed è completamente dedicato al tema della detenzione senza reato.
Il 9 maggio 2021 Moussa Balde, un giovane di 23 anni originario della Guinea, va a fare la spesa in un supermercato di Ventimiglia, città ligure che dista circa 7 chilometri dal confine italo-francese. Dopo un diverbio all’interno della struttura, viene seguito da tre uomini di origine italiana, messo spalle al muro e picchiato violentemente con colpi di spranga e calci all’addome, alla testa e al volto, come dimostreranno in seguito le immagini di un video amatoriale. Alcuni passanti danno l’allarme e dopo l’arrivo della polizia, Moussa viene portato al vicino ospedale di Bordighera e poi dimesso con una prognosi di dieci giorni per lesioni e trauma facciale. Essendo senza documenti viene portato al Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Torino, in corso Brunelleschi. Più precisamente all’interno dell’Ospedaletto del Centro, in isolamento sanitario.
“Io non riesco più a stare rinchiuso qui dentro: quanto manca a farmi uscire? Perché mi hanno rinchiuso? Voglio uscire: io uscirò di qui” continua a ripetere al suo avvocato, la sera di venerdì 21 maggio. Saranno le sue ultime parole. Il giorno dopo, nella notte, si toglie la vita nella sua stanza nel cosiddetto “ospedaletto”, dopo due settimane di isolamento sanitario. Poche settimane dopo la sezione verrà chiusa. Moussa non doveva trovarsi lì e la sua tragica fine suscita molte domande: perché alla vittima di un violento pestaggio viene negata assistenza sanitaria e psicologica adeguata, perché viene isolato in una situazione già di massima vulnerabilità? Cosa sono e a cosa servono queste strutture dello Stato chiamate Centri di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr)? Sono misure degne di uno Stato di diritto e di una democrazia che si prende cura dei diritti fondamentali delle persone, inclusi i più vulnerabili? È lecita questa detenzione senza reato? Quali sono le possibili alternative?…
Rapporto sulle condizioni socio-sanitarie di migranti e rifugiati negli insediamenti informali della città di Roma (Medu e Unhcr)
Nella città di Roma oltre 14mila individui vivono sulla strada o in situazioni abitative di grave precarietà. La pandemia da Covid-19 ha contribuito ad accrescere il numero di queste persone e ad aggravarne le condizioni di vita. Questo rapporto, realizzato da Medici per i Diritti Umani (MEDU) in collaborazione con l’Agenzia ONU per i Rifugiati (UNHCR), si pone l’obiettivo di raccontare in modo lucido e accurato – attraverso dati, immagini e testimonianze dirette – le condizioni socio-sanitarie di migranti, richiedenti asilo e rifugiati che vivono in alcuni dei più grandi insediamenti informali della capitale d’Italia, tra edifici occupati ed aree intorno alle grandi stazioni ferroviarie. Sulla base della realtà fotografata dagli operatori e dei volontari di MEDU, il rapporto propone un’analisi delle numerose e gravi criticità rilevate ma anche di alcune buone pratiche emerse nel corso della pandemia, formulando raccomandazioni alle istituzioni locali e nazionali, nel tentativo di contribuire a riportare tra le priorità della politica la salute e i diritti di una popolazione vulnerabile confinata ai margini socio-esistenziali, prima ancora che geografici, delle nostre città.
Così si muore sulle navi quarantena. La storia del diciassettenne Abdallah Said – Yasmine Accardo
Le conclusioni cui sono giunti i consulenti tecnici dei magistrati nella perizia medico legale depositata alla procura di Siracusa nell’ambito dell’indagine sulla morte del minore di origini somale, Said, deceduto il 14 settembre del 2020 dopo essere stato trattenuto per quasi 10 giorni all’interno di una nave quarantena per migranti, gettano una altra ombra sulla gestione di questo tipo di misura che la stessa Ministra Lamorgese aveva dichiarato di voler fermare.
ABDALLAH Said era un ragazzino di 17 anni che non sarebbe mai dovuto salire sulla nave quarantena Azzurra il 27 agosto del 2020.
Erano i primi mesi di attività delle navi a seguito dei Decreti legati all’emergenza COVID-19, migliaia di minori stranieri non accompagnati vennero “ospitati” per la quarantena necessaria sulle navi, contrariamente a tutte le norme in materia di diritti del minore. Solo molti mesi dopo, a seguito di una levata di scudi dei tutori e dei garanti per i minori e delle associazioni venne finalmente bloccato l’accesso a bordo dei MSNA.
