La Nato e Zelensky stanno riuscendo a finire gli ucraini, e poi?

articoli e video di Steve Cutts, bortocal, Raniero La Valle, Domenico Gallo, Mario Agostinelli, Pasquale Pugliese, Carlo Rovelli, Albert Einstein, Lorenzo Ramírez, Thierry Meyssan, Rossella Fidanza, Rete Italiana Pace e Disarmo, Giuseppe Germinario, Max Bonelli, Stefano Orsi, Fulvio Scaglione, Marco Travaglio, Giuliano Marrucci, Francesco Masala, Nicolai Lilin, Chris Hedges, Pepe Escobar, Michele Santoro, Mao Valpiana, Weapon Watch, Davide Malacaria, Demostenes Floros, Aurelien, Michelangelo Cocco, Giuseppe Masala

Follia è fare sempre la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi – Albert Einstein

 

 

sono i russi i nuovi ebrei, per gli ucraini e per noi? – bortocal

Non continuate a parlare di questo argomento [il coinvolgimento dei servizi speciali ucraini nella morte di alcuni intellettuali russi]. Tutto ciò che dirò è che abbiamo ucciso i russi e che uccideremo i russi ovunque nel mondo fino alla completa vittoria dell’Ucraina». Kyrylo Budanov, capo dell’intelligence militare ucraina

faccio fatica a credere che queste parole siano vere, ma questa non è una invenzione russa, perché trovo le parole virgolettate sulla Stampa, giornale coerentemente filo-ucraino.

sono parole gravissime, che i media riportano senza un sussulto; il sussulto mi auguro di provocarlo io ai miei venti lettori abituali, più o meno.

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già è grave che nella guerra si uccidano civili russi, con azioni terroristiche mirate.

quando era accusato di farlo Putin contro i suoi oppositori, la stampa insorgeva denunciando la barbarie, anche se almeno veniva smentita da lui (poi non sappiamo se la smentita corrispondeva ai fatti).

ora non solo l’azione, ma perfino la pubblica rivendicazione, che è perfino più grave, sono giustificate dal fatto che noi italiani siamo entrati di fatto in guerra contro la Russia?

come tutta l’Unione Europea, del resto, invece di farsi protagonista di azioni decise per una soluzione diplomatica, anche se per somma ipocrisia lasciamo che a morire sia la carne da cannone giovane di ucraini e russi, che muoiono per un’insensata prova di forza.

la nostra stampa e il nostro governo, quindi, si associano silenziosamente, e senza protestare, alla promessa dei servizi segreti ucraini di uccidere russi ovunque nel mondo?

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ma proclamare l’intenzione di uccidere i russi dovunque si trovano, i russi in quanto russi, è qualcosa di diverso dall’odio scatenato da Hitler contro gli ebrei?

eppure perfino Hitler tenne nascosta fin che poté la sua soluzione finale del problema ebraico.

qui abbiamo trasformato in un eroe osannato il capo di un regime, quello ucraino, che ha tradito il suo popolo con la falsa promessa elettorale del 2019 di una pace con la Russia, e che promette lo sterminio di civili innocenti.

e l’attacco degli ultimi mesi alla grande cultura russa, che abbiamo visto svilupparsi anche da noi, come se scrittori ed altri artisti del passato fossero responsabili dei delitti di Putin, fa parte di questo nuovo clima orrendo e malsano.

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e adesso qualcuno dica pure che sono filo-russo, semplicemente perché do voce di protesta della più elementare umanità: a questo siamo ridotti.

non saranno i campi di battaglia del Donbass o il terrorismo promesso dagli ucraini a decidere chi comanderà il declino della civiltà umana nella catastrofe climatica in corso, per quel tanto che si dovrà combattere contro la fame e la povertà.

chi vede soltanto i rapporti di potere in questa situazione tragica e gestisce i problemi con la forza, è già condannato dalla storia, e queste azioni sembrano piuttosto un suicidio annunciato o una manovra di distrazione di massa.

da qui

 

 

PER UN’ALTERNATIVA ALL’IMPERO – Raniero La Valle, Domenico Gallo, Mario Agostinelli

Gli ultimi avvenimenti hanno aperto due visioni del mondo: un dominio universale o una pace nelle differenze. Un appello

La guerra in Ucraina è giunta ormai ad essere una guerra suicida: il Regno Unito combatte contro se stesso e la propria stessa immagine annunciando apertamente l’invio di proiettili anticarro ad uranio impoverito,  l’Ucraina vuole riconquistare il Donbass grazie a queste armi con componenti nucleari capaci di contaminare l’ambiente per migliaia di anni e  di intossicare chi lo inala o chi lo ingerisce: “si sospetta  – spiega il pur simpatizzante Corriere della Sera – che arrivi a modificare il DNA, causando linfomi, leucemie e malformazioni dei feti”, tutto ciò a danno delle stesse popolazioni di cui si rivendica l’appartenenza all’Ucraina; la Russia sfida l’esecrazione universale minacciando per tutta risposta di schierare atomiche tattiche in Bielorussia.

A sua volta, dopo una debole tergiversazione, e con la spinta determinante del presidente Biden, il cancelliere tedesco Sholz ha dato il via libera alla distribuzione di carri armati tedeschi a tutti i fornitori di armamenti a Zelenski che insistentemente li chiede.  In tal modo settant’anni dopo l’”Operazione Barbarossa” vediamo di nuovo i Panzer tedeschi avanzare nella pianura d’Ucraina per sconfiggere la Russia non più sovietica.

Questa  volta però la regia è americana, gli attori ucraini, mentre ogni negoziato è escluso per legge dallo stesso Zelensky.

È difficile ignorare l’impatto emotivo di questa svolta. Si può avere la memoria corta e il cuore indurito, ma nelle viscere della terra corre un sussulto dinanzi al ritorno dei carri tedeschi proiettati a combattere contro i russi nel cuore dell’Europa, quando quell’evento fu al centro della seconda guerra mondiale e ne precedette di poco l’esito con la tragedia della bomba atomica, l’ingresso dell’umanità tutta nell’età del nucleare genocida, l’adozione di un rapporto internazionale postbellico temerariamente fondato sulla “reciproca distruzione assicurata”, fino alle attuali strategie di guerre preventive e di minacciato ricorso all’arma assoluta.

In tal modo va in scena il sempre esorcizzato e incombente conflitto tra la NATO e la Russia in Europa. E dopo? Potrà ancora sussistere l’ONU, quando gli alleati di ieri, diventati i nemici di oggi, dovrebbero stare insieme come Membri Permanenti del Consiglio di Sicurezza per salvaguardare la pace e la sicurezza del mondo, e invece  sono intenti a distruggerle? Non a caso l’Ucraina contesta già oggi la presidenza russa pro-tempore del Consiglio di Sicurezza. E siamo sicuri che questa volta, per non scomparire, la Russia invece di versare nell’olocausto 26 milioni e 600.000 morti, non sarà indotta alla scelta disperata di  difendersi col “primo uso” dell’arma nucleare?

E tutto ciò accade quando il mondo ha distolto lo sguardo dalla vera priorità, che è salvare la Terra dal disastro ecologico, e anzi va allo scontro proprio sul gas, l’energia. I beni vitali e la reciproca deterrenza nucleare.

È chiaro che la priorità è cercare le vie d’uscita dalla crisi in Ucraina. Se ne sarebbe potuto trovare la soluzione, se non fosse stata sacrificata a interessi estranei all’Europa, fino al 24 febbraio 2022, quando l’assalto militare russo ha gettato tutto nella fornace dello scontro armato; e forse all’inizio un negoziato sarebbe stato risolutivo.  E ora ci sono di mezzo centinaia di migliaia di caduti, orfani, vedove, città distrutte, odi implacabili e l’accecamento, nella perdita di ogni verità, della maggior parte dei protagonisti, degli ispiratori, osservatori e narratori del conflitto. Però  non possiamo non dire che giunti a questo livello di rischio, i protagonisti palesi od occulti della guerra la devono immediatamente fermare, anche contro ogni irredentismo territoriale: il negoziato è necessario e possibile, la ragione e il cuore hanno sempre la possibilità di risorgere.

Quale visione del mondo?

Qui però vogliamo interrogarci soprattutto sulle due visioni del  mondo che gli ultimi avvenimenti hanno aperto davanti a noi, e che ci pongono davanti a scelte da cui dipende un lungo futuro, e forse la possibilità stessa di un futuro. Non si tratta infatti di dettagli, ma di un crinale a cui siamo giunti, da cui si potrebbe cadere in un precipizio senza rimedio, quel crinale che il vecchio La Pira, negli anni più paurosi della guerra fredda, chiamava il “crinale apocalittico della storia”, intendendo col termine “apocalittico” non la fine stessa della storia, ma lo svelamento dell’alternativa radicale cui essa era pervenuta mettendo la guerra  come principio e signore di tutte le cose, e nello stesso tempo invitava i sindaci delle città opposte a Firenze.

Qual è la nostra visione del mondo, stando noi su questo crinale?

La  visione del mondo che ci viene proposta con grande insistenza, e che ci viene attribuita come connaturale alla nostra civiltà e alla nostra storia, è la visione del mondo propria dell’Occidente, anzi dell’“Occidente allargato”, che ha oggi il suo centro in America, la sua potenza militare negli Stati Uniti e nella Nato, la vocazione a estendersi fino agli estremi confini della terra.

È in nome dei suoi valori che siamo chiamati alle armi, per “mettere il nostro mondo saldamente sulla strada di un domani  più luminoso e pieno di speranza”, come promette oggi il presidente Biden nell’illustrare la “Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti”.

