14 dicembre, una risposta a Saviano

Caro Roberto,

a scriverti è un ragazzo di ventisei anni, uscito da pochi mesi dall’università. Non ho scritto Gomorra, non scrivo su Repubblica, non ho fatto trasmissioni. Ma non è solo al passato che posso parlare: non scriverò un libro di successo, non scriverò su un grande giornale, non dominerò l’auditel in una trasmissione Rai.

Ti scrivo per la stima che il tuo libro mi ha portato ad avere nei tuoi confronti e per la disillusione che questa tua lettera ha causato in me.

Vorrei essere franco e parlare al di fuori delle parole d’ordine che un movimento (qualsiasi movimento) impone per essere schietto e provare a fare un passo oltre il 14 dicembre, altrimenti si guarda sempre al passato e non è il passato a preoccuparmi adesso.

E’ proprio dalle parole d’ordine che vorrei iniziare. Scrivi che le nostre parole sono nuove, che non ci sono più le vecchie direttive: grazie. Non sai quanto possa essere grande questo complimento, proprio da te, che sei diventato una figura di riferimento rompendo un ordine costituito di parole. Le cose che scrivevi in Gomorra c’erano da tempo, andava trovato un modo per dirlo e tu l’hai fatto. Non è poco.

D’altro canto vedo in te il peccato originale da cui ci metti in guardia. Vedo nella tua lettera l’utilizzo di quelle parole d’ordine, di quelle direttive che sono vecchie che sono scollegate dal mondo.

Cos’è questo continuo richiamo agli autonomi del ’77 che si legge in molti articoli e anche nel tuo? E’ il dogma con cui si finisce per sdoganare ogni protesta. Ma non li vedi i movimenti in Francia, a Londra ad Atene? Non ci pensa mai nessuno che sono molto più vicine a noi quelle cose, piuttosto che le immagini in bianco e nero di quarant’anni fa?

Io non sono nessuno per spiegarti cose che sai meglio di me, però guarda le foto: guarda quanta gente c’è in Piazza del Popolo? quanta gente ha resistito agli scontri? E non sotto l’impulso di una rabbia improvvisa, la gente è in piazza c’è rimasta per due ore, tutto il tempo per fare sbollire un’emozione e, se voleva, andarsene. Succede che i cortei si distacchino da azioni che non condividono, l’altro giorno non è successo.

“Non usate i caschi, siate riconoscibili”: belle parole, ma parole d’ordine. Vecchie, stantìe. La gente che in queste settimane è stata denunciata per avere occupato i binari, le strade era riconoscibile. La gente che è venuta a contatto con la polizia perché veniva impedito l’accesso a una zona della città, era riconoscibile. Siamo sempre stati tutti riconoscibili. E siamo stati e saremo denunciati. E siamo stati tutti menati, abbiamo ancora i cerotti. Anche i Book Block, quelli che tu chiami “buoni” hanno i caschi. Caro Roberto, quelli sono manganelli, fanno male. Questo è quello che fa il governo, che fanno le questure. Dici che quando scendiamo in piazza ci troviamo di fronte poliziotti che sono uomini, ebbene perché questo discorso è sempre unilaterale? Anche noi siamo siamo uomini, donne, perché nessuno ci difende?

Quando bisogna difendere le forze dell’ordine si fa a grandi parole, grossi titoli. Quando si devono difendere i manifestanti si fa con piccoli accenni fumosi. Difendeteci, difendete le nostre proteste, questa deve essere la prima cosa. Capite le nostre ragioni, altrimenti, mi dispiace, fra di noi non ci capiremo mai, ci perderemo.

Con questo non voglio dire che il mondo intero deve bruciare. Il mondo deve essere sempre più bello, Piazza del Popolo deve raccogliere feste, le piazze delle singole città devono riempirsi di gioia, ma questo va costruito. E’ una posta in palio che si può mettere in piedi tra chi si riconosce, tra chi lotta insieme.

