La guerra abbonda nella bocca degli stoltenberg
articoli e video di Paolo Rumiz, Peppe Sini, Daniela Fassini, Danilo Tosarelli, Andrea Zhok, Giorgio Bianchi, Vincenzo Costa, Franco Cardini, Barbara Spinelli, Sandro Mezzadra, Marco Bascetta, Alberto Bradanini, Enrico Vigna, Mario Agostinelli, Fulvio Scaglione, Alan Woods, Francesco Masala, Gaetano Lamanna, Maurizio Acerbo, Lucia Capuzzi, Lucio Caracciolo, Manlio Dinucci, Matteo Saudino, Vittorio Rangeloni, Ugo Giannangeli, Alessandro Ghebreigziabiher, Franco Astengo, Yanis Varoufakis, Jeremy Corbyn ed Ece Temelkuran
Memorie del fantapassato – Francesco Masala
A volte un atteggiamento rigido è conseguenza di una paralisi – Stanislaw J. Lec
Il giornalista è colui che distingue il vero dal falso… e pubblica il falso – Mark Twain
Ogni essere umano che ami la libertà deve più ringraziamenti all’Armata Rossa di quanti ne possa pronunciare in tutta la sua vita! – Ernest Hemingway
Dice qualcuno che l’undici settembre del 2001 è stato il primo passaggio (gestito dal complesso militare-industriale e politico) di una serie di eventi che spiegherebbero i decenni successivi.
Quello strano atto di terrorismo a New York, spettacolo al massimo grado, era necessario per la nuova strategia per il Nuovo Secolo Americano, per avere una scusa per rubare il petrolio iracheno, apparentemente, in realtà per installarsi in Afghanistan, e far sentire ai nemici il fiato americano sul collo.
Poi in Afghanistan le cose non sono andate bene per l’Impero e i suoi cavalieri serventi, allora verso il 2010 si è passati al piano B, attaccare i nemici uno per uno, la Russia per primo, attraverso la testa di ponte dell’Ucraina.
Solo così si spiega una quasi guerra mondiale, per una delle 169 guerre locali al mondo, per dei confini sacri, finché durano.
Chiunque avrebbe ceduto, con sollievo, ai russi le due province del Donbass e la Crimea, regioni russofone, per evitare una guerra.
Invece, a sorpresa, di chi non lo sapeva, la Nato (e tutti gli affiliati) ha usato la strategia della fornitura di armi all’esercito ucraino (neonazisti compresi), come sempre si è fatto, questa volta in maniera palese e in non modiche quantità, fino all’ultimo ucraino; materialmente, ma non formalmente, la Nato è in guerra.
Iran, India, Cina, anche se non si può dire, fanno il tifo per la Russia, se soccombe i prossimi saranno loro, lo sanno.
In Polonia qualcuno aspetta di riavere la Galizia e Leopoli, a proposito dei sacri confini.
L’Europa, intanto, ha abbandonato qualsiasi politica industriale (ad eccezione della produzione di armi), ed è diventata, nei decrescenti spazi liberi da basi militari, un immenso villaggio-vacanze, finché dura il turismo.
Adrian Bocquet, volontario francese in Ucraina: “Bucha è una messa in scena. Ho visto personalmente cameramen americani inscenare riprese distorte”
di Vittorio Rangeloni
Dichiarazioni di Adrian Bocquet un volontario francese in Ucraina:
“Mi assumo totalmente la responsabilità di ciò che dico. In Ucraina, ho assistito a crimini di guerra: Tutti questi crimini sono stati commessi dall’esercito ucraino. Ma in Francia non ne parliamo!”
Bocquet è un ex militare francese, autore di un libro.
Dopo tre settimane trascorse in Ucraina, ai microfoni di SUD Radio, ha deciso di raccontare la sua esperienza. Ecco qualche estratto della sua intervista:
“Quando sono tornato in Francia dall’Ucraina, sono rimasto scioccato: i canali televisivi invitano esperti che non sono stati in Ucraina e non sanno nulla di ciò che sta accadendo lì. Tra quello che sento dallo schermo televisivo e quello che ho visto con i miei occhi, c’è un abisso.”
“Ho visto l’esercito ucraino sparare alle ginocchia dei soldati russi catturati e sparare alla testa degli ufficiali.”
“Ho visto personalmente i cameramen americani inscenare riprese distorte dai luoghi degli eventi.”
“Tutti gli edifici civili distrutti presentati dall’Ucraina come bombardamenti su civili, non sono altro che il risultato di sparatorie imprecise degli ucraini su installazioni militari.”
“Le forze armate ucraine nascondono munizioni negli edifici residenziali di notte, senza nemmeno informare gli abitanti. Questo si chiama usare le persone come scudo.”
“Bucha è una messa in scena. I corpi dei morti sono stati spostati da altri luoghi e deliberatamente posizionati in modo tale da produrre riprese scioccanti”.
Internazionale Progressista. Dichiarazione di Atene
Membri dell’Internazionale Progressista leggono la Dichiarazione di Atene, da sinistra: Eze Temelkuran (Turchia), Yanis Varoufakis (Grecia), Jeremy Corbyn (Regno Unito). (Foto di Pressenza)
Oggi, 13 maggio 2022, tre membri dell’Internazionale Progressista – Jeremy Corbyn, Eze Temelkuran e Yanis Varoufakis – hanno indetto una conferenza stampa per rendere pubblica la Dichiarazione di Atene in relazione all’intervento russo e alla guerra in Ucraina. Ecco il testo:
La guerra contro l’Ucraina richiede il sostegno alle vittime di ogni guerra e un NUOVO MOVIMENTO DI RESISTENZA.
Siamo dalla parte del popolo ucraino, come siamo dalla parte di ogni popolo che subisce invasioni, sradicamenti e occupazioni.
Chiediamo un cessate il fuoco immediato, il ritiro delle truppe russe e un accordo di pace globale garantito da Unione Europea, USA e Russia nel quadro delle Nazioni Unite.
Raccomandiamo il rispetto del diritto internazionale sui rifugiati, i cui diritti, in particolare quello di essere accolti in un ambiente sicuro, devono essere rispettati in ogni momento e a prescindere dall’etnia, dalla religione, ecc.
Rifiutiamo la divisione del mondo in blocchi contrapposti che investono in un militarismo sfrenato, in armi di distruzione di massa ultramoderne e in una nuova guerra fredda.
Crediamo che la pace sostenibile richieda la sostituzione di tutti i blocchi militari con un sistema di sicurezza internazionale che attenui le tensioni, espanda le libertà, affronti la povertà, riduca lo sfruttamento, promuova la giustizia ambientale e sociale e ponga fine alla dominazione di un Paese sull’altro.
Chiediamo pertanto a tutti i democratici del mondo di unire le forze in un NUOVO MOVIMENTO DI RESISTENZA. Crediamo che l’unione di nazioni non allineate, democratiche e sovrane sia l’unica via per una pace sostenibile e per un mondo capace di prevenire il DISASTRO CLIMATICO e di lasciare in eredità alla prossima generazione una reale opportunità di creare le condizioni per una prosperità globale condivisa.
Yanis Varoufakis, Jeremy Corbyn ed Ece Temelkuran, a nome dell’Internazionale Progressista, DiEM25 e MERA25.
Appello per un corridoio umanitario per gli obiettori di coscienza in Ucraina
In Ucraina, dall’inizio della invasione russa, vige la legge marziale ed il divieto di lasciare il Paese per tutti gli uomini tra i 18 e i 60 anni.
Il Governo di Mosca, da parte sua, ha previsto la coscrizione obbligatoria dal primo aprile al 15 luglio 2022 per i giovani tra i 18 e i 27 anni.
La escalation militare sta investendo le popolazioni civili anche sotto questo aspetto.
Per questa ragione, facciamo appello al Governo ucraino affinché venga allentata questa misura fortemente restrittiva della libertà personale, garantendo che gli uomini di cittadinanza ucraina che per qualsiasi ragione —personale, familiare, politica, religiosa, culturale— vogliano uscire dal Paese, possano farlo in assoluta sicurezza.
In tal senso, chiediamo al Presidente della Repubblica, al Governo e ai parlamentari italiani —indipendentemente dalla loro appartenenza politica e dalla posizione assunta sul conflitto Russia/Ucraina— di adoperarsi presso il Governo ucraino affinché un tale provvedimento, in linea con la migliore tradizione giuridica europea in tema di libertà personali e di obiezione di coscienza, venga assunto al più presto.
ASSOCIAZIONE NAZIONALE GIURISTI DEMOCRATICI
Così il silenzio uccide in 169 guerre nel mondo – Lucia Capuzzi
Lo dice la parola stessa. Guerra deriva dal termine germanico werra, cioè mischia furibonda, dove le parti si affrontano in un corpo a corpo rozzo, sconnesso, disorganico. «Werra» è, dunque, sinonimo di caos. Non sorprende che nelle epoche di elevata instabilità geopolitica, le guerre si moltiplichino.
Del resto, ricordava la filosofa Hannah Arendt, esse non servono a ristabilire i diritti, bensì a ridefinire i poteri. Più che la prosecuzione della politica con altri mezzi – come sosteneva Von Clausewitz –, sono la certificazione del suo fallimento. In questo tempo di crisi della politica e del suo principale riferimento – lo Stato nazione –, nuove fiammate belliche si sommano a vecchi scontri irrisolti.
Il risultato è un susseguirsi di crisi a intensità variabile che si consumano in gran parte nel Sud del mondo e, per questo a differenza per esempio dell’Ucraina, a distanza incommensurabile dalla ribalta mediatica. Il “Conflict data program” della prestigiosa Università svedese di Uppsala ne ha censito 169 nel 2020, l’ultimo anno per cui i dati sono disponibili, per un totale di oltre 81.447 vittime. Un nuovo record, dopo 5 anni di relativo calo.
E da allora lo scenario è ulteriormente peggiorato. «Terza guerra mondiale a pezzi», non si stanca di definirla, fin dal 2014, papa Francesco. Solo tre dei 169 conflitti registrati implicano un confronto militare “classico” fra Stati: India-Pakistan per il controllo del Kashimir, Cina-India per la questione dell’Aksai Chin o Arunchal Pradesh e Israele-Iran, oltre ora a Russia e Ucraina. Il fatto è che nel Novecento, lo scenario bellico ha subito una «mutazione genetica», accelerata nell’ultimo quarto del secolo scorso. Se la Guerra fredda aveva articolato la conflittualità intorno a un unico spartiacque ideologico, dalla sua fine questa ha assunto connotati sempre più cangianti.
A dominare il panorama sono, ora più che mai, i conflitti interni o “intra-statali”. «A volte, un gruppo ribelle impugna le armi contro il governo come al-Shabaab in Somalia o i taleban in Afghani- stan, prima che questi ultimi prendessero il potere lo scorso agosto – spiega Therese Pettersson, coordinatrice del Conflict data program –. Ne abbiamo individuati 53. Altre, l’attore Stato non è coinvolto. In 72 conflitti, le parti in lotta sono milizie di vario tipo che disputano il controllo di un territorio. Vi sono, infine, ventuno crisi create da organizzazioni – statali o non – che prendono di mira deliberatamente i civili». Un filo rosso unisce questo sfaccettato poliedro bellico: la tendenza crescente da parte di attori esterni di supportare militarmente uno dei contendenti. «Proxy war», «guerre per procura », le chiamano vari analisti. «Sono stati gli scontri interni a produrre le conseguenze umanitarie più gravi nei decenni post-Guerra fredda.
È sufficiente ricordare il dramma della Siria, dell’Afghanistan, dell’Iraq e dello Yemen. Le due eccezioni sono le guerre statuali tra Etiopia ed Eritrea (1999-2000) e quella in corso tra Mosca e Kiev», aggiunge Pettersson. Il numero dei caduti negli scontri, inoltre, è solo uno delle tragedie causate dai conflitti. «La durata è un elemento cruciale. Quanto più lo scontro si protrae nel tempo, tanto più le conseguenze umanitarie rischiano di essere catastrofiche, indipendentemente dalla sua intensità, come vediamo in Sud Sudan, Nigeria, Congo, Sudan, Somalia », calcola Robert Blecher, direttore del Future of conflict program dell’International crisis group. Una gravità, quella delle guerre prolungate, inversamente proporzionale all’attenzione internazionale, assuefatta di fronte alla cronicizzazione di crisi «lontane». I due fattori – morti e tempo – si sono intrecciati in modo perverso nella guerra afghana, conferendole il tremendo titolo più lunga e più letale: va avanti ininterrottamente, fra picchi di brutalità e timide frenate, dal 1978.
L’emergenza fame, seguita alla riconquista di Kabul da parte dei taleban, ne è solo un’altra sfaccettatura. Secondo Blecher, infine, va incluso a pieno titolo nella categoria dei conflitti, la violenza che dilania buona parte dell’America Latina, ufficialmente “al riparo” dalla bufera bellica dall’accordo di pace in Colombia nel 2016. La realtà, purtroppo, è di segno opposto. La narco-guerra messicana, la feroce anarchia haitiana o gli scontri delle gang in Centramerica hanno costi umanitari e dinamiche a tutti gli effetti bellici. È lo svelamento di quanto affermava Hannah Arendt: il cuore della guerra – di ogni guerra, comunque la si definisca – è la ridefinizione del potere.
C’è un limite a tutto e si chiama decenza – Ugo Giannangeli
…A proposito di pulizia etnica, un aspetto positivo in questo scempio mediatico può forse essere trovato. Già dal 25 febbraio sui giornali sono comparse le parole “diritto internazionale”; nei giorni successivi le parole “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”; subito si è invocato l’intervento della Corte penale internazionale. Già ai primi di marzo era operativo in territorio ucraino un pool investigativo della Procura della Corte. Allora in molti si sono ricordati della Palestina ed è iniziato a comparire il termine “doppio standard “. Troppe le analogie di situazioni e le differenze di reazioni con la Palestina: la responsabilità di Israele per una occupazione che dura da 74 anni, la condanna dello Stato sionista per crimini di guerra e crimini contro l’umanità da parte di commissioni dell’Onu, di Human Rights Watch, di B’Tselem, di Amnesty International; la Corte penale internazionale che interviene sì ma dopo anni e anni di totale inerzia.