Di fronte a noi abbiamo però, gravemente inquietanti, due documenti fondativi che propugnano e illustrano questa visione del mondo e la assumono come normativa. Si tratta dei due documenti programmatici in cui, in piena guerra d’Ucraina, il 12 e 27 ottobre 2022, la leadership americana ha enunciato le due strategie fondamentali degli Stati Uniti: il primo è per l’appunto la “National Security Strategy” (october 2022 – The White House Washington) del Presidente Biden (in sigla NSS), il secondo ne è la pianificazione operativa sul piano militare, ed è la “National Defense Strategy of The United States of America 2022” (in sigla NDS) del capo del Pentagono Lloyd Austin, corredata da un dettagliato aggiornamento della “postura” o visione nucleare americana. Questa visione o “postura” ribadisce la decisione di non adottare la politica del “Non Primo Uso” dell’arma nucleare perché essa “comporterebbe un livello di rischio inaccettabile alla luce della gamma di capacità anche non-nucleari degli avversari  che potrebbero infliggere danni di natura strategica agli Stati Uniti e ai loro alleati e partners”. È la conferma di quanto era già stato deciso dopo l’attacco alle Torri gemelle: la vecchia concezione basata sulla deterrenza e sulla risposta a un eventuale attacco altrui, non funziona più. Questa opzione non si può più fare perché non si può lasciare che i nemici colpiscano per primi. La miglior difesa è l’offesa. Quindi è prevista, di fronte a una minaccia, l’azione preventiva; la nuova strategia è di ricorrere se necessario per primi all’arma nucleare. scudo al cui riparo si possono condurre senza rischi per gli Stati Uniti  le guerre convenzionali necessarie. E questa nuova dottrina, adottata ormai anche dalla Russia, fa sì che dietro questo scudo si pensa che si possnoa  combattere tutte le guerre convenzionali,  come si è sempre fatto in tutto il corso della storia.

Due documenti programmatici

Per quanto strettamente americani, questi due documenti, di fatto ignorati in Occidente, riguardano tutti, perchè investono non solo l’una o l’altra regione del globo, ma il destino del mondo come tale. E ciò è dimostrato dal fatto che di questo mondo gli Stati Uniti rivendicano globalmente la leadership, che vi installano le loro basi militari da per tutto, e che intendono disporne  con l’affermazione che “non c’è nulla che vada oltre le nostre capacità: possiamo farcela, per il nostro futuro e per il mondo”; la posta in gioco  sarebbe “di rispondere alle sfide comuni e affrontare le questioni che hanno un impatto diretto sulla vita di miliardi di persone. Se i genitori non possono nutrire i propri figli – specifica Biden –  nient’altro conta. Quando i Paesi sono ripetutamente devastati da disastri climatici, interi futuri vengono spazzati via. E come tutti abbiamo sperimentato, quando le malattie pandemiche proliferano e si diffondono, possono aggravare le disuguaglianze e portare il mondo intero al collasso”. Sarebbe questa la preoccupazione degli Stati Uniti, la  giusta ragione del loro intervento  ma anche il motivo per cui il raggio d’azione entro cui la loro impresa, politica e militare,  si deve esercitare è senza limiti territoriali: “Abbiamo approfondito le nostre alleanze principali in Europa e nell’Indo-Pacifico. La NATO è più forte e unita che mai, stiamo facendo di più per collegare i nostri partner e le nostre strategie nelle varie regioni attraverso iniziative come il nostro partenariato di sicurezza con l’Australia e il Regno Unito (AUKUS). E stiamo forgiando nuovi modi creativi per lavorare in comune con i partner su questioni di interesse condiviso, come con l’Unione Europea, il Quadrilatero Indo-Pacifico, il Quadro economico Indo-Pacifico e il Partenariato per la prosperità economica delle Americhe”; e da lì lo sguardo si spinge fino all’Artico.

Si postula dunque un unico potere che si protende alla totalità del mondo, nella presunzione che questo debba avere un unico ordinamento politico, economico e sociale, corrispondere a un unico modello di convivenza umana; e questo è un presupposto che da tempo gli Stati Uniti avevano posto a base della loro relazione col mondo, da quando, dopo l’11 settembre 2001 e lo shock dell’attacco alle Due Torri, avevano enunciato l’ideologia a cui doveva essere conformato l’assetto del mondo, perché questo corrispondesse agli interessi e alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America. Secondo quella ideologia  il solo  modello valido per ogni nazione sarebbe riassumibile in tre termini: Libertà, Democrazia e Libera Impresa; dunque un modello che mette insieme una definizione antropologica, una indicazione di regime politico ed una forma obbligatoria di organizzazione economico-sociale, e questo composto era dichiarato come normativo per tutti, sulla scia del “progetto”, pubblicato nell’ottobre del 2000,  del “nuovo secolo americano”. Dunque non venivano contemplati tanti possibili regimi politici, economici e sociali, corrispondenti eventualmente a diverse teorie. Ce ne sarebbe uno solo che comporta un modello umano, quello dell’individualismo liberale, un modello politico, quello della democrazia occidentale, ed un modello economico, quello del capitalismo d’impresa.  Altri modelli non sono ammessi e compito degli Stati Uniti sarebbe di diffondere questo modello in tutto il mondo.

Si potrebbe dire, fin qui, che non possiamo fare obiezioni: ognuno può avere la propria visione del mondo e auspicare e operare perché si realizzi.

 

Una chiamata alle armi anche per noi

Il problema è però che gli Stati Uniti vogliono fare tutto questo non per conto loro, ma coinvolgendo “l’impareggiabile rete di alleanze e partnership dell’America”. Questi  partners nello stabilire l’ordine del mondo  sono chiamati in causa 167 volte nei due documenti del presidente Biden e del Pentagono e  attraverso la NATO in questa chiamata alle armi  siamo coinvolti anche noi.

Dunque la cosa ci riguarda; e da partners e alleati, e non da sudditi o “vassalli”, come ha detto Macron, dobbiamo decidere se questa è la visione del mondo che abbiamo anche noi, se questo è il mondo che vogliamo costruire e qual è la nostra idea dello “stato del mondo” in cui ci troviamo ad operare…

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Da Albert Einstein a Carlo Rovelli: la razionalità dei mezzi di pace contro l’irrazionalità degli strumenti di guerra – Pasquale Pugliese

Il fuoco di fila mediatico partito quasi all’unisono, non contro il bellicismo del governo e del suo ministro della “difesa”, ma contro il fisico Carlo Rovelli che lo ha disvelato dal palco romano del Primo Maggio, con l’invito ad occuparsi di scienza anziché di politica, oltre ad essere espressione di cattiva coscienza, disconosce l’impegno storico di intellettuali e scienziati contro la guerra. Ossia per l’affermazione della razionalità, anziché del pensiero magico, anche nel campo della risoluzione dei conflitti.

Lo stesso Carlo Rovelli, nel dicembre del 2021, prima dell’internalizzazione della guerra in Ucraina con l’invasione dell’esercito russo, aveva coordinato la campagna per il Dividendo di pace che ha messo insieme più di cinquanta tra premi Nobel e presidenti di Accademie delle scienze nell’appello inviato al Segretario generale dell’ONU ed ai cinque governi del Consiglio di sicurezza (USA, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna) nel quale si chiede un taglio comune del 2% delle spese militari annue, proponendo che la cifra risparmiata venga dirottata su un fondo globale per la lotta al cambiamento climatico, le pandemie e la povertà estrema. Una richiesta razionale, ignorata dai governi e dai media, mentre l’irrazionale corsa agli armamenti – come ha ricordato Rovelli – viaggia verso la cifra inimmaginabile di due trilioni e mezzo di euro all’anno. Preparando l’inevitabile, di questo passo, terza e definitiva guerra mondiale.

Il tema, del resto, era stato anche posto – su invito non dei sindacati, ma della Società delle Nazioni – da un illustre predecessore di Carlo Rovelli, Albert Einstein che nel 1932 scrisse la celebre lettera a Sigmund Freud ponendo al padre della psicoanalisi la domanda cruciale: “c’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?”. Mentre rimando al carteggio tra i due per la risposta di Freud, metto a fuoco qui alcune delle questioni di Einstein che contengono già l’articolazione di possibili risposte, valide anche oggi. Già nel ‘32 Einstein era consapevole che l’evoluzione della tecnica rendeva quella domanda “una questione di vita o di morte per la civiltà da noi conosciuta”. La quale sarebbe stata travolta pochi anni dopo dalla seconda guerra mondiale, che avrebbe lasciato come eredità le armi nucleari, spada di Damocle permanente sull’umanità.

La prima risposta che fornisce Einstein è quella del “pacifismo giuridico”: la costituzione di un’autorità internazionale “col mandato di comporre tutti i conflitti” che sorgano tra gli Stati. E’ la visione kantiana della “pace perpetua” come frutto della federazione degli stati che rinunciano agli eserciti permanenti, che avrebbe dovuto trovare la sua concretezza nelle Nazioni Unite che nel 1945 nascono per “liberare l’umanità dal flagello della guerra”, costruendo la pace con “mezzi pacifici”. Ma, continua Einstein, “la sete di potere della classe dominante è in ogni Stato contraria a qualsiasi limitazione della sovranità nazionale”. E specifica – come ha fatto Carlo Rovelli il primo maggio – “penso soprattutto al piccolo ma deciso gruppo di coloro che attivi in ogni Stato e incuranti di ogni considerazione sociale, vedono nella guerra cioè nella fabbricazione e vendita di armi, soltanto un’occasione per promuovere i loro interessi personali e ampliare la loro autorità”. Del resto dividendo le spese militari globali del 2022 per il numero dei giorni dell’anno, risulta che i governi spendono in armamenti 6,13 miliardi di dollari al giorno, mentre finanziano le Nazioni Unite per un bilancio di 3,4 miliardi di dollari all’anno. Impossibile preparare mezzi di pace con questa abissale sproporzione.

Ma, si chiede ancora Einstein, com’è possibile che questa minoranza che fa affari con le guerre “riesca ad asservire alle proprie cupidigie la massa del popolo, che da una guerra ha solo da soffrire e perdere?”. Ed anche su questo l’illustre fisico fornisce nella lettera a Freud una risposta che vale anche per noi: “la minoranza di quelli che di volta in volta sono al potere ha in mano prima di tutto la scuola e la stampa, e perlopiù anche le organizzazioni religiose. Ciò consente di organizzare e sviare i sentimenti delle masse rendendoli strumenti della propria politica”. Salvo la chiesa cattolica, che papa Francesco ha posto decisamente dalla parte del pacifismo anziché del bellicismo, per il resto la lettera di Einstein del 1932 spiega anche lo scandalo per l’intervento di Carlo Rovelli nel 2023.

“Abbiamo qui l’occasione migliore”, conclude Einstein, “per scoprire i mezzi e le maniere mediante i quali rendere impossibili i conflitti armati”. Tema sul quale Einstein avrebbe continuato a lavorare per tutta la vita, anche con l’estremo appello scritto insieme a Bertrand Russell nel 1955. Mezzi alternativi alla guerra sui quali lavora, costituzionalmente, attraverso le proprie campagne il movimento per il disarmo e la nonviolenza secondo l’adagio razionale “se vuoi la pace, prepara la pace”. Ma che media e governi, irrazionalmente, continuano ad ignorare.

da qui

 

L’odio – Francesco Masala (1)

L’odio assoluto degli Stati Uniti d’America verso la Russia nacque nel 1917, quando esplose la Rivoluzione di quel territorio che diventò, per tre quarti di secolo, l’URSS. Fino ad allora la Russia era in vendita, sotto lo zar, l’Alaska, una regione russa, per esempio fu comprata dagli Usa nel 1867.