ABDALLAH Said era affetto da una Meningoencefalite ad eziologia tubercolare complicata da un grave quadro encefalico con idrocefalo.
Una patologia tanto grave, come sottolinea l’autopsia effettuata dai periti del tribunale del 30 agosto 2021, che avrebbe dovuto presentare segni prodromici del suo aggravamento anche sulla Nave Azzurra in fase di navigazione.
Said sulla nave era stato sottoposto a visita medica il 27 agosto e non presentava febbre o segni particolari, a quanto riportato dai medici a bordo, eppure era debole e disorientato il 3 settembre, quando presentava anoressia e i compagni di viaggio lamentavano con lo staff a bordo del peggioramento delle condizioni dell’amico, tanto da portarlo ad avere allucinazioni e a presentare incontinenza urinaria. IL 5 settembre, i medici di bordo si accorsero che necessitava di trasferimento in luogo idoneo. Solo il 7 settembre Said verrà tradotto al P.O. Muscatello di Augusta. Va riportato che nei giorni antecedenti, Said non riusciva a bere e mangiare ed avrebbe quindi richiesto ospedalizzazione immediata per adeguata infusione di liquidi.
Si accenna che le difficoltà di comprendere la lingua di Said resero difficile comprendere la sua situazione clinica: BARRIERA LINGUISTICA. Le navi quarantena hanno mediatori a bordo di varie lingue, che ricevono regolare stipendio come da contratto; così come le altre figure presenti a bordo.
Perché la Croce Rossa non aveva un mediatore somalo a bordo, considerando il numero elevato di arrivi di questa nazionalità?
La questione legata alla barriera linguistica in nulla però giustifica il ritardo nel trasferimento all’ospedale ed evidenzia, ove mai ce ne fosse ancora bisogno, la totale inadeguatezza della navi non solo ad accogliere ma anche a portare avanti “Il ruolo” determinato dalle norme ANTI Covid. Ancora oggi nonostante segnalazioni e denunce le navi continuano a trasportare persone per la quarantena, a seguito delle proroghe ulteriori fino al 31 marzo 2022.
Said era minore affetto da gravissima patologia: per l’uno e l’altro motivo era nel posto sbagliato. Inoltre, la nomina del tutore, obbligatorio,era stata posta in ritardo. L’avvocata Antonia Borrello, tutrice, sarà lei stessa a chiedere approfondimenti sul caso relativamente all’accaduto il 16 settembre 2020
Dall’ospedale Muscatello Said verrà trasferito in urgenza all’Ospedale Cannizzaro di Catania poiché la situazione si era fortemente aggravata, dove nonostante le cure adeguatamente poste , morirà il 14 settembre 2020.
Le indagini continueranno ad andare avanti e siamo certi che gli avvocati Antonia Borrello e Giuseppe Carnabuci faranno del loro meglio per rendere giustizia a Said.
Said era in condizioni gravissime, i medici periti riportano che sarebbe probabilmente morto lo stesso, poiché fortemente debilitato dalle condizioni di vita antecedenti. Noi crediamo che l’ulteriore trattenimento su nave quarantena, dal 27 agosto al 5 settembre, ed il ritardo nel trasferimento in ospedale facciano parte delle cause che hanno condotto Said alla morte.
Said in quanto minore doveva essere accolto in struttura adeguata, con un mediatore adeguato e personale attento. L’Italia è stata dunque triplamente responsabile di: trattenimento di minore non accompagnato, imperizia nell’assistenza alla persona ed omissione di soccorso
Il sistema di accoglienza su navi ci continua a mostrare la scarsa attenzione alla persone, l’utilizzo di tali luoghi per lederne, ancora una volta, i diritti pacchi e non individui. Un tritacarne per respingere ed umiliare chi arriva, nell’invisibilità più assoluta. Un sistema killer, come ha mostrato anche la storia di Wissem Ben Abdel Latif (anch’egli passato sulle navi quarantena senza poter aver accesso al diritto di richiesta di protezione internazionale), morto legato ad un letto nel reparto psichiatrico del San Camillo a Roma il 28 novembre 2021.
A più riprese abbiamo denunciato il sovraffollamento delle navi quarantena e l’impossibilità, considerando lo staff presente, di monitorare le esigenze di ogni individuo, questo al costo di 3 milioni di euro al mese per nave.
Come Campagna LasciateCIEntrare e Rete Antirazzista Catanese continueremo a pretendere verità e giustizia per Said. Un morto di Stato, un’ altra vittima di crimini di pace e delle navi quarantena, delle quali richiediamo l’immediata abolizione.
La Fortezza Europa contro i diritti umani: storie e testimonianze dal confine bielorusso-polacco
Questa storia comincia in diversi posti fra Asia ed Europa, incrocia destini di migranti in fuga, contrabbandieri, consoli, dittatori, servizi segreti e politici senza scrupoli. I mezzi di comunicazione ci hanno informato solo dell’ultima parte di questa storia presentandola come l’ennesimo assalto di disperati all’Europa, costretta a respingerlo perché “così vuole la gente”.
La raccontiamo con le parole di alcuni protagonisti e con informazioni riprese da alcuni articoli ed indagini apparse sul web[1], ricordando che, anche se i media l’hanno messa da parte, non è finita ed altri uomini, donne, bambini, su quella o altre rotte, rischiano la vita e spesso la perdono.
[1] Cfr. https://tvn24.pl/polska/reportaz-superwizjera-szlak-migracyjny-turcja-bialorus-polska-jak-wyglada-przemyt-ludzi-do-ue-5504687; https://vsquare.org/see-minsk-and-die-how-belarusian-firms-smuggle-refugees/ ; https://vsquare.org/thwarted-what-is-really-going-on-on-the-border-between-belarus-and-poland/
UNA LUCE DI SPERANZA PER I MIGRANTI E I RIFUGIATI BLOCCATI AL CONFINE TRA POLONIA E BIELORUSSIA
La crisi umanitaria che da mesi si sta consumando nelle foreste al confine tra Bielorussia e Polonia non ha ancora trovato soluzione. Per un breve momento la drammatica situazione ha attirato l’attenzione pubblica: le immagini di migliaia di rifugiati provenienti dall’Iraq, Siria, Yemen e da altri paesi, raggruppati nel lato bielorusso del confine in condizioni inumane, hanno suscitato indignazione tra i cittadini europei. Sulla questione sono state avanzate analisi geopolitiche e pronunciati fiumi di parole, ma nei fatti -finora- le risposte politiche sono state solo di carattere repressivo: annunci di sanzioni da una parte, militarizzazione dell’area dall’altra.
Così oggi, 14 gennaio 2022, mentre scriviamo queste righe, il dramma umanitario continua su entrambi i lati del confine, e nessuna risposta adeguata sembra ancora essere stata trovata. Dal settembre 2021 il governo polacco ha dichiarato zona d’emergenza quella lungo la linea di demarcazione territoriale con la Bielorussia. I migranti che sono entrati nell’Unione Europea attraversando il confine polacco-bielorusso si sono ritrovati in una pericolosa area militarizzata dove medici, sanitari, giornalisti e rappresentanti delle organizzazioni non governative e delle istituzioni europee non hanno accesso.
Lontano dagli occhi e dal cuore dell’Europa si continua a morire sulla frontiera della vergogna. Ma morire non basta. Prima ci sono le torture con le scariche elettriche, le percosse con i bastoni e i calci delle pistole, i giochi delle guardie, che liberano i cani, e solo chi corre abbastanza velocemente si salva. Ci sono bambini separati dalle famiglie, che vagano soli nella foresta finché qualcuno non li troverà. Nella foresta Białowieża, una delle ultime foreste secolari in Europa, migliaia di uomini, donne e bambini stanno morendo di ipotermia, sete, fame e mancanza di accesso agli aiuti medici salvavita. Ad oggi sono 21 i morti certi tra i migranti bloccati alla frontiera, ma potrebbero essere dieci, cento volte di più. L’ampia rassegna stampa che proponiamo di seguito testimonia le violazioni dei diritti umani che da mesi vengono denunciate…
6 FEBBRAIO: GIORNATA MONDIALE DI LOTTA AL REGIME DI MORTE ALLE FRONTIERE
Di seguito troverete le informazioni generali sul percorso della CommemorAZione e le linee guida pratiche per la Giornata Mondiale di lotta del 6 febbraio 2022, ottavo anniversario del massacro di Tarajal.
COSA SONO LE COMMEMORAZIONI?
Le commemorAzioni sono degli eventi commemorativi delle persone decedute, scomparse e/o vittime di sparizioni forzate, nel corso dei loro viaggi attraverso le frontiere del mondo.
Sono nate dalla collaborazione tra gli amici e le famiglie delle persone scomparse, in particolare nel Mediterraneo, e gli attivisti che raccolgono le loro testimonianze e trasmettono le loro rivendicazioni. La prima “Grande commemorAzione” è stata organizzata in Marocco (Oujda) nel 2020.
Sono momenti commemorativi e di protesta allo stesso tempo, che combinano messaggi politici e performance artistiche, ma soprattutto, connettono le famiglie delle persone migranti con più persone possibili, creando assieme delle piattaforme per far conoscere le loro storie e le loro richieste. Le commemorAzioni sono spazi per ricordare queste vittime e costruire collettivamente dei percorsi che possano sostenere le famiglie nelle loro rivendicazioni, per ottenere verità, giustizia e riparazione sulle sorti dei propri cari.
IL PROCESSO DELLA COMMEMORAZIONE È COMPOSTO DA DUE EVENTI:
- GIORNATA MONDIALE DELLA COMMEMORAZIONE, OGNI 6 FEBBRAIO, CON DELLE AZIONI DECENTRATE.
- EVENTO “GRANDE COMMEMORAZIONE”, CHE SI SVOLGERA’ IN TUNISIA A SETTEMBRE 2020.
- COMMEMORAZIONI DECENTRATE IL 6 FEBBRAIO 2022
Da diversi anni il 6 febbraio è l’occasione di commemorare il massacro di Tarajal avvenuto nel 2014, dove sono morte 15 persone, ed altre sono scomparse, nel tentativo di raggiungere le coste spagnole. I migranti sono annegati sotto gli occhi della Guardia Civil, che ha sparato dei proiettili di gomma e ha usato altri equipaggiamenti anti sommossa su di loro. Questo evento è diventato un vergognoso simbolo delle politiche migratorie disumanizzanti.
Facciamo appello all’organizzazione di giornate di CommemorAzione decentrate durante il week-end del 4-5-6 febbraio, in più città possibili.
L’appello è reperibile sulla pagina FB “Commemor-Action” e sul sito web www.missingattheborders.org.
Per aderire all’appello bisogna scrivere a: globalcommemoraction@gmail.com
Vi chiediamo di utilizzare il logo della commemorAzione in occasione degli eventi che organizzerete, insieme ai vostri loghi. Potete scaricare il logo dalla pagina FB “Commemor-Action”.
Oltre alla pagina FB è stata creato un gruppo FB che si chiama Commemor-Action. In questo gruppo, tutte le organizzazioni che parteciperanno alla commemorAzione potranno pubblicare testi, foto, manifesti, video, ecc relativi agli eventi che organizzeranno. La pubblicazione nel gruppo è libera.
Vi chiediamo di pubblicare soltanto materiale relativo alla Giornata Mondial di lotta del 6 febbraio.
Questo è il link al gruppo Commemor-Action https://www.facebook.com/groups/330380128977418
Allo stesso tempo, vi chiediamo di inviarci i dati relativi agli eventi che organizzerete all’indirizzo: globalcommemoraction@gmail.com prima del 30 gennaio, per pubblicarli sul comunicato stampa, che prepareremo inserendo tutti gli eventi.
Vi invitiamo a comunicare solo queste tre informazioni:
- Titolo dell’evento che organizzerete
- Giorno, ora, città e paese nel quale avrà luogo
- Nomi delle organizzazioni promotrici dell’evento
Esempio:
Marcia per i nuovi Desaparecidos
Giovedì 3 febbraio – 18,30 – Piazza della Scala – Milano (Italia)
Rete Milano Senza Frontiere
- GRANDE COMMEMORAZIONE IN TUNISIA A SETTEMBRE 2022
Dal 2011, numerose famiglie tunisine hanno deciso di rompere il silenzio e di organizzarsi per esigere verità e giustizia sulle sorti dei loro cari scomparsi, in occasione della traversata del Mediterraneo, fra marzo e maggio dello stesso anno. Il 6 settembre 2012, è avvenuto un naufragio a qualche chilometro di distanza dall’isola di Lampedusa, nel quale sono scomparse più di 50 persone.
Dieci anni dopo questo naufragio, ci vogliamo nuovamente incontrare – come a Oujda (Marocco) nel febbraio 2020 – e raggiungere le famiglie in Tunisia per una Grande CommemorAzione, allo scopo di continuare il percorso di costruzione della rete internazionale dei parenti delle persone migranti decedute, disperse e vittime di sparizioni forzate e per continuare la lotta per il diritto alla libertà di circolazione per tutte e tutti.
Se desiderate essere inseriti nella mailing list per l’organizzazione della Grande CommemorAzione, potete scrivere a: globalcommemoraction@gmail.com.
Migrare per vivere, non per morire!
Persone, non numeri!
Libertà di movimento per tutte e tutti!
Tutte le vignette – scelte dalla “bottega” – sono di Mauro Biani
È importante che rimanga traccia delle storie individuali e collettive dei migranti, delle loro sofferenze e morti e contemporaneamente le responsabilità individuali e collettive dei cittadini e dei governanti della comunità europea e delle loro scelte su mancate accoglienza e respingimenti, con la consueta ormai esternalizzazione della difesa delle frontiere.
Comunicato stampa: Commemor’Azione 2022
Con il termine “Commemor’Action”, noi facciamo una duplice promessa: non dimenticare coloro che hanno perso la vita e lottare contro le frontiere che li hanno uccisi. E’ uno spazio per la costruzione di una memoria collettiva a partire dal nostro dolore. Noi non siamo soli e non ci arrenderemo. Continueremo a lottare quotidianamente per la libertà di movimento di tutte e tutti, chiedendo verità, giustizia e riparazione per le vittime delle migrazioni e le loro famiglie.
Dal 2020 celebriamo il 6 febbraio, in diversi luoghi nel mondo, la giornata della Commemor’Azione.
Siamo parenti, amici e conoscenti di morti, dispersi e/o vittime di sparizioni forzate lungo i confini terrestri o marittimi, in Africa, America, Asia, Europa e in tutto il mondo. Persone che sono sopravvissute al tentativo di varcare i confini alla ricerca di un futuro migliore. Siamo persone che sono sopravvissute al tentativo di varcare i confini alla ricerca di un futuro migliore. Cittadini solidali che assistono e soccorrono le persone migranti, che si trovano in situazioni di disagio. Siamo pescatori, attivisti, militanti, migranti, accademici, ecc. Siamo una grande famiglia.
La Commemor’Azione è ricordare, con azioni che uniscono messaggi politici e performance artistiche, ma soprattutto è mettere in contatto i parenti in lutto con quante più persone possibili, per creare iniziative collettive, far conoscere le loro storie e le loro rivendicazioni. I giorni della Commemor’Azione sono momenti di memoria per queste vittime e di costruzione di percorsi collettivi volti a sostenere le famiglie nelle loro richieste di verità e giustizia per i loro cari.
I crimini contro l’umanità migrante si verificano in così tanti giorni dell’anno, che è impossibile sceglierne uno solo. La data simbolica del 6 febbraio si riferisce al massacro del 2014 a Tarajal, dove la Guardia Civil spagnola ha sparato proiettili di gomma per respingere i migranti che tentavano di raggiungere le coste spagnole. Questo atto criminale e disumano, rimasto impunito, ha causato la morte di 15 persone. Questo è accaduto sotto gli occhi di tutti, per mano di un sistema persecutorio, che ha causato la scomparsa di molti esseri umani, lasciando nell’oblio le loro famiglie e i loro cari.
Ci impegniamo a non dimenticarli, ogni anno attraverso azioni decentrate in diversi luoghi e contesti (Tarajal, Agadez, Berlino, Calais, Dakar, Douala, Marsiglia, Messico, Niamey, Oujda, Milano, Palermo, Roma, Parigi, Tunisia, Casablanca…Ci troveremo per manifestare contro il sistema dei regimi assassini. Quest’anno gli eventi si svolgeranno il 3, 4, 5 e il 6 febbraio. Alleghiamo il file con le iniziative che si svolgeranno nel mondo e le adesioni.
Inoltre, ogni due anni verrà scelta una località per celebrare la grande CommemorAzione centralizzata. A settembre 2022 sarà la Tunisia ad accogliere l’evento.
Per maggiori informazioni: globalcommemoraction@gmail.com
Facebook : Commemor-Action
Siti web : http://www.missingattheborders.org