Orsacchiotti di peluche insanguinati ci sono stati anche a Gaza; autoambulanze crivellate di colpi; civili fatti oggetto di cecchinaggio durante la Grande marcia del ritorno; case demolite; bombardamenti… Qualche immagine è pure riuscita ad emergere in questi anni anche se non c’è mai stato lo spiegamento di truppe con la scritta “Press” che vediamo in Ucraina. Nel 2008/ 2009, durante l’eccidio denominato Piombo fuso, a Gaza c’era solo un italiano, Vittorio Arrigoni, che quotidianamente riferiva dei feroci bombardamenti sulla popolazione mentre i giornalisti, quelli retribuiti (sarebbe meglio dire prezzolati), guardavano i bagliori delle esplosioni da Tel Aviv o, i più coraggiosi, da Askelon.
Qualcosa è emerso in questi anni. Certo non abbiamo le interviste agli inquilini di un palazzo bombardato; certo, non abbiamo il nome e il cognome di due fidanzatini che si baciano mentre lui parte. Degli uccisi e dei feriti palestinesi non abbiamo non solo i nomi ma neppure il numero, ma qualche notizia è emersa ed ora il raffronto con la diversa narrazione della situazione Ucraina è cocente.
Il doppio standard riguarda anche i profughi. È in corso una gara per accogliere quelli ucraini. Quelli afghani, iracheni, yemeniti, siriani non hanno ricevuto analoga accoglienza. Eppure sono vittime delle nostre guerre, pardon, delle nostre operazioni di peacekeeping. Oggi si irride Putin perché non usa la parola guerra. Noi in Afghanistan, Libia, Siria,Yemen, Irak usavamo questo termine? No. Per non dire della Jugoslavia e della nostra diretta responsabilità nei bombardamenti su Belgrado. Per i profughi ucraini si è scoperta una direttiva europea del 2001 che consente di concedere il permesso di soggiorno senza riconoscimento del diritto di asilo. Qualche profugo vestito malamente e un po’ scuro di pelle è sceso in piazza a Milano a manifestare e ha chiesto: “e noi? “.
Quali le conseguenze di questo schierarsi compatti per l’Ucraina sul fronte mediatico ma anche su quello politico e su quello economico (qui, a dire il vero, con qualche crepa sul fronte europeo)? Questa manichea distinzione bianco e nero senza sfumature; questa continua irrisione (Gramellini maestro) di chi semplicemente si pone domande e vuole approfondire i temi ha già portato allo stupro del 25 aprile 2022: ostentate bandiere israeliane, uno Stato inesistente nel ‘45; ostentate bandiere della Nato, un’organizzazione armata inesistente nel ‘45; ostentate le bandiere ucraine che rappresentano quello Stato con un esercito che include quel reggimento neonazista di cui si è detto ed ora elevato anche in Europa a eroe nazionale.
Questo acritico schierarsi con l’Ucraina porterà recessione, disoccupazione ma soprattutto perdita di dignità per l’evidente sudditanza dell’Europa agli USA e alla Nato. Sono un tifoso di Putin? No, mi limito a fare mie alcune considerazioni di Jeffrey Sachs, professore alla Columbia University. Sul Corriere della Sera del 1 maggio il professore dice, tra l’altro: “Se vogliono processare Putin per crimini di guerra, allora devono aggiungere alla lista degli imputati Georg W.Bush e Richard Cheney per l’Irak, Barack Obama per la Siria e la Libia, Joe Biden per aver sequestrato le riserve in valuta estera di Kabul alimentando così la fame in Afghanistan… La Russia ha iniziato questa guerra ma in buona parte perché ha visto gli Stati Uniti entrare in modo irreversibile in Ucraina. Nel 2021 mentre Putin chiedeva agli Stati Uniti di negoziare l’allargamento della Nato all’Ucraina, Biden ha raddoppiato la scommessa diplomatica e militare. Non solo ha rifiutato di discutere con Mosca l’allargamento della Nato, ma gli Stati Uniti hanno anche continuato le esercitazioni militari e le spedizioni di armi su larga scala…Gli Stati Uniti vogliono che l’Ucraina combatta per proteggere le prerogative della Nato… Conosco bene il mio paese: i leader sono pronti a combattere fino all’ultimo ucraino”. (J. S.)
Shireen Abu Akleh. L’uccisione a sangue freddo della giornalista di Al Jazeera che non indigna il “mondo libero”
Chissà quanta indignazione susciterà nei media nostrani e d’oltreoceano, l’uccisione a sangue freddo da parte di Israele della giornalista dell’emittente del Qatar, Al Jazeera, Shireen Abu Akleh, che da anni documentava i crimini di Tel Aviv nella Palestina occupata.
“In un tragico omicidio premeditato che viola le leggi e le norme internazionali, le forze di occupazione israeliane, a sangue freddo, hanno ucciso la nostra giornalista, Shireen Abu Akleh”, ha denunciato la stazione televisiva del Qatar in una dichiarazione pubblicata poche ore fa, rilevando che il suo produttore Ali al-Samudi è stato anche “attaccato da un colpo alla schiena durante la copertura e ora è in ricoverato”.
Nella nota si condanna “questo efferato crimine” delle forze del regime di occupazione israeliano, che cerca di impedire alla stampa di fare il suo lavoro.
Data questa situazione, Al Jazeera ha chiesto alla comunità internazionale di condannare questo atto e di ritenere Israele responsabile per “aver deliberatamente ucciso” la sua corrispondente.
Non ci sono dubbi che la comunità internazionale resterà di nuovo silente di fronte a questo ennesimo crimine…
Il Paradiso degli invisibili – Alessandro Ghebreigziabiher
Una piccola storiella sull’ennesima morte di una giornalista, scomparsa – ovvero cancellata e altrettanto ignorata – mentre cercava di raccontar vite e conflitti scomodi quanto ritenuti minori.
La donna è appena deceduta e si trova nell’anticamera in attesa di incontrare il Creatore, grande Regista, sommo Sceneggiatore o illustre Produttore dello spettacolo degli umani, a seconda della personale visione dell’aldilà della protagonista.
“Il prossimo”, annuncia l’usciere.
L’interessata si alza dalla sedia e fa il suo ingresso in un ampio salone. Appena oltrepassata la soglia nota subito in fondo un bambino che avrà al massimo sette, otto anni, seduto su una enorme poltrona di quelle dirigenziali dinanzi a una non meno imponente scrivania ricoperta da scartoffie di ogni tipo.
“Prego, vieni pure”, la invita ad avvicinarsi con voce amichevole.
“Sì… eccomi”, fa lei perplessa quanto sorpresa.
Una volta giunta ai piedi della cattedra il bimbo si alza in piedi sulla poltrona e le domanda: “E tu chi saresti?”
“Mi chiamo Shireen Abu Akleh ed ero una giornalista.”
“Davvero? Mi dispiace proprio, sei così giovane. Ma sono comunque contento di conoscerti, anche se l’occasione non è affatto delle migliori. E per chi scrivi? No, non me lo dire… il New York Times, giusto?”
“No, non è il Times.”
“Il Guardian allora? Seguo sempre le loro inchieste e ancora non mi capacito di come riescano a pubblicarle senza ritorsioni. Ah, è per questo che sei morta? Ti hanno uccisa, eh?”
“Sì, no… non scrivo per il Guardian, ma mi hanno uccisa, è vero.”
“Oh, poverina… ma comunque immagino che lavoravi per una di quelle redazioni che fanno scoop coraggiosi e mal tollerati dai poteri forti del mondo, tipo che so il Washington Post. Ci ho preso?”
“No, la verità è che scrivevo per Al Jazeera.”
“Chi?”
“Al Jazeera, è un canale in lingua araba.”
“Ah, scusa, giusto! È che qui non prende bene, sai, ma non dipende da noi, bensì da voi.”
“Ho capito, non preoccuparti.”
“Grazie, ma sei tu a non doverti preoccupare, ora le tue sofferenze sono terminate. Dimmi di te, quando sei morta? E in che modo?”
“Sì. Come ti dicevo poco fa, mi hanno uccisa, in particolare con un colpo alla testa. È accaduto ieri mattina.”…
Yemen, le cifre terrificanti dell’aggressione saudita appoggiata dall’occidente
Si potrà ignorarla quanto si vuole questa guerra, ma i fatti e le cifre in questo caso, hanno la testa dura. Sono la coscienza sporca dell’occidente, Usa in primis con la Gran Bretagna, che armano da 7 anni l’aggressione dell’Arabia Saudita contro lo Yemen che, già prima della guerra era il paese più povero del mondo arabo.
I numeri di 2600 giorni di aggressione forniti da Humanity Eye Center for Rights and Development, EHCRD e riportati anche da HispanTV, sono davvero agghiaccianti. Giusto per ricordarlo, l’Arabia Saudita non ha subito la minima sanzione per questa guerra, non è stata esclusa dai prossimi mondiali di calcio del Qatar previsti per fine anno. Nessuno si indigna se compriamo petrolio da questa Tiranno-Monarchia.
Tornando al rapporto EHCRD, sono 46.374 yemeniti hanno perso la vita o sono rimasti feriti durante questo periodo. Nello specifico, l’aggressione ha provocato la morte di 17.775 persone e il ferimento di altre 28.599.
Nel frattempo, circa 4.028 bambini sono stati uccisi e 4.595 feriti. Inoltre, 2.440 donne hanno perso la vita e 2.913 sono rimaste ferite…
Stoltenberg smentisce Zelensky su Crimea, la NATO vuole che guerra continui – Maurizio Acerbo
“l’Ucraina deve vincere questa guerra perché difende il suo territorio. I membri della Nato non accetteranno mai l’annessione illegale della Crimea. Ci siamo inoltre sempre opposti al controllo russo su parti del Donbass nell’Ucraina orientale”.
A che titolo Stoltenberg dichiara che la NATO non accetterà annessione della Crimea alla Russia?
Non dovrebbero essere ucraini a decidere se accettare o meno che Crimea ritorni russa?
Le dichiarazioni del segretario generale della NATO al giornale tedesco Welt appaiono come una smentita dell’apertura di Zelensky di ieri. Il presidente ucraino aveva chiesto ai russi di rientrare entro i confini precedenti all’invasione quindi aveva implicitamente aperto la strada alla rinuncia a Crimea e repubbliche di Lugansk e Donetsk. Stoltenberg dice che persino questo è troppo. Per la Nato l’Ucraina che l’Occidente armerà all’infinito deve riconquistare pure la Crimea.
E’ l’ennesima dimostrazione che gli Usa, e i loro burattini europei, boicottano la trattativa perché vogliono una guerra che duri anni per mettere in crisi la Russia.
Stoltenberg ha sostanzialmente chiuso la porta aperta da Zelensky facendo capire chi comanda.
Stoltenberg ordina agli ucraini che devono vincere questa guerra anche se durerà anni. Tanto a morire sono ucraini e russi non certo i signori della guerra che inviano le armi.
Ovviamente le parole di Stoltenberg sull’illegalità dell’annessione sono ridicole visto che la NATO nel 1999 ha fatto una guerra contro la Serbia per imporre la secessione del Kossovo dove ora c’è un’enorme base americana.
Tra l’altro va ricordato che nel referendum in Crimea l’85% della popolazione si era espressa per il ritorno nella Russia da cui quel territorio era stato separato solo negli anni ’50. L’istituto di sondaggi statunitense Gallup confermò che il risultato corrispondeva agli orientamenti della popolazione (fonte: Stephen F. Cohen, War with Russia, 2019).
Chiediamo al governo italiano di prendere le distanze dalle parole di Stoltenberg ma non abbiamo alcuna fiducia che lo faccia visto che dal Pd alla Meloni sono tutti servi della Nato.
Sempre più si conferma il ruolo di destabilizzazione della NATO e la necessità per l’Italia e l’Europa di liberarsi da questo strumento dell’egemonia statunitense.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
P.S.: La biografia di questo signore della guerra ricorda la natura imperialista del Partito “Socialista” Europeo. Questo delinquente politico ha sostenuto l’attacco di Erdogan contro i curdi in Rojava: https://it.wikipedia.org/wiki/Jens_Stoltenberg
AMICO/NEMICO E TERZA FORZA – Franco Astengo
Da alcuni analisti occidentali sta emergendo una valutazione in base alla quale l’espansionismo russo (cfr. Andrew Wilson su “Scenari”) deriverebbe dall’impatto teorico che l’idea di riduzione schimttiana della politica all’interno della coppia “amico/nemico” avrebbe sull’impianto di analisi geo-politica sostenuto dalla maggior parte dell’establishiment di quel paese.
A questo punto ci sarebbe da chiedersi quanta reciprocità ci sia tra questa concezione analitica di stampo orientale e quella di stampo occidentale (in realtà USA come traino NATO) e, ancora, di richiesta avanzata da parte dei settori dominanti della politica e dell’economia USA di parte democratica per un ritorno alla semplificazione del quadro globale in “sfere d’influenza” (“scontro di civiltà”).
Dopo il fallimento dell’ “American first” di marca trumpiana sarebbe questo, di una sorta di ritorno alla logica dei blocchi e di egemonia USA sull’Occidente l’ esito del superamento della fase di globalizzazione già avviata con la crisi del 2007-2008.
Al contrario, come scrive Alain Gresh su “Le Monde diplomatique” l’affievolimento delle linee di appartenenza ideologica di un tempo potrebbe offrire a un mondo multipolare l’opportunità di emergere dal caos alimentando al resto del mondo la possibilità di esercitare un più ampio margine di manovra.
Rispetto al tentativo di imporre un ritorno al bipolarismo attraverso la guerra e l’equilibrio del terrore il movimento pacifista avrebbe dunque carte da giocare sia sul piano teorico sia su quello dell’interposizione geo-politica tanto più che, andando avanti sulla linea bellicista mantenuta negli ultimi tre mesi, ci si troverà presto di fronte al micidiale combinato disposto tra rischio di escalation nucleare, crisi energetica e crisi alimentare.