Dal 1917 l’Urss non fu più in vendita, per il mondo diventò l’alternativa agli stati colonialisti e la speranza per il futuro (il sol dell’avvenire) per molti lavoratori e partiti dell’Occidente capitalistico.

Dopo la seconda guerra mondiale gli Usa definirono l’Urss il NEMICO Assoluto, e fecero di tutto per combatterlo e batterlo (anche internamente, si ricordi la vergogna eterna del Maccartismo).

Il sogno degli Usa divenne realtà nel 1989, nel giro di pochi anni l’Urss di sciolse come neve al sole. Gli Usa, sotto Eltsin, rubarono tutto il possibile dalla Russia, il paese più grande e più ricco di risorse energetiche, minerarie, naturali del mondo. Fu in quegli anni che apparve l’acronimo TINA (there is no alternative), il neoliberismo Usa pensò e provò a convincere il mondo che la storia fosse finita. E che il mondo fosse cosa loro.

In realtà la Russia risorse dalle ceneri di Eltsin e diventò un paese indipendente e forte, da quando il diavolo Putin salì al potere nel 2000. E le risorse energetiche, minerarie, naturali ritornarono sotto il controllo russo.

E la Russia divenne il NEMICO.

L’espansione della Nato verso est fu interpretata dalla Russia come una minaccia esistenziale (così come avevano interpretato gli Usa i missili russi a Cuba). La Russia protestò a più riprese, inascoltata, ma la Nato, come un cancro, continuò ad espandersi con la stessa prepotenza e violenza di un caterpillar israeliano in Palestina.

Intanto l’Europa occidentale, una serie di Territori Occupati dagli Usa (l’azionista di controllo della Nato), dopo la seconda guerra mondiale, provava, o faceva finta, ad essere indipendente, e ad avere una politica economica e sociale diversa da quella dell’Occupante, fino a che non si turbava il dominio degli Usa sul mondo (la Nato, guarda un po’, sta dietro la strategia della tensione in Italia).

La Commissione Europea (era nata l’Unione Europea) viene scelta all’interno di rose di nomi (spesso ignobili, quasi sempre ricattabili, sicuramente servi) forniti dagli Usa, l’Egemone. I governi (o almeno i ministeri chiave) dei paesi europei devono essere approvati dagli Usa, e così succede.

L’Occidente se la passava bene, comprava, a poco prezzo, il petrolio e il gas dalla Russia e la Cina era diventava sempre più la fabbrica del mondo (soprattutto occidentale, ma non solo).

Poi arrivò la rivoluzione colorata ucraina del 2014…

 

 

Per cosa Russia e Cina usano la supremazia militare? – Thierry Meyssan

Hanno torto gli Occidentali a temere il dominio militare di Russia e Cina; devono invece temere l’uso che Mosca e Beijing potrebbero farne per costringerli a onorare la loro propria firma

La Russia e la Cina hanno armamenti superiori agli Occidentali. La Russia ha vinto la guerra in Siria e si appresta a vincere il conflitto in Ucraina. Qui, nonostante gli sforzi, la Nato – che già ha fallito in Medio Oriente per interposizione dei jihadisti – non riesce a rovesciare la situazione sul campo.

La forma mentale da ex potenze coloniali spinge gli Occidentali a immaginare che Russia e Cina useranno la superiorità militare per imporre il proprio modo di vivere al resto del mondo. Ma non è quanto fanno, né quanto intendono fare.

Mosca e Beijing chiedono l’applicazione del diritto internazionale. Niente di più. I russi vorrebbero poter stare tranquilli a casa loro, i cinesi ambiscono invece a sviluppare il proprio commercio su tutto il globo terrestre.

Gli avvenimenti in Ucraina ci inducono a dimenticare le richieste che dal 2007 la Russia ha più volte rinnovato: Mosca pretende garanzie di sicurezza adeguate alla propria situazione, in particolare esige che Paesi terzi non ammassino arsenali nelle nazioni con essa confinanti. La Russia non può difendere le proprie frontiere, le più estese al mondo. Non può tutelare la propria sicurezza con eserciti nemici concentrati su più fronti ai propri confini, a meno di ricorrere alla «strategia della terra bruciata» del maresciallo Fëdor Rostopchin. Questa è la linea che ha guidato Mosca in tutti i negoziati per la riunificazione della Germania, cui l’URSS si è sempre opposta a meno che la nuova Germania s’impegnasse a non schierare armi della Nato nella parte orientale. Ed è anche il senso di tutti i negoziati con gli ex Stati del Patto di Varsavia, nonché dei negoziati con tutti gli Stati dell’ex Unione Sovietica. Mosca non si è mai opposta al diritto di questi Stati di scegliere con chi allearsi, nonché eventualmente di aderire alla Nato; vi si è opposta se l’adesione alla Nato avesse implicato lo stoccaggio di armamenti della Nato sul loro territorio.

Mosca ha ritenuto rispettate le proprie esigenze solo nel 1999, quando 30 Stati membri dell’OSCE [Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, ndt] firmarono la Dichiarazione d’Istanbul, la cosiddetta Carta della Sicurezza in Europa, in cui furono fissati due principi fondamentali:

– il diritto di ogni Stato di scegliere i propri alleati;

– il dovere di ogni Stato di non minacciare la sicurezza di altri Stati per assicurare la propria.

L’unica ragione che ha portato al conflitto ucraino è la violazione di questi principi. Fu questo il senso del discorso alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco del 2007, con cui il presidente Vladimir Putin denunciò il non-rispetto degli impegni dell’OSCE e l’instaurazione di una governance «monopolare» del mondo.

Gli Occidentali convennero che la Russia aveva ragione, ma, ritenendola un Paese alla deriva, irrisero alla sua impotenza. Sbagliarono: la Russia si è risollevata e li ha superati. Oggi usa la forza per costringere noi Occidentali a onorare la nostra firma sui trattati, non per imporci il suo modo di pensare.

Dal crollo dell’Unione Sovietica, gli Occidentali hanno disatteso gli impegni sottoscritti durante la guerra fredda: volevano costruire un «Nuovo Ordine Mondiale», secondo la formula di Margaret Thatcher e George W. Bush; un nuovo ordine mondiale «fondato su regole» da loro stessi definite. Quindi noi Occidentali abbiamo continuato a disonorare la nostra firma e, dunque, il diritto internazionale.

C’è incompatibilità di fondo tra il diritto internazionale, esito della Conferenza dell’Aia nel 1899, e il diritto anglosassone: il diritto internazionale è una convenzione positiva. È elaborato all’unanimità, ossia accettato da tutti i Paesi che lo applicano. Il diritto anglosassone si fonda invece sulle consuetudini. È perciò costantemente in ritardo rispetto all’evoluzione del mondo e privilegia coloro che l’hanno dominato.

A partire dal 1993 gli Occidentali hanno iniziato a sostituire uno dopo l’altro tutti i Trattati internazionali riscrivendoli secondo il diritto anglosassone. Madeleine Albright, rappresentante all’Onu dell’amministrazione Clinton, era figlia del professor Josef Korbel, diplomatico ceco docente all’università di Denver, il cui insegnamento si basava sulla convinzione che il mezzo più efficace per gli Stati Uniti di dominare il mondo non era conquistarlo militarmente, ma fargli adottare il proprio sistema giuridico, come aveva fatto la Corona britannica nel proprio impero. In seguito Albright divenne segretaria di Stato. Quando George W. Bush successe a Bill Clinton, la figlia adottiva di Josef Korbel, Condoleezza Rice, prese il posto di Albright, dopo l’intermezzo di Colin Powell. In pratica per due decenni l’Occidente ha pazientemente distrutto il diritto internazionale e imposto le proprie regole, al punto da attribuirsi ora il titolo enfatico di «Comunità internazionale».

Il 21 marzo 2023, a Mosca, i presidenti russo e cinese, Vladimir Putin e Xi Jinping, si sono accordati su una strategia comune per far trionfare il diritto internazionale, ossia per smantellare nientedimeno che tutto ciò che Albright e Rice hanno realizzato.

La Russia, che nel mese di aprile presiedeva il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ha deciso di organizzare un pubblico dibattito sul tema: «Mantenimento della pace e della sicurezza internazionali: un multilateralismo efficace fondato sulla difesa dei principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite».

La riunione, presieduta dal ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, non aveva lo scopo di lavare in piazza i panni sporchi accumulati dalla scomparsa dell’Unione Sovietica, ma di avviare la mobilitazione del maggior numero possibile di Stati. Prima della seduta la Russia ha diffuso una nota di messa a fuoco dei punti cruciali (S/2023/244), ove esplicitava come l’ordine unipolare occidentale si sostituisca al diritto internazionale. Ammoniva inoltre sul ruolo svolto in questo meccanismo dai protagonisti non-governativi, le famose ONG. Nonché sottolineava come il fare dei diritti dell’uomo un criterio di buon governo, invece di un obiettivo da conquistare, li trasformi in arma politica e nuoccia gravemente al loro avanzamento. In linea generale i Tribunali internazionali sono usati per stabilire il Bene, non per affermare il Diritto. Non servono quasi più a risolvere le controversie, servono soprattutto a creare gerarchie, a dividere anziché unire. La Nota terminava con una serie di domande, tra cui «Cosa si può fare per ripristinare la cultura del dialogo e del consenso all’interno dell’Organizzazione [delle Nazioni Unite], nonché all’interno del Consiglio di sicurezza? Qual è il modo migliore per dimostrare che la situazione attuale, caratterizzata da un approccio selettivo alle norme e ai principi del diritto internazionale, compresi quelli della Carta, è inaccettabile e non può durare più a lungo?».

L’intervento del segretario generale dell’Onu, António Guterres, non ha consentito di far progredire il dibattito, limitandosi a presentare il futuro programma delle Nazioni Unite. I numerosi partecipanti al dibattito si sono così divisi in tre gruppi.

