Guerra senza tregua

articoli di Alessandro Marescotti, Jeffrey Sachs, Richard Falk, Manlio Dinucci, Giuseppe Vacca, Pepe Escobar, Raffaele Ucci, Lucio Caracciolo, Fabrizio Poggi, Paolo Di Marco, Stefano Orsi, Giuseppe Masala, Batiushka, Militant, Miguel Martinez, Alastair Crooke, Mike Whitney, Carlo Bellisai, Giulio Marcon, Enrico Euli, Giacomo Gabellini, Pasquale Pugliese, Vittorio Rangeloni, Francesco Sylos Labini, Cinzia Sciuto, Gianfranco Pagliarulo, Federico Fubini, Massimo Fini

Ucraina, se la “guerra di difesa” si trasforma in una “guerra di attacco” – Alessandro Marescotti

E’ stata avviata una nuova operazione militare che ha l’approvazione degli Stati Uniti e dell’Unione europea. La controffensiva delle truppe di Zelensky punta alla conquista della Crimea in cui è presente la base navale russa di Sebastopoli. Si profila un catastrofico scontro frontale a 360 gradi

In Ucraina la guerra sta cambiando radicalmente e le nuove armi fornite dagli Stati Uniti possono consentire uno sfondamento del fronte sud. E a sud c’è la Crimea. Lì è presente la base navale russa di Sebastopoli. Si profila uno scontro frontale con la Russia. L’attacco al lungo ponte della Crimea è solo l’assaggio.

La Crimea è una regione dalla storia molto tormentata ed è un classico caso da manuale di “controversia internazionale” per la quale la nostra Costituzione ha parole molto chiare all’articolo 11 (“L’Italia ripudia la guerra” come “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”).

Ciò che preoccupa è che una “controversia internazionale” (come lo è anche quella del Donbass) divenga ormai questione da affidare unicamente alle armi. Senza che si sviluppi una riflessione a livello istituzionale su quello che la Costituzione Italiana ci prescrive solennemente: ripudiare la guerra in caso di controversia internazionale.

Se ne tiene fuori persino Israele, che non fornisce armi all’Ucraina ma che invia quegli aiuti umanitari che invece sono i pacifisti italiani a dover portare in Ucraina in assenza di un intervento ampio ed efficace delle nostre istituzioni (presidente Mattarella, può prendere nota?).

In Crimea i russi sono più del doppio degli ucraini

Ma andiamo al cuore della questione. L’attacco militare alla Crimea è stato annunciato alla luce del sole. L’Ucraina è pronta, ha incassato il sostegno politico degli Stati Uniti e dell’Unione Europea e attende solo nuove e potenti armi, a più lunga gittata, per sfondare a sud.

 

Il Consiglio Europeo e il Parlamento Europeo si sono dichiarati favorevoli alla “riconquista” della Crimea. Oggi per di più si svolge il vertice internazionale a Zagabria della Piattaforma Crimea lanciata già nell’agosto 2021. Obiettivo: sottolineare la legittimità delle operazioni militari finalizzate alla riconquista della Crimea e assicurare il sostegno politico di svariate nazioni. C’è anche l’Italia.

Le guerre sono state sempre un giallo: cominciano in un modo e poi finiscono in un altro. Le guerre si sono burlate degli uomini che ne hanno seguito gli stendardi. Anche le crociate cominciarono con l’obiettivo della liberazione del Sacro Sepolcro e poi finirono con la conquista di Costantinopoli.

Pensiamo alla prima guerra mondiale che cominciò con l’obiettivo di “liberare” gli italiani del Trentino e poi si giunse a “conquistare” il sud Tirolo in cui si parlava tedesco. Don Milani scrisse una lettera ai cappellani militari per denunciare questa bugia della storia. Abbiamo combattuto per Caporetto e oggi Caporetto, sacro suolo patrio, non è più italiana e non si parla più italiano. Molti non lo sanno. Molti non sanno che sono stati mandati tanti italiani a morire per niente. Questa cosa non la sentirete nei discorsi ufficiali del 4 novembre, che dovrebbe essere giorno di lutto nazionale, non di celebrazione.

Le frontiere!

Non sfugge neanche questa guerra in Ucraina alla logica delle frontiere, delle ingannevoli frontiere per cui tanti sono molti per nulla.

Ed eccole queste scivolosissime frontiere che si ripresentano in tutta la loro ambigua sacralità, in questa guerra delle bugie e delle narrazioni depistanti.

 

E così la guerra, questa guerra, ha cambiato pelle, mentre continuavamo a parlare di “difesa dei poveri ucraini”: li manderemo a morire con le nostre armi per attaccare la Crimea. L’ipocrisia oggi gronda sangue.

La guerra – diciamocelo anche noi pacifisti perché i militari ce lo stanno dicendo da settimane – ha mutato natura è non è più quella del 24 febbraio. Adesso è una guerra di attacco per arrivare in Crimea con i lanciamissili Himars forniti dagli americani, con uno scontro frontale nei confronti della Russia che sta reagendo con contrattacchi devastanti fatti di droni e missili sulle città.

E’ questo che vogliamo alimentare? Vogliamo premere il piede sull’acceleratore della morte?

Si prepara uno scontro apocalittico contro la nostra Costituzione. E uno sfracello di uomini, di giovani che a un altro e migliore futuro avrebbero diritto di aspirare.

A febbraio eravamo tutti schierati contro l’invasione russa dell’Ucraina e contro l’escalation militare. Vi era un dibattito su “come difendere” l’Ucraina. Oggi dobbiamo avere chiari i confini che distinguono il sostegno alla legittima difesa di un popolo da ciò che è l’esatto opposto, ossia il sacrificio supremo di migliaia di vite umane che saranno immolate per la riconquista della Crimea.

E’ quello che stiamo attendendo, presidente Mattarella?

Prima del 5 novembre, della grande marcia della pace di Roma, è bene fare arrivare questa informazione, questa cultura e questa consapevolezza. Questo ripudio della guerra. Come è stato fatto con il messaggio “La guerra che verrà”.

A tutti coloro che – in buona fede – credono ancora oggi nella “guerra di difesa” dobbiamo dire che quella “guerra di difesa” più non è tale. Basta leggere le riviste militari. La guerra si sta trasformando in un piano di riconquista che richiederà terribili bagni di sangue.

Non cambiamo la realtà, non edulcoriamola, non raccontiamo cose che non esistono più.

La guerra che verrà non ha più nulla a che fare con la difesa del popolo ucraino.

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dice Jeffrey Sachs:

Tutti i leader del mondo, anche morali e religiosi devono alzare la voce e chiedere una soluzione pacifica. Devono dire che le radici di questa guerra risiedono in terribili errori commessi da entrambe la parti che vanno risolti col compromesso. Che la narrazione per cui Mosca è malvagia, che è una guerra non provocata e che è completamente unilaterale, è falsa. È la propaganda occidentale, ma non è un gioco: può ucciderci tutti. Gli Usa hanno contribuito a provocare questa guerra. Non ho dubbi. Mi occupo di Russia e Ucraina da più di 30 anni.

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Putin al Valdai Club: l’Occidente attua un “gioco sanguinoso, pericoloso e sporco”

…Putin ha sottolineato che il mondo si trova attualmente in una “crisi sistemica su larga scala”, mentre i Paesi occidentali, che, ha sottolineato, “non hanno unità”, hanno compiuto “una serie di passi verso l’escalation”, come “l’incitamento alla guerra in Ucraina, le provocazioni a Taiwan, la destabilizzazione del mercato alimentare e la distruzione dei gasdotti europei”.

Quindi ha indicato che l’umanità si trova attualmente di fronte a due opzioni: “Continuare ad accumulare un fardello di problemi o trovare insieme una soluzione”. Di conseguenza, “prima o poi” sia i nuovi centri del mondo multipolare che l’Occidente dovranno impegnarsi in un dialogo equo per affrontare un futuro comune. “Prima è, meglio è”, ha sottolineato Putin incalzando così i paesi occidentali e l’ex egemone unipolare statunitense, a prendere atto della nuova realtà.

Nel suo discorso, il presidente russo ha alluso alle parole dello scrittore russo Alexandr Solzhentisin, che nel 1978 parlò della “persistente cecità della superiorità” dell’Occidente. “Nel corso dell’ultimo mezzo secolo, questa cecità, di natura palesemente razzista e neocoloniale, è diventata semplicemente sgradevole, soprattutto dopo l’emergere del cosiddetto mondo unipolare”, ha sottolineato.

La fiducia dell’Occidente nella propria infallibilità è una tendenza “molto pericolosa”, mentre i tentativi di cancellare intere culture, come quella russa, non hanno futuro. “All’apice della Guerra Fredda nessuno avrebbe pensato di cancellare l’esistenza della cultura, della scienza, dell’arte di altri popoli. Sono stati i nazisti a bruciare i libri ai loro tempi. Ma ora i padri del liberalismo e del progresso sono arrivati a vietare Dostoevskij e Cajkovskij”…

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La guerra in Ucraina evolve verso l’Armageddon – Richard Falk

Disdegnare la diplomazia, cercare la vittoria

Da quando è iniziata la guerra in Ucraina il 24 febbraio 2022 la risposta della NATO, principalmente articolata e materialmente attuata dagli Stati Uniti, è stata quella di versare grandi quantità di petrolio sulle fiamme del conflitto, schernendo la Russia e il suo leader, aumentando la portata della violenza, l’entità della sofferenza umana e aumentando pericolosamente il rischio di un esito disastroso. Non solo Washington ha mobilitato il mondo per denunciare l’”aggressione” della Russia, ma ha fornito un flusso costante di armi avanzate in grandi quantità agli ucraini per resistere all’attacco russo e persino organizzare contrattacchi. Gli Stati Uniti hanno fatto tutto il possibile all’ONU e altrove per costruire una coalizione punitiva ostile alla Russia, ma hanno unito a ciò una serie di sanzioni e la demonizzazione di Putin come famigerato criminale di guerra inadatto a governare e meritevole di incriminazione e perseguimento.