Un intreccio micidiale che si collocherebbe a un livello di pericolosità globale mai visto nel corso della fase di sviluppo della modernità a partire dalla prima rivoluzione industriale.
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Gli oligarchi sono l’élite del capitalismo, a est come a ovest – Gaetano Lamanna
…Nell’immaginario collettivo, aerei privati e yachts super lussuosi, ville e residenze esclusive, rappresentano lo status simbol degli oligarchi. Ma riusciamo a vedere solo lo strato superficiale di unimmenso tesoro accumulato e ben nascosto nei paradisi fiscali. La smisurata quantità di denaro posseduta deforma, in molti di loro,la percezione della realtà. Pensano di poter sopravvivere a qualsiasi tracollo finanziario o a qualsiasi guerra. Vivono fuori dal tempo. Alcuni, Elon Musk e Jeff Bezos, investono nella ricerca aereo-spaziale, d’accordo con la Nasa, forse immaginando di costruire rifugi sicuri fuori dal nostro pianeta. Segnando così la distanza abissale che li separa dai comuni mortali. Super uomini che sognano di dominare il mondo dall’alto. A queste stravaganze e abiezioni ci ha portato «il punto di vista» che trasforma ogni cosa in economia e misura il valore delle persone dalla consistenza dei patrimoni.
Il potere degli oligarchi è tanto più forte quanto più deboli sono la democrazia e la politica. Silvio Berlusconi, classificabile a buon diritto nella schiera degli oligarchi, è entrato nell’agone politico in un momento di massima crisi dei partiti, per meglio difendere e allargare il campo dei suoi affari. Sono numerosi gli oligarchi che puntano a governare direttamente i loro paesi. Una volta al potere, si avvalgono della collaborazione, ben remunerata, di ex premier, ex ministri, ex parlamentari, abbassatisi al ruolo di lobbisti, mediatori o faccendieri. Le sanzioni nei confronti degli oligarchi russi incidono poco proprio per le difficoltà di recidere l’enorme grumo di interessi e di relazioni opache che li circonda.
Aiuti militari sempre più consistenti stanno prendendo il sopravvento sulle sanzioni. Siamo ormai dentro la spirale di un conflitto lungo e doloroso. Una guerra che non è «la continuazione della politica con altri mezzi», come sosteneva il generale von Clausewitz. Sottolinea, semmai, le difficoltà della politica, il restringimento degli spazi di democrazia, i pericoli di recrudescenze nazionaliste e reazionarie. Dà fiato alla corsa agli armamenti. Alimenta una visione manichea, del bene contro il male, che non aiuta a comprendere di chi siano le responsabilità dell’emergenza globale in cui viviamo: i cambiamenti climatici, i rischi per la salute pubblica e, ora, la guerra.
Lo scenario dello «scontro di civiltà», delineato da Joe Biden, non promette nulla di buono. Di quale civiltà parliamo? Di quella creata, in trenta anni di egemonia liberista, con lo smantellamento dello Stato sociale, con la riduzione delle tutele sindacali, con il saccheggio dei paesi poveri, con l’acuirsi delle disuguaglianze e delle tensioni geopolitiche? E di quale democrazia parliamo? Di quella dell’assalto a Capitol Hill, con cui si è conclusa la presidenza Trump, che ha messo in evidenza la fragilità e la vulnerabilità delle istituzioni democratiche, anche nei paesi occidentali? E’ tempo di rovesciare il «punto di vista» dominante.
E di trasformare lo scontro di civiltà ideologico, evocato dal presidente americano, in uno scontro di civiltà reale. Un mondo più giusto, in cui non comandino le oligarchie, è possibile. La sinistra ha l’occasione, il dovere innanzitutto, di costruire un movimento largo e unitario che tenga insieme i temi della pace, della salvaguardia dell’eco-sistema, del rafforzamento della sfera dei diritti collettivi e individuali.
Crisi in Ucraina: Biden soffia sul fuoco della guerra – Alan Woods
…È tutto molto chiaro. In fondo, questa non è una guerra tra Russia e Ucraina. È una guerra per procura tra la Russia e gli Stati Uniti. Questioni come la democrazia, i diritti umani e la sovranità nazionale non sono di minimo interesse per gli imperialisti, se non come terreno di propaganda a buon mercato. Ma sono molto interessati a prolungare la guerra, indipendentemente da tutta la sofferenza umana, poiché sperano che serva a indebolire la Russia.
A differenza degli ipocriti imperialisti, la classe operaia in Occidente prova una autentica simpatia per le terribili sofferenze di milioni di poveri in Ucraina. Donano denaro, vestiti e cibo, che non possono permettersi, per aiutare le vittime della guerra. Aprono le loro case e condividono tutto quello che hanno con i rifugiati senza casa. E questo va a loro merito.
Ma una cosa è esprimere solidarietà con le vittime della guerra. Un’altra cosa è appoggiare, direttamente o indirettamente, la politica cinica dell’imperialismo, che sfrutta il supplizio di milioni di uomini, donne e bambini, prolungando deliberatamente il conflitto per i propri interessi egoistici…
Tutto quel che non abbiamo capito (e che ci deve spaventare) del discorso di Putin – Fulvio Scaglione
…L’Europa discute se e come e quando rinunciare al petrolio e al gas russo, e già sa che ci saranno Paesi che si opporranno fino all’ultimo (o fino all’ultimo euro, se Bruxelles fornirà corposi indennizzi). La Russia ha già chiuso i rubinetti del gas a Polonia e Bulgaria, a scopo dimostrativo. Infatti le esportazioni di Gazprom (l’ente di Stato monopolista in Russia) verso Ue e Turchia sono calate del 26,9% e quelle verso la Cina sono aumentate del 60% su base annua. Effetto della guerra in Ucraina? Anche. Perché in realtà questa (meno traffici con l’Ovest e più commerci con l’Est) è una tendenza di lungo periodo. Vent’anni fa i primi quattro Paesi per importazioni dalla Russia erano Germania, Italia, Ucraina e Cina. Oggi la Cina stacca tutti e le sue importazioni dalla Russia, in questi due decenni, sono passate da 5 a 57 miliardi l’anno. Il che vale anche in senso opposto. Due anni fa, per fare un esempio, la Germania era il primo fornitore di tecnologia della Russia, oggi è ampiamente superata dalla Cina.
Questo processo di distacco dall’Occidente, dalla sua supremazia e dalle sue reali o presunte minacce, infine, si sta consumando anche in ambito finanziario. Altrimenti detto: la Russia (e la Cina) stanno cercando da anni di usare sempre meno il dollaro, moneta universale degli scambi commerciali. Nelle riserve monetarie russe (come sappiamo ora in parte bloccate a causa delle sanzioni) il dollaro ha perso molto peso. Nel 2018, dal 48,5% delle riserve russe era sceso al 22,7%, mentre l’euro saliva dal 21,7 al 31,7. E nel 2021 è stato poi superato anche dall’oro, arrivato al 22,9%. Nello stesso tempo, e con un’ovvia accelerazione dopo l’inizio della guerra, la Russia e i Paesi che non hanno aderito alle sanzioni, soprattutto Cina e India, hanno aumentato la quota dei loro pagamenti con valute diverse dal dollaro. Nel 2015 Russia e Cina saldavano in dollari il 90% dei loro scambi, nel 2019 si era già al 51% e nel 2020 intorno al 48%. E con l’India è allo studio un sistema di scambio commerciali pagati in rupie e rubli, con lo Yuan, la valuta cinese a fare da riferimento. Nulla che possa scalfire, per ora, la supremazia internazionale del dollaro. Ma di certo l’indicazione di una politica, di un desiderio. E che la Russia, magari accompagnata dalla Cina, decida di tagliare i ponti con l’Europa e l’Occidente, è una brutta notizia per tutti. Per la Russia, in primo luogo. Ma anche per noi.
Lula propone ‘Sur’, moneta unica per accelerare l’integrazione latinoamericana
L’ex presidente brasiliano Lula è tornato sulla scena pronto a correre alle prossime elezioni presidenziali contro Jair Bolsonaro ed è un vulcano di idee.
L’ex sindacalista brasiliano vuole farsi promotore di una rinnovata unità dei paesi dell’America Latina e a tal proposito ha proposto la creazione di una moneta unica per l’America Latina in grado di contrastare la dipendenza dal dollaro.
La proposta arriva in una fase dove il biglietto verde statunitense perde quota a livello internazionale, anche perché le sanzioni unilaterali statunitensi imposte contro ogni paese che non segue l’agenda dettata da Washington in base ai propri interessi, rende la moneta USA sempre più inaffidabile.
“Ristabiliremo il nostro rapporto con l’America Latina. E se Dio vuole, creeremo una valuta in America Latina, perché non è bene continuare a dipendere dal dollaro”.
È quanto ha affermato Lula in un discorso al Congresso elettorale del Partito Socialismo e Libertà.
Lula avanza la proposta per la creazione della moneta “Sur” nell’ambito dell’ampliamento delle relazioni tra i paesi della regione. Con l’obiettivo di promuovere l’integrazione regionale e rafforzare la sovranità monetaria dell’America Latina.
L’economista Gabriel Galípolo, ex presidente del Banco Fator, e l’economista Fernando Haddad (già candidato alle scorse presidenziali), difendono l’idea di una moneta unica latinoamericana, proposta dall’ex presidente del Brasile.
La nuova valuta digitale sarebbe emessa da una banca centrale sudamericana, con una capitalizzazione iniziale realizzata dai paesi membri. La capitalizzazione sarebbe proporzionale alle rispettive quote nel commercio regionale, sottolineano Galípolo e Haddad.
Per entrambi gli economisti, la capitalizzazione di SUR “sarebbe fatta con le riserve internazionali dei paesi e/o con una tassa sulle esportazioni di paesi fuori regione. La nuova valuta potrebbe essere utilizzata per il commercio e i flussi finanziari tra i paesi”.
I responsabili della realizzazione del progetto cercano di aprire un dibattito sul potere delle valute, sul loro rapporto con la sovranità e sulla capacità di autodeterminazione dei popoli…
La guerra che rincorre i fossili, rallenta le rinnovabili e arricchisce Big Oil – Mario Agostinelli
Con il trascorrere dei giorni, la guerra in Ucraina non mostra soltanto lo spettro più atroce di enormi sofferenze ed i profitti odiosi dell’apparato militar-industriale, ma, nella follia che l’accompagna, rende evidenti enormi e calcolati interessi che stravolgono i mercati degli alimenti, dei combustibili e delle materie prime, mentre viene dilazionata in modo drammatico la conversione ecologica per combattere l’ingiustizia sociale e il cambiamento climatico. Su quest’ultimo aspetto e sulle politiche europee e nazionali al riguardo mi voglio qui soffermare.
Per ottenere il sostegno dei socialisti e dei liberali, Ursula von der Leyen si è impegnata a ridurre le emissioni di gas serra dell’Ue al 55% entro il 2030. Ora, il Partito popolare europeo (PPE) sostiene che la guerra in Ucraina renderà più difficile l’obbiettivo previsto e che gli inquinatori industriali dovranno avere più libertà di azione. Così, il centro-destra sta minacciando di far naufragare una riforma cruciale del mercato del carbonio, rischiando di far deragliare le ambizioni climatiche dell’Ue. L’eurodeputato francese Pascal Canfin ha riferito ad Euractiv che “Se sommiamo tutti gli emendamenti del PPE sui quattro testi in esame al Parlamento, non raggiungiamo il 55%”.
Molti sospettano che il PPE ricada nelle vecchie abitudini e difenda gli interessi delle industrie inquinanti coperte dal sistema per lo scambio di quote di emissioni (ETS). Dietro questa posizione c’è la volontà di acquisire nuove quote di carbone e metano provenienti da Australia, Qatar e Stati Uniti dopo le sanzioni sulla Russia.
Di contro, undici ex commissari dell’Ue, tra cui Romano Prodi, hanno inviato una lettera congiunta alla Commissione europea, martedì 3 maggio, chiedendole “una profonda trasformazione del sistema (energetico) verso idrogeno e rinnovabili” e “di garantire che le azioni a breve termine per allontanare l’Ue dalla dipendenza dai combustibili fossili russi non finiscano col costringere l’Ue ad una rovinosa dipendenza dai combustibili fossili da altri paesi”. Inoltre, invitano la Commissione a ritirare il suo progetto di atto delegato complementare per includere il gas fossile nella tassonomia dell’Ue come attività transitoria”.
In questo quadro in cui le destre europee si ergono a difesa delle multinazionali del settore Big Oil, è in corso una inversione rilevante dovuta alla pressione crescente degli investitori (i grandi fondi istituzionali in particolare) verso la transizione a fonti energetiche meno dannose per l’ambiente e il clima globali, con una spinta particolare verso eolico, fotovoltaico e idrogeno verde.
La risposta delle imprese fossili per eccellenza – come spiega Nicola Borzi su il Fatto Quotidiano del 9 maggio – sta nell’aumentare il rendimento del capitale per mantenere l’appeal delle proprie azioni. E qui viene in soccorso la guerra, ovviamente non per tutti in egual misura. Il conflitto in Europa orientale per ora ha stabilizzato i costi del petrolio in una fascia che oscilla intorno ai 110 dollari al barile, con un rialzo del 60% nell’ultimo anno. A questi valori, le imprese del settore realizzano enormi utili industriali. Sette delle più grandi multinazionali del greggio in media hanno triplicato i profitti netti rispetto a un anno fa. L’Eni li ha aumentati addirittura di dieci volte, da 0,3 a 3,3 miliardi di dollari. La statunitense Chevron li ha più che quadruplicati a 6,3, la francese Total li ha triplicati a 9 miliardi.