La Russia ha tessuto le lodi della Carta delle Nazioni Unite e ne ha deplorato l’evoluzione degli ultimi trent’anni. Ha perorato l’uguaglianza fra tutti gli Stati sovrani e denunciato il potere esorbitante degli Occidentali e della loro organizzazione unipolare. Ha ricordato che l’operazione speciale in Ucraina è stata la conseguenza del colpo di Stato del 2014 a Kiev; quindi il problema non è l’Ucraina, ma come gli Occidentali governano le relazioni internazionali. La Russia ha incidentalmente messo in guardia il segretario generale dell’Onu, richiamandolo al dovere dell’imparzialità. Ha sottolineato che se i documenti dei prossimi vertici dell’Organizzazione non rispetteranno tale principio produrranno un’ulteriore divisione del mondo invece di unirlo.

– Il Gruppo degli Amici per la difesa della Carta delle Nazioni Unite e il Gruppo dei 77 hanno ripreso l’approccio russo.

– Un secondo gruppo, formato dagli Occidentali, ha deviato in continuazione il dibattito sulla questione ucraina, rifiutandosi di prendere in considerazione il colpo di Stato di Maidan, sottolineando al contrario la violenza dell’«invasione» russa, nonché il suo costo umano.

– Un terzo gruppo ha sferrato attacchi ancora più aspri. Il Pakistan ha denunciato il concetto di «multilateralismo in rete», contrario a un ordine internazionale formato da Stati sovrani e tra loro uguali. Ha anche respinto ogni prospettiva di un mondo «unipolare, bipolare, persino multipolare se dominato dagli Stati ultra-potenti». L’Etiopia e l’Egitto hanno denunciato il ruolo devoluto dalle grandi potenze a protagonisti non-statali.

Sebbene prima del dibattito la Russia e la Cina avessero ricordato alle delegazioni i trattati internazionali che il Nuovo Ordine Mondiale viola spudoratamente, durante la discussione non si è parlato di casi particolari, a eccezione dell’Ucraina, che sta tanto a cuore agli Occidentali.

Tuttavia bisogna prevenire le molte rimostranze dei non-Occidentali, ossia dei governi che rappresentano l’87% della popolazione mondiale.

Cioè a dire:

– Nel 1947 la Finlandia si è impegnata a rimanere neutrale. Con la recente adesione alla Nato, Helsinki disonora la propria firma.

– Nel 1990, al momento della loro istituzione, gli Stati baltici si sono impegnati per iscritto a conservare i monumenti in onore dei sacrifici dell’Armata Rossa. La distruzione di questi monumenti è perciò una violazione della loro firma.

– Con la risoluzione 2758 del 25 ottobre 1971, le Nazioni Unite hanno riconosciuto la Repubblica Popolare Cinese – non Taiwan – unico appresentante legittimo della nazione cinese. Il governo di Chiang Kai-shek è stato quindi espulso dal Consiglio di sicurezza e sostituito da quello di Mao Zedong. Ne consegue che, per fare un esempio, le recenti manovre navali cinesi nello Stretto di Taiwan non costituiscono un’aggressione a uno Stato sovrano, ma sono un libero dispiegamento delle proprie forze nelle proprie acque territoriali.

– E via elencando.

In sostanza quello che noi, l’Occidente, dobbiamo temere da Russia e Cina è che ci costringano a essere noi stessi e a onorare la parola data.

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La crudeltà di Bandera a Bucha è peggiore di quella dei sultani del XIX secolo – Rossella Fidanza

Artem Khachatryan, scrittore armeno di saggi politici ed ex caporedattore e autore del portale Sheim.am, chiuso dalle autorità armene e bandito dalla Russia, scrive un articolo durissimo su Bucha

E’ un articolo durissimo sui fatti di Bucha quello scritto qualche giorno fa da Artem Khachatryan sulla sua pagina Facebook, scrittore armeno di saggi politici ed ex caporedattore e autore del portale Sheim.am, chiuso dalle autorità armene e bandito dalla Russia.

Secondo Khachatryan, i banderisti su ordine di americani ed europei, hanno ucciso decine di civili nella città di Bucha per incolpare i militari russi di queste azioni disumane e convincere il mondo intero che i russi sono barbari…

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Banca Etica e Rete Pace e Disarmo azionisti critici di Leonardo – Rete Italiana Pace e Disarmo

Per il settimo anno consecutivo Fondazione Finanza Etica (Gruppo Banca Etica) e Rete italiana Pace e Disarmo intervengono come azionisti critici all’assemblea di Leonardo spa in programma per il 9 maggio 2023. Il colosso italiano delle armi, controllato con il 30,2% dal Ministero del Tesoro, ha deciso però che la sua assemblea si svolgerà a porte chiuse.

«Leonardo ha scelto di avvalersi di una facoltà prevista dalla legislazione italiana sul Covid-19», spiega Teresa Masciopinto, presidente di Fondazione Finanza Etica. «In questo modo si impedisce, di fatto, ogni forma di contatto e di dialogo diretto tra la società e i suoi azionisti, nonostante l’emergenza pandemica sia da tempo superata». Agli azionisti è stata comunque data la possibilità di inviare domande scritte, a cui dovrebbe essere data risposta tre giorni prima dell’assemblea. Fondazione Finanza Etica del Gruppo Banca Etica ne ha inviate una quarantina, raccogliendo quelle di Rete italiana Pace e Disarmo e di alcuni studenti e studentesse del corso di Corporate Governance dell’Università di Pisa, per la prima volta coinvolti nel progetto.

Per fare il punto sulle criticità – umanitarie ma anche finanziarie – legate a questa trasformazione di Leonardo spa in industria quasi totalmente bellica, gli azionisti critici si incontreranno lunedì 8 maggio alle 18 a Roma, presso la Redazione di Scomodo, un giorno prima dell’assemblea, per commentare pubblicamente le risposte di Leonardo.

«Abbiamo chiesto spiegazioni sull’effettiva generazione di fatturato e posti di lavoro di Leonardo in Italia», spiega Francesco Vignarca, Coordinatore Campagne della Rete italiana Pace e Disarmo. «Ci sembra infatti sproporzionato l’impegno dello Stato in una impresa che produce armi impiegate in conflitti internazionali, con il rischio di violazione di diritti umani fondamentali, rispetto agli effettivi, minimi vantaggi economici per l’Italia».

Negli ultimi cinque anni (2017-2022), il fatturato militare di Leonardo è salito dal 68% all’83%. Mentre nel 2013 era pari al 49,6%. Sono stati abbandonati progressivamente una serie di comparti civili ritenuti non strategici: l’automazione industriale, la robotica, la microelettronica, l’energia e il trasporto ferroviario. «I nostri dati dimostrano che, contrariamente a quanto si pensi, il comparto militare è più rischioso, meno redditizio e crea meno occupazione rispetto a quello civile», continua Vignarca. «È quindi assurdo che lo Stato continui a sostenere la progressiva militarizzazione del gruppo. Nella nostra Costituzione c’è scritto chiaramente che “l’Italia ripudia la guerra”. Perché quindi sostenerla tramite un’azienda multinazionale a controllo statale?».

Tra le domande inviate a Leonardo, alcune si riferiscono anche al coinvolgimento della società in programmi di sistemi d’arma a potenzialità̀ nucleare. «Il presunto coinvolgimento di Leonardo nella produzione di armi nucleari ha già portato all’esclusione dell’impresa da molti portafogli di investitori istituzionali», spiega Teresa Masciopinto. «Quindi stiamo parlando di rischi finanziari oltre che di evidenti rischi umanitari e reputazionali». Per questo motivo all’incontro dell’8 maggio partecipa anche Susi Snyder, coordinatrice della Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN), premio Nobel per la pace nel 2017.

Nelle domande inviate da Fondazione Finanza Etica per conto degli studenti dell’Università di Pisa si esprimono invece dubbi sulla nomina da parte del governo dell’ex ministro Roberto Cingolani come amministratore delegato di Leonardo. «Vogliamo capire perché Leonardo abbia ritenuto ammissibile tale candidatura alla luce della legge 215/2004 sui conflitti di interesse», spiegano Adrian Jaroszewicz, Alessandro Quaglia e Roberta Zumbo. «Allo stesso modo, vorremmo capire come si concilino le candidature al Consiglio di Amministrazione di Francesco Macrì, leader di Fratelli d’Italia ad Arezzo, e di Trifone Alfieri, politico della Lega, con la Skills Directory di Leonardo, e cioè l’insieme di esperienze e competenze distintive che dovrebbero essere apportate nel CdA».

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DIRETTORE, CONOSCE MYROTVORETS? – Fulvio Scaglione

Sei stimati direttori di altrettanti autorevoli quotidiani italiani alcuni giorni fa hanno firmato un appello per la liberazione di Evan Gershkovich, 31 anni, giornalista del Wall Street Journal arrestato dall’FSB russo a Ekaterinburg e ora detenuto a Mosca, nel carcere di custodia preventiva di Lefortovo, con l’accusa di spionaggio. Gershkovich, figlio di Ella e Mikhail Gershkovich, ebrei russi esuli negli Usa nel 1979 (è facile riconoscere in quell’Evan un tradizionale e anglicizzato Ivan russo), era al secondo viaggio in un mese nel grande centro degli Urali. L’arresto ha fatto di lui il primo giornalista occidentale arrestato in Russia con l’accusa di spionaggio dalla fine della Guerra Fredda

In questa guerra tra Russia e Ucraina, che è anche (e soprattutto) una guerra tra Russia e Occidente, sono state superate quasi tutte le linee rosse immaginabili per un conflitto: si bombardano obiettivi civili, si fa strage di persone innocenti, viene praticata la tortura sui prigionieri, si compiono attentati terroristici. È facile immaginare, quindi, che si possa anche arrestare un giornalista per farne una pedina di scambio di chissà quale trattativa. Solo pochi mesi fa, d’altra parte, il mercante d’armi russo Viktor Bout fu riscattato dalla prigionia restituendo agli Usa la cestista Brittney Griner, beccata in aeroporto a Mosca con dell’olio di canapa nella valigia. Ottimo quindi l’appello dei direttori, speso per un’ottima causa: la salvezza di una persona e il principio della libertà di informare. Per non parlare del fatto che prendere in ostaggio un civile come Gershkovich è un atto piuttosto ripugnante.