Tale comportamento infiammatorio è sottolineato da un entusiasmo scoperto di recente dall’Occidente per la Corte penale internazionale, che esorta il tribunale a raccogliere quante più prove il più rapidamente possibile dei crimini di guerra russi. Questa posizione orientata alla legge è contraddetta dall’intensa passata opposizione agli sforzi della CPI per raccogliere prove per un’indagine sui crimini di guerra da parte di non firmatari (di cui la Russia è uno) in relazione al ruolo degli Stati Uniti in Afghanistan o al ruolo di Israele nella Palestina occupata. In una certa misura c’era da aspettarsi una tale unilateralità della rappresentazione, e persino da considerare giustificata, ma la sua intensità in relazione all’Ucraina è stata pericolosamente intrecciata con una guerra geopolitica irresponsabile e perseguita in modo amatoriale condotta dagli Stati Uniti contro la Russia e indirettamente contro la Cina. È una guerra con una posta in gioco alta in quanto determina la struttura dell’ordine mondiale all’indomani della Guerra Fredda e l’ascesa della Cina come rivale credibile al dominio degli Stati Uniti. Tale guerra geopolitica viene condotta in modo ignaro dei più ampi interessi umani in gioco e in un senso profondo, contrario al benessere e al destino dell’Ucraina e del suo popolo.

Nonostante la presenza di queste caratteristiche della guerra in Ucraina, le menti occidentali continuano a vedere il conflitto con un occhio chiuso. Anche Stephen Walt, un commentatore moderato e generalmente sensato della politica estera statunitense, e attualmente un critico prudente e persuasivo dell’incapacità di Biden di fare del suo meglio per spostare il sanguinoso scontro in Ucraina dal campo di battaglia ai domini diplomatici, si unisce comunque al coro di guerra affermando in modo fuorviante senza riserve che “l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è illegale, immorale e ingiustificabile..” [Walt, “Why Washington Should Take Russian Nuclear Threats Seriously,” Foreign Policy, May 5, 2022]. Non è che una tale caratterizzazione sia errata in quanto tale, ma, a meno che non sia integrata da spiegazioni di contesto, conferisce credibilità alla mentalità ipocrita e orientata alla guerra mostrata dalla presidenza Biden, evitando al contempo un esame critico delle sue dimensioni geopolitiche. Forse Walt e altri con prospettive simili stanno assumendo questa posizione di assecondare la rappresentazione della crisi ucraina di Washington come una concessione tattica necessaria per raggiungere un patto faustiano per ottenere un posto al tavolo in modo che i loro avvertimenti e la difesa della diplomazia potessero almeno ottenere un’audizione da parte degli addetti ai lavori di politica estera che consigliano Biden/Blinken.

Per essere chiari, anche se si può sostenere che Russia/Putin abbiano lanciato una guerra illegale, immorale e ingiustificata, il contesto geopolitico più ampio rimane cruciale se si vuole ripristinare la pace ed evitare la catastrofe. Per prima cosa, l’attacco russo potrebbe essere tutte queste cose presunte, e tuttavia far parte di un modello geopolitico di comportamento consolidato che gli stessi Stati Uniti hanno confermato in una serie di guerre iniziate con la guerra del Vietnam, e in particolare più recentemente con la guerra del Kosovo, la guerra in Afghanistan e la guerra in Iraq. Nessuna di queste guerre era legale, morale e giustificabile, sebbene ciascuna godesse di una logica geopolitica che le faceva sembrare desiderabili alle élite della politica estera statunitense e ai loro più stretti partner di alleanza. Naturalmente, due torti non fanno un diritto, ma in un mondo in cui gli attori geopolitici godono di una licenza per perseguire interessi strategici vitali all’interno delle tradizionali sfere di influenza, non è oggettivamente difendibile condannare ipocritamente la Russia senza tener conto di ciò che gli Stati Uniti hanno fatto in tutto il mondo per diversi decenni. Antony Blinken può anche dire ai media che le sfere di influenza sono diventate un ricordo del passato dopo la seconda guerra mondiale, ma deve aver dormito per decenni per non notare che l’accordo di Yalta sul futuro dell’Europa raggiunto nel 1945 dall’Unione Sovietica, Stati Uniti e Regno Unito si basavano proprio sull’esplicita affermazione di tali sfere, che a posteriori, per quanto sgradevoli nell’applicazione, meritano un certo merito per aver impedito alla Guerra Fredda di diventare la terza guerra mondiale. Tale sovranità compromessa di questi paesi di confine è descrittiva delle prerogative rivendicate dalle cosiddette Grandi Potenze nel corso della storia delle relazioni internazionali, non da ultimo dagli Stati Uniti attraverso la Dottrina Monroe e le sue estensioni. In questo senso, l’Ucraina si trova nella lunga posizione poco invidiabile del Messico, e anzi di tutta l’America Latina. Molti anni fa il famoso intellettuale messicano, Octavio Paz, denunciò la tragedia del suo Paese «così lontano da Dio e tuttavia così vicino agli Stati Uniti»…

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Questo è un conflitto per procura degli Usa: come in Libia e Siria (intervista a Giuseppe Vacca)

 

Professor Vacca, quali sono le responsabilità dell’ucraina e dell’occidente dal 2014 a oggi?

La crisi del 2014 aveva trovato una soluzione con la firma degli accordi di Minsk, che riconosceva larga autonomia alle regioni del Donbass, rivendicate dai separatisti filorussi. Purtroppo inglesi e americani avevano altri piani e quegli accordi non sono mai stati applicati dagli ucraini, che hanno preferito portare avanti la linea angloamericana, improntata sullo scontro con la Russia. La Germania guidata da Merkel, che pure aveva forti interessi economici nel mantenere buoni rapporti con Putin, non ha avuto la forza per opporsi. Messa da parte la parentesi Trump, le scelte dell’amministrazione Biden sono consequenziali a quest’approccio. Bisogna capire che la posta in gioco principale non è l’ucraina, ma il futuro della Nato, che vuole dividere la Russia dall’europa e armare i paesi europei a condizione della loro fedeltà atlantica, ovvero l’esatto contrario del progetto dei padri fondatori, che pensavano a un Europa come potenza a se stante.

 

Quindi è d’accordo nel definirla guerra per procura?

Gli Usa dopo i fallimenti in Iraq e Afghanistan ormai fanno solo guerre per procura, non avendo più la forza militare necessaria per intervenire direttamente. Lo abbiamo già visto in Libia e in Siria, e l’ucraina non fa eccezione.

 

Quanto ha inciso l’allargamento della Nato?

L’allargamento della Nato dopo la Guerra Fredda è la contropartita americana rispetto all’unificazione tedesca. Gli americani vedono l’ue o come un nemico (come faceva Trump) o come un loro suddito. Per cui una Germania forte doveva essere controbilanciata dall’ingresso dei paesi dell’ex Patto di Varsavia nell’alleanza atlantica.

 

Cosa ne sarà della Crimea con la vostra proposta di pace?

La cosa singolare è che l’annessione della Crimea alla Russia nel 2014 sia considerata un atto illegale, ma anche l’atto con cui Kruscev nel 1954 la cedette all’ucraina era totalmente illegittimo. La base di partenza è il mantenimento dello status quo…

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Tutti vogliono salire sul BRICS Express – Pepe Escobar

– The Cradle

[Tradotto dall’inglese da Nora Hoppe]

L’Eurasia sta per diventare molto più grande, mentre i paesi fanno la fila per unirsi ai BRICS e alla SCO guidati da Cina e Russia, a scapito dell’occidente.

Cominciamo con quella che è in realtà una storia di commercio del Sud Globale tra due membri della Shanghai Cooperation Organization (SCO). Al suo cuore c’è il già famigerato drone Shahed-136 – o Geranium-2, nella sua denominazione russa: l’AK-47 della guerra aerea postmoderna.

Gli Stati Uniti, con l’ennesimo attacco di isteria di marca e piena di ironia, hanno accusato Teheran di aver armato le forze armate russe. Sia per Teheran che per Mosca, il drone superstar, dal rapporto qualità-prezzo e terribilmente efficiente, scatenato sul campo di battaglia ucraino è un segreto di Stato: il suo impiego ha provocato una raffica di smentite da entrambe le parti. Che si tratti di droni made in Iran o che il progetto sia stato acquistato e la produzione sia avvenuta in Russia (opzione realistica), è irrilevante.

Gli atti dimostrano che gli Stati Uniti armano l’Ucraina fino all’osso contro la Russia. L’Impero è un combattente di fatto attraverso una serie di “consulenti”, consiglieri, addestratori, mercenari, armi pesanti, munizioni, informazioni satellitari e guerra elettronica. Eppure i funzionari imperiali giurano di non far parte della guerra. Ancora una volta, stanno mentendo.

Benvenuti nell’ennesima dimostrazione grafica dell'”ordine internazionale basato sulle regole”. L’Egemone decide sempre quali regole applicare e quando. Chiunque vi si opponga è un nemico della “libertà”, della “democrazia” o di qualsiasi altro luogo comune del giorno, e dovrebbe essere – che altro – punito con sanzioni arbitrarie…

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Alcuni pensieri sulla tesi della “bomba sporca” e sulla funzione dell’odio – Raffaele Ucci 

 

Primo, è davvero possibile?

La risposta è sì, assolutamente. C’è abbastanza combustibile esaurito per reattori nucleari civili (non per le armi) per ottenere abbastanza materiale radioattivo. Ancora più importante, c’è un sacco di “know how” tra scienziati e ingegneri ucraini. Inoltre, far arrivare materiali radioattivi o specialisti è qualcosa che l’Egemonia Anglosionista potrebbe fare. Ho menzionato la pletora di politici ucronazisti con gli occhi luccicanti che sognano ad occhi aperti, davanti alla telecamera, come bombardare la Russia e uccidere quanti più russi possibile?