Le armi trasferite all’Ucraina dai Paesi Nato, da Canada e soprattutto Stati Uniti consumano ingenti quantità di fossili e, mentre attaccano pesantemente il clima, mantengono alti i prezzi dei combustibili, a qualsiasi costo, da attribuirsi non solo all’estrazione, ma, in aggiunta, ai trasporti via nave, alla rigenerazione di vecchi metanodotti, al costo della liquefazione del gas e dell’allestimento di impianti di rigassificazione nuovi “di pacca” alle banchine dei porti europei.
Washington immetterà sul mercato in media un milione di barili in più al giorno, spesso di provenienza da gas di scisto, destinati, dopo liquefazione e trasporto transoceanico ai moli del Mediterraneo e del Baltico. Con la guerra in Ucraina il gas naturale liquefatto (Gnl), a oggi, è l’unica fonte disponibile in tempi rapidi (ma a prezzi molto più alti) per liberarsi dalla dipendenza verso Mosca. Così, l’import di Gnl è cresciuto del 28% su base annua da gennaio a fine aprile mentre il consumo di gas in Europa è diminuito del 6%.
E da noi? Si suppone che, data l’esposizione naturale dell’Italia, ci sia una rincorsa alle rinnovabili. Invece, per quel che si sa, Snam è alla ricerca dell’acquisto di due navi metaniere nuove, una delle quali per metanizzare la Sardegna!
Intanto, la Commissione europea ha pubblicato martedì 3 maggio un rapporto che mostra progressi contrastanti nell’attuazione della direttiva sulla pianificazione dello spazio marittimo, che richiede a 22 Stati membri costieri di produrre piani dello spazio marittimo entro il 31 marzo 2022. Sebbene la maggior parte degli Stati membri costieri abbia ora un piano di questo tipo, secondo il rapporto otto paesi (Estonia, Spagna e Bulgaria, Croazia, Cipro, Grecia, Italia e Romania) non hanno compiuto progressi sufficienti. (https://aeur.eu/f/1go(LC)
E allora, mi domando, l’OK all’eolico galleggiante a Civitavecchia, in quale corridoio ministeriale si è perso?
dice Enrico Vigna:
… E in tutto ciò l’Unione Europea come si è mossa? Che contributo ha dato?
Ancora una volta l’UE ha dimostrato di non contare nulla, perché io penso che proprio in un frangente come questo, in Europa dovrebbero essere gli interessi dei paesi europei e degli stati europei ad essere protagonisti nelle questioni europee, ma questo vorrebbe dire una autonomia politica e culturale che non esiste
La Crimea può permettere o impedire l’accesso fino al Mediterraneo delle navi russe di stanza nel Mar Nero e nel Mare d’Azov. I russi hanno favorito o truccato il referendum della Crimea per scongiurare il pericolo di paralisi delle loro navi?
C’era poco da truccare. I risultati schiaccianti del referendum, con il consenso al ritorno alla Russia, del 96,6 % degli elettori ( con votanti di quasi l’80% degli aventi diritto), Alla Russia la Crimea era appartenuta a partire dal 1783 (prima dipendeva dall’Impero Ottomano) fino al 1954.
Quando Krusciov decise, illegalmente, di donarla alla terra natale dei suoi e dove aveva iniziato la sua carriera politica: l’Ucraina.
Ovviamente la Russia ha avuto un ruolo influenzatore, sia in quanto strategicamente la posizione geografica della Crimea è fondamentale per il traffico marittimo commerciale e militare. Mi pare scontato e ovvio che abbia avuto un ruolo, ma se neanche la comunità tatara, spesso su posizioni critiche, ha abboccato agli inviti occidentali, mi pare che ci sia poco da discutere. In tutti questi anni dopo il RITORNO alla Russia non ci sono state né manifestazioni né lamentele per il risultato del referendum e conseguente RITORNO nella federazione Russa.
Il Donbass è ricco di molti minerali, tra i quali il litio, essenziale per molte produzioni moderne. Ed è ricco anche di gas. C’è la mano della Russia nei referendum autonomisti di Donetsk e Lugansk?
Anche qui ritengo che valgano gli stessi parametri di giudizio che per la Crimea. Al di là della ricchezza di materie prime dell’area, elemento non certo indifferente alle strategie politiche dell’area. I dati riscontrati, magari anche se un po’ ritoccati, con l’89,7% e il 95,98% di consensi, penso che possano obiettivamente, lasciare poco spazio ad altre valutazioni più scettiche.
Le principali colpe di Zelensky, se ce ne sono, e quelle di Putin prima dell’invasione?
Riguardo Zalensky, non considerandolo un politico, ma semplicemente un comico miliardario messo lì dal suo tutore, il banchiere e oligarca Kolomoiskyi ricercato all’estero per corruzione e frodi in Ucraina, non si possono imputare colpe politiche, è semplicemente un soggetto che si è trovato dal giocare in tv a dover fare davvero il presidente, in una situazione immensamente più grande e tragica di lui e delle sue capacità.
Dal punto di vista sociale ed economico, basta un solo dato: in 8 anni dal golpe, l’Ucraina è precipitata al secondo posto tra i paesi più poveri d’Europa, lo stato sociale è stato saccheggiato, i gioielli industriali produttivi come i cantieri di Odessa, sono stati distrutti e decine di migliaia di lavoratori sono disoccupati. I beni pubblici e statali sono stati depredati, salari e pensioni svalutati e insufficienti anche solo a sopravvivere. Ha portato il suo popolo in una guerra che si poteva evitare con buonsenso politico e strategie raziocinanti. Bastano per dare un giudizio su chi governa il paese?
E quelle di Putin?
Per quanto riguarda Putin, pur non essendo un fan del presidente russo, ritengo che, se ci si attiene ai fatti onestamente e laicamente bisogna riconoscere che per 8 anni ha chiesto, cercato, offerto, denunciato. Tutto inutile: l’Europa e gli USA hanno fatto sempre e solo orecchio da mercante. Putin si era reso disponibile a trovare soluzioni negoziali, e per questo in Russia i suoi consensi stavano calando verso il 70%.
In conclusione: che futuro vedeva lei per l’Ucraina nel 2014? E oggi?
Il futuro dell’Ucraina è difficile da delineare, occorre vedere gli esiti del conflitto militare e delle strategie russe. Ma soprattutto in mancanza di un ruolo protagonista dell’UE, gli obbiettivi di USA e NATO sono quelli di una guerra che duri il più possibile, come destabilizzazione della Russia. Io penso che il confronto è tra USA/NATO e Russia, e l’Ucraina a causa di governanti asserviti a interessi stranieri, sia la vittima designata e la sua gente usata come carne da cannone, in modo sciagurato e cinico dall’occidente.
Conseguenze di tutto ciò?
La conseguenza di tutto ciò è la tragedia che sta vivendo oggi il popolo ucraino, da 8 anni vittima, politicamente, socialmente, culturalmente e spiritualmente della giunta di Kiev. Una discesa agli inferi di chi ha sempre vissuto onestamente, pacificamente, lavorando e cercando condizioni di vita migliori, come semplici valori di vita. Tutto questo non c’è più e penso che non ci sarà più. Così come non ci sarà più la statualità ucraina conosciuta fino a febbraio. Il resto si vedrà. La più grande speranza, avendo conosciuto la guerra non in TV o nei film ma dal vivo, è che in qualche forma si trovi una cessazione della conflittualità militare e che poi qualcosa di positivo e di speranza possa rinascere.
Devo aggiungere che sono cosciente che esiste nelle regioni occidentali dell’Ucraina, nello specifico in Galizia e Volinya, un 20% di popolazione che è oggettivamente, storicamente, politicamente e culturalmente attiguo e consensuale verso l‘ ideologia nazista. Lo dimostrano mille esempi e fatti documentati, ma anche le varie elezioni in quelle regioni. Così come esistono le strategie USA e NATO, evidentemente ostili a soluzioni negoziali.
“Gli Usa temono un asse Russia-Cina e un mondo multipolare”
Luciana Borsatti intervista Alberto Bradanini
Parla l’ex ambasciatore, autore di “Cina. L’irresistibile ascesa”
“Pur non concordando sulla decisione di Putin di invadere l’Ucraina, poiché qualsiasi conflitto anche lontano genera insidiose turbolenze, la dirigenza cinese condivide nella sostanza il giudizio di Mosca: che la genesi del conflitto vada attribuita alla strategia americana di destrutturare la Russia con una guerra per procura (combattuta dagli ucraini con armi e finanziamenti Nato-Usa), provocarne un cambiamento di regime e se possibile causarne persino la frantumazione, rendendola facile preda degli avvoltoi di Wall Street”. A dirlo in una conversazione con chi scrive è Alberto Bradanini, Ambasciatore a Pechino dal 2013 al 2015, dopo esservi stato consigliere commerciale e console generale a Hong Kong. L’ex diplomatico, che ora presiede il Centro Studi sulla Cina Contemporanea, ha appena pubblicato “Cina. L’irresistibile ascesa” (Sandro Teti Editore), che fa seguito a “Oltre la Grande Muraglia. Uno sguardo sulla Cina che non ti aspetti” (Università Bocconi, 2018) e “Cina, lo sguardi di Nenni e le sfide di oggi” (Anteo, 2021).
“Nel giudizio di Pechino – prosegue Bradanini – gli Usa mirano poi a impedire la saldatura Russia-Cina e a provocare un’analoga guerra per procura anticinese, questa volta combattuta fino all’ultimo taiwanese”. A suo avviso, gli Usa non accettano l’emergere di un mondo multipolare che fiorisce intorno all’alleanza russo-cinese, cui si aggiungerebbero “l’India e altre nazioni cosiddette emergenti che, infatti, non intendono seguire Washington nella politica sanzionatoria contro Mosca”.
Di tale ultimo sviluppo costituisce un’evidenza il voto dell’Assemblea generale dell’Onu, dove la risoluzione americana di condanna dell’invasione russa è passata con 141 voti a favore e 5 contrari (Russia, Bielorussia, Eritrea, Corea del nord e Siria), ma anche con 35 astenuti, tra cui Cina, India, Pakistan, Egitto, Sud Africa, Mongolia, tutte le ex-repubbliche sovietiche e diversi Paesi dell’America centrale e meridionale e africani. Altri, pur avendo votato contro Mosca, non si sono poi associati alle sanzioni Usa-Ue.
Ora, osserva l’ex ambasciatore a Pechino, non sarebbe razionale catalogare tali paesi, che insieme rappresentano oltre quattro miliardi di abitanti del pianeta, tra i sostenitori della Russia. Essi però “danno corpo in tal modo a un forte malcontento nei riguardi degli Stati Uniti, ritenuti responsabili delle radici di un conflitto iniziato nei primi anni 2000, aggravatosi poi nel Donbass nel 2014 con oltre 15mila vittime ed estesosi ora a una guerra vera e propria”.
Le angosce di Washington davanti alla complementarità Europa-Russia
L’eterno incubo americano, sempre secondo Bradanini, è costituito dalla possibile saldatura Russia-Europa, “le quali condividono un’oggettiva complementarità: stessa civiltà, profonda interazione storica, medesima religione e stesso colore di pelle. Sul piano economico, l’Europa ha bisogno di energia, la Russia di capitali, macchinari e beni finiti di qualità: due calamite in naturale reciproca attrazione. Se tale saldatura dovesse materializzarsi, gli Stati Uniti si troverebbero in posizione marginale oltre Atlantico, lontani dall’heartland, quella regione irrinunciabile per chi mira a dominare il mondo. Se poi si aggiungesse la Cina, che con la Belt and Road Initiative mira proprio ad accorciare le distanze tra le due estremità dell’Eurasia attraverso la connettività nei territori intermedi, le trepidazioni dell’impero giungerebbero al parossismo perché, in quel caso, lo scettro del mondo passerebbe di mano”.
“L’espansionismo Nato/Washington verso Est ha dunque l’obiettivo strategico di impedire quel percorso di pacificazione/integrazione euroasiatica che era emerso quale promessa di pace e sviluppo alla caduta dell’Unione Sovietica”. Una svolta che aveva determinato “una nuova convergenza tra Cina e Russia”, non più accomunate dall’ideologia anticapitalista come ai tempi di Mao e Stalin, ma da comuni interessi economici e strategici, e dalla medesima necessità di contenere l’espansionismo americano.
Del resto, rileva ancora Bradanini, “anche in una discutibile strategia imperiale, il Paese in grado di sfidare l’egemonia americana è la Cina, non certo la Russia, la quale andrebbe reclutata nel campo euro-atlantico e non sospinta verso Pechino”…
“Vincere la guerra”, ovvero la catastrofe a portata di mano – Marco Bascetta
La responsabilità di questa guerra, anche tenendo conto del contesto geopolitico che ne ha forgiato numerose condizioni, non può che essere addossata alla Russia, in quanto paese aggressore che ha deciso di risolvere con le armi gli attriti sui suoi confini occidentali. Ma l’allargamento del conflitto, verso il quale il mondo sta rapidamente precipitando, chiama in causa altri responsabili. Il vertice con i rappresentanti di 43 paesi convocato dagli americani nella loro grande base militare di Ramstein in Germania non può definirsi altrimenti che come un consiglio di guerra. Con l’intento dichiarato di giungere a una completa vittoria militare dell’Ucraina.