Proprio per tutte queste ragioni, e sempre a proposito dei diritti civili e della libertà di stampa, mi permetto di indicare al gruppo di direttori un altro interessante, e nobile, obiettivo. Mi riferisco al sito ucraino Myrotvorets (che curiosamente vuol dire Costruttore di pace), ben noto a tutti coloro che si occupano dei tragici eventi in corso. Inaugurato nel 2014, in risposta all’occupazione russa della Crimea e all’indipendentismo delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk nel Donbass, il sito si occupa di schedare tutti coloro che considera “terroristi, separatisti, mercenari, criminali di guerra e assassini pro-Russia”. Chi sono questi figuri? Un po’ tutti: sulla lista nera di Myrotvorets sono finiti anche Henry Kissinger (diventato agli occhi di chi cura il sito un assassino pro-russo, o forse un terrorista o un criminale di guerra, chissà per aver proposto una tregua tra Russia e Ucraina), l’ultratlantista antiputiniano Edward Luttwak, il politologo John Mearsheimer, il cantante dei Pink Floyd Roger Waters, il senatore americano Rand Paul, l’ex candidata alla presidenza Tulsi Gabbard.

Myrotvorets si presenta come “sito non governativo”, anche se tutti lo considerano un’emanazione dell’SBU (il servizio segreto dell’Ucraina) e del ministero degli Interni.E in ogni caso non v’è traccia di provvedimenti, e nemmeno di semplici ammonimenti, delle autorità ucraine verso un sito che pubblica ogni giorno foto raccapriccianti di cadaveri, inviti a sterminare questo e quello, e sull’immagine di chi viene ucciso appone la bella scritta “eliminato”. Ci piace un sito che invita a far fuori gli avversari politici? Che semina fatwa alla moda delle filiali dell’Isis?

Se qualcuno avesse il dubbio che tali avversari siano, appunto, solo “terroristi, separatisti, mercenari, criminali di guerra e assassini”, e che i casi Kissinger&C.  siano proprio solo casi, sappia che nel 2016 Myrotvorets pubblicò un elenco di 4.508 giornalisti di ogni parte del mondo che avevano una sola colpa: aver coperto la guerra nel Donbass andando anche nel Donbass russo. A prescindere da ciò che avevano scritto, che magari andava in favore della stessa Ucraina. Di questi colleghi (ribadiamolo: originari dei Paesi più diversi) furono pubblicati indirizzi di casa, telefoni, indirizzi e-mail e altri dati più o meno sensibili, ottenuti hackerando i computer del ministero della Sicurezza della Repubblica separatista di Donetsk. Non male come intimidazione della libera stampa, vero? Tanto più che interpellata in proposito, l’SBU proclamò di non vedere nulla di illecito in tale minacciosa lista.

Aggiungiamo un dato che, se tutto questo non basta, dovrebbe interessarci tutti. Sulla lista nera di Myrotvorets sono finiti loro malgrado anche egregi giornalisti italiani. Colpevoli solo di fare il loro mestiere, esattamente come è successo con Evan Gershkovic. Se non proprio un appello, un paio di paroline non sarebbe il caso di spenderle?

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Abbiamo abolito i neuroni – Marco Travaglio

Abbiamo abolito la storia. È vietato raccontare ciò che è accaduto in Ucraina prima del 24 febbraio 2022: gli otto anni di guerra civile in Donbass dopo il golpe bianco (anzi, nero) di Euromaidan nel 2014 e le migliaia di morti e feriti causati dai continui attacchi delle truppe di Kiev e delle milizie filo-naziste al seguito contro le popolazioni russofone e russofile che, col sostegno di Mosca, chiedevano l’indipendenza o almeno l’autonomia. Il tutto in barba ai due accordi di Minsk.

La versione ufficiale, l’unica autorizzata, è che prima del 2022 non è successo niente: una mattina Putin s’è svegliato più pazzo del solito e ha invaso l’Ucraina. Se la gente scoprisse la verità, capirebbe che il mantra atlantista “Putin aggressore e Zelensky aggredito” vale solo dal 2022: prima, per otto anni, gli aggressori erano i governi di Kiev (l’ultimo, quello di Zelensky) e gli aggrediti i popoli del Donbass. Fra le vittime, c’è il giornalista italiano Andrea Rocchelli, ucciso dall’esercito ucraino

Abbiamo abolito la geografia. Proibito mostrare la cartina dell’allargamento della Nato a Est negli ultimi 25 anni (da 16 a 30 membri)… Eppure, che la Nato si sia allargata a Est, accerchiando e assediando la Russia, minacciandone la sicurezza con installazioni di missili nucleari sempre più vicine al confine, in barba alle promesse fatte a Gorbaciov nel 1990, fino all’ultima provocazione di annunciare l’imminente ingresso nell’Alleanza dei vicini di casa della Russia – Georgia e Ucraina – è un fatto storico indiscutibile…

L’altra cartina proibita è quella dei Paesi che non condannano o non sanzionano la Russia, o se ne restano neutrali: quasi tutta l’Asia, l’Africa e l’America Latina, cioè l’87% della popolazione mondiale. Ma al nostro piccolo mondo antico occidentale piace far credere che Putin è isolato e noi lo stiamo circondando. Sul fatto che Cina, India, Brasile e altri paesucoli stiano con lui o non stiano con noi, meglio sorvolare: altrimenti lo capiscono tutti che le sanzioni non funzionano…

Solo abolendo la storia si può credere al presidente Sergio Mattarella quando ripete che “l’Ucraina è la prima guerra nel cuore dell’Europa nel dopoguerra”. E Belgrado bombardata anche dall’Italia nel 1999 dov’è, in Oceania? E chi era il vicepremier del governo D’Alema che bombardava Belgrado? Un certo Mattarella…

Abbiamo abolito il rispetto per le altre culture. In una folle ondata di russofobia, abbiamo visto ostracizzare direttori d’orchestra, cantanti liriche, pianiste di fama mondiale, fotografi, atleti (anche paralimpici), persino gatti e querce, soltanto perché russi. E poi censurare corsi su Dostoevskij, cancellare dai teatri i balletti di Cajkovskij, addirittura estromettere la delegazione russa dalle celebrazioni per la liberazione di Auschwitz. Come se il lager l’avessero liberato gli americani o gli ucraini e non l’Armata Rossa…

I trombettieri della Nato propagandano la bufala dell’“euroatlantismo” e gli scemi di guerra se la bevono, senz’accorgersi che mai come oggi gli interessi dell’Europa sono opposti a quelli dell’America.

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L’autismo occidentale – Enrico Tomaselli

L’autismo (dal greco αὐτός, aütós – stesso) è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da deficit della comunicazione verbale e non verbale, che provoca comportamenti ripetitivi. In un certo senso, questa definizione ben si attaglia al comportamento degli USA – e quindi dei vassalli del NATOstan – sulla scena internazionale. Con l’accendersi del conflitto in Ucraina, questo autismo ha raggiunto nuove, pericolosissime vette.

In un certo senso, questa definizione ben si attanaglia al comportamento degli USA – e quindi dei vassalli del NATOstan – sulla scena internazionale, ma sicuramente con l’accendersi del conflitto in Ucraina questo autismo ha raggiunto nuove, pericolosissime vette.

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L’ombelico del mondo

Gli Stati Uniti hanno immaginato, teorizzato, perseguito ed infine realizzato il sogno di un dominio globale a partire da un’idea di eccezionalità (auto attribuita), la quale, a sua volta, si traduce nel famoso destino manifesto (1). Tale propensione ha trovato il suo coronamento nel 1945, con la vittoria nella seconda guerra mondiale, per poi raggiungere il suo apice nel corso della guerra fredda. Ovviamente, nel corso di questa lunga traiettoria politica, l’élite statunitense – e di riflesso la popolazione del paese – ha maturato la crescente convinzione che il proprio successo globale fosse la controprova della propria titolarità ad ottenerlo. Coerentemente con lo spirito dell’etica protestante-capitalista (2), negli States ha preso forma una vera e propria ideologia suprematista, il cui fondamento culturale è la convinzione di incarnare l’ideale di giustizia.

Un’idea, questa, non estranea anche ad una visione religiosa del mondo, con tutto il carico di manicheismo che questa comporta. E che, non a caso, è estremamente simile a quella che anima un alleato del cuore: Israele.

Forte di questa granitica convinzione, ossia che I buoni siamo noi, per l’élite statunitense è stato ed è assolutamente normale e legittimo operare al fine di conformare il mondo a se stessi. E, poiché ovviamente non è impresa facile, piuttosto che cercare di esercitare la propria egemonia, ha finito quasi sempre per preferire la via più spiccia (e più sicura) del dominio.

Per coniugare questa singolare forma di narcisismo politico con il fatto di essere un Paese sostanzialmente giovane e privo di radici storiche secolari paragonabili a molte nazioni dell’Europa e dell’Asia, si è resa necessaria la creazione di un immaginario all’altezza dell’ambizione. Ecco perché gli Stati Uniti amano considerarsi una versione moderna dell’Impero Romano, pur avendo di esso un’immagine per lo più superficiale e volgarmente cinematografica. Sfortunatamente, il deep state USA non ha mai avuto la capacità di capire veramente il mondo all’epoca di Roma.

Un esempio paradigmatico dell’autoreferenzialità di Washington e della sua difficoltà a capire tutto ciò che è altro da sé è dato dall’atteggiamento con cui affronta l’attuale snodo epocale, di cui la guerra in Ucraina rappresenta ad oggi la fase più acuta. Ossessionata fin dai tempi di Brzezinski dall’obiettivo di impedire la saldatura eurasiatica, Washington ha finito per spingere Cina e Russia l’una nelle braccia dell’altra. Se è vero, infatti, che lo spettro del blocco eurasiatico è stato per ora scongiurato e che l’Europa, e soprattutto la Germania, sono oggi separate dalla Federazione Russa (come dimostra materialmente e simbolicamente il sabotaggio ai gasdotti Nord Stream), è anche vero che nel medio e lungo periodo questo successo rischia di trasformarsi in una vittoria di Pirro. Non solo Cina e Russia sono ormai alleate a livello geopolitico, commerciale e anche militare, ma buona parte del mondo non allineato alla NATO e al G7 mostra segni inequivocabili di voler andare nella direzione di queste ultime. Prova ne sono il crescente numero di nazioni che chiedono di aderire ai BRICS e la sempre più marcata tendenza delle banche centrali a creare accordi commerciali per transazioni bilaterali in valute nazionali o, comunque, diverse dal dollaro.

Oltre a ciò, gli Stati Uniti si caratterizzano per una pressoché totale mancanza di visione strategica nei confronti della Russia. Mancanza di visione che è figlia dell’illusione di essere l’ombelico del mondo cui accennavamo sopra e che ha come diretta conseguenza oggi l’essere entrati in aperto conflitto con la maggiore potenza nucleare del pianeta, della quale si ignora deliberatamente non solo la naturale esigenza di sicurezza, ma anche la pericolosità militare.

Se durante la lunga fase di espansione ad est della NATO, e successivamente della costruzione di una situazione esplosiva in Ucraina, si poteva pensare che tutto ciò rispondesse al disegno strategico di provocare la reazione russa, l’inizio del conflitto ha portato alla luce la mancanza di un disegno strategico nel caso di una guerra reale contro la Russia. È infatti evidente che gli USA mancano non solo di una strategia che punti realmente alla vittoria sul campo (anche perché questa condurrebbe fatalmente a un conflitto nucleare), ma anche di una reale strategia di logoramento dell’avversario, almeno sul piano militare. L’idea del logoramento politico-economico è peraltro clamorosamente fallita.

È evidente la totale indifferenza alle sorti della popolazione ucraina e della nazione “amica”; il supporto propagandistico sfrenato, la mitizzazione della figura di Zelensky (in effetti un attore televisivo dalla comicità alquanto grossier, portato al potere da un oligarca che contava di farne la sua marionetta), accompagnato ad un supporto militare accuratamente centellinato, mai sufficiente a mutare radicalmente la situazione sul terreno, testimoniano non solo la volontà statunitense di usare Kiev per la propria proxy war, ma anche l’assenza di una qualche strategia militare, che tenesse in conto le capacità belliche e le preoccupazioni politiche russe.

In effetti, se si guarda al complesso supporto messo in campo dall’occidente, risalta lo scarto tra l’enfasi propagandistica (un continuo peana all’immancabile vittoria ucraina) e gli effettivi aiuti militari, assai più simili ad una flebo, calibrata in modo da garantire giusto la sopravvivenza dell’organismo alimentato…

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Il nemico interno – Chris Hedges

L’industria bellica, uno Stato nello Stato, sventra la nazione, inciampa da un fiasco militare all’altro, ci priva delle libertà civili e ci spinge verso guerre suicide con Russia e Cina

L’America è una stratocrazia, una forma di governo dominata dai militari. È assiomatico che i due partiti al potere si preparino costantemente alla guerra. Gli enormi bilanci della macchina bellica sono sacrosanti. I suoi miliardi di dollari di sprechi e frodi sono ignorati. I suoi fallimenti militari nel Sud-Est asiatico, in Asia centrale e in Medio Oriente sono scomparsi nella vasta caverna dell’amnesia storica. Questa amnesia, che significa che non c’è mai responsabilità, permette alla macchina da guerra di sventrare economicamente il Paese e di spingere l’Impero in un conflitto autolesionista dopo l’altro. I militaristi vincono ogni elezione. Non possono perdere. È impossibile votare contro di loro. Lo Stato di guerra è una Götterdämmerung, come scrive Dwight Macdonald, “il crepuscolo degli Dei senza gli dei”.

Dalla fine della Seconda guerra mondiale, il governo federale ha speso più della metà dei soldi delle tasse per le operazioni militari passate, presenti e future. È la più grande attività di sostegno del governo. I sistemi militari vengono venduti prima di essere prodotti, con la garanzia che gli enormi sforamenti dei costi saranno coperti. Gli aiuti esteri sono condizionati all’acquisto di armi statunitensi. L’Egitto, che riceve circa 1,3 miliardi di dollari di finanziamenti militari stranieri, deve destinarli all’acquisto e alla manutenzione di sistemi d’arma statunitensi. Israele ha ricevuto 158 miliardi di dollari in assistenza bilaterale dagli Stati Uniti dal 1949, quasi tutti dal 1971 sotto forma di aiuti militari, la maggior parte dei quali destinati all’acquisto di armi dai produttori statunitensi. Il pubblico americano finanzia la ricerca, lo sviluppo e la costruzione di sistemi d’arma e poi acquista questi stessi sistemi d’arma per conto di governi stranieri. È un sistema circolare di welfare aziendale.

Tra l’ottobre 2021 e il settembre 2022, gli Stati Uniti hanno speso 877 miliardi di dollari per le forze armate, più dei 10 Paesi successivi, tra cui Cina, Russia, Germania, Francia e Regno Unito messi insieme. Queste enormi spese militari, insieme ai costi crescenti di un sistema sanitario a scopo di lucro, hanno portato il debito nazionale degli Stati Uniti a oltre 31.000 miliardi di dollari, quasi 5.000 miliardi in più dell’intero Prodotto interno lordo (PIL) degli Stati Uniti. Questo squilibrio non è sostenibile, soprattutto quando il dollaro non sarà più la valuta di riserva mondiale. A gennaio 2023, gli Stati Uniti hanno speso la cifra record di 213 miliardi di dollari per il servizio degli interessi sul debito nazionale.

Il pubblico, bombardato dalla propaganda di guerra, esulta per il proprio autosacrificio. Si rallegra della spregevole bellezza delle nostre prodezze militari. Parla con i luoghi comuni che distruggono il pensiero, vomitati dalla cultura di massa e dai mass media. Si imbeve dell’illusione di onnipotenza e si crogiola nell’autoadulazione.

L’intossicazione della guerra è una piaga. Dà un’emozione che non conosce la logica, la ragione o i fatti. Nessuna nazione ne è immune. L’errore più grave commesso dai socialisti europei alla vigilia della Prima guerra mondiale fu la convinzione che le classi lavoratrici di Francia, Germania, Italia, Impero austro-ungarico, Russia e Gran Bretagna non si sarebbero divise in tribù antagoniste a causa delle dispute tra i governi imperialisti. I socialisti si assicurarono che non avrebbero firmato per il massacro suicida di milioni di lavoratori nelle trincee. Invece, quasi tutti i leader socialisti abbandonarono la loro piattaforma contro la guerra per sostenere l’entrata in guerra della loro nazione. I pochi che non lo fecero, come Rosa Luxemburg, furono mandati in prigione.

Una società dominata dai militaristi distorce le sue istituzioni sociali, culturali, economiche e politiche per servire gli interessi dell’industria bellica. L’essenza dell’esercito è mascherata da sotterfugi: usare le forze armate per svolgere missioni di soccorso umanitario, evacuare i civili in pericolo, come vediamo in Sudan, definire l’aggressione militare come “intervento umanitario” o come un modo per proteggere la democrazia e la libertà, o lodare l’esercito come se svolgesse una funzione civica vitale insegnando leadership, responsabilità, etica e competenze alle giovani reclute. Il vero volto dell’esercito – il massacro industriale – è nascosto.

Il mantra dello Stato militarizzato è la sicurezza nazionale. Se ogni discussione inizia con una domanda sulla sicurezza nazionale, ogni risposta include la forza o la minaccia della forza. La preoccupazione per le minacce interne ed esterne divide il mondo in amici e nemici, in buoni e cattivi. Le società militarizzate sono terreno fertile per i demagoghi. I militaristi, come i demagoghi, vedono le altre nazioni e culture a loro immagine e somiglianza – minacciose e aggressive. Cercano solo il dominio.

Non era nel nostro interesse nazionale fare la guerra per due decenni in Medio Oriente. Non è nel nostro interesse nazionale entrare in guerra con la Russia o la Cina. Ma i militaristi hanno bisogno della guerra come un vampiro ha bisogno di sangue.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, Mikhail Gorbaciov e poi Vladimir Putin hanno fatto pressioni per essere integrati nelle alleanze economiche e militari occidentali. Un’alleanza che includesse la Russia avrebbe annullato le richieste di espansione della NATO – che gli Stati Uniti avevano promesso di non fare oltre i confini di una Germania unificata – e avrebbe reso impossibile convincere i Paesi dell’Europa orientale e centrale a spendere miliardi in hardware militare statunitense. Le richieste di Mosca sono state respinte. La Russia è diventata il nemico, che lo volesse o meno. Niente di tutto questo ci ha reso più sicuri. La decisione di Washington di interferire negli affari interni dell’Ucraina, appoggiando un colpo di Stato nel 2014, ha scatenato una guerra civile e la successiva invasione della Russia.

Ma per coloro che traggono profitto dalla guerra, inimicarsi la Russia, come inimicarsi la Cina, è un buon modello di business. Northrop Grumman e Lockheed Martin hanno visto le loro quotazioni azionarie aumentare rispettivamente del 40% e del 37% a seguito del conflitto in Ucraina.

Una guerra con la Cina, ora un gigante industriale, interromperebbe la catena di approvvigionamento globale con effetti devastanti sull’economia statunitense e mondiale. Apple produce il 90% dei suoi prodotti in Cina. L’anno scorso il commercio degli Stati Uniti con la Cina è stato di 690,6 miliardi di dollari. Nel 2004, la produzione manifatturiera statunitense era più del doppio di quella cinese. Oggi la produzione cinese è quasi il doppio di quella degli Stati Uniti. La Cina produce il maggior numero di navi, acciaio e smartphone al mondo. Domina la produzione globale di prodotti chimici, metalli, attrezzature industriali pesanti ed elettronica. È il maggior esportatore mondiale di minerali di terre rare, ne detiene le maggiori riserve ed è responsabile dell’80% della loro raffinazione a livello mondiale. I minerali di terre rare sono essenziali per la produzione di chip per computer, smartphone, schermi televisivi, apparecchiature mediche, lampadine fluorescenti, automobili, turbine eoliche, bombe intelligenti, jet da combattimento e comunicazioni satellitari.

Una guerra con la Cina provocherebbe una carenza massiccia di una serie di beni e risorse, alcuni vitali per l’industria bellica, paralizzando le imprese statunitensi. L’inflazione e la disoccupazione salirebbero alle stelle. Verrebbe attuato il razionamento. Le borse mondiali, almeno nel breve periodo, verrebbero chiuse. Si scatenerebbe una depressione globale. Se la Marina statunitense fosse in grado di bloccare le spedizioni di petrolio alla Cina e di interrompere le sue rotte marittime, il conflitto potrebbe potenzialmente diventare nucleare.

In “NATO 2030: Unified for a New Era”, l’alleanza militare vede il futuro come una battaglia per l’egemonia con gli Stati rivali, in particolare la Cina. Il documento invita a prepararsi a un conflitto globale prolungato. Nell’ottobre 2022, il generale dell’aeronautica Mike Minihan, capo del Comando della mobilità aerea, ha presentato il suo “Manifesto della mobilità” a una conferenza militare gremita. Durante questa folle diatriba sulla paura, Minihan ha sostenuto che se gli Stati Uniti non intensificano drasticamente i preparativi per una guerra con la Cina, i figli dell’America si troveranno “asserviti a un ordine basato su regole che avvantaggia solo un Paese [la Cina]”.

Secondo il New York Times, il Corpo dei Marines sta addestrando le unità per gli assalti alle spiagge, dove il Pentagono ritiene che possano verificarsi i primi scontri con la Cina, attraverso “la prima catena di isole” che comprende “Okinawa e Taiwan fino alla Malesia, nonché il Mar Cinese Meridionale e le isole contese delle Spratlys e delle Paracels”.

I militaristi sottraggono fondi ai programmi sociali e infrastrutturali. Versano denaro nella ricerca e nello sviluppo di sistemi d’arma e trascurano le tecnologie per le energie rinnovabili. Ponti, strade, reti elettriche e argini crollano. Le scuole decadono. La produzione nazionale diminuisce. La popolazione si impoverisce. Le dure forme di controllo sperimentate e perfezionate dai militaristi all’estero migrano in patria. Polizia militarizzata. Droni militarizzati. Sorveglianza. Vasti complessi carcerari. Sospensione delle libertà civili di base. Censura.

Coloro che, come Julian Assange, sfidano la stratocrazia, ne denunciano i crimini e la follia suicida, sono perseguitati senza pietà. Ma lo Stato di guerra nasconde in sé i semi della propria distruzione. Cannibalizzerà la nazione fino a farla crollare. Prima di allora, si scatenerà come un ciclope accecato, cercando di ripristinare il suo potere decrescente attraverso la violenza indiscriminata. La tragedia non è che lo stato di guerra degli Stati Uniti si autodistruggerà. La tragedia è che porteremo con noi tanti innocenti.

Traduzione di Enzo Pellegrin per Resistenze.org

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A New York Lavrov spariglia il mazzo – Pepe Escobar

Il momento newyorkese del ministro degli Esteri Sergey Lavrov è stato l’equivalente diplomatico di un’esibizione da urlo, scrive Pepe Escobar

Immaginate un vero gentiluomo, il più importante diplomatico di questi tempi difficili, in totale padronanza dei fatti e dotato di un delizioso senso dell’umorismo, che si lancia in una pericolosa passeggiata sul lato selvaggio, per citare l’iconico Lou Reed (*), e ne esce indenne.

In effetti, il momento newyorkese del Ministro degli Esteri Sergey Lavrov – come i suoi due interventi davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 24 e il 25 aprile – ha rappresentato l’equivalente diplomatico di far crollare una casa. Almeno le parti della casa abitate dal Sud globale – o dalla Maggioranza globale.

Il 24 aprile, durante la 9308esima riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con all’ordine del giorno “Mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, multilateralismo efficace attraverso la protezione dei principi della Carta delle Nazioni Unite”, è stato particolarmente rilevante.

Lavrov ha sottolineato il simbolismo della riunione che si svolge nella Giornata internazionale del multilateralismo e della diplomazia per la pace, ritenuta molto significativa da una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 2018.

Nel suo preambolo, Lavrov ha osservato come “tra due settimane celebreremo il 78° anniversario della Vittoria nella Seconda Guerra Mondiale. La sconfitta della Germania nazista, alla quale il mio Paese ha dato un contributo decisivo con il sostegno degli Alleati, ha posto le basi per l’ordine internazionale del dopoguerra. La Carta delle Nazioni Unite ne è diventata la base giuridica e la nostra stessa organizzazione, incarnando un vero multilateralismo, ha acquisito un ruolo centrale e di coordinamento nella politica mondiale“.

Beh, non proprio. E questo ci porta alla vera e propria passeggiata sul lato selvaggio di Lavrov, che ha evidenziato come il multilateralismo sia stato calpestato. Ben oltre i torrenti di denigrazione dei soliti sospetti e il loro tentativo di sottoporlo a una doccia gelata a New York, o addirittura di confinarlo nel congelatore geopolitico, Lavrov ha prevalso. Facciamo una passeggiata con lui nell’attuale terra desolata. Signor Lavrov, lei è la star dello spettacolo.

 

O la nostra strada o l’autostrada

Quella “dell’ordine basato sulle regole”:

Il sistema ONU-centrico sta attraversando una profonda crisi. La causa principale è stata il desiderio di alcuni membri della nostra organizzazione di sostituire il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite con una sorta di “ordine basato sulle regole”. Nessuno ha visto queste “regole”, non sono state oggetto di negoziati internazionali trasparenti. Sono inventate e utilizzate per contrastare i processi naturali di formazione di nuovi centri di sviluppo indipendenti, che sono una manifestazione oggettiva del multilateralismo. Si cerca di contenerli con misure unilaterali illegittime, tra cui l’interruzione dell’accesso alle moderne tecnologie e ai servizi finanziari, l’estromissione dalle catene di approvvigionamento, la confisca delle proprietà, la distruzione delle infrastrutture critiche dei concorrenti e la manipolazione di norme e procedure universalmente concordate. Il risultato è la frammentazione del commercio mondiale, il collasso dei meccanismi di mercato, la paralisi dell’OMC e la definitiva, già senza maschera, trasformazione del FMI in uno strumento per raggiungere gli obiettivi degli Stati Uniti e dei suoi alleati, compresi quelli militari“.

Distruggere la globalizzazione:

“Nel disperato tentativo di affermare il proprio dominio punendo i disobbedienti, gli Stati Uniti hanno continuato a distruggere la globalizzazione, che per molti anni è stata esaltata come il bene più alto di tutta l’umanità, al servizio del sistema multilaterale dell’economia mondiale. Washington e il resto dell’Occidente, che si è sottomesso ad essa, usano le loro ‘regole’ ogni volta che è necessario per giustificare passi illegittimi contro coloro che costruiscono le proprie politiche in conformità con il diritto internazionale e rifiutano di seguire gli interessi egoistici del ‘miliardo d’oro’. I dissidenti vengono messi nella lista nera secondo il principio: ‘Chi non è con noi è contro di noi’. Per i nostri colleghi occidentali è stato a lungo ‘scomodo’ negoziare in formati universali, come l’ONU. Per giustificare ideologicamente la politica di indebolimento del multilateralismo, è stato introdotto il tema dell’unità delle ‘democrazie’ in opposizione alle ‘autocrazie”. Oltre ai ‘vertici per la democrazia’, la cui composizione è determinata dall’autoproclamato egemone, si stanno creando altri ‘club delle élite’, aggirando le Nazioni Unite”.

Giardino contro Giungla:

“Chiamiamo le cose con il loro nome: nessuno ha permesso alla minoranza occidentale di parlare a nome di tutta l’umanità. È necessario comportarsi con decenza e rispettare tutti i membri della comunità internazionale. Imponendo un ‘ordine basato su regole’, i suoi autori rifiutano con arroganza un principio chiave della Carta delle Nazioni Unite: l’uguaglianza sovrana degli Stati. La quintessenza del ‘complesso di esclusività’ è stata la dichiarazione ‘orgogliosa’ del capo della diplomazia dell’UE, Josep Borrell, secondo cui ‘l’Europa è il giardino dell’Eden e il resto del mondo è una giungla’. Citerò anche la dichiarazione congiunta NATO-UE del 10 gennaio di quest’anno, in cui si afferma che ‘l’Occidente unito’ utilizzerà tutti gli strumenti economici, finanziari, politici e – faccio particolare attenzione – militari a disposizione della NATO e dell’UE per garantire gli interessi del ‘nostro miliardo’.

La ‘linea di difesa’ della NATO:

“Al vertice dello scorso anno a Madrid, la NATO, che ha sempre convinto tutti della sua ‘pacificità’ e della natura esclusivamente difensiva dei suoi programmi militari, ha dichiarato la ‘responsabilità globale’, la ‘indivisibilità della sicurezza’ nella regione euro-atlantica e nella cosiddetta regione indo-pacifica. In altre parole, ora la ‘linea di difesa’ della NATO (come Alleanza difensiva) si sta spostando sulle sponde occidentali dell’Oceano Pacifico. Gli approcci di blocco che minano il multilateralismo centrato sull’ASEAN si manifestano nella creazione dell’alleanza militare AUKUS, in cui vengono spinti Tokyo, Seul e alcuni Paesi dell’ASEAN. Sotto gli auspici degli Stati Uniti, si stanno creando meccanismi per intervenire nelle questioni di sicurezza marittima con l’obiettivo di garantire gli interessi unilaterali dell’Occidente nel Mar Cinese Meridionale. Josep Borrell, che ho già citato oggi, ha promesso ieri di inviare forze navali dell’UE nella regione. Non si nasconde che l’obiettivo delle ‘strategie indo-pacifiche’ è contenere la RPC e isolare la Russia. È così che i nostri colleghi occidentali intendono il ‘multilateralismo efficace’ nella regione Asia-Pacifico”.

Promuovere la democrazia:

“Dalla seconda guerra mondiale, ci sono state decine di avventure militari criminali da parte di Washington – senza alcun tentativo di ottenere una legittimità multilaterale. Perché, se ci sono ‘regole’ sconosciute a tutti? La vergognosa invasione dell’Iraq da parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti nel 2003 è stata condotta in violazione della Carta delle Nazioni Unite, così come l’aggressione alla Libia nel 2011. Una grave violazione della Carta delle Nazioni Unite è stata l’interferenza degli Stati Uniti negli affari degli Stati post-sovietici. Sono state organizzate ‘rivoluzioni colorate’ in Georgia e Kirghizistan, un sanguinoso colpo di Stato a Kiev nel febbraio 2014 e tentativi di prendere il potere con la forza in Bielorussia nel 2020. Gli anglosassoni, che guidano con sicurezza l’intero Occidente, non solo giustificano tutte queste avventure criminali, ma sbandierano anche la loro linea di ‘promozione della democrazia’. Ma ancora una volta, secondo le proprie ‘regole’: Kosovo – riconoscere l’indipendenza senza alcun referendum; Crimea – non riconoscere (anche se c’è stato un referendum); non toccare le Falkland/Malvinas, perché lì c’è stato un referendum (come ha detto recentemente il ministro degli Esteri britannico John Cleverly). È divertente”.

La geopolitica della ‘questione ucraina’:

“Oggi tutti capiscono, anche se non tutti ne parlano ad alta voce; non si tratta affatto dell’Ucraina, ma di come si costruiranno ulteriormente le relazioni internazionali: attraverso la formazione di un consenso stabile basato su un equilibrio di interessi – o attraverso la promozione aggressiva ed esplosiva dell’egemonia. È impossibile considerare la ‘questione ucraina’ separatamente dal contesto geopolitico. Il multilateralismo presuppone il rispetto della Carta delle Nazioni Unite in tutta l’interconnessione dei suoi principi, come già detto. La Russia ha spiegato chiaramente i compiti che persegue nell’ambito di un’operazione militare speciale: eliminare le minacce alla propria sicurezza create dai membri della NATO direttamente ai nostri confini e proteggere le persone che sono state private dei loro diritti proclamati dalle convenzioni multilaterali, per proteggerle dalle minacce dirette di sterminio e di espulsione dai territori in cui i loro antenati hanno vissuto per secoli dichiarate pubblicamente dal regime di Kiev. Abbiamo detto onestamente per cosa e per chi stiamo combattendo”.

Il Sud globale reagisce:

“Il vero multilateralismo nella fase attuale richiede che l’ONU si adatti alle tendenze oggettive nella formazione di un’architettura multipolare delle relazioni internazionali. La riforma del Consiglio di Sicurezza deve essere accelerata aumentando la rappresentanza dei Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. L’attuale scandalosa sovra-rappresentazione dell’Occidente in questo principale organo delle Nazioni Unite mina il multilateralismo. Su iniziativa del Venezuela, è stato creato il Gruppo di Amici in Difesa della Carta delle Nazioni Unite. Chiediamo a tutti gli Stati che rispettano la Carta di aderirvi. È inoltre importante sfruttare il potenziale costruttivo dei BRICS e della SCO. L’UEEA, la CSI e la CSTO sono pronte a contribuire. Siamo favorevoli a utilizzare l’iniziativa delle posizioni delle associazioni regionali dei Paesi del Sud globale. Anche il Gruppo dei Venti può svolgere un ruolo utile per mantenere il multilateralismo se i partecipanti occidentali smettono di distrarre i loro colleghi dalle questioni di attualità all’ordine del giorno, nella speranza di mettere in sordina il tema della loro responsabilità nell’accumulo di fenomeni di crisi nell’economia mondiale”.

Chi sta infrangendo la legge?

Dopo questo conciso tour de force, sarebbe immensamente illuminante seguire ciò che Lavrov ha detto al mondo dal febbraio 2022, con un dettaglio coerente e straziante: i violatori seriali del diritto internazionale, nella storia contemporanea, sono stati l’Egemone e il suo misero gruppo di vassalli. Non la Russia.

Quindi Mosca aveva il pieno diritto di lanciare l’SMO, non avendo alternative. E l’operazione sarà portata alla sua logica conclusione, come previsto dal nuovo concetto di politica estera russa pubblicato il 31 marzo. Qualsiasi cosa possa essere scatenata dal Collettivo Occidentale sarà semplicemente ignorata dalla Russia, che considera l’intera combinazione come un’azione al di fuori delle norme del diritto internazionale stabilite dalla Carta delle Nazioni Unite.

(*) Riferimento a “Walk on the Wild Side”, brano decisamente di rottura all’epoca della sua uscita nel 1972, ma anche all’omonimo film americano del 1962, uscito in Italia col titolo “Anime sporche”, anch’esso decisamente di rottura. N.d.T.)

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Mao Valpiana: fermare la guerra prima che accada

(intervista di Olivier Turquet)

Mao Valpiana è Presidente del Movimento Nonviolento e coordina l’omonima casa editrice che ha partecipato fin dall’inizio a Eirenefest.

Quest’ultimo anno la cultura della guerra e della violenza sembra che abbiano preso spazio, almeno in certi media. Come l’editoria e i giornali nonviolenti sono riusciti a affrontare questa situazione? Quali sono state le cose più significative?

La guerra, e tutto ciò che la prepara e ne consegue, è pervasiva. Gli interessi economici che vi stanno dietro (quindi legati soprattutto all’industria bellica, prima, e alla “ricostruzione”, poi) sono gli stessi che finanziano il generale sistema dei media. I capitali che sostengono la produzione di armi, sono gli stessi che finanziano gli editori della comunicazione “bellicista”. La guerra ha bisogno di consenso, e se lo compera come una merce qualsiasi. E’ sempre stato così, e funziona. Basta vedere storicamente il ruolo della stampa e della propaganda nel corso della prima guerra mondiale. Non c’è quindi da stupirsi, purtroppo, se lo stesso meccanismo viene applicato alla guerra moderna. Anche in Italia molti giornali generalisti si sono “messi l’elemetto”, alcuni per convinzione, altri per interesse, altri ancora si sono semplicemente venduti a chi paga bene.

Contrastare questa tendenza, per chi come noi è ricco solo di ideali ma ha il portafoglio vuoto, è difficile. Difficile, ma non impossibile. E infatti, nonostante il fiume di denaro che i “padroni della guerra” hanno messo anche nell’informazione (meglio sarebbe chiamarla “disinformazione”), l’opinione pubblica italiana non si è fatta abbindolare, se è vero – come è vero – che i sondaggi registrano che la maggioranza del paese è negativa rispetto alle posizioni e alle scelte del governo di partecipazione alla guerra.

I nostri giornali (parlo per la nostra rivista “Azione nonviolenta”) hanno affrontato il tema con approfondimenti specifici. In particolare noi abbiamo fatto la scelta di dare la parola alle vittime delle guerra e di amplificare nel nostro paese le posizioni e le attività dei movimenti pacifisti dei paesi coinfolti nel conflitto, Russia, Ucraina e Bielorussia.

Se vuoi la pace prepara la pace: come possiamo, individualmente e collettivamente lavorare per quest’obiettivo?

La nonviolenza è innazitutto prevenzione. Il conflitto va trasformato e gestito prima che esploda la violenza degeneratrice. Fermare una guerra prima che avvenga è molto più efficace che farlo quando la parola è passata alle armi. Poi tutto si complica maledettamente, e a quel punto ci si può impegnare per limitare i danni, per aiutare o soccorrere, ma diventa quasi impossibile fermare le bombe con la nonviolenza. Per questo la strategia nonviolenta è quella preventiva, lavorare oggi per preparare la pace di domani. Maria Montessori diceva: “facciamo la pace, un bambino alla volta”. C’è un grande investimento nel futuro, una fiducia nel lavoro educativo, in questo suo importante insegnamento. Dunque il lavaro per la “educazione alla pace” è fondamentale.

L’editoria, la comunicazione, l’informazione giovano un ruolo decisivo in questo senso.

Ho la sensazione che la nonviolenza come tematica e pratica stia prendendo peso nelle società, che il tema che alla violenza si risponde con nonviolenza abbia più spazio: come la vedi tu?

Certamente in questi ultimi decenni si sono fatti molti progressi. Quando da ragazzino (ormai più di mezzo secolo fa…) ho iniziato ad interessarmi e frequentare la nonviolenza, venivamo totalmente ignorati, o peggio derisi, e poi repressi. Gli obiettori di coscienza venivano messi in carcere. Avevamo tutti contro, partiti, istituzioni. Le voci che si levavano a favore della nonviolenza, dell’obiezione di coscienza, contro la scelta militare e contro la violenza politica, erano isolatissime.

Oggi, dopo cinquant’anni di iniziative, mobilitazioni, organizzazione, finalmente la nonviolenza è divenuta “discutibile”, cioè degna di essere discussa. Anzi, molte ideologie che sembravano solidissime, sono tramontate nel nulla. La storia del ‘900 ha condannato figure che impersonificano imperi che sembravano invicibili: Hitler e Stalin sono stati condannati dalla storia, e solo la figura di Gandhi è rimasta a portare luce anche alle generazioni di oggi. Il messaggio della nonviolenza è l’unico del ‘900 che resta valido anche per il nuovo secolo, l’unico esente dal fallimento.

Certo, la guerra vuole ancora farsi spazio, ma le nuove generazioni hanno capito che come diceva Gandhi “occhio per occhio e tutto il mondo diventa cieco”. La nonviolenza è l’unica alternativa possibile. L’unica che funziona davvero.

Il Movimento Nonviolento ha lavorato in questi tempi molto sul tema della obiezione di coscienza e presenterà anche a Eirenefest la sua proposta: ce la puoi raccontare?

L’obiezione di coscienza è il fondamento della nonviolenza: prima ancora di fare del bene è necessario non collaborare con il male. Per fermare la guerra bisogna non farla. Per cessare il fuoco bisogna non sparare. La forza della nonviolenza sta in queste semplici verità.

Per questo dentro alle parti in conflitto, sia tra gli aggrediti che tra gli aggressori, abbiamo scelto coloro che comunque vogliono sottrarsi alla logica della violenza, sia quella “cattiva”, come quella “buona”, e decidono di praticare già oggi le vie della pace.

I movimenti nonviolenti sono presenti (anche se minoritari) sia in Russia, Bielorussia e in Ucraina. Sono i nostri interlocutori e con loro sosteniamo gli obiettori di coscienza, disertori, renitenti alla leva che non vogliono combattere cone le armi, che spezzano i loro fucili. La Campagna di “Obiezione alla guerra”, che presenteremo anche ad Eirenefest, consiste nell’aiuto concreto ai giovani che rifiutano l’arruolamento, fornire la difesa legale, il sostegno anche economico, l’aiuto per l’espatrio. Anche se la stampa ufficiale non ne parla, e se in Russia e in Ucraina il fenomeno viene negato, nascosto, censurato, sono migliaia e migliaia i giovani che hanno scelto questa strada. Vengono dipinti come “traditori”, nemici della patria, vigliacchi, ma sono in realtà gli unici che amano la propria patria, senza odiare quella altrui, gli unici delle due parti che già si palrano, che lavorano insieme, che mettono in atto progetti di pace.

La richiesta che facciamo ai governi dell’Europa, è quella di aprire le porte, di accogliere come fratelli gli obiettori di coscienza russi e ucraini, di riconoscere loro lo status di “rifugiati politici” e di offrire loro asilo e protezione. Anzichè dare armi per alimentare il fuoco della guerra, accogliamo chi il fuoco lo vuole spegnere. La pace futura passa da qui.

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ESCALATION LOGISTICA, LA GUERRA SI ALLARGA – Weapon Watch

Proseguendo nel proprio compito di informazione e denuncia, the Weapon Watch ha raccolto materiale informativo che prova l’incremento dell’attività logistica al servizio della guerra e la crescente militarizzazione delle relazioni internazionali.

Si tratta di elementi disparati, certo, già pubblicati da fonti ‘aperte’ o raccolti da cittadini e lavoratori della logistica sulle strade, nelle stazioni, nei magazzini. Inseriti in un quadro complessivo di spese militari in rapida espansione, segnalano che il flusso dei trