Le catene del Brasile

Claudiléia Lemes Dias racconta la storia di un paese laico caduto in ostaggio delle religioni. Il crescente potere dei gruppi evangelici e neopentecostali deriva dal bolsonarismo, ma ha trovato terreno fertile, purtroppo, anche sotto le presidenze di Lula e Dilma Rousseff.

di David Lifodi

Le catene del Brasile. Un paese ostaggio delle religioni è un utile strumento per interpretare la deriva bolsonarista del più grande paese dell’America latina e, al tempo stesso, rappresenta un’ottima chiave di lettura per comprendere le elezioni presidenziali brasiliane in programma il prossimo ottobre.

L’autrice, Claudiléia Lemes Dias, tratteggia amaramente un quadro a tinte fosche del suo paese, dove ormai gran parte della politica è costretta a fare i conti con il dilagare delle chiese evangeliche e neopentecostali. Da un lato l’estrema destra bolsonarista, che ha scommesso fin dall’inizio sul connubio religione-potere-politica, dall’altro Lula, Dilma Rousseff e il Partido dos Trabalhadores, che non solo non hanno mai sbarrato la strada a pastori potentissimi come Edir Macedo (Igreja Universal do Reino de Deus) o Silas Malafaia (Assembléia de Deus), ma, nel tentativo di assicurarsi i consensi di un elettorato sempre più vasto, si sono dimostrati fin troppo concilianti nei loro confronti.

Ormai la penetrazione evangelica e neopentecostale è tale che lo scopo principale dei fondamentalisti è quello di raggiungere ed evangelizzate le tribù di indios isolati e dividere le comunità arruolando gli indigeni per trasformarli in pastori.

Nel paragrafo significativamente intitolato Il paradiso è un centro commerciale, Claudiléia Lemes Dias spiega bene in cosa consiste la “teologia della prosperità”, dottrina secondo la quale «Dio sarebbe materialmente ricco, in quanto proprietario del cielo e della terra. I fedeli che vorranno essere ‘a sua immagine e somiglianza’ dovranno promuoverne l’opera nel mondo attraverso donazioni e offerte ai pastori per ingraziarselo, ricevendo in cambio prosperità e ricchezza». Oggi, scrive l’autrice, alla Igreja Universal do Reino de Deus, all’Assembléia de Deus, all’Igreja Renascer em Cristo e all’Igreja Internacional da Graça de Deus aderiscono circa 34 milioni di brasiliani.

I predicatori detengono imperi mediatici, fondano partiti, ma, soprattutto, hanno contribuito a sdoganare definitivamente il discorso escludente e razzista di Bolsonaro che, non a caso, li utilizza in un gioco di sostegno reciproco che sta conducendo uno stato costituzionalmente laico alla rovina. A questo proposito, Claudiléia Lemes Dias cita l’ex pastore Mário Justino, costretto a fuggire negli Stati uniti a seguito della pubblicazione del suo libro denuncia Nos bastidores do reino, dove, appunto, racconta cosa si nasconde dietro le quinte del regno: la richiesta ossessiva di donazioni, la povertà che sarebbe imposta da Dio ai fedeli che non pagano un obolo sufficientemente ricco, la punizione consistente in mancate guarigioni per coloro che non partecipano abbastanza alle attività dei gruppi evangelici e neopentecostali.

Il clan Bolsonaro, oltre ad aver permeato le istituzioni brasiliane di personaggi di questo tipo, ha spinto al massimo sul fanatismo religioso, soprattutto in relazione al Covid-19: la sua diffusione sarebbe colpa del demonio. Tuttavia, quando tutti i principali pastori hanno contratto il Covid-19, fa notare l’autrice, si sono fatti curare nelle cliniche più esclusive del Brasile, mentre nel resto del paese la pandemia mieteva un altissimo numero di vittime.

Tuttavia sarebbe errato pensare che gli evangelici siano sorti con il bolsonarismo. Se è vero che durante la presidenza del Messia Nero il loro strapotere è dilagato, tracimando in tutto il paese, i tentacoli della piovra evangelica e neopentecostale si erano già estesi per far eleggere prima Fernando Collor de Mello (1989), poi Fernando Henrique Cardoso (1994 e 1998) e, alla fine, fiutata la crisi di popolarità di Fhc, era stato siglato un accordo di belligeranza con Lula che, quando arrivò per la prima volta al Planalto, nel 2002, ormai aveva abbandonato le posizioni anticapitaliste e il sogno della riforma agraria per tranquillizzare i mercati, a tal punto che il suo vice di allora, l’imprenditore José de Alencar, abbandonò il suo partito di provenienza, il Partido do Movimento Democrático Brasileiro, per aderire al Partido Liberal, controllato già allora dal pastore Edir Macedo.

Spregiudicati a tal punto da invitare i brasiliani a non temere il Covid-19 «perché i tempi descritti nell’Apocalisse, in cui un terzo della popolazione morirà, non sono ancora arrivati» (parole del telepredicatore R.R. Soares) e perché le notizie sul Coronavirus sono «una tattica del demonio per spaventare le persone» (Edir Macedo dixit), gli evangelici hanno attaccato violentemente Lula non appena ha dichiarato, in un suo comizio di fronte al sindacato dei metallurgici che, «il ruolo delle Chiese è quello di aiutare, non quello di commercializzare cibo o indire celebrazioni con gente sprovvista di mascherina, mentre affermano di avere la soluzione per guarirla». Per calmare le acque il Partido dos Trabalhadores ha dovuto garantire che Lula avrebbe dovuto scrivere una lettera conciliatoria agli evangelici prima delle elezioni dell’ottobre 2022.

In questo scenario così cupo, in cui Lula ha promesso ai movimenti sociali che, in caso di vittoria, saranno protagonisti nella costruzione del suo programma, di fronte all’altrettanto evidente e innegabile spostamento al centro che lo ha portato a scegliere come vicepresidente l’ex tucano Alckmin, esponente di primo piano dell’oligarchia brasiliana, Claudiléia Lemes Dias dedica spazio anche alla «sinistra che rompe le catene», quella che si riconosce nella resistenza femminista, nel movimento nero, nelle comunità indigene e ambientaliste. Partido Socialismo e Liberdade (Psol) e Rede Sustentabilidade sono gli unici schieramenti ad aver raddoppiato il numero di tesserati. Sono loro ad incarnare la speranza di un Brasile migliore.

Le catene del Brasile. Un paese ostaggio delle religioni

di Claudiléia Lemes Dias

L’ Asino d’oro edizioni, 2022

Pagg. 211

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David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Un commento

  • La realtà è quasi peggio (ho mezza famiglia in Brasile)lo strapotere dei predicatori e delle congregazioni religiose è indiscutibile, senza ne se ne ma, soprattutto nelle fasce di popolazione più povere, dove la politica quasi non arriva, loro si, arrivano.
    Il timore di Dio è legge, non esistono alternative. Ho vissuto l’essere unico ateo (dichiarato) di una cittadina, essere guardato con sospetto era poco. La meravigliosa donna che ha deciso di sposarmi è stata messa in guardia più volte dei rischi che correva e abbiamo dovuto decidere di non affrontare mai l’argomento nella sua famiglia amazzonica, non c’è possibilità di essere compreso ne di parlarne. Ma non è cattiveria, nemmeno bigottismo, è vera sottomissione a cuore aperto con la convinzione di essere nel giusto. É terribile…Si tolgono il cibo di bocca pur di mantenere quella casta di parassiti mascherati da profeti. Vabbeh… è la cosa più disarmante che ha affrontato il mio spirito rivoluzionario.
    Ciao. Alberto

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