Cosa questo significhi quando sconfitto si vorrebbe il Paese più esteso e la seconda potenza nucleare del pianeta non è chiaro ed è decisamente inquietante. Fatto sta che non si parla più di far cessare la guerra, ma di vincerla. Con costi umani ed economici incalcolabili e che infatti tutti si guardano bene dal calcolare. La diplomazia si è dissolta in un latrato irresponsabile e minaccioso, che esula da ogni possibile prospettiva negoziale. Ad ogni giorno che passa, ad ogni pronunciamento della Nato, di Londra e di Washington, ad ogni replica moscovita, la possibilità di un compromesso si fa sempre più evanescente, per non dire impossibile…
https://www.youtube.com/watch?v=socn2mp2dIk&ab_channel=MatteoSaudino-BarbaSophia
Vincere – Sandro Mezzadra
…La minaccia nucleare resta sullo sfondo della guerra, anche al di là delle grottesche simulazioni dell’“incenerimento” delle metropoli europee proposte da un canale televisivo russo nei giorni scorsi (come se analoghe simulazioni non fossero possibili per Mosca e San Pietroburgo). Possiamo considerarla un “rischio calcolato”? Sappiamo in particolare come questa pretesa sia risultata fallimentare nel caso della Grande Guerra, proprio a fronte del progressivo restringersi degli spazi per il negoziato. E lo spettro di Sarajevo può assumere molte forme nello scenario bellico contemporaneo. Siamo dunque ben lungi dal poter escludere un’escalation che conduca all’allargamento del conflitto, all’intervento diretto della NATO e all’impiego sul terreno di armi nucleari, magari “tattiche” in prima battuta (ma si sa che i rapporti tra tattica e strategia si sono fatti confusi nella guerra contemporanea). Ma questa possibilità si presenta oggi in uno scenario che si è fatto più chiaro: quello di una guerra lunga, una guerra di logoramento (di “indebolimento”) della Russia, in cui gli Stati Uniti sono pienamente coinvolti al pari di chi ne segue le politiche all’interno della NATO. È infatti per “proteggere” le prerogative di quest’ultima, come ha ben spiegato Jeffrey Sachs (Corriere della sera, 1.5), che ormai l’Ucraina combatte. In uno scenario, quello appunto di una lunga guerra di logoramento, in cui la distruzione del Paese pare messa nel conto, con gli intollerabili costi umani che comporterebbe.
Non si vuole certo con questo ridimensionare le responsabilità della Russia e del suo Presidente. L’azzardo di una guerra di aggressione, con le violenze sulla popolazione civile che sono seguite, non può avere alcuna giustificazione. Ha dichiarato il Ministro degli Esteri Sergei Lavrov all’agenzia cinese Xinhua (30.4) che è giunto il tempo per l’Occidente di “prendere atto delle nuove realtà geopolitiche” e che l’“operazione speciale” in Ucraina punta a sostenere il “processo di liberazione del nuovo mondo dall’oppressione neocoloniale dell’Occidente, pesantemente intrisa di razzismo e complesso di superiorità”. Parole davvero singolari, che da una parte interpretano dati reali, mentre dall’altra non temono il paradosso di presentare una potenza con pretese imperiali, il cui carattere “fraterno” è apparso dolorosamente chiaro ai ceceni, ai georgiani e ora agli ucraini, come campione dell’anticolonialismo. Viene in mente il Giappone negli anni Trenta del Novecento… E non è inutile ribadire che la Russia di Putin presenta caratteri di autoritarismo politico e sociale, di chiusura di fronte a ogni forma di conflitto (di lotta di classe), di resistenza all’innovazione tanto economica quanto culturale che la rendono ostile a un progetto di riorganizzazione dell’ordine mondiale su basi di redistribuzione della ricchezza e del potere, di libertà e di uguaglianza.
Resta comunque il fatto che il riferimento alle “nuove realtà geopolitiche” coglie un punto fondamentale sullo sfondo della guerra in Ucraina. E chiama in causa in primo luogo la Cina, che continua a mantenere una posizione defilata, certamente cauta nei confronti della Russia ma anche riluttante di fronte alla prospettiva di un intervento diplomatico diretto. È come se i tempi lunghi che si prospettano per la guerra non fossero in fondo sgraditi alla leadership cinese, che può approfittarne per consolidare le sue posizioni nell’Indo-Pacifico e contemporaneamente per affrontare i problemi interni che si sono in particolare manifestati nella gestione della nuova fase della pandemia a Shanghai. Resta però il fatto che lo spostamento dei poteri a livello mondiale, con il relativo declino dell’egemonia globale statunitense, costituisce il dato di fondo al centro della guerra. E la posta in gioco è un assetto geopolitico che consenta di gestire un’interdipendenza economica che anche in questi mesi (perfino con il contraddittorio esito delle sanzioni alla Russia) si è dimostrata irreversibile.
Ripetiamolo: c’è da dubitare che la Russia di Putin possa candidarsi a giocare un ruolo di guida in questo processo di rinnovamento. D’altro canto, l’atteggiamento degli USA, che punta a ristabilire un rapporto di forza con la Russia (e dunque con la Cina) e contemporaneamente a riaffermare un allineamento dell’“Occidente” (di cui è parte integrante la proiezione “globale” della NATO nell’Indo-Pacifico), si gioca sul filo dell’allargamento della guerra, che evoca necessariamente lo spettro della catastrofe nucleare. Quel che ne può derivare, nella migliore delle ipotesi, è una situazione di impasse, con il prolungamento della guerra di logoramento di cui si è detto. È piuttosto evidente che a pagarne il prezzo più alto – dopo la popolazione ucraina – sarebbe l’Europa, esposta a conseguenze economiche pesantissime che già si avvertono e sottoposta a violente pressioni per quel che riguarda la tenuta interna dell’Unione Europea (dove già oggi Paesi come la Polonia e i baltici impongono le priorità della NATO come criterio generale di orientamento dell’azione politica).
Si tratta dunque di comprendere se nei prossimi mesi si esprimeranno, nei principali Paesi dell’Unione Europea, posizioni capaci di affermare un interesse europeo diverso da quello degli USA e della NATO. Quel che è certo è che sta emergendo una diffusa consapevolezza del fatto che gli obiettivi di guerra di questi ultimi sono del tutto diversi da quelli proclamati nelle prime settimane del conflitto. “Vincere” la guerra significa ridimensionare la Russia, il che non appare possibile se non attraverso un prolungamento della guerra. Ora, a questo servono le armi inviate agli ucraini. È contro questo scenario che occorre rilanciare ed estendere la mobilitazione. Per fermare questa guerra, ma anche per far sì che nella situazione di cambiamento degli equilibri sul piano mondiale che stiamo vivendo non vi siano altre guerre. In Europa, in particolare, si tratta di fare pressione sui governi e sulle istituzioni dell’Unione affinché maturino posizioni autonome e si faccia quanto è possibile per arrivare a un negoziato. Sappiamo che, anche se posizioni autonome maturassero in Europa, non sarebbero le nostre. Ma quanto più forte sarà la nostra mobilitazione per fermare la guerra, tanto più spazio vi sarà per le lotte e per i movimenti sociali nel prossimo futuro. Ed è questo che significa, per noi, “vincere”.
Gli orrori neonazisti in Ucraina e la guerra senza fine della Nato – Barbara Spinelli
Man mano che passano i giorni, i neonazisti che combattono a fianco delle truppe regolari ucraine, e in particolare quelli asserragliati nell’acciaieria Azovstal, sono chiamati con nomi più benevoli: vengono presentati come eroici partigiani, difensori ultimi dell’indipendenza ucraina.
Zelensky che inizialmente voleva liberarsi dei neonazisti oggi dipende dalla loro resistenza e li elogia. La loro genealogia viene sistematicamente occultata e anche i giornalisti inviati tendono a sorvolare, ricordando raramente che nel Donbass questa maledetta guerra non è nata nel 2022 ma nel 2014, seminando in otto anni 14.000 morti.
Oppure si dice che il battaglione Azov è una scheggia impazzita, certo pericolosa ma non diversa da roba tipo Forza Nuova in Italia.
Invece il battaglione Azov è tutt’altra cosa: è un reggimento inserito strutturalmente nella Guardia Nazionale ricostituita nel 2014 dopo i tumulti di Euromaidan e ha legami organici con i servizi (Sbu, succedaneo ucraino del sovietico Kgb). Così come sono tutt’altro che schegge le formazioni neonaziste o i partiti vicini al battaglione: Right Sector (Settore di Destra), Bratstvo, National Druzhina, la formazione C14, il partito Svoboda oggi in declino, e vari drappelli militarizzati.
Sono i partiti su cui Washington e la Nato puntarono durante la rivoluzione colorata di Euromaidan, perché Kiev rompesse con Mosca. Sono strategicamente cruciali perché la guerra per procura Usa-Nato-Mosca continui senza scadenza. Se davvero fosse una guerra locale tra Kiev e Mosca, il segretario della Nato Stoltenberg non avrebbe respinto con tanta iattanza la rinuncia alla Crimea, prospettata qualche ora prima da Zelensky come primo passo verso una tregua.
Oleksiy Arestovych è stato dirigente di primo piano di Bratsvo ed è uno dei consiglieri politici di Zelensky: attore anch’egli, esperto in propaganda, è maggiore nell’esercito ed entrò nei servizi segreti nel 1990.
Nel 2014 si unì alla guerra contro i separatisti filorussi delle repubbliche di Donec’k e Luhans’k, partecipando a 33 missioni militari. Il massimo del successo, come blogger, lo raggiunse quando presidente era Porosenko, che più si adoperò per legittimare le destre russofobe e neonaziste inserendole nel sistema militare e amministrativo. Quando Zelensky vinse alle urne, Arestovych fu nominato suo consigliere speciale e portavoce del Gruppo di Contatto Trilaterale di Minsk, creato nel 2014 per negoziare con Mosca sul Donbass. Del Gruppo facevano parte Russia, Ucraina e Osce (l’Organizzazione Onu per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa).
Nel 2015, è all’Osce che la Fondazione per lo Studio della Democrazia (associazione civile russa) invia un rapporto sulle violenze perpetrate dai servizi del Sbu e da paramilitari neo-nazi non solo contro i militanti separatisti ma anche contro i russofoni non-combattenti del Donbass catturati assieme ai combattenti. Il rapporto cita e amplia un primo resoconto, pubblicato il 24 novembre 2014. Nel secondo si menzionano elettrocuzioni, torture con bastoni di ferro e coltelli, waterboarding (simulazioni di annegamento impiegati dagli Usa in Afghanistan, Iraq e a Guantanamo), soffocazione con sacchi di plastica, torture dell’unghia, strangolamenti tramite la garrota (detta anche “garrota banderista” in omaggio a Stepan Bandera, collaboratore dei nazisti nelle guerre hitleriane, eroe nazionale per l’estrema destra e occasionalmente anche per i governi ucraini).
In altri casi i prigionieri venivano sospinti a forza su campi minati o stritolati da carri armati. A ciò ci aggiungano la frantumazione di ossa, le temperature gelide delle prigioni, la sottrazione di cibo, la somministrazione di psicotropi letali.
Lo Stato lasciò impuniti tali torture e trattamenti inumani, proibiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Si trattò di azioni volutamente naziste se è vero che numerosi prigionieri ricevettero, sulla propria pelle, lo stampiglio della svastica o della parola “SEPR” (separatista) inciso con lame roventi sul petto o sulle natiche. La Costituzione ucraina, nell’articolo 37, proibisce l’esistenza di gruppi paramilitari nei partiti e nelle istituzioni pubbliche.
Torture e violenze simili sono evocate anche in documenti successivi, tra cui quello dell’associazione ucraina “Successful Guards” (14 settembre 2018). Il rapporto enumera le atrocità che vedono coinvolti partiti di estrema destra come National Druzhina, Bratstvo, Right Sector, e in particolare il gruppo C14, noto per aver stretto con numerose amministrazioni distrettuali –Kiev compresa– un Memorandum di Partnership e Cooperazione. Il C14 è responsabile non solo di azioni violente nel Donbass ma di pogrom contro i rom e di violenze contro le annuali commemorazioni di eroi antinazisti russi come Anastasia Baburova e Stanislav Markelov. Nel Donbass il C14 compie spesso azioni che il SBU non può legalmente permettersi, scrive il rapporto. Il metodo è sempre quello: l’esercito o il SBU o i ministeri dell’Interno e dei Veterani affidano i prigionieri sospetti di collaborazione con Mosca ai propri bracci torturatori: battaglione Azov o C14.
Queste violenze andrebbero rievocate, nel giorno che commemora la vittoria sovietica del ’45 e quella che Mosca chiama “grande guerra patriottica”. La chiamano così anche i commentatori occidentali, per dissimulare il fatto che fu una vittoria che liberò dal nazismo l’Europa intera, con gli alleati occidentali, e che costò alla Russia almeno 30 milioni di morti.
Da tempo si relativizza, sino a farlo scomparire, il contributo decisivo dell’armata rossa alla liberazione europea. Il contributo viene obliterato, come non fosse mai esistito, perfino dal Parlamento europeo (memorabile una risoluzione del settembre 2019 che attribuisce solo al patto Ribbentrop-Stalin le colpe della guerra e non fa menzione della Resistenza russa).
Il riarmo e l’allargamento a Est della Nato, uniti all’impudenza delle dimenticanze storiche e delle frasi di Stoltenberg, hanno creato tra Russia ed Europa un fossato quasi incolmabile, politico e anche culturale. A questo servono l’“abbaiare occidentale alle porte della Russia” denunciato dal Papa, l’oblio dello “spirito di Helsinki”, la russofobia in aumento.
Sono misfatti che non giustificano la brutale aggressione russa del 24 febbraio, ma che certo l’hanno facilitata. Che spingeranno la Russia, per molto tempo, a prender congedo da un’Europa che sempre più crede di progredire confondendo i propri interessi con quelli statunitensi.
Le sanzioni alla Russia, la fame nel mondo e il tripudio di ipocrisia occidentale
Più volte abbiamo rilanciato gli allarmi degli organismi internazionali sulle catastrofiche conseguenze globali della guerra ucraina. Riprendiamo dal Guardian: “In tutto il mondo, i paesi a basso e medio reddito stanno affrontando una triplice crisi: la pandemia, l’aumento del costo del loro debito e l’aumento dei prezzi di cibo e carburante causato dall’invasione russa dell’Ucraina”.
E riferisce le paure espresse a suo tempo da David Malpass, presidente della Banca Mondiale: “Sono profondamente preoccupato per i paesi in via di sviluppo. Stanno affrontando improvvisi aumenti dei prezzi dell’energia, dei fertilizzanti e del cibo, insieme a probabili incrementi dei tassi di interesse. Tutti questi fattori li stanno colpendo duramente”.
“L’ONU – continua il Guardian – ha cercato di quantificare il problema. Il suo braccio commerciale e per lo sviluppo, l’UNCTAD, ha comunicato in un recente rapporto che ci sono 107 paesi che stanno affrontando almeno uno dei tre shock: aumento dei prezzi dei generi alimentari, aumento dei prezzi dell’energia o situazioni finanziarie più critiche. Tutti e tre questi eventi scioccanti hanno colpito 69 paesi: 25 in Africa, 25 in Asia e nel Pacifico e 19 in America Latina”.
Il Guardian stranamente non lo riferisce (forse perché non può dirlo), ma a risultare devastante per il mondo non è tanto lo scontro militare, quanto le sanzioni che si sono abbattute sulla Russia, uno dei più grandi esportatori globali di energia, fertilizzanti, materie prime e grano.
La guerra in sé, in realtà, al di là delle non meno importanti sofferenze umane, ha conseguenze sul resto del mondo solo nell’ambito della circolazione del grano, essendo l’Ucraina uno dei più importanti esportatori di questo cereale vitale.
Insomma, sanzionando la Russia, si è condannato il mondo alla fame e all’insicurezza, perché le crisi alimentari portano con sé agitazioni dal basso, che possono andare fuori controllo.
È quanto sta avvenendo in Sri Lanka, dove la crisi ha provocato proteste che hanno provocato scontri causando le dimissioni del governo. Quanto avvenuto nell’isola dell’Oceano Indiano non rappresenterebbe altro che la caduta della prima tessera di un domino che rischia di replicarsi altrove.
Da questo punto di vista, il Guardian scrive che all’Fmi si teme che “lo Sri Lanka sia il canarino nella miniera di carbone”, l’uccellino che portavano con sé i minatori per segnalare le fughe di gas.
Quando l’amministrazione Usa ha definito le sanzioni contro Mosca come “infernali” forse non aveva compreso appieno la congruità del termine, dal momento che il combinato disposto della crisi causata dell’ondata pandemica con quella innescata dalle sanzioni anti-russe rischia di scatenare l’inferno in terra, con tumulti generalizzati senza precedenti.
Così che non sarà la guerra atomica a decimare la popolazione mondiale, ma le carestie e le violenze diffuse. E mentre Gli Stati Uniti si ergono a difensori della libertà contro le tirannidi, una tragica ironia vuole che le criticità di cui sopra rischiano di portare nuovi regimi tirannici nel mondo, come spesso accade nei momenti tumultuosi che spesso aprono la via all’ascesa di uomini forti.
Peraltro, le sanzioni contro la Russia, pur garantendo buoni affari alle imprese statunitensi, in particolare quella del gas di cui l’America è diventato il primo esportatore mondiale, e un proficuo guadagno geopolitico, facendo dei Paesi europei non più alleati ma servi, non inciderà sull’andamento del conflitto.
Infatti, non dissuaderà affatto la Russia dall’azione intrapresa, come descrive in maniera dettagliata un articolo di Foreign Policy al quale rimandiamo, né la indebolirà ulteriormente, potendo contare sull’appoggio economico-finanziario della Cina, che al netto delle sciocchezze che si scrivono in Occidente, non può permettersi il collasso dell’alleato perché sa bene che precederebbe il proprio, essendo anch’essa nel mirino dell’America.
Come dimostra, peraltro, proprio la crisi dello Sri Lanka, strettamente legata a Pechino e che ora brucia anche grazie a quanti in questa temperie hanno soffiato sul fuoco. Ma al di là del destino dell’isola, resta il problema del disastro che la crisi ucraina sta provocando nel mondo, con criticità crescenti.
Non c’è altra via per prevenire tale disastri se non porre fine alla guerra e attutire il regime sanzionatorio. Ma anche qui c’è chi soffia sul fuoco, Il discorso dimesso di Putin in occasione delle celebrazioni della vittoria sul nazismo, indica che Mosca è pronta a negoziare (come spiega al Messaggero l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci). Ma a Zelensky non è permesso (né a nessun altro ucraino, a quanto pare, ché di guerra o pace parla solo lui e due suoi fedelissimi… a proposito di uomini forti).
Sul punto riportiamo un commento di Dagospia: “Togliete a Zelensky il copione che gli scrive il suo sceneggiatore americano – mentre l’Europa spinge per un negoziato e Putin abbassa la cresta, il presidente ucraino aizzato da Washington punta il mirino verso il Cremlino: “Il vero Hitler è a Mosca” – Ufficialmente il primo obiettivo diplomatico è ottenere il cessate il fuoco, ma con inglesi e americani determinati a battere i russi sul campo, chi dovrebbe togliere per primo il dito dal grilletto?”
A proposito di Gran Bretagna, ieri Boris Johnson ha chiamato Macron, il quale, dopo aver vinto le elezioni, ha riproposto la via del negoziato. Questo il passaggio chiave della conversazione riferita dal governo britannico: “Il Primo Ministro [britannico] ha parlato della sua visita a Kiev del mese scorso e ha condiviso la sua convinzione che l’Ucraina avrebbe vinto, supportata dal giusto livello di assistenza militare difensiva. Ha poi esortato a evitare qualsiasi negoziato con la Russia che potesse in qualche modo accreditare la falsa narrativa del Cremlino usata per l’invasione, ma ha sottolineato che tale decisione spettava al governo ucraino”. Il cenno finale è un tripudio di ipocrisia…
SONO TUTTE DITTATURE…- Franco Cardini
A “Il Foglio” di ieri, sabato 7 maggio 2022, era annesso un corposo fascicolo dall’ambiziosi titolo Il mondo dopo Putin. Chi vuole, può procurarselo. Di particolare interesse, fra l’altro, il saggio di Anne Applebaum, I dittatori si combattono così (pp. 15-21). L’Autrice, premio Pulitzer 2004 per un libro sui Gulag, ci spiega fra l’altro che cos’è un dittatore. Era ora che qualcuno parlasse chiaro. Certo, molte cose sorprendono: ad esempio la conclamata equivalenza, alquanto afilologica, tra autocrazia/autocrate e dittatore/dittatura. Ma non è certo il caso di sottilizzare.
Comunque, in apparenza, il discorso della signora Applebaum parrebbe banale: ma non è così. Provate a decrittarlo. Ad esempio, in questo modo: leggendone il primo capoverso e poi attenendovi alle istruzioni che vi daremo.
Tutti noi abbiamo un’idea delle autocrazie[1] un po’ da cartone animato. C’è un cattivo[2] in cima che ha il controllo della polizia. Ci sono aiutanti malvagi e forse qualche dissidente coraggioso. Ma nel Ventunesimo secolo, questo cartone assomiglia poco alla realtà. Oggi, le autocrazie[3] non sono gestite da un solo uomo cattivo[4], ma da reti di strutture finanziarie cleptocratiche, servizi di sicurezza (militari, polizia, gruppi paramilitari, personale di sorveglianza) e propagandisti di professione. I membri di queste reti sono collegati tra loro non solo all’interno di un paese, ma tra tanti paesi. Le aziende corrotte e controllate dallo stato in una dittatura[5] fanno affari con le loro controparti in un’altra, e i profitti vanno al leader e alla sua cerchia ristretta. Gli oligarchi[6] di molti paesi usano gli stessi contabili e avvocati per nascondere il loro danaro in Europa e in America[7]. Le forze di polizia di un paese possono armare, equipaggiare e addestrare le forze di polizia di un altro; la Cina vende[8] notoriamente tecnologia di sorveglianza in tutto il mondo. I propagandisti condividono risorse e tattiche: le fabbriche di troll russi[9] che promuovono la propaganda di Vladimir Putin[10] possono essere usate anche per promuovere la propaganda nella Bielorussia o nel Venezuela[11], riportando e condividendo gli stessi messaggi sulla debolezza della democrazia e contro l’America[12]. I cinesi[13] in questo momento stanno facendo eco a false storie russe su armi chimiche ucraine inesistenti[14]. Il loro obiettivo è lanciare false narrazioni e confondere il pubblico negli Stati Uniti e in altre società liberali[15]. Lo fanno per farci credere che non c’è nulla che possiamo fare per reagire.
Splendida, esemplare lezione. Tuttavia, v’invitiamo a un giochetto. Abbiamo sottolineato alcune parole o espressioni, le abbiamo distinte con una nota a piè di pagina e v’invitiamo prima a leggere attentamente il testo della Applebaum, quindi a sostituire parole ed espressioni da lei usate con quelle da noi suggerite in nota, infine a rileggere il testo così come appare modificato. Sorpresa! Avrete un quadro perfetto del funzionamento delle democrazie liberaldemocratiche.
E allora, i casi sono due. Primo: in tutto il mondo globalizzato i poteri in realtà si somigliano, procedono in gioco omogeneo, e quanto alla violenza e alla frode con le quali agiscono si tratta solo di più o meno astute variazioni sui medesimi temi. Secondo: la signora Applebaum e quelli come lei, al pari di Arlecchino, si confessano burlando: sanno perfettamente come funziona il sistema di potere al quale sono funzionali e lo denunziano attribuendone però le caratteristiche ai loro avversari. A voi la scelta.
[1] “Democrazie occidentali”.
[2] Una lobby di pessimi disonesti.
[3] “Democrazie occidentali”.
[4] Una sola lobby di pessimi disonesti.
[5] Dallo stato o da soggetti privati in una “democrazia occidentale”.
[6] Imprenditori-lobbisti.
[7] Tutto il mondo, specie nei vari “paradisi fiscali”.
[8] Gli Stati Uniti vendono.
[9] Statunitensi.
[10] Joe Biden.
[11] In Francia o in Brasile.
[12] Del sistema politico russo e contro la Cina.
[13] Gli statunitensi.
[14] Euro-occidentali su armi chimiche russe inesistenti.
[15] In Europa e in tutto il mondo.
scrive Vincenzo Costa
Lo scontro di civiltà è tra di noi
Io credo che vi sia davvero uno scontro di civiltà, ma questo scontro di civiltà non è tra l’Occidente e gli altri, ma all’interno dell’Occidente.
È uno scontro tra un Occidente attardato, vecchio, settario, nostalgico del colonialismo, che crede di essere il possessore della verità, e un Occidente aperto agli altri. Tra un Occidente che pensa che gli altri debbano rinunciare alle proprie identità e diventare come noi e un Occidente che ama l’alterità culturale, russa, cinese, indiana, e che vede in essa una fonte di vita, culture da cui imparare, con cui dialogare e con cui costruire insieme un mondo migliore.
Lo scontro di civiltà è tra un Occidente che mira alla propria sicurezza, a scapito della sicurezza degli altri, e un altro Occidente che, invece, sa che la sicurezza della Russia, della Cina, dell’India È LA NOSTRA SICUREZZA. Perché se gli altri si sentono minacciati si armeranno, faranno guerre preventive per impedire di essere attaccati. Se si sentono minacciati anche il loro sviluppo interno sarà bloccato.
Lo scontro è tra un Occidente che mira ai regime changes e un Occidente che pensa che, invece, questa minaccia impedisce agli altri di allargare i propri spazi di libertà. Perché se gli altri sentono che i processi di democratizzazione vengono usati dalla propaganda occidentale per imporre governi filooccidentali, con l’adescamento e con i mezzi di propaganda, saranno costretti a bloccarli.
Lo scontro è tra un Occidente che vuole farla da padrone a casa degli altri e un Occidente che sa che gli altri stanno cercando una loro strada e sa dialogare con loro.
Lo scontro è tra un Occidente che avvelena i pozzi e destabilizza il mondo per mantenere una supremazia geopolitica e un Occidente che, invece, sa che per risolvere i grandi problemi e difendere i diritti di tutti gli uomini occorre un patto di sicurezza globale, con altri soggetti, autonomi, indipendenti.
Se costruiamo questa sicurezza per tutti questa sarà la condizione per parlare di diritti umani ovunque. Se stabiliamo rapporti di cooperazione con la Cina, la Russia, l’India potremo affrontare, insieme, i problemi dei diritti in Afganistan, ma se si crea un clima da guerra fredda questo avvantaggerà i regimi peggiori, come quello dei talebani.
Lo scontro di civiltà è tra chi mira a un mondo unipolare e chi mira a un mondo multipolare, perché solo questo può affrontare i problemi del cambiamento climatico, della fame. L’Occidente che vuole la guerra produrrà milioni di morti per fame (fonte Martina, ex segretario PD), a causa della mancanza di grano. L’altro Occidente ha una visione globale, si chiede che cosa implica la guerra in Ucraina per tutti i popoli. Lo scontro è tra un Occidente privo di visione e un Occidente che sa che questa guerra provocherà fame e, con essa, un flusso migratorio senza precedenti, di disperati che non fuggiranno solo dalla miseria e dalla guerra, ma da morte certa per fame in Africa e in molti paesi dell’Asia.
Lo scontro è tra un Occidente che vuole l’equilibrio del terrore e il riarmo, sottraendo risorse a sanità, educazione, lotta alla fame, e un Occidente che vuole avviare un percorso inverso, di graduale disarmo. Di fatto stiamo costringendo noi stessi e gli altri a una nuova corsa al riarmo, ed è questo nucleo di follia che l’Occidente deve lasciarsi alle spalle.
Un ordine mondiale di pace è possibile solo se garantiamo sicurezza a tutti, solo se capiamo che LA SICUREZZA DEGLI ALTRI è LA CONDIZIONE DELLA NOSTRA STESSA SICUREZZA.
Non le armi ci garantiranno sicurezza, ma il fatto che gli altri non si sentono minacciati.
Lo scontro non è con gli altri: lo scontro è tra di noi, lo scontro è attorno all’identità dell’Occidente, è attorno a chi siamo e a quale ruolo vogliamo giocare nella storia del mondo.
Lo scontro è tra chi pensa alla contaminazione tra culture che restano differenti e chi vorrebbe un’unica cultura e lo sterminio delle altre.
Lo scontro è tra una cultura della guerra e una cultura del dialogo.
È su questo che ognuno deve scegliere da che parte stare.
scrive Giorgio Bianchi
Chi comanda in Ucraina è gente che usa gli ucraini come agnello sacrificale, non gliene importa nulla di quel popolo, infatti non sta facendo niente per la pace, anzi sta inasprendo il tutto per avere più morti e più distruzione da sbattere sul tavolo a tempo debito.
È gente che per raggiungere il proprio scopo è disposta a tutto, anche a distruggere una nazione, persino la propria all’occorrenza.
Sono compagni di merende del nostro Premier, che dopo aver incentivato le persone a cambiare i condizionatori, dice di tenerli spenti, mentre i riscaldamenti non dovranno superare i 16°C il prossimo inverno e solo per alcune ore.
Per adesso chiede di fare qualche sacrificio sopportando il caldo od il freddo, mentre lui di certo non avrà di questi problemi, anche se magari si presenterà in pubblico sudato o col cappotto per dare “esempio” agli italiani, un po’ come con le mascherine.
Egli e quelli della cricca internazionale non esiteranno a fare degli italiani carne da macello in un eventuale conflitto, per ora tocca agli ucraini.
Fino a quando questa gente rimarrà al potere ci saranno immani sofferenze per tutti, ad Occidente ed ad Oriente.
scrive Andrea Zhok
Per esprimersi con understatement oxoniense:
ne abbiamo avuti di governi di merda in Italia,
ma un tale guazzabuglio di malafede, incapacità e mercenariato politico quale il “governo dei migliori” è assolutamente senza precedenti.
Anche nel fare il male, anche nel fare gli interessi di chiunque tranne i propri cittadini ci potrebbe essere una demoniaca brillantezza, una mefistofelica abilità.
Invece questa è gente che balbetta, si contraddice, biascica scuse infami e ridicole, e manifesta l’unica vera abilità nell’attivare le proprie difese lanciando avanti la muta dei giornalisti a gettone, proni a difendere il potere fino all’estremo sacrificio – degli altri.
Questa è una classe dirigente inguardabile e invotabile per chiunque abbia ancora un barlume di dignità, è un ceto che consentirà al paese di rinascere solo quando sarà estinto senza resti, scomparso dalla faccia della terra.
Dimenticate che ci sia qualcosa da salvare, dimenticate che ci sia un meno peggio in chi ci ha prima torturato con espedienti idioti, imposizioni inutimente draconiane e sadismi decerebrati “per il nostro bene” e che ora, nel migliore dei casi, se non ci porta direttamente in guerra, ci lascerà come una colonia fallita e sul lastrico.
Non c’è più niente da salvare.
Devono sparire.
E se non accadrà, questo paese ha solo un futuro come concime, per piante altrui.
“IL REQUIEM PER L’EUROPA” – Paolo Rumiz
“Per una sera, smetto di ascoltare l’onnipresente Zelensky e mi concentro sulle tv russe e statunitensi. E lì arriva la sorpresa. Lo spettacolo di una dittatura e di una democrazia egualmente chiuse in una bolla fuori dalla realtà…. Pur nelle abissali differenze, sorprendono le somiglianze. Entrambi gli antagonisti guardano alla guerra come a un videogioco e alla terza guerra mondiale come a una cosa lontana. Né l’uno né l’altro sembrano ricordare che fra le due potenze esiste una cosa chiamata Europa, intesa al massimo come una protuberanza dell’America. Forse non se ne sono mai accorti: e li capisco. Come accorgersi di una terra che non ha una sua politica estera né un suo esercito, e resta inchiodata al palo, in bilico tra le strategie di Washington e i rifornimenti di gas dal Cremlino?
Ho avvertito il rischio che l’Europa sparisse davvero, in preda a un ebete sonnambulismo come nel 1914, quando si gettò nel baratro. Una percezione fisica. Come se dovessi prendere improvvisamente atto della fine di un’idea. L’America ha due oceani per tutelare la sua sicurezza. Noi no. Abbiamo a disposizione solo un’intercapedine di spazi neutrali, e proprio di quegli spazi ci priviamo, con la Nato che ora va a “proteggere” anche Svezia e Finlandia….
Esisti ancora, Europa? Non ti trovo più. Ti leggo come un corpo inerte, spezzato e subalterno. Un’alleanza incapace di pensare in grande, ossessionata dalla sicurezza, crocefissa da reticolati, dimentica delle guerre che hanno lacerato la tua carne. Quasi nessuno scatta in piedi al suono del tuo inno. Generi sbadigli. Sei una rovina nel vento, come un anfiteatro romano o una sinagoga vuota. Comunque vada a finire, l’Unione stellata uscirà a pezzi, stretta da una durissima recessione, ridotta a pura essenza strategica, con gli ultimi entrati nella Ue – gli ex comunisti del Patto di Varsavia – autorizzati a imporci una linea bellicista, non “per” l’Ucraina, ma “contro” la Russia. La fine di un mondo, quello in cui abbiamo creduto…
Ma il vero pericolo non arriva dall’esterno. Viene da noi, da una balcanizzazione in cui ciascun paese europeo sta già consumando la sua Brexit, il suo personale divorzio da Te. L’Ue spende già ora il quadruplo della Russia in armamenti, ma è un nano strategico. Non ha un suo esercito e una sua politica estera. Avere un’armata con bandiera blu stellata non sarebbe una spesa, ma un risparmio. Noi, invece, abbiamo scelto di spendere ancora, e in ordine sparso. Risultato? Mendichiamo senza vergogna l’aiuto di paesi antidemocratici per trovare spiragli di via d’uscita. Invece di fare un salto in avanti, ci lasciamo dettare la linea da chi un anno fa ha scelto di smobilitare dall’Afghanistan senza nemmeno la cortesia di preavvertirci.
Chiediamocelo una buona volta: la nostra alleanza è fondata su valori o interessi? Su un progetto di vita o un antagonismo armato? Abbiamo favorito la secessione del Kosovo in nome della libertà o per piazzare una base militare nel cuore di uno stato russofilo come la Serbia? Eravamo consci del potenziale epidemico di quella scelta, che oggi autorizza Mosca a pretendere il Donbass? E ancora: siamo sicuri di mandare armi all’Ucraina per amore della sua indipendenza, se fino a ieri le abbiamo vendute alla Russia? Su quale principio universale si gioca l’accoglienza dei profughi ucraini, se milioni di altri rifugiati sono violentemente respinti o lasciati marcire nei gulag greci e turchi?
Mentre scrivo, la “Ocean Viking” con 295 naufraghi a bordo, aspetta da undici giorni l’autorizzazione allo sbarco, in piena emergenza sanitaria, col ponte intasato di corpi e di vomito. Intanto, sul mio confine, i profughi ucraini passano liberamente, senza obbligo della quarantena da Covid, che invece è richiesta agli africani anche se negativi al test. Non ci vergogniamo di una così lampante disparità di trattamento? E non ci viene da immaginare quali tensioni sociali potrà innescare la presenza dei migranti ucraini che noi facciamo sentire di Serie A e che domani potrebbero anche passare di moda?”
La guerra, pensiero unico e Cartabianca – DANILO TOSARELLI
È sempre peggio.
Mi sta passando la voglia di guardare la TV.
Dottoressa Gruber, dottor Mentana, dottor Gramellini, dottor Floris.
Basta per favore.
Insieme a voi, tutti coloro che hanno accettato signorsi’ la stessa logica.
Quella di una narrazione a senso unico della guerra in Ucraina.
Putin ha scatenato una guerra. È colpevole.
Non può essere la guerra, uno strumento utile a risolvere i problemi.
Chi persegue ed alimenta la guerra, va sempre condannato.
Dopodiché, un’informazione che vale, dovrebbe cercare sempre la verità.
La verità è sempre fatta di luci ed ombre.
Antonio Gramsci sosteneva che la verità è sempre rivoluzionaria.
Ecco perché, pretendo di conoscere le une e le altre.
Non è accettabile, l’atteggiamento verso i giornalisti russi.
Li si invita in trasmissione, ma poi li si sbeffeggia.
Li si accusa di essere solo dei propagandisti di regime.
Se è così, perché li si invita?
Se sai già che non sono credibili, perché continui ad invitarli?
Ha un senso invitarli, se concedi loro pari dignità nel dibattito.
Non è mai così.
In realtà, si vuole dimostrare che in Italia c’è libera informazione.
“In Russia tutto ciò non esiste” e quindi avanti nello schernirli.
“Cari colleghi russi, tutto ciò che dite è solo propaganda…”
Non è uguale l’atteggiamento verso i giornalisti ucraini.
Vengono ascoltati con gran rispetto e mai contestati.
È vero, loro sono gli aggrediti, ma ciò non è garanzia di verità.
La propaganda è uno strumento di cui chiunque può disporre.
Mi perdonerete questa franchezza, che può apparire cinismo.
In realtà, è il mio bisogno di verità che non mi consente indulgenze.
Amo il pragmatismo e cerco di non avere bende sugli occhi.
Non avere bende sugli occhi, significa vedere la realtà senza filtri.
I nostri grandi giornalisti accusano di scarsa libertà i colleghi russi.
Non posso dare loro torto. Ma sarà bene lasciar parlare i numeri.
Reporter Senza Frontiere (RSF) ha stilato una classifica mondiale.
Riguarda lo stato di salute e la libertà nell’informazione.
La Russia è al 155esimo posto.
Dopodiché scopro che L’Ucraina è al 106esimo posto.
Che gli Stati Uniti, re della democrazia, sono al 42esimo posto.
E l’Italia, dove i giornalisti nostrani si ergono a maestri?
Nel 2021 eravamo al 41esimo posto. Adesso al 58esimo.
Non mi sembrano numeri incoraggianti.
Si parla bene, ma si razzola male.
Potrei capire meglio, Norvegia, Danimarca e Svezia.
Sono modelli in cui fiorisce la libertà di espressione.
Ma vista la classifica di RSF, invito le nostre grandi firme a riflettere.
I fatti non stanno proprio dalla loro parte.
Ultimo e non l’unico in ordine cronologico, il caso CARTABIANCA.
La celebre trasmissione condotta da Bianca Berlinguer su RAI 3.
È a rischio chiusura. Nonostante ascolti di ottimo livello.
Le voci si rincorrono, la RAI prende tempo, chi sa conferma.
La pietra dello scandalo sarebbe il professor Orsini.
Alessandro Orsini, professore della LUISS università di Roma.
Personaggio che da qualche tempo, viene spesso invitato.
Orsini è diventato celebre, ma anche scomodo, per le sue opinioni.
Opinioni non allineate ed in controtendenza sulla guerra.
Tutto ciò ha scatenato un putiferio politico che avrà conseguenze.
Il caso CARTABIANCA è assai preoccupante e non va sottovalutato.
Mi auguro che in tempi utili, da subito, si alzino forti le voci di protesta.
Per gravità, lo ritengo paragonabile al famoso EDITTO BERLUSCONI.
Ve lo ricordate?
Nell’aprile 2002, l’allora Presidente del Consiglio, riuscì a far estromettere dalla RAI due famosi giornalisti ed un comico di successo.
Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi.
Conducevano trasmissioni di grande ascolto.
Persone a lui scomode, perché esprimevano critiche al suo operato.
Tutto ciò è inaccettabile, per chi difende la libertà di informazione.
Che significa poter esprimere anche opinioni diverse.
Il pensiero unico ne è invece, l’antitesi.
Pretende di inculcare con le buone o le cattive un pensiero dominante.
Le critiche non sono ammesse.
Esiste il pensiero unico delle dittature (evidente), ed un altro ancora.
Quello meno appariscente, ma che è altrettanto deleterio.
Molte democrazie occidentali ne sono complici, a fasi alterne.
Secondo me, questa guerra ne è l’ultimo esempio.
È la politica a deciderne tempi e modi.
Chi dice NO alla guerra, non può essere favorevole all’invio di armi.
Così la pace si allontana.
Per fortuna, mi sembra che qualcuno se ne stia rendendo conto.
Iniziano ad essere in molti, coloro che non sono più d’accordo.
Ogni giorno in più di guerra, significa aggiungere altre vittime.
Le armi devono smettere di sparare, per lasciare spazio alle trattative.
Proseguire nella contrapposizione militare è controproducente.
Trattative ad oltranza, senza soste, per evitare una guerra nucleare.
Sarà bene farsene tutti una ragione.
Dopo la famosa trasmissione autogestita di Santoro, che è stata rifiutata sia dalla RAI che da LA7, si stanno aprendo altri spazi favorevoli.
Iniziano le prime crepe anche nel fronte governativo.
Conte ed il M5s sono contrari all’invio di armi sempre più letali.
“Ciò favorirebbe una spirale di progressiva escalation militare.
Tutto ciò può solo portare a maggiori sofferenze per la popolazione.”
Salvini è contrario all’invio di nuove armi.
“Non penso che dopo quasi 3 mesi possa essere la risposta giusta.
Già contiamo decine di migliaia di morti e si intuisce che entrambe le parti in guerra vogliono farla finita. Inviare nuove armi allontanerebbe la pace e non sarebbe opportuno.”
Anche il Ministro degli Esteri Di Maio, esprime un dissenso.
“L’Italia continuerà a lavorare per la pace, ma non può pensare di fornire armi all’Ucraina per colpire obiettivi in territorio russo”.
Anche Graziano del Rio, ex capogruppo PD alla Camera, dice la sua.
“Io sono un pacifista, ma non posso chiedere ad un popolo bombardato di arrendersi. Sostenere la resistenza è giusto e legittimo il diritto a difendersi degli ucraini. Resto però convinto e non è una contraddizione, che la direzione da prendere sia fermare la corsa al riarmo, non stimolarla. L’Europa deve cessare di mostrarsi assente e spettatrice.
Perché Draghi, Macron, Scholz e Sanchez non si fanno promotori di una mediazione?”
Voglio concludere, interpellando in merito gli italiani.
Ultimo sondaggio Emg del 5 maggio 2022, per la trasmissione Agorà.
Il 58% è contrario all’invio di armi pesanti all’Ucraina.