La testa va usata per pensare, lo scrivi tu. Hai perfettamente ragione ed è grazie al ragionamento, al cervello che possiamo capire che ogni momento è diverso dal precedente, ogni momento ha il suo modo di essere vissuto, i contesti sono fluidi, non sono bianchi o neri. La rabbia e i caschi di un giorno possono, diventare l’abbraccio collettivo del giorno dopo, la salita sui tetti. Dobbiamo avere l’intelligenza per farlo, per cambiare noi stessi, essere diversi ogni giorno, lottare con armi ogni giorno diverse, ogni giorno spiazzanti.

Altro dogma: quello dei buoni e cattivi, c’è ovunque sui giornali. Giornalisti che dicono di non aver peli sulla lingua e di dire cose fuori dallo schema che condannano una parte e assolvono l’altra. Ma è proprio questo lo schema. Buoni e cattivi non esistono, ma non lo dico io, lo dici tu, nel tuo libro, quando mostri che nel sistema camorristico ci sta dentro chiunque, anche suo malgrado. Ma non esistono nemmeno in Dostoevskij (quando mai!), in Pirandello, in Melville, in Flaubert, in Stendhal, non esistono nell’Orlando Furioso e nemmeno nella Divina Commedia: Ulisse, che per l’ansia di viaggiare abbandona la famiglia e fa morire i suoi compagni, è buono o cattivo? Quando vediamo il diavolo che piange, proviamo ribrezzo o pietà? Dio, che non fa entrare Virgilio in paradiso, è buono o cattivo? Solo gli ignavi sono beceri, quelli che seguono la bandierina, che seguono le parole già dette, solo loro sono beceri per definizione. Se guardi a chi si è dissociato dai fatti di piazza, ritroverai in loro gli ignavi, si tratta di rappresentanze che contano quanto i cosiddetti traditori del parlamento: non fanno niente, non hanno mai fatto niente, hanno solo promesso e guardato a se stessi. Non mi curo di loro, guardo e passo avanti.

Per il resto la vita è molto più complicata del rapporto bene o male. E molto più variegata. Pensaci un attimo, sono due mesi che la gente scende in piazza e questo movimento non ha ancora un nome, come nei romanzi di Saramago. Siamo sempre “quelli che hanno fatto questo” oppure ci dicono che siamo di un luogo “quelli dell’Aquila, di Terzigno”. E’ una forza, non credi? Vuol dire che siamo indefinibili: siamo quello che facciamo.

L’altro giorno avevamo i caschi. Domani magari porteremo delle girandole in questura, l’indomani Book Block, il giorno dopo ruberemo in libreria i volumi che ci piacciono e che costano diciotto euro e che non possiamo permetterci (ci difenderai?), parleremo con gente di altre generazioni, staremo con loro, cammineremo. Ci difenderai o ci attaccherai? In ogni caso sappi che saremo sempre le stesse persone.

Altri nemici non ne voglio, caro Roberto, ti ho scritto quello che pensavo, ti ho descritto la situazione reale che c’è stata in Piazza del Popolo, ti ho descritto la situazione quotidiana. Sta a te decidere cosa vuoi leggere nelle proteste. Vuoi leggere un rigurgito del ’77? Va bene. Ti diremo che siamo più vicini alle proteste di Londra e Parigi. Vuoi leggere una violenza di gruppi sparuti? Ti diremo che Piazza del Popolo non la riempiono cento persone. Vuoi leggere la violenza solo come un voto in più a Berlusconi? Va bene, leggeremo nelle tue una semplicità di analisi disarmante che si basa su un sistema binario, Zero Uno, Zero Uno. C’è un’infinità di numeri tra cui scegliere e te ne dico un altro: Centomila, sono le persone che l’altro giorno stavano in piazza insieme, al di là di ogni rappresentanza.