Promemoria rapido: una “bomba sporca” non causa una detonazione nucleare, ma utilizza un esplosivo convenzionale per diffondere materiali radioattivi.

Quanto deve essere grande una bomba del genere? Più grande è, meglio è, poiché più grande sarà la diffusione dei materiali. Anche questo è un problema, tuttavia, perché significa consegnare un grande carico utile nel punto in cui desideri che esploda. Qui vedo tre opzioni di base:

  • Fai esplodere la bomba sporca dietro le linee russe
  • Fai esplodere la bomba sporca vicino alla linea di contatto
  • Fai esplodere la bomba sporca nel territorio occupato dagli ucronazisti

Ognuna di queste opzioni presenta seri inconvenienti.

Se si tratta del primo caso, come si fa a portare, diciamo, un camion simile a quello fatto saltare in aria sul ponte di Crimea, da qualche parte vicino a Kherson, o altrove? Putin ha approvato una serie di decreti che ora forniscono agli organi di sicurezza russi una solida base giuridica per condurre estese operazioni di sicurezza e intraprendere molte azioni che prima non potevano. Quindi sarebbe possibile? Forse sì, ma non facile.

Far esplodere la bomba da qualche parte vicino/lungo la linea di contatto rischia che il veicolo di consegna (camion, APC, ecc.) venga rilevato dal C4ISR russo e fatto saltare in aria. Naturalmente, gli USA/NATO darebbero la colpa alla Russia, ma questo solleva la domanda sul perché la Russia dovrebbe mai usare una bomba sporca considerando che 1) i russi hanno un sacco di armi nucleari tattiche regolari e 2) un tale attacco non avrebbe alcun senso militare. Inoltre, un attacco vicino al fronte porterebbe ad un pasticcio simile all’MH-17, in cui la scena del crimine è sotto il controllo russo e non, come sperato, ucronazista.

Il che lascia l’opzione tre. Fai esplodere quella bomba nucleare in una città o cittadina occupata dagli ucronazisti, dichiari che fa parte di una “pulizia etnica dell’orgogliosa nazione ucraina da parte delle orde di Ruski”, poi passi ad un mantra simile a Srebrenica e canti “genocidio! genocidio! genocidio!” finché l’odio per la Russia non raggiunge l’intensità necessaria.

Naturalmente, questo pone la domanda sul perché, se i russi volessero condurre un genocidio degli ucraini, userebbero un dispositivo piuttosto inefficace (la principale “qualità” di una bomba sporca è il panico che induce) quando hanno tutto ciò di cui hanno bisogno per cancellare non solo l’Ucraina, ma tutto l’Occidente?

Ma poi, il pubblico di destinazione per una bomba sporca del genere sarebbe il doppioplusbenpensantemangiamerda (parafrasando Orwell) Occidente che ha creduto all’11 Settembre, all’MH-17, a Skripal, a Ghuta, al Viagra in Libia, a Rachak, a Srebrenica, e l’elenco potrebbe continuare e ancora e ancora.

Quindi la risposta è decisamente “sì, è possibile”.

La seconda domanda è perché? Quale sarebbe lo scopo di un’esplosione di una simile bomba sporca?…

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Guerra in Ucraina e finti auspici di pace – Fabrizio Poggi

…I Ministri tedeschi di esteri e difesa, Annalena Baerbock e Christine Lambrecht (per la cronaca: rispettivamente Verdi e SPD), chiedono 1,5 miliardi di euro in più della somma prevista (700 milioni) per le consegne di armi a Kiev nel 2023.

Così che, nota Susann Witt-Stahl su Die Junge Welt, si estende la «lunga tradizione di diplomatici tedeschi che di tempo in tempo mantengono cordiali rapporti con le bande criminali fasciste, purché siano filo-occidentali». Basti ricordare i “silenzi” dell’ambasciata della RFT in Cile sulle atrocità nei campi di tortura di Pinochet, o quelli del Ministero degli esteri, all’epoca di Genscher, sulle vittime tedesche della giunta militare argentina.

Dunque, ecco che ora un console generale tedesco (dei Verdi), nel corso di un’iniziativa organizzata in USA dai banderisti ucraini, i cui antenati erano stati aiutati nel 1946 dall’Organizzazione Gehlen a rifugiarsi negli Stati Uniti, ha reso gli onori ai neonazisti di “Azov”. Naturalmente: silenzio da parte del Ministero degli Esteri federale, commenta Witt-Stahl.

Il punto di avvio di tale “evoluzione” dei Verdi era stato «il maligno sfruttamento dei milioni di trucidati a Auschwitz, quale “legittimazione” della partecipazione alla prima guerra di aggressione tedesca dopo la fine del fascismo hitleriano, da parte di un ministro degli esteri “verde”, nel 1999», con l’aggressione NATO alla Jugoslavia.

Se ora Annalena Baerbock, all’Atlantic Council, cita con orgoglio il nonno che nel ’45 combatté sull’Oder contro l’Armata Rossa, ovvio che, sussurrando “Mai più guerra”, tralasci di gridare «l’imperativo storico-mondiale “Mai più fascismo!”»…

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la Grande Guerra di BidenPaolo Di Marco

Dopo aver provocato la guerra con la Russia che sta ora conducendo per interposta persona, Venerdì 7 Ottobre Biden ha dichiarato guerra alla Cina.

‘Friedman:”spero che queste non siano le nostre nuove ‘guerre eterne’”

1- il primo fronte
Che il Giornalino dei Piccoli che è ormai il giornale unificato italiano non ne abbia dato notizia non stupisce, ma non perchè è una guerra per ora senza missili e bombe -anche se non meno letale – .

La dichiarazione di guerra, come la chiama anche Triolo sul Financial Times, è stata affidata a Gina Raimondo, ministro del Commercio, e consiste in un sistema di 4 regole la cui sintesi è (citando Friedman) :

‘Noi pensiamo che voi siate in tecnologicamente in ritardo rispetto a noi di tre generazioni per i chip logici di memoria e i macchinari per semiconduttori, e vogliamo assicurarci che questo duri per sempre’

Ma queste regole fanno anche di più: non solo impediscono alla Cina di portarsi avanti con l’Intelligenza Artificiale e i supercomputer, non solo le bloccano la tecnologia ma sono intese a farla regredire; e la tagliano fuori dall’ecosistema mondiale interconnesso che la produce, imponendole, se vuole raggiungere l’autosufficienza, uno sforzo impossibile pari a sette decadi di lavoro comune di tutto il mondo.

Guardiamo in dettaglio:

-la prima regola strangola le industrie cinesi di AI e supercomputer bloccando l’acquisto delle schede (chip) più avanzate:

in questo modo si strozza la ricerca sull’AI, la sua commercializzazione, le tecnologie anche militari che la usano.

Che gli USA possano farlo è dovuto al loro dominio sulla catena di produzione delle schede più avanzate (logiche e di memoria: >300 tera-op/sec, v> 600 Giga/sec); NVIDIA ha il 95% del mercato cinese in questo campo, ed è quasi insostituibile grazie all’ecosistema hardware+software che si è creata, CUDA, arricchito da milioni di ore dei programmatori di tutto il mondo e sostituibile solo con altrettanto immane sforzo. Per completare il colpo e renderlo letale gli USA hanno aggiunto la clausola del ‘foreign-direct product’, ovvero chiunque venda ai cinesi tecnologia (tanto macchinari che programmi) nella cui produzione ci sia un ingrediente americano si troverà bloccato l’acquisto dei prodotti americani di quel settore.

Questa regola era già entrata in vigore a Settembre, provocando una caduta verticale delle azioni di Nvidia, perché avrebbe portato i cinesi a sostituire le schede Nvidia con altre o con proprie. Ma le nuove regole chiudono tutte le possibili via d’uscita.

-la seconda regola blocca la Cina dalla progettazione di schede in casa strozzando l’accesso al software di progettazione delle schede e ai macchinari di produzione dei semiconduttori prodotti negli USA

L’EDA (ElectronicDesignAutomation) è in mano a tre aziende tutte con sede negli USA: Mentor (anche se è una controllata di Siemens), CadenceDesignSystems e Synopsys, che hanno accumulato tutte le conoscenze (e brevetti) per realizzare i disegni delle schede avanzate.

Senza di loro è quasi impossibile progettarle, come ben sa Huawey, la prima cavia su cui sono state sperimentate queste regole (con la presidenza Trump), dove il suo progettista di schede, HiSilicion, è andato in fallimento e ci ha messo quasi dieci anni per ricominciare ad emettere qualche vagito. Per impedire anche questi arriva la regola successiva:

-terza regola: blocca la Cina dalla produzione di schede (chip) avanzate strozzando il suo accesso ai macchinari di produzione di semiconduttori avanzati (con cui le schede vengono popolate.

Anche se i maggiori produttori sono a Taiwan e Corea, anche qui gli USA sono dominanti in quanto entrano direttamente o indirettamente in tutta la produzione di semiconduttori, dalle schede logiche(NAND) alle memorie a breve (DRAM) alle memorie a lungo e ai nuovi finFET e GAAFET (i nuovissimi transistor a campo largo).

Come sintetizza Gregory Allen, ‘l’amministrazione USA sta andando oltre la tradizionale politica di mantenere la tecnologia dei semiconduttori USA due passi avanti, ma sta cercando attivamente di degradare la maturità tecnologica della Cina sotto il livello attuale; nell’insieme queste nuove restrizioni rappresentano un colpo devastante per i produttori cinesi di schede avanzate’

E, per non sbagliare per difetto, non solo avanzate, come dice l’ultima regola;

-quarta regola: blocca la Cina dallo sviluppare i propri macchinari di produzione di semiconduttori strozzando l’accesso a tutti i componenti fatti in USA

questo significa l’esclusione quasi totale dall’ecosistema generale dell’informatica avanzata; in pratica dover ripercorrere da soli 70 anni di lavoro cooperativo di tutta la comunità mondiale.

Il comportamento americano assomiglia molto a quello dei loro antenati inglesi della Compagnia delle Indie, che tagliarono i pollici dei capifamiglia del Bengala per evitare la concorrenza alle proprie fabbriche tessili…

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Putin, la NATO e noi – Militant

…Oggi il multipolarismo non abita più a Bruxelles, casomai a Pechino, Mumbai, addirittura Teheran e, ovviamente, a Mosca, per quanto dirlo in questi giorni ci espone allo scherno degli scriba filo-atlantici, mai così aggressivi, e pure all’incomprensione di tanti compagni e compagne restii a utilizzare uno “sguardo lungo” sull’attualità. La “tendenza alla guerra”, che rende il conflitto elemento costitutivo dell’imperialismo, trova in Ucraina solo una nuova conferma, così da smentire l’interpretazione “psico-soggettivistica” che descrive il 24 Febbraio come il frutto di un gesto sconsiderato e pazzoide del nuovo zar. Tutt’altro: si tratta di un ulteriore riscontro di come oggi la questione della guerra sia quella principale – anche per le sue ricadute sulla classe – e che l’economia di guerra sia la semplice “copertura lessicale” di un aumento del costo della vita che le masse popolari da tempo stavano sperimentando. Il contesto attuale, ovviamente, non ha solo a che fare con l’economicismo: si apre – anzi: si conferma, dato che ne abbiamo avuto avvisaglie già con la gestione del Covid – una stagione di contrazione dei diritti e delle libertà, come lavoratori/trici, come cittadini/e, come militanti politici. Alla luce di un quadro del genere, la sinistra di classe ha l’obbligo di parlare in termini chiari e operativi alle masse. Ci chiediamo, in tal senso, se convenga di più passare al setaccio l’operato di Putin (promuovendolo, bocciandolo oppure rimandandolo a settembre) oppure provare, appunto, a “cogliere l’attimo”, vale a dire abbracciare totalmente la “straordinarietà” (tragica) di questi mesi e inserirvi la nostra prospettiva. Per farlo, pare evidente la necessità di rifiutare un approccio “libresco” con cui valutare la realtà. Al contrario, vi è nel proletariato italiano un bisogno di politica che continua a non trovare sbocchi. In questo senso, le recenti elezioni hanno sancito il fallimento definitivo dell’elettoralismo, tanto di quello sovranista quanto di quello arcobaleno. Il problema, a ben vedere, non consiste nel tentare anche la strada elettorale (qualora si verifichino le condizioni), ma l’incapacità di pensare la propria azione politica a prescindere da esse.

Invitiamo i presenti, dunque, ad adottare un “pensiero spurio”, che non significa sventolare il gagliardetto della Russia e iniziare pure noi a fare belluinamente il tifo, ma provare a “rendere operativa” la nuova fase che si è aperta dal 24 Febbraio, ribadendo come la contraddizione principale, di fronte ai nostri occhi, continui ad essere rappresentata dal capitalismo italiano. In tal senso la nostra lotta alla guerra non può che passare da un’azione in difesa dei salari e contro il carovita che colpisce unicamente i ceti popolari. Allo stesso tempo avere la capacità di interagire con la mobilitazione pacifista, in grado di intercettare la montante insofferenza nei confronti del bellicismo e del militarismo atlantista.

Un evento maestoso e aberrante come una guerra non può non essere usato per fare politica. Sta a noi farla da comunisti al passo con i tempi, ricordando agli strati sempre più larghi di subalterni come l’epoca della socialdemocrazia sia da tempo terminata e che il tentativo difensivo di ripristinare autarchiche comunità nazionali (come proponeva di fare Salvini, ieri, e come propone Meloni oggi) sia inattuabile perché anacronistico. Non farlo significherebbe perdere un’altra grande occasione.

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Salvate il soldato Ucraina: la fine del gioco è all’orizzonte? – Batiushka

…La partita finale per l’Ucraina è all’orizzonte. Tuttavia, al di là della lotta nella provincia slava dell’Ucraina per salvare il soldato Ucraina, c’è la questione di salvare il soldato Europa, o addirittura il soldato America del Nord. Questo è molto più difficile. Gli ucraini sono stati zombificati solo da 30 anni (certo, l’estremo occidente galiziano da 400 anni), ma l’Europa occidentale ha subito ben mille anni di zombificazione, prima sotto lo schema piramidale e il racket del feudalesimo (“dateci il vostro bestiame, grano e monete, altrimenti mandiamo i cavalieri dal castello”), oggi sotto il neo-feudalesimo (“pagate le tasse e chiudete la bocca, altrimenti vi tagliamo la carta di credito e vi priviamo di tutto ciò che rende la vostra vita degna di essere vissuta”).

Dezombificare i popoli occidentali? Beh, se si riesce a creare un cuneo tra il popolo e l’élite, si è cominciato. Ma l’intero problema della mentalità occidentale è quello dell’adulazione dell’infallibilità. È iniziato 950 anni fa, quando il Papa occidentale è stato dichiarato infallibile (1), poi si è esteso a tutto il clero cattolico, ma da allora la Riforma ha democratizzato l’infallibilità agli uomini occidentali, poi negli ultimi cento anni alle donne occidentali e negli ultimi cinquant’anni a tutti coloro che accettano la mentalità occidentale, indipendentemente dal sesso, dalla razza, dal credo e, come si dice ora, dall’”orientamento sessuale”. Questo è il fondamento del “liberalismo” totalitario dell’Umanesimo Secolare: “L’Occidente è migliore e quindi lo sono anch’io”.

Se volete, lusingatevi con le vostre illusioni. Non durerà. La fine del gioco è all’orizzonte.

Nota:

L’articolo 1 del Dictatus Papae (“Dettato del Papa”) del 1075 recita: La Chiesa romana è stata fondata unicamente da Dio. Articolo 2: Solo il Papa può essere giustamente chiamato “universale”. Articolo 9: Tutti i principi devono baciare i piedi del solo Papa. Articolo 19: Egli stesso non può essere giudicato da nessuno. Articolo 22: La Chiesa romana non ha mai errato. E non sbaglierà mai, per tutta l’eternità.

Sostituite “la Chiesa romana” con “l’Occidente” e “il Papa” con “il Presidente degli Stati Uniti”, ed ecco l’intera genealogia e l’origine dell’ONU, delle sanzioni, del WEF e di molti altri orrori che potete nominare.

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“Exaudi nos…. a peste, fame, et bello libera nos” – Miguel Martinez

Il 5 novembre, c’è una congrega di cattocomunisti, che vanno dall’ANPI a qualcosa che si chiama Pro Civitate Christiana, che ha indetto un rito di magia deambulatoria a Roma per scongiurare la guerra.

Proprio come le Rogazioni che si facevano un tempo nei nostri campi, per tener lontani tutti i flagelli con cui il Male infierisce ancora e ancora, contro noialtri piccoli viventi.

 

Non essendo cristiano, mi consola sapere che le rogazioni somigliano alle ambarvalia, dedicate a Cerere che ci dà il grano, quando si diceva…

…Certo, i cattocomunisti invocano in italiano anziché in latino, funzionerà?

Proviamo insieme.

Ma mi piace l’appello, perché dice quello che sappiamo tutti, che distinguere tra il bene e il male non ha nulla a che fare con decidere chi sono i buoni o i cattivi.

Il male è la guerra…

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L’inquietante silenzio dell’Europa – Il curioso caso del cane che non abbaiò – Alastair Crooke

I media occidentali sono pieni di speculazioni sul fatto che ci troviamo o meno sull’orlo della terza guerra mondiale. In realtà, ci siamo già. La lunga guerra non si è mai fermata. Sulla scia della crisi finanziaria del 2008, gli Stati Uniti avevano bisogno di rafforzare la base di risorse da cui dipende la loro economia. Per la corrente straussiana  (i falchi neocon, se preferite), la debolezza della Russia dopo la Guerra Fredda era un’opportunità per aprire un nuovo fronte di guerra. I falchi statunitensi volevano prendere due piccioni con una fava: saccheggiare le preziose risorse russe per rafforzare la propria economia e frammentare la Russia in un caleidoscopio di parti.

Anche per gli straussiani la guerra fredda non è mai finita. Il mondo rimane binario: “noi e loro, il bene e il male”.

Ma il saccheggio neoliberale alla fine non ha avuto successo, con grande disappunto degli straussiani. Almeno dal 2014 (secondo un alto funzionario russo), il Grande Gioco si è spostato verso il tentativo degli Stati Uniti di controllare i flussi e i corridoi dell’energia – e di fissarne il prezzo. E, dall’altra parte, le contromisure della Russia volte a creare reti di transito fluide e dinamiche attraverso oleodotti e canali navigabili interni all’Asia – e a fissare il prezzo dell’energia. (Ora via OPEC+)…

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I moralisti del Bene assoluto

Se c’è una cosa che non sopporto di questa guerra russo-ucraina è il trito moralismo di chi la interpreta. Usare categorie meramente etiche, che si pretende siano valide in ogni tempo e luogo, è come tornare indietro di 2400 anni, quando Platone, filosofo ingenuo e totalitario allo stesso tempo, cercava l’idea assoluta del Bene. Non a caso Nietzsche diceva ch’era lui il vero fondatore del cristianesimo.

Già parlare di “guerra russo-ucraina” è sbagliato. Questa è una guerra che gli euroamericani conducono in Ucraina contro la Russia sin dai tempi della cosiddetta rivoluzione arancione del 2004, quando gli ucraini filo-occidentali rifiutarono la vittoria elettorale del filo-russo Janukovyč.

Il ruolo degli USA è sempre stato preponderante rispetto a quello della UE, ma questo dipende dal fatto che nella NATO sono loro che comandano. Quella non è un’alleanza tra Stati paritetici. Infatti il golpe del 2014, sempre contro Janukovyč, furono soprattutto gli americani a organizzarlo. Gli europei seguono le direttive americane come un cagnolino addomesticato il suo padrone.

A quel tempo la UE scongiurò una guerra dell’Ucraina, appoggiata dagli USA, contro Mosca, riconoscendo il fatto che la Crimea era passata sotto la Russia.

La mediazione europea, soprattutto franco-tedesca, sotto la pressione russa, fu anche indotta ad accettare parzialmente le esigenze rivendicative dei separatisti del Donbass: nessuno riconobbe ufficialmente le due repubbliche di Donetsk e Lugansk, però si condivise l’idea che il conflitto tra Kiev e le due repubbliche venisse regolamentato dai due Accordi di Minsk. Gli europei non volevano vedere un’altra guerra in Europa dopo quella disastrosa che aveva frantumato la Jugoslavia, cui la NATO aveva partecipato in maniera scriteriata.

Resta il fatto che dal 2014 allo scorso 24 febbraio la UE non è mai riuscita a impedire né che l’Ucraina diventasse un Paese sostanzialmente neonazista, né che il governo di Kiev conducesse una guerra civile contro le due repubbliche del Donbass, che comportò 14.000 morti e una orrenda strage a Odessa. Praticamente in questi ultimi otto anni la UE ha semplicemente dimostrato che la volontà degli USA di scatenare una guerra contro la Russia non poteva essere ostacolata da niente e da nessuno. Non si è riusciti a democratizzare l’Ucraina: si è finiti con l’ucrainizzare l’Europa.

Infatti dopo il 24 febbraio gli europei han smesso di riconoscere un qualche valore al principio di autodeterminazione dei popoli, quello che ha indotto i russi a mettere in atto la solidarietà nei confronti degli abitanti russofoni e filo-russi perseguitati nel Donbass. Subordinati completamente alla narrativa americana, gli europei han preferito negare questo principio in nome di altri due: la sovranità politica dello Stato e l’integrità territoriale della nazione. In nome di questi due diritti han dichiarato guerra alla Russia, arrivando persino a rimettere in discussione il ruolo della Crimea.

Da questa visione parziale delle cose è nata negli europei l’interpretazione distorta dei fatti, fino alla negazione completa della verità. Di qui le schematiche e sostanzialmente false contrapposizioni categoriali di aggredito e aggressore, occupante e occupato, invaso e invasore… che il mainstream continua ancora oggi a usare, in pieno stile orwelliano.

Tutti gli statisti europei si sono messi al servizio della volontà che gli americani esprimevano attraverso sanzioni antirusse, sostegno finanziario agli ucraini e appoggio militare attraverso la NATO. Nessuno ha avuto il coraggio di negare alla UE la sua funzione di mera colonia degli USA.

Ora la domanda che ci si pone è la seguente: una potenza economica priva di qualunque spessore politico, che possibilità ha di sopravvivere in un mondo multipolare? Non è ridicolo che gli statisti europei si appellino alla sovranità politica degli Stati e all’integrità territoriale delle nazioni, quando nei loro rapporti con gli americani sono proprio questi due valori che vengono meno? Il primo perché a livello geopolitico non abbiamo voce in capitolo; il secondo perché siamo occupati dalle basi americane, che godono della extraterritorialità.

I moralisti del Bene assoluto, figli di un’Europa che ha scatenato due guerre mondiali, sapranno impedire che ne scoppi una terza?

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IL PIANO DI WASHINGTON PER FRANTUMARE LA RUSSIA – Mike Whitney

…La politica estera degli Stati Uniti è ora esclusivamente nelle mani di un piccolo gruppo di estremisti neocon che rifiutano apertamente la diplomazia e che credono sinceramente che gli interessi strategici dell’America possano essere raggiunti solo attraverso un conflitto militare con la Russia. Detto questo, possiamo affermare con un certo grado di certezza che le cose andranno molto peggio prima di migliorare.

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CONFLITTO E GUERRA – Carlo Bellisai

Il conflitto, qualunque conflitto, è sempre un fenomeno sociale. Non si confligge mai da soli. Infatti anche quando ci sentiamo tormentati dentro la nostra sfera interiore, lo siamo in conseguenza alle nostre relazioni.

Da genitori, da insegnanti, educatori, o anche da semplici persone, poniamo attenzione ai conflitti tra i nostri figli, alunni, persone care. Lo facciamo perché si arrivi a un chiarimento, ma anche per evitare che prevalga l’escalation, fino ad arrivare all’aggressione fisica.

Talvolta si rischia di cadere nella trappola: vediamo solo il pugno sferrato e possiamo velocemente affermare che è lui l’aggressore e chi l’ha preso la vittima. E di certo in quel momento son tali. Ma l’esperienza ci insegna che non è così semplice: dietro a ogni gesto violento c’è altra violenza. Per questo ricerchiamo la verità, attraverso le testimonianze dei protagonisti e, spesso, troviamo che chi ha dato il pugno è stato magari irriso o bullizzato, tanto per esemplificare. Il compito degli educatori non potrà essere quello di sanzionare uno, piuttosto che l’altro dei due contendenti, bensì quello di coinvolgerli in un dialogo che porti possibilmente ad una riconciliazione e ad un apprendimento costruttivo. I temi evocati dal conflitto fra i ragazzi possono diventare infatti, grazie all’ascolto non giudicante e alla mediazione dell’adulto, un’occasione preziosa per crescere ed imparare a relazionarsi in modo più soddisfacente e pacifico. Naturalmente non sempre accade così: la scuola può spesso anche contribuire al perpetuarsi di un sistema violento e non sempre tutti i genitori hanno la pazienza e la cultura pedagogica per andare fino in fondo nei conflitti in famiglia. Tuttavia la nostra cultura è ampiamente pervasa dai principi di mediazione, riconciliazione, inclusione, che convivono forzatamente con quelli punitivi ed esclusivi, in un equilibrio dinamico, che pure ci assicura alcune garanzie.

Quel che mi domando e voglio domandare è perché questo approccio “educativo” al conflitto ed alla sua risoluzione, non viene neppure preso in considerazione quando dal livello micro si passa al macro, ovvero dagli individui si passa ai popoli e agli Stati. Restando alla tragica attualità, perché si parla solo dell’aggressore russo e non si cerca, nelle dinamiche preesistenti, una completa chiarificazione del conflitto? Forse chi ha scagliato il pugno potrebbe essere stato colpito o minacciato in precedenza, secondo una logica consequenziale del conflitto: è quello che andremmo ad accertare, come educatori, per ricercare la pacificazione e possibilmente la soluzione del conflitto stesso. Troveremmo allora gli accordi di Minsk, disattesi dalle parti e mai seriamente controllati, l’allargamento della NATO, otto anni di guerra nel Donbass.

Ma così non pare funzionare a livello internazionale. L’Europa sanziona, ubbidendo agli Stati Uniti e alla NATO, nella quale è ingabbiata, sapendo che sanzionare significa punire, quindi imporre un’azione coercitiva e potenzialmente violenta.

Le sanzioni sono la punizione per il ragazzo che ha dato il pugno, senza considerare quello che lo prendeva in giro. Fornire armi all’Ucraina è, più o meno, come pagare la palestra di boxe alla vittima del pugno, perché la prossima volta glielo restituisca. Azione assai impropria per un educatore. Ma evidentemente no per uno statista.

Risulta evidente la discrepanza con la quale vengono affrontate le tensioni nel mondo: nel piccolo si possono fare grandi crescite, ma quando si arriva al livello globale, qualcosa cambia: ci sono i grandi centri di potere, le multinazionali delle armi e dell’energia, quelle quasi invisibili delle comunicazioni, con il cavallo di troia di internet. E poi gli Stati, ciascuno con i propri eserciti, foraggiati dalla tecnologia di sistemi d’arma sempre più sofisticati, crudeli, vigliacchi, come i droni-killer e le armi autonome. Quando un conflitto trascurato degenera in guerra, diventa molto più difficile fermare il meccanismo che è entrato in gioco, che tende di per sé ad autoalimentarsi.

Possiamo chiederci allora dove siano gli educatori internazionali: i diplomatici, i mediatori? Non c’è più spazio per loro?  E quale forma di scissione schizoide pervade le società europee, portatrici di diritti, tutele, attenzioni al proprio interno, ma incapaci di applicare la stessa logica nei rapporti internazionali? Come è possibile ripudiare la guerra e, al contempo, armarla?

Solo l’Europa potrebbe esprimere mediatori all’altezza della situazione, ma non riesce a farlo, in quanto ha già preso parte, in favore dell’Ucraina ed ha perso la sua ipotetica imparzialità. Così, per quanto la società civile eserciti la sua pressione in favore della pace, i governi semplicemente la ignorano. Anzi, sempre più spesso, anche nelle repubbliche democratiche, mostrano fastidio e insofferenza per tutte le forme di dissenso. Mentre le armate si dispiegano sul terreno, ci vengono propinate le informazioni di guerra e, pian piano, viene instillata nella popolazione una cultura di guerra: così non è più solo il governo di Putin ad essere indicato come il nemico, ma tutti i russi come popolo, escludendoli dai contesti internazionali, anche culturali e sportivi.

La guerra, oltre che a morte e distruzione, porta all’assassinio della verità, all’arretramento della cultura, alla lacerazione dei tessuti educativi. La brutalità e il cinismo diventano virtù eroiche. Le perplessità e i ragionamenti vengono trasformati in disfattismo e tradimento.

Ma è proprio qui che l’esercito disarmato e nonviolento della società civile può ancora influire: riaffermare la cultura di pace, disarmare la cultura di guerra. Su questo terreno sarà possibile, in questi tempi difficili, giocare le carte della nonviolenza.

 

È il momento di mobilitarci – Giulio Marcon

Dopo i tre giorni di mobilitazione dal 21 al 23 ottobre in oltre 70 città, l’appuntamento nazionale del 5 novembre a Roma può essere uno snodo essenziale della mobilitazione per la pace nel nostro paese

Sarà una grande manifestazione per la pace, quella di Roma del prossimo 5 novembre. Una grande mobilitazione, lanciata da un appello italiano come Europe for Peace, per chiedere l’immediato cessate il fuoco e l’apertura di un negoziato su basi giuste.

La continuazione della guerra sulla pelle della popolazione ucraina è inaccettabile. È l’ora della tregua e della via diplomatica, della trattativa, cui devono concorrere le Nazioni Unite e altri paesi che possono avere un ruolo di mediazione e di facilitazione del dialogo.

Pensare che si possa “vincere la guerra” è completamente illusorio: senza l’avvio di una soluzione diplomatica, il conflitto armato continuerà tra offensive e contro-offensive, tra avanzate e ritirate, tra vittorie e disfatte delle forze in campo.

A pagarne il prezzo le popolazioni civili in Ucraina, ma anche i pacifisti e gli obiettori di coscienza russi che vengono perseguitati e incarcerati. Con in più il rischio della guerra nucleare sullo sfondo.

Ecco perché, dopo i tre giorni di mobilitazione dal 21 al 23 ottobre (iniziative in oltre 70 città), l’appuntamento del 5 novembre può essere uno snodo decisivo della mobilitazione per la pace nel nostro paese. Un messaggio al governo (che nasce), alle forze politiche, al parlamento per invitarli a prendere un’iniziativa autonoma nella direzione della via diplomatica: l’invio delle armi è una scelta sbagliata che invece di avvicinare la pace, fa incancrenire la guerra, in una prospettiva senza speranza.

Noi ovviamente non siamo neutrali: stiamo con la popolazione ucraina, con gli obiettori di coscienza e i pacifisti russi. Non siamo equidistanti, ma siamo “equivicini” a tutti quelli che soffrono le conseguenze di questa guerra.

Ci siamo e ci saremo. Ecco dunque dove stanno i pacifisti: nelle carovane di aiuti che vanno a Leopoli e a Kiev, nelle manifestazioni, nei presidi, negli incontri per la pace in tutte le città italiane e a Roma il 5 novembre per chiedere che tacciano le armi e che si apra subito il negoziato. Per evitare conseguenze peggiori, l’allargamento della guerra e il rischio nucleare. È il momento di mobilitarci.

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un pazzo di scienza – Enrico Euli

Vi ricordate di quando il vecchio Cossiga iniziò a picconare a destra e a manca ?

Fra mille deliri alzheimeriani, scaturivano però dalle sue parole vari brandelli di verità.

Nascoste, coperte, mistificate, sussurrate da tempo.

Lo stesso sta avvenendo ora con il vecchio Berlu.

I megalomani non accettano di perdere vita e potere e lanciano i loro ultimi ululati.

Soprattutto contro i giovani lupi che, dopo essere stati allattati e coccolati a lungo, ora vogliono prendersi il branco.

Ma -inutile girarci intorno- la ricostruzione che ha dato del perché si è giunti alla guerra in Ucraina è condivisibile e realistica, suffragata dalla successione storica degli eventi.

Nell’ordine:

  • se si fossero davvero implementati gli accordi di Minsk (e i garanti di quell’accordo fossero intervenuti a correggere l’atteggiamento successivo dell’Ucraina), Putin avrebbe proseguito a ritenere più conveniente non avviare l’operazione speciale;
  • se Nato e Usa non avessero già da tempo trasformato l’Ucraina stessa in un loro protettorato economico ed in un loro avamposto militare anti-russo, Putin non avrebbe invaso quel paese;
  • se l’Occidente non avesse creato le condizioni per circondare la Russia, espandendosi non solo nei paesi europei al confine (quelli ex Patto di Varsavia), ma facendo balenare l’inclusione anche dell’Ucraina nella Nato, Putin non sarebbe intervenuto militarmente;
  • se l’Ucraina non fosse armata e foraggiata ampiamente da tutti i paesi occidentali, la guerra si sarebbe conclusa in breve, senza le attuali ricadute economiche sull’Europa e senza lo spargimento di sangue e distruzioni in quel territorio;
  • se oggi non partono una tregua, un cessate il fuoco, una trattativa è perché siamo noi a non volerla e a non cercarla; spettava all’Europa ( e non certo a Biden, Putin o Zelenski) fare da mediatrice, ed abbiamo scelto (dovuto scegliere) l’opposto, contro i nostri stessi interessi;
  • tutto questo, alla fine (ed anche su questo Berlu ha ragione), favorirà soltanto gli USA (a breve) e la Cina (a discapito degli USA e dell’Europa, e della stessa Russia) a medio-lungo termine.

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Disarmare la guerra – Pasquale Pugliese

Tra le tante confusioni lessicali – e di conseguenza concettuali – che hanno una ripercussione fuorviante nella comunicazione e nell’informazione, fino a falsificare la posta in gioco in riferimento alla guerra in Ucraina, continua a essere riproposta l’identificazione strumentale tra richiesta di cessare il fuoco e negoziare subito – che avanzano i movimenti per la pace, il disarmo e la nonviolenza, insieme a papa Francesco – e richiesta, che non fa nessuno, di resa dell’Ucraina. Non è di questa semplificazione che si tratta. Si tratta invece di aiutare le parti coinvolte a trovare una via d’uscita responsabile e sostenibile per entrambe da un avvitamento della guerra che comprende effettivamente – mai come questa volta – il folle rischio di escalation nucleare, che mette in pericolo per primo il popolo ucraino e poi tutti i popoli europei. Se non l’intero pianeta. Chi blatera di “vittoria”, come abbiamo ripetutamente spiegato, sta giocando con le parole a un gioco che non si può giocare. E le parole, in questo caso più che mai, sono pietre.

Oggi, finalmente, questa irresponsabile follia comincia ad essere timidamente stigmatizzata anche da testate giornalistiche che per mesi hanno considerato filo-putiniano chiunque solo osasse dirlo. “Urge affrancarci dalla marcia della follia – scrive, per esempio, da Lucio Caracciolo, direttore di Limes, su La Stampa di sabato 15 ottobre – “Non lo faremo mai finché ci inchioderemo nel presente immediato, matrice del futuro già scritto. Conviene partire dall’avvenire desiderato, implausibile finché rimaniamo prigionieri della cronaca. Primo passo, tregua in Ucraina. Condizione insufficiente e necessaria della pace che molto dopo tempo verrà. Decisori responsabili si esercitano in questa simulazione coraggiosa e salvifica. Sicuramente anche al Cremlino. Ma noi?”. Noi? Noi oltre a recitare il mantra dell’”aggressore” e dell’”aggredito” e alimentare con ulteriori invii di armi una guerra che uccide gli uni e gli altri, nella perversa spirale di violenza e contro-violenza – dentro all’orizzonte nucleare che si staglia sullo sfondo – il nulla. Se non continuare da parte di certi politici e intellettuali a dare addosso a chi propone responsabili passi di pace. Fino a dar loro, per esempio, degli “immorali” (Carlo Calenda, Ansa, 10 ottobre 2022) o sostanzialmente dei vili, accusandoli preventivamente di aver “subito arreso” l’Italia in caso di invasione straniera (Nadia Urbinati, profilo facebook personale, 12 ottobre 2022).

Quel che manca, nel dibattito pubblico, oltre – in molti casi – all’onestà intellettuale ed all’uso della guerra per i “posizionamenti” politici interni, sono i saperi minimi delle pratiche di pacificazione. I saperi di base della nonviolenza. Quelli che conoscono, per esempio, tutti coloro che si occupano di mediazione, i quali sanno che se i conflitti degenerano in violenza e sono lasciati a se stessi (o peggio alimentati da istigatori) ad ogni azione violenta di una parte corrisponde un’azione contraria di livello di violenza superiore dall’altra, in un crescendo fino potenzialmente alla distruzione dell’altro. O di entrambi. Se non intervengono soggetti terzi a mediare tra le parti, anziché ad alimentare il conflitto. Si chiama dinamica dell’escalation, quella che Mohandas K. Gandhi spiegava dicendo che “occhio per occhio, il mondo diventa cieco”. È invece ci sono ancora voci insane di mente che – pur scandalizzandosi ogni volta di più per una nuova tappa di violenza e contro-violenza – continuano a ribadire che il conflitto tra Russia ed Ucraina, che vede già il coinvolgimento sul campo di due potenze nucleari, possa e debba risolversi sul piano militare. Sul terreno della guerra, anche nucleare. E continua ad inviare strumenti funzionali a questo scopo.

E poi nella vulgata binaria – resistenza o resa – che costruisce fin dagli inizi di questa guerra la narrazione tossica anti-pacifista, mancano i saperi di oltre un secolo di lotte nonviolente e resistenze disarmate. Saperi che non mancavano, per esempio ad Hannah Arendt, che proprio ne La banalità del male, faceva un appello inascoltato per lo studio della resistenza danese all’occupazione nazista in tutte le facoltà di scienze politiche

“per dare un’idea della potenza enorme della nonviolenza, anche se l’avversario è violento e dispone di mezzi infinitamente superiori”.

Saperi che non mancano, per esempio, in Italia alla campagna Un’altra difesa è possibile che già per due legislature consecutive ha presentato in parlamento la proposta di legge organica per la creazione in Italia di una vera difesa civile, non armata e nonviolenta, appunto per preparare, organizzare e finanziare le alternative possibili al monopolio militare della difesa, secondo gli articoli 11 e 52 della Costituzione. Ossia tutt’altro che la resa. Proposta sostanzialmente ignorata dai due parlamenti precedenti, che dovrà essere rilanciata nella nuova legislatura.

Se il circo mediatico, dunque, anziché rincorrere (salvo rare eccezioni) il circo politico nei posizionamenti – reali o strumentali – sulla “pace” raccontasse approfonditamente le proposte, le campagne, le riflessioni e le iniziative che le organizzazioni impegnate per la pace, il disarmo e la nonviolenza svolgono quotidianamente e ne valorizzasse i saperi, questo potrebbe essere un paese informato sui fatti e capace di fare proposte per disarmare la guerra, anziché l’intelligenza. Perché, come spiegava ancora una volta Hannah Arendt – di cui il 14 ottobre è stato l’anniversario della nascita – questa volta nel saggio Sulla violenza,

“Il pericolo della violenza, anche se essa si pone consapevolmente in un quadro non estremistico di obiettivi a breve termine, sarà sempre quello che i mezzi sopraffacciano il fine (…). La pratica della violenza, come ogni azione, cambia il mondo, ma il cambiamento più probabile è verso un mondo più violento”.

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Mattei disobbedì agli Usa per darci gas e petrolioAlberto Negri

Nel sessantesimo della sua morte “misteriosa”, oggi da Mattarella ad altri ricordano Enrico Mattei, comandante partigiano che nel 1945 viene nominato commissario straordinario dell’Agip con il mandato voluto dagli Usa di smantellarla. Mattei scopre che in Val Padana c’è un consistente giacimento di gas e ritiene una follia lasciare l’Italia della ricostruzione senza una grande impresa nazionale dell’energia. Disobbedisce al mandato ricevuto e mette a punto un’idea ardita: portare energia a basso costo agli italiani. Lo strumento per riuscirvi è l’Eni che poi competerà con le major del petrolio monopoliste del mercato mondiale. Fu l’atto fondante per far uscire il Paese dalla sconfitta. L’attacco alla Libia di Gheddafi nel 2011 è stata invece la maggiore sconfitta subita dall’Italia dalla seconda guerra mondiale. Ma di questo ora non si parla.

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Donbass, missile esploso vicino alla pizzeria “Celentano” di Donetsk, vittime tra i civili – Vittorio Rangeloni

Oggi sono stati colpiti diversi distretti della città, facendo registrare nuove vittime tra la popolazione civile (almeno un morto e nove feriti). Pochi minuti fa ho raggiunto la pizzeria “Celentano” di via Panfilova, dove un uomo ha perso la vita e diverse persone sono rimaste ferite.

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Appello per partecipare alla manifestazione di sabato 5 novembre.

Tutti parlano e straparlano di Pace, tutti vogliono la Pace. La questione cruciale è in cosa consista la pace. Quando una dittatura imperialista invade con il suo esercito una democrazia, e i cittadini di quest’ultima resistono eroicamente malgrado la schiacciante inferiorità bellica, la risposta, per ogni democratico, è adamantina: pace vuol dire il ritiro dell’aggressore entro i suoi confini, ogni altra soluzione sarebbe un premio a chi la pace l’ha violata, sterminando civili, violentando donne, massacrando e torturando.
Col Memorandum di Budapest del 1994, l’Ucraina generosamente consegnava le proprie 1800 ogive nucleari alla Russia, in cambio della solenne garanzia di Russia, Usa e Inghilterra dell’intangibilità dei confini di quel momento.
Raramente una situazione è stata più cristallina. C’è un’aggressione e c’è una resistenza che cresce. Ci sarà pace solo quando l’aggressore porrà fine all’aggressione. Altrimenti avverrebbe che “hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato pace”.

FIRMATARI DELL’APPELLO:
Simona Argentieri, Eva Cantarella, Maurizio De Giovanni, Erri De Luca, Paolo Flores d’Arcais, Daniela Ghergo, Gad Lerner, Dacia Maraini, Pancho Pardi, Cinzia Sciuto, Corrado Stajano

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scrive Francesco Sylos Labini:

Man mano che la guerra va avanti leggo cose che non avrei voluto leggere. Qualche mese fa Furio Colombo si è dimesso dal Fatto Quotidiano per protesta nei confronti Orisini ed allo spazio a lui conceso. Tutte le posizioni sono possibili ma vanno argomentate quando uno svolge un ruolo di orientamento della opinione pubblica. A me non sembra che Colombo abbia argomentato alcunché. Anche Flores D’Arcais aveva una posizione a mio giudizio sbagliata e poco argomentata. Ora leggo questo appello che ha firmato insieme ad altri noti commentatori. A mio parere è completamente sbagliato perché non è un presupposto realistico il ritiro dell’aggressore a questo punto. Ma la cosa che più mi lascia perplesso sono le motivazioni: mi sembra che qui neppure le basi ci sono. Il memorandum di Budapest, la democrazia e la libertà: quante sciocchezze.

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In piazza contro la guerra, ma con quale piattaforma? – Cinzia Sciuto

Nelle ultime settimane si stanno moltiplicando le iniziative contro la guerra in Ucraina, e questo è un ottimo segnale. Le piattaforme delle diverse iniziative sono però diverse, talvolta molto diverse. La scorso 7 novembre la rete Stop guerra in Ucraina ha manifestato davanti all’ambasciata russa chiedendo l’immediato cessate il fuoco da parte delle truppe di Putin, il loro ritiro dal territorio ucraino e l’inizio di un percorso di negoziato. Una piattaforma non molto diversa da quella di  “Non c’è vera pace senza verità. Non c’è verità senza libertà” promossa tra gli altri da Sandro Veronesi e Luigi Manconi, a cui ha aderito anche Letta (non è chiaro in verità se a titolo personale o dell’intero Pd), se non fosse per un piccolo ma importante particolare: la rete Stop guerra in Ucraina nella sua piattaforma si opponeva anche “con vigore alle dinamiche militariste che la Nato e i governi europei stanno imponendo“ e si diceva “assolutamente contraria all’aumento della spesa militare con il pretesto della guerra in corso”, una precisazione significativamente assente nell’appello di Veronesi e Manconi.

La manifestazione più attesa e verosimilmente più grande sarà quella annunciata da diverse realtà che convergono nella Rete italiana pace e disarmo e che dovrebbe tenersi a novembre. La speranza è che quella piazza sia capace di accogliere tutte le diverse istanze che animano coloro che, da sinistra, guardano con preoccupazione alla guerra in Ucraina. Le dichiarazioni di Conte che vorrebbe una piazza senza bandiere e aperta anche alla destra sono però preoccupanti: al di là infatti delle dichiarazioni di rito di Meloni che si prepara a governare e non può certo permettersi di rompere il fronte occidentale, nessuno può seriamente pensare che le ragioni della pace di Meloni o Salvini possano sovrapporsi a quelle della piazza di novembre.

Il nostro auspicio è invece che in quella piazza ci siano tante bandiere: di partiti, associazioni, movimenti, sindacati, ciascuno con la propria specificità. E anche tante bandiere ucraine: non c’è dubbio infatti che questi mesi di guerra abbiano rafforzato anche le correnti più nazionaliste e scioviniste all’interno di quel Paese, ma non c’è dubbio neanche sul fatto che quella bandiera è oggi la bandiera di chi combatte per la propria indipendenza e libertà. E più il mondo della sinistra negli altri Paesi sarà capace di sostenere le forze democratiche e progressiste in Ucraina, più difficile sarà per le forze scioviniste prendere il controllo dell’Ucraina nel post-guerra.

Certo un qualche terreno comune bisognerà pur trovarlo, e non sarà facile.

Il campo largo del pacifismo infatti si distingue per posizioni diverse su due questioni principali: da un lato, l’analisi su responsabilità e cause della guerra e, dall’altro, le strategie e prospettive per uscirne. Le possibili combinazioni di posizioni su queste due questioni sono, semplificando, le seguenti:

  1. A) le responsabilità sono tutte di Putin e qualunque processo di pace non può che partire dal ritiro delle truppe di Putin almeno ai confini pre 24 febbraio 2022 (c’è chi si spinge a dire che deve ritirarsi anche dalla Crimea, annessa nel 2014 senza che la comunità internazionale abbia mai riconosciuto questa annessione);
  2. B) le responsabilità sono tutte di Putin mapensare che Putin si ritiri buono buono ai confini pre 24 febbraio è semplicemente illusorio per cui se si vuole che la guerra finisca bisogna concedergli qualcosa (leggi: il Donbass e le regioni “annesse” recentemente con i referendum farsa);
  3. C) la guerra non è iniziata il 24 febbraio 2022 ma nel 2014 e le responsabilità sono equamente divise fra russi e ucraini (anzi, forse un po’ più degli ucraini che non hanno applicato gli accordi di Minsk). Per uscirne dunque bisogna che l’Ucraina riconosca gli errori commessi, ceda i territori del Donbass e rinunci definitivamente alla Crimea;
  4. D) questa non è una guerra fra la Russia e l’Ucraina ma una guerra per procura fra Russia e Usa e la responsabilità è innanzitutto della Nato che non ha rispettato la promessa di non allargarsi a Est. Per uscirne, dunque, oltre che cedere alcuni territori ucraini alla Russia, bisogna che la Nato faccia diversi passi indietro dal suo fianco orientale.

Come si vede, le combinazioni B e C, pur non condividendo l’analisi sulle responsabilità, convergono sulla strategia di uscita, su cui parzialmente si ritrova anche la combinazione D, mentre le combinazioni A e B fanno la medesima analisi ma si dividono sulla strategia. Come si possano tenere insieme tutte queste posizioni è difficile da dirsi, eppure è indispensabile provarci senza però nasconderle sotto il tappeto ma anzi esplicitandole e discutendole senza anatemi reciproci. Le posizioni qui delineate sono infatti ovviamente semplificate e schematizzate. Nella realtà le diverse voci sono sempre più sfumate e le combinazioni possibili sono praticamente infinite. In particolare chi si riconosce nelle prime due combinazioni è molto più vicino di quanto forse non pensi: la questione di quale sia la strategia migliore per uscire da questa situazione è infatti mobile, cambia a seconda degli eventi sul campo, quello che poteva essere valido tre mesi fa può non esserlo più oggi e viceversa.

Inoltre, diciamocelo francamente: nessuno di noi dispone delle informazioni e dei dettagli necessari per poter con cognizione di causa stabilire quale sia la decisione migliore da prendere oggi o domani in merito a questa o quella specifica questione. Mentre condividere l’analisi di fondo sulle responsabilità di questa quasi-terza guerra mondiale è centrale non solo per lavorare insieme alla migliore strategia per uscire da questa guerra, ma anche per costruire un orizzonte di lotte che vada oltre.

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5 novembre. Una piazza partigiana – Gianfranco Pagliarulo

…da quel maledetto 24 febbraio 2022, quando i tank russi hanno superato i confini dell’Ucraina, non è sostanzialmente avvenuto nulla che potesse condurre alla fine del conflitto.

Si è così imposta col sangue e con le bombe una nuova, disperata normalità, pagata finora con la infinita tragedia del popolo ucraino e col declino economico e sociale dell’intera Europa, dalla Russia ai popoli dell’Unione Europea. Non solo: qualsiasi tentativo di “ripudiare la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” (art. 11 della Costituzione) è stato demonizzato, criminalizzando chiunque si fosse permesso di esprimere un giudizio sulla drammatica vicenda in corso che non fosse perfettamente coincidente con le scelte del governo italiano e dell’insieme dell’Unione Europea.

Per questo qui ed ora la normalità è la guerra scatenata da Putin. Una guerra a cui l’Occidente ha risposto con una serie di scelte condivisibili o meno (spedizione di aiuti umanitari, invio di armamenti all’Ucraina, sanzioni progressivamente più dure, comportamenti e dichiarazioni). Ciò che è sempre mancato da parte dell’UE (ma anche delle Nazioni Unite) è un sia pur timido tentativo di proporre una via d’uscita alla tragedia in corso attraverso lo strumento della diplomazia.

In questo scenario né in Russia né nei Paesi UE è cresciuto un vero e potente movimento per la pace. Certo, nel nostro Paese si sono svolte centinaia di iniziative locali o trasversali di evocazione della fine del conflitto. Penso, fra le tante, alla Perugia-Assisi, oppure alle decine di manifestazioni cittadine nella seconda metà di ottobre. Ma è mancato fino ad oggi un grande movimento di massa, un vasto movimento di opinione, una spinta popolare chiara e distinta…

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Ambiente e lavoro, il 5 novembre manifestazione congiunta di Fridays for future e Movimento disoccupati

In una dichiarazione congiunta, Movimento Disoccupati 7 novembre e Fridays For Future Napoli fanno sapere che il 5 novembre saranno insieme in piazza, per “convergere e insorgere insieme”.

“Il 5 novembre di quest’anno – è il comunicato congiunto – a Napoli tantissime anime di lotte diverse ma tutte legate tra loro si incontreranno per convergere ed insorgere insieme. Convergere infatti significa non unire le lotte forzatamente – “a freddo” – bensì provare a fare emergere che le lotte sono endemicamente collegate e viaggiano verso una radicale trasformazione dell’esistente. La lotta per il lavoro, per un salario, per una vita dignitosa è esattamente la lotta contro i cambiamenti climatici, per la messa in sicurezza dei nostri territori, contro roghi, sversamenti illeciti, mancate bonifiche delle nostre terre”.

“Chi distrugge le nostre terre, chi inquina il nostro ambiente, chi ci sfrutta ed opprime, chi conduce guerre per il profitto: è il capitalismo. Ancora chi ci espropria dalla natura, dal prodotto del lavoro, dai rapporti sociali, da noi stessi: è il capitalismo – prosegue il comunicato – Siamo convint* che sia fondamentale attraversare la piazza del 5 novembre a Napoli con tutte le forze che, specie nel complicatissimo scenario attuale, si interrogano su alternative politiche differenti rispetto alle ‘risoluzioni’ di governo. Noi arriviamo da Napoli, una città che in termini di costi sociali e di costi ambientali ha pagato tantissimo”.

“Una crisi dunque di classe e oggi forme di transizione che pesano e gravano sulle spalle di lavoratori, sfruttati, disoccupati in quanto contribuenti. Non a caso anche la stessa Garda della transazione ecologica promossa a livello italiano sarebbe stata portata avanti attraverso forme di finanziamento erogate in debito. Debito di stato che diventa debito pagato da noi”.

“Napoli è, secondo i dati più recenti, la città più povera d’Italia – proseguono ancora – Napoli è, insieme ad altri comuni della Campania, una delle città più inquinate d’Italia. Perché diciamo questo? Perché siamo convint* che mai come in questo momento sia necessario fare emergere come crisi sociale e crisi climatica siano collegate, specie in questo paese. Un paese dove quelle poche misure e residui di welfare sono state completamente cancellate – o peggio ancora osteggiate dopo essere state attuate, come sta a dimostrare l’attacco al reddito di cittadinanza – e dove nulle o esclusivamente di facciata sono le azioni messe in campo dai governi per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici”.

“La Campania è la Regione della Terra dei Fuochi. Da anni gli attivisti e le attiviste dei comitati ambientali locali, che dal nostro punto di vista hanno prodotto un bagaglio di saperi straordinario grazie ai quali abbiamo potuto rispondere sempre colpo su colpo alla controparte, vengono tacciati di essere allarmisti e di denunciare questioni ormai risolte. È semplicemente falso, la Terra dei fuochi brucia ancora ogni giorno. Alla fine dell’estate appena trascorsa abbiamo addirittura dovuto sentir parlare della costruzione di una quarta linea per l’inceneritore di Acerra, un’idea semplicemente fuori dalla realtà e dalla storia che si è subito scontrata con le centinaia di persone che ad Acerra hanno lottato e lottano contro quell’ecomostro facendo scuola su come dovrebbe realmente essere gestito il ciclo dei rifiuti”.

“Napoli da sola ha un numero di percettori di reddito di cittadinanza quasi pari a quello dell’intera Lombardia. I dibattiti che si consumano in seno alle grande formazioni politiche e sui grandi giornali vorrebbero vederci parlare dei “furbetti”, di quelli che lavorano in nero e contemporaneamente percepisce il RdC – come se il problema del lavoro nero fosse chi è sfruttato e non invece chi sfrutta – ma è una trappola nella quale non abbiamo intenzione di cadere. Sappiamo troppo bene che lavoro dignitoso, welfare, possibilità di costruire un futuro di emancipazione per se stess* e per le persone che ci sono care in questa regione è un impresa impossibile”.

“Questo accade perché non si è voluto vedere in questi anni – e anzi, lo si è avvallato – lo scempio che si è dato appunto in termini sociali ed ambientali. Se mancano i lavoratori in parecchi settori è perché la pandemia ha acceso un riflettore enorme su ciò che è prioritario nella vita e cioè ad esempio, sicuramente, non sgobbare per sopravvivere a stento. Non che prima non fosse evidente ovviamente, semplicemente si dava per acquisito che facendo gavetta, facendosi un mazzo così, un giorno saremmo diventati tutti milionari. Se giustizia climatica vuol dire giustizia sociale è perché noi lottiamo per misure di sostegno e protezione della natura, così per un lavoro stabile e sicuro che sia di pubblica utilità: per forme occupazionali che vadano a coprire quelle operazioni ambientali e sociali totalmente assenti all’interno dei nostri territori e quanto mai necessarie! Non vogliamo dover ancora una volta scegliere se morire di fame o di inquinamento, senza lavoro o per pandemie, vogliamo decidere che tipo di lavoro, che tipo di retribuzione e che tipo di effetti esso produca su noi stessi e la natura! La retorica che ha sempre aiutato l’imprenditore e mai il lavoratore, tranne quelle rarissime eccezioni che diventano poi paradigma, lacrime strappastorie di chi ce l’ha fatta, la pacca sulla spalla del capitalismo”.

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L’industria europea nelle mani di Biden: così il potere si sposta verso l’America – Federico Fubini

Non mi ero reso conto fino in fondo di cosa stesse accadendo con il progredire dei mesi di questa terribile guerra in Ucraina. Razionalmente lo sapevo, ma non avevo tirato tutte le somme. Forse non sono stato il solo, in Italia e in Europa. Ma ora i fatti sono lì, davanti a noi: erano decenni che noi europei siamo più stati tanto nelle mani degli Stati Uniti sul piano militare, industriale, strategico. E questa debolezza europea – se si protrae – è in grado di ribaltare le narrazioni degli ultimi vent’anni. Potrebbe non essere più l’Estremo Oriente a erodere la base industriale dell’Italia e dell’Europa. Quel ruolo potrebbe passare all’Estremo Occidente: l’America…

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LA POLVERIERA IN SERBIA STA PER (RI)ESPLODERE – Massimo Fini

…Quell’aggressione alla Serbia, come abbiamo detto, era illegale e illegittima (come illegale e illegittima è l’aggressione della Russia di Putin all’Ucraina), ma fu sostenuta da molti intellettuali occidentali e anche italiani per cui ora viene difficile condannare Putin per l’aggressione all’Ucraina dopo aver plaudito l’aggressione americana alla Serbia (6.500 morti in meno di tre settimane).

IN KOSOVO I SERBI erano 360 mila, oggi ne sono rimasti circa 60 mila, la più grande pulizia etnica dei Balcani sotto l’egida della Nato dopo quella del presidente croato Tudjman che cacciò in un sol giorno 800 mila serbi dalle krajne. Ma davanti al Tribunale internazionale dell’Aja per crimini di guerra c’è finito Slobodan Miloševic, poi morto per un infarto assai sospetto (aveva le carte per difendersi) e non Tudjman che è morto tranquillamente nel suo letto.

Dubito molto che la Serbia non sia presa dalla tentazione di riprendersi il Kosovo ora che in campo è rientrata la Russia sua storica alleata (sono entrambi popoli slavi, Jugoslavia vuol dire “slavi del sud”). Nel 1999 la Russia era troppo debole per opporsi agli Stati Uniti, ora l’alleanza fra Serbia e Russia potrebbe venir utile all’una e all’altra.

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