Il 28% è favorevole ed il 14% preferisce non rispondere.
Il fronte del NO è guidato dagli elettori di Forza Italia.
I più propensi ad aiutare il governo Zelensky sono gli elettori del PD.
Divisi a metà gli elettori di Lega e Fratelli d’italia.
Nel M5S sono di più, coloro che dicono NO all’invio di armi pesanti.
Il 61% degli italiani ritiene che occorra una trattativa per via diplomatica.
La ritiene la strada migliore per risolvere il conflitto.
Per arrivare ad un accordo di pace occorre un mediatore all’altezza.
Gli italiani interpellati, lo hanno individuato in Papa Francesco.
UN’AZIONE EFFICACE, E FORSE LA PIU’ EFFICACE, PER FERMARE LA GUERRA E SALVARE INNUMEREVOLI VITE: SCIOGLIERE LA NATO – Peppe Sini
Ogni persona ragionevole, ogni umano istituto ordinato al bene comune, crediamo condividano queste convinzioni: che ogni essere umano ha diritto alla vita; che la guerra, che le vite umane distrugge, e’ un crimine.
Ed in specifico riferimento alla guerra scatenata dal folle e criminale governo russo contro la popolazione ucraina inerme e innocente: che occorre soccorrere, accogliere, assistere tutte le persone in fuga dalla guerra; che occorre inviare aiuti umanitari per sostentare l’esistenza di chi non puo’ o non vuole fuggire, e per ricostruire prima possibile e meglio possibile le strutture e i servizi necessari alla vita quotidiana; che occorre inviare forze di interposizione nonarmata e nonviolenta sotto la guida dell’Onu per fermare subito le stragi e le devastazioni; che occorre adoperarsi per l’immediato cessate il fuoco e l’immediato inizio di negoziati di pace che facciano cessare tutte le uccisioni.
E un’altra cosa ancora occorre fare, e farla subito, ed e’ un compito che precisamente riguarda alcuni paesi europei tra cui l’Italia: sciogliere la Nato.
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La Nato, organizzazione terrorista e stragista, braccio armato dell’azione militare statunitense per destabilizzare, devastare, immiserire, imbarbarire l’Europa, deve essere al piu’ presto sciolta, ed i suoi vertici devono essere processati per i crimini commessi da decenni a questa parte.
E nelle more delle procedure di scioglimento, per impedire che possa commettere nuovi crimini, occorre che i governi dei paesi che ne fanno parte pongano il loro veto a qualunque iniziativa l’organizzazione terrorista e stragista intendesse realizzare.
Sciogliere la Nato e’ la cosa di gran lunga piu’ efficace che i paesi europei che ne sono membri possano fare oggi per la pace e per salvare innumerevoli vite.
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Solo con lo scioglimento della Nato cadrebbe ogni fraudolento pretesto per la scellerata guerra che il folle e criminale governo russo sta conducendo contro la popolazione ucraina inerme e innocente.
Solo con lo scioglimento della Nato l’Unione Europea potrebbe tornare alla politica di pace e cooperazione dichiarata in tutti i suoi atti costitutivi e strumenti giuridici fondamentali.
Solo con lo scioglimento della Nato l’Unione Europea potrebbe realizzare una politica di difesa e sicurezza comune, finalmente non piu’ asservita all’imperialismo americano.
Solo con lo scioglimento della Nato l’Unione Europea potrebbe divenire una vera unione europea: inclusiva di tutti i paesi europei, Russia compresa.
Solo con lo scioglimento della Nato l’Unione Europea potrebbe avviare la politica di disarmo necessaria e urgente per contrastare il pericolo di una guerra mondiale che puo’ distruggere l’intera civilta’ umana.
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Si riconosca la nuda verita’: la Nato, con la fine del Patto di Varsavia e il crollo dell’Urss, non e’ piu’ – se mai lo fosse stata – un’alleanza difensiva, ma e’ un’alleanza militare aggressiva il cui scopo e’ minacciare, preparare, provocare, organizzare, eseguire destabilizzazioni, colpi di stato e guerre, guerre che sempre e solo consistono dell’uccisione di esseri umani, guerre che sempre e solo costituiscono crimini contro l’umanita’.
Si riconosca la nuda verita’: la Nato non aiuta affatto il popolo ucraino vittima dell’invasione, della guerra, delle stragi e delle devastazioni volute dal folle e criminale governo russo: la Nato, come il governo americano di cui e’ estensione e strumento, ne favoreggia il massacro.
Si riconosca la nuda verita’: la Nato non contrasta la violenza del folle e criminale governo russo: gli fornisce materia per la propaganda, per quanto menzognera e fraudolenta essa palesemente sia.
Si riconosca la nuda verita’: la Nato impedisce che l’Unione Europea ed i paesi che ne fanno parte possano contribuire positivamente a un negoziato che ponga fine alla guerra e alle stragi.
Si riconosca la nuda verita’: la Nato opera per la crescita del riarmo, della militarizzazione, del bellicismo che stanno mettendo in pericolo l’esistenza dell’intera umanita’.
Si riconosca la nuda verita’: la Nato non promuove ne’ difende la democrazia e i diritti umani, ma il militarismo, il primato delle armi e della violenza, il disprezzo per le vite umane, la barbarie razzista e il potere imperiale del complesso militare-industriale che governa la politica statunitense contro il diritto e la liberazione dei popoli, contro i diritti umani di tutti gli esseri umani, contro il mondo vivente vittima di uno sfruttamento insostenibile e desertificatore.
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E’ ovvio: non basta sciogliere la Nato, occorre anche soccorrere tutte le vittime della guerra e della fame, delle violenze e dei disastri.
E’ ovvio: non basta sciogliere la Nato, occorre anche il disarmo e la smilitarizzazione del mondo.
E’ ovvio: non basta sciogliere la Nato, occorre anche la cooperazione internazionale per il bene comune dell’umanita’.
E’ ovvio: non basta sciogliere la Nato, occorre anche sostenere la democrazia e i diritti umani ovunque.
E’ ovvio: non basta sciogliere la Nato, occorre anche contrastare tutti i regimi che violano i diritti umani, tutti i regimi dittatoriali, tutti i regimi che commettono guerre e stragi, come il folle e criminale governo russo.
E’ ovvio: non basta sciogliere la Nato, occorre anche sostenere l’Onu ed aumentarne l’efficacia.
E’ ovvio: non basta sciogliere la Nato, occorre anche passare dalla difesa armata alla difesa popolare nonviolenta; dalla gestione dei conflitti basata sulla forza alla gestione e risoluzione nonviolenta dei conflitti; dal periclitante status quo alla politica nonviolenta, alla societa’ nonviolenta, alla nonviolenza come metodo e come sistema, alla nonviolenza come fondamento del diritto, delle relazioni, delle istituzioni, della convivenza. E fortunatamente gia’ molte e luminose sono le esperienze storiche nonviolente cui fare riferimento.
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Un’Unione Europea che s’impegnasse per lo scioglimento della Nato potrebbe chiedere con effettiva capacita’ di persuasione al governo russo di porre immediatamente fine alla guerra contro la popolazione ucraina.
Anche un singolo paese europeo membro della Nato che s’impegnasse per lo scioglimento della Nato (nel frattempo fermandone ogni iniziativa esercitando il suo potere di veto) potrebbe chiedere con effettiva capacita’ di persuasione al governo russo di porre immediatamente fine alla guerra contro la popolazione ucraina.
Occorre fermare immediatamente la guerra scatenata dal folle e criminale governo russo.
Occorre fermare immediatamente la guerra e le stragi di cui essa consiste.
Occorre fermare immediatamente la guerra per salvare tutte le vite umane che e’ possibile salvare.
Occorre fermare immediatamente la guerra che gia’ si sta estendendo e puo’ diventare da un momento all’altro mondiale e nucleare, e distruggere l’intera famiglia umana.
Occorre fermare immediatamente la guerra.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e’ il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo’ salvare l’umanita’ dalla catastrofe.
Il “Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera” di Viterbo
Progetto Mean: l’onda dei volontari disarmati contro la guerra in Ucraina – Daniela Fassini
Nasce il progetto Mean (Movimento Europeo di Azione Nonviolenta): oltre 35 associazioni unite per un’azione non violenta e un progetto di pacificazione in Ucraina
«Stiamo assistendo a una miriade di atti civili non violenti, ucraini che tentano di fermare i carri armati senza armi, ma nessuno lo sa. Non hanno la stessa cassa di risonanza del fronte che chiede più armi». Angelo Moretti da Benevento scalda i motori: vuole andare in Ucraina, insieme ad altre 5mila persone, per portare la «forza trasformatrice della nonviolenza attiva dentro lo scenario del conflitto, non più idealmente, ma concretamente, attraverso la mobilitazione di massa di migliaia di civili europei». Vincenziano, con un passato e un presente di impegno attivo in favore dei migranti e dell’accoglienza, Moretti si è messo alla guida di un progetto che chiama “Movimento Europeo di Azione Nonviolenta” (Mean).
«L’affermazione della nonviolenza attiva nell’attuale contesto europeo, come valore fondante delle nostre nazioni e come pratica quotidiana di risoluzione dei conflitti, può esserci solo con la testimonianza coerente di un movimento fisico verso l’Ucraina – spiega – Ci rivolgiamo a tutta la società civile europea perché desideriamo affermare la possibilità che esista una via diversa di risoluzione del conflitto in corso, e crediamo che la società civile nonviolenta europea ed ucraina debbano essere parti attive dei negoziati in corso».
Ciò a cui stiamo assistendo, racconta Moretti, in questi due mesi «è una progressiva tacitazione di qualsiasi altra ipotesi risolutiva del conflitto che non sia di tipo militare». Mentre «nelle prime fasi della guerra la popolazione ucraina ha potuto opporre resistenza sia con le armi del suo esercito che con numerose manifestazioni di non violenza, con le quali le popolazioni armate unicamente di una bandiera nazionale hanno costretto i carri armati ad arretrare – aggiunge – ultimamente l’assassinio e la tortura dei civili costringono migliaia di persone a rimanere nascoste nei rifugi, nelle chiese, nei teatri, terrorizzate e in assenza di cibo, acqua e medicinali»…
Fermo restando l’interesse per gli articoli pubblicati, il titolo da solo vale un lungo applauso, forse anche una standing ovation.
Petizione diretta al Presidente Mario Draghi e al ministro Cartabia
Andrea Rocchelli, fotogiornalista italiano era andato a documentare gli orrori della guerra in Ucraina, precisamente nel Donbass, ed è stato ucciso per questo. E’ stato assassinato insieme all’attivista per i diritti umani (e interprete) Andrej Nikolaevič Mironov, dal fuoco ucraino, il 24 maggio 2014. William Roguelon, unico sopravvissuto all’attacco, dichiarerà che il gruppo è stato bersagliato da numerosi colpi di mortaio e armi automatiche dalla collina Karachun, dove era stanziata la Guardia nazionale dell’Ucraina e l’esercito ucraino. Gli assassini non sono i russi ma i nostri alleati, addestrati e armati da noi. I “buoni”. Quelli che difendono la libertà. Nel luglio 2017 le indagini hanno portato all’arresto di Vitaly Markiv mentre rientrava in Italia, militare della Guardia nazionale ucraina col grado di vice-comandante al momento dell’arresto ma soldato semplice all’epoca dei fatti, con cittadinanza italiana. Markiv è stato sottoposto a misure detentive di custodia cautelare in attesa del processo che si è aperto a Pavia nel maggio 2018. Durante lo svolgimento del processo, Markiv viene anche accusato dentro e fuori l’aula di simpatie neonaziste. Si legge su Wikipedia: “Il 12 luglio 2019 la corte penale di Pavia ha giudicato Vitaly Markiv colpevole per concorso di colpa nell’omicidio di Rocchelli e Mironov e lo ha condannato a 24 anni di reclusione. Lo stato Ucraino è stato anch’esso giudicato colpevole nella medesima sentenza quale responsabile civile”. Markiv però se la cava, dopo l’intervento delle autorità dell’Ucraina che prendono le sue difese. Ed ecco il colpo di scena: “Il 3 novembre 2020 la Corte d’Assise d’appello di Milano, pur ritenendo colpevoli le forze armate ucraine dell’omicidio dei giornalisti, ha assolto Vitaly Markiv con formula piena escludendo alcune testimonianze chiave dall’impianto accusatorio per un vizio di forma”. Sul tablet e sullo smartphone sequestrati a Markiv, secondo i Ros, sono conservate oltre duemila fotografie. Alcuni scatti mostrano un uomo incappucciato, con una catena di ferro al collo, rinchiuso nel bagagliaio di un’automobile, una Skoda Octavia. In alcune immagini scattate poco dopo, si vede lo stesso uomo, con il volto ancora coperto, gettato in una fossa mentre qualcuno non inquadrato nella ripresa lo ricopre di terra. Altre fotografie ritraggono Markiv davanti alla stessa Skoda Octavia. Quando nell’aula è stata mostrata una foto di agenti della guardia nazionale ucraina con alle spalle una bandiera nazista, Markiv ha chiesto di prendere la parola e ha detto: «Non voglio che la guardia nazionale sia presentata come nazista. La bandiera ritratta in quella foto è soltanto un bottino di guerra» Peccato che il nemico fossero gli autonomisti del Donbass. Non c’è pace senza giustizia, non si annulla una sentenza per vizio di forma, dopo l’intervento delle autorità Ucraine che hanno parlato di complotto e di processo politico, intervento supportato anche da politici di lungo corso italiani. Chiediamo al presidente del consiglio Draghi ed al ministro della Giustizia Cartabia la revisione del processo. Ci sono due vittime innocenti, assassinate perché testimoniavano con il loro lavoro verità scomode, non ci possono essere colpevoli in libertà. La responsabilità penale è personale, indicare come responsabile l’intero esercito ucraino è inutile e sbagliato. Verità e giustizia per Andrea e Andrej.
Puoi firmare la petizione qui: https://chng.it/J4kY6Zdj