Questa lettera che gira in rete e su Facebook è la risposta – secondo me sacrosanta – a una “Lettera ai ragazzi del movimento” di ROBERTO SAVIANO che è stata pubblicata giorni fa e che incollo qui sotto. (db)

CHI LA LANCIATO un sasso alla manifestazione di Roma lo ha lanciato
contro i movimenti di donne e uomini che erano in piazza, chi ha
assaltato un bancomat lo ha fatto contro coloro che stavano manifestando
per dimostrare che vogliono un nuovo paese, una nuova classe politica,
nuove idee.

Ogni gesto violento è stato un voto di fiducia in più dato al governo
Berlusconi. I caschi, le mazze, i veicoli bruciati, le sciarpe a coprire
i visi: tutto questo non appartiene a chi sta cercando in ogni modo di
mostrare un’altra Italia.

I passamontagna, i sampietrini, le vetrine che vanno in frantumi, sono
le solite, vecchie reazioni insopportabili che nulla hanno a che fare
con la molteplicità dei movimenti che sfilavano a Roma e in tutta Italia
martedì. Poliziotti che si accaniscono in manipolo, sfogando su chi è
inciampato rabbia, frustrazione e paura: è una scena che non deve più
accadere. Poliziotti isolati sbattuti a terra e pestati da manipoli di
violenti: è una scena che non deve più accadere. Se tutto si riduce alla
solita guerra in strada, questo governo ha vinto ancora una volta.
Ridurre tutto a scontro vuol dire permettere che la complessità di
quelle manifestazioni e così le idee, le scelte, i progetti che ci sono
dietro vengano raccontate ancora una volta con manganelli, fiamme,
pietre e lacrimogeni. Bisognerà organizzarsi, e non permettere mai più
che poche centinaia di idioti egemonizzino un corteo di migliaia e
migliaia di persone. Pregiudicandolo, rovinandolo.

Scrivo
questa lettera ai ragazzi, molti sono miei coetanei, che stanno
occupando le università, che stanno manifestando nelle strade d’Italia.
Alle persone che hanno in questi giorni fatto cortei pieni di vita,
pacifici, democratici, pieni di vita. Mi si dirà: e la rabbia dove la
metti? La rabbia di tutti i giorni dei precari, la rabbia di chi non
arriva a fine mese e aspetta da vent’anni che qualcosa nella propria
vita cambi, la rabbia di chi non vede un futuro. Beh quella rabbia,
quella vera, è una caldaia piena che ti fa andare avanti, che ti tiene
desto, che non ti fa fare stupidaggini ma ti spinge a fare cose serie,
scelte importanti. Quei cinquanta o cento imbecilli che si sono tirati
indietro altrettanti ingenui sfogando su un camioncino o con una
sassaiola la loro rabbia, disperdono questa carica. La riducono a un
calcio, al gioco per alcuni divertente di poter distruggere la città
coperti da una sciarpa che li rende irriconoscibili e piagnucolando
quando vengono fermati, implorando di chiamare a casa la madre e
chiedendo subito scusa.

Così inizia la nuova strategia della tensione, che è sempre la stessa:
com’è possibile non riconoscerla? Com’è possibile non riconoscerne le
premesse, sempre uguali? Quegli incappucciati sono i primi nemici da
isolare. Il “blocco nero” o come diavolo vengono chiamati questi ultrà
del caos è il pompiere del movimento. Calzano il passamontagna, si
sentono tanto il Subcomandante Marcos, terrorizzano gli altri studenti,
che in piazza Venezia urlavano di smetterla, di fermarsi, e trasformano
in uno scontro tra manganelli quello che invece è uno scontro tra idee,
forze sociali, progetti le cui scintille non devono incendiare macchine
ma coscienze, molto più pericolose di una torre di fumo che un estintore
spegne in qualche secondo.

Questo governo in difficoltà cercherà con ogni mezzo di delegittimare
chi scende in strada, cercherà di terrorizzare gli adolescenti e le loro
famiglie col messaggio chiaro: mandateli in piazza e vi torneranno pesti
di sangue e violenti. Ma agli imbecilli col casco e le mazze tutto
questo non importa. Finito il videogame a casa, continuano a giocarci
per strada. Ma non è affatto difficile bruciare una camionetta che
poliziotti, carabinieri e finanzieri lasciano come esca su cui far
sfogare chi si mostra duro e violento in strada, e delatore debole in
caserma dove dopo dieci minuti svela i nomi di tutti i suoi compari. Gli
infiltrati ci sono sempre, da quando il primo operaio ha deciso di
sfilare. E da sempre possono avere gioco solo se hanno seguito. E’ su
questo che vorrei dare l’allarme. Non deve mai più accadere.

Adesso parte la caccia alle streghe; ci sarà la volontà di mostrare che
chi sfila è violento. Ci sarà la precisa strategia di evitare che ci si
possa riunire ed esprimere liberamente delle opinioni. E tutto sarà
peggiore per un po’, per poi tornare a com’era, a come è sempre stato.
L’idea di un’Italia diversa, invece, ci appartiene e ci unisce. C’era
allegria nei ragazzi che avevano avuto l’idea dei Book Block, i libri
come difesa, che vogliono dire crescita, presa di coscienza. Vogliono
dire che le parole sono lì a difenderci, che tutto parte dai libri,
dalla scuola, dall’istruzione. I ragazzi delle università, le nuove
generazioni di precari, nulla hanno a che vedere con i codardi
incappucciati che credono che sfasciare un bancomat sia affrontare il
capitalismo. Anche dalle istituzioni di polizia in piazza bisogna
pretendere che non accadano mai più tragedie come a Genova. Ogni
spezzone di corteo caricato senza motivazione genera simpatia verso chi
con casco e mazze è lì per sfondare vetrine. Bisogna fare in modo che in
piazza ci siamo uomini fidati che abbiano autorità sui gruppetti di
poliziotti, che spesso in queste situazioni fanno le loro battaglie
personali, sfogano frustrazioni e rabbia repressa. Cercare in tutti i
modi di non innescare il gioco terribile e per troppi divertente della
guerriglia urbana, delle due fazioni contrapposte, del ne resterà in
piedi uno solo.

Noi, e mi ci metto anche io fosse solo per età e per  –  Dio solo sa la
voglia di poter tornare a manifestare un giorno contro tutto quello che
sta accadendo  –  abbiamo i nostri corpi, le nostre parole, i colori, le
bandiere. Nuove: non i vecchi slogan, non i soliti camion con i vecchi
militanti che urlano vecchi slogan, vecchie canzoni, vecchie direttive
che ancora chiamano “parole d’ordine”. Questa era la storia sconfitta
degli autonomi, una storia passata per fortuna. Non bisogna più cadere
in trappola. Bisognerà organizzarsi, allontanare i violenti.
Bisognerebbe smettere di indossare caschi. La testa serve per pensare,
non per fare l’ariete. I book block mi sembrano una risposta
meravigliosa a chi in tuta nera si dice anarchico senza sapere cos’è
l’anarchismo neanche lontanamente. Non copritevi, lasciatelo fare agli
altri: sfilate con la luce in faccia e la schiena dritta. Si nasconde
chi ha vergogna di quello che sta facendo, chi non è in grado di vedere
il proprio futuro e non difende il proprio diritto allo studio, alla
ricerca, al lavoro. Ma chi manifesta non si vergogna e non si nasconde,
anzi fa l’esatto contrario. E se le camionette bloccano la strada prima
del Parlamento? Ci si ferma lì, perché le parole stanno arrivando in
tutto il mondo, perché si manifesta per mostrare al Paese, a chi magari
è a casa, ai balconi, dietro le persiane che ci sono diritti da
difendere, che c’è chi li difende anche per loro, che c’è chi garantisce
che tutto si svolgerà in maniera civile, pacifica e democratica perché è
questa l’Italia che si vuole costruire, perché è per questo che si sta
manifestando. Non certo lanciare un uovo sulla porta del Parlamento muta
le cose.
Tutto questo è molto più che bruciare una camionetta. Accende luci, luci
su tutte le ombre di questo paese. Questa è l’unica battaglia che non
possiamo perdere.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

7 commenti

  • Per conquistare un futuro bisogna prima sognarlo. Sempre circondato e sempre pronto a ringraziare i carabinieri,preso com’è a sceneggiare registrare telepredicare,il loro saviano,invece di parlare e scrivere di camorra,di cui è riuscito a scrivere in modo accattivante cose che tutti coloro che non hanno il paraocchi ed il bavaglio gia sapevano,ha perso completamente il contatto con la realta…noi qui che stiam morendo(Peppino Impastato,Giancarlo Siani,Mauro Rostagno… e ancora e ancora…) e tu che pensi a mangiarti un gelato….Marco Pacifici,il monello.

  • Chissa’ Signor saviano se in israele,il paese”piu democratico del mondo” dove vorresti andare a vivere,ti farebbero fare quello che fai qui,in questo paese nato dalla Resistenza antinazifascista, e che puoi fare per il sacrificio ogni giorno di chi lotta perchè un mondo migliore sia possibile,come questo nostro Compagno e Fratello che ti ha ,spero, fatto ragionare sulle tue teleprediche.Marco Pacifici

  • sì bravo saviano in questi casi strafà decisamente, sta diventando un po’ troppo guru-santone per i miei gusti…

  • Sottoscrivo Marco Pacifici.

    Saviano è funzionale al sistema; Travaglio è funzionale al sistema; Grillo è funzionale al sistema.
    Sono i nuovi mediatori sociali, i cani da guardia del futuro regime post-berlusconiano. Essi agiscono selezionando per noi il materiale su cui dissentire, un utile setaccio di cui il potere si serve per canalizzare l’attuale e la futura protesta sociale, in sostanza per narcotizzare il dissenso. E Saviano, con la sua tempestiva lettera, si è portato avanti con il lavoro. Si tratta di ambigue figure che agiscono all’ombra di un accattivante antiberlusconismo con il quale non si può che essere d’accordo, ed è proprio tramite questa leva che sono diventati i tribuni della plebe a cui una massa di pigri orfani della sinistra parlamentare ha delegato il proprio sdegno e i propri residui fermenti di opposizione, più simili ai flebili singulti di un bambino bistrattato e messo in punizione. Quando il cosiddetto “popolo viola” avrà imparato a fare a meno di simili personaggi che vanno utilizzati per quello che danno, cioè qualche ovvia informazione nel mare del nulla dei nostri media, allora sarà/saremo pronti per riprendere in mano il nostro destino.

    Una citazione da un blogger:

    “Fra poco quando andranno sù Fassino, Fini, D’Alema, Bersani e Casini vari , i servi cioè di Confindustria e delle grandi banche d’affari, verseremo davvero lacrime e sangue, e il “popolo” di viola avrà solo il buco del
    culo, ricordatevelo!”

  • Ah… OTTIMO POST!
    😉

  • Insinuando che la maggioranza delle persone in piazza possano essere state strumentalizzate dai soliti “professionisti della guerriglia”, non si fa altro che sminuire questo movimento accusandolo di essere decerebrato, una massa acefala di persone senza capacità di ragionamento e capace di arrabbiarsi solo dietro suggerimento del primo manipolo di violenti che passa di là, insomma dei bambini che giocano alla rivolta. Saviano si è subito accodato a questa parola d’ordine del sistema che egli rappresenta, prestandosi al gioco del togliere autonomia e credibilità, in fin dei conti dignità, a delle persone scese in piazza per difendere la loro vita.

  • GRANDE POST!
    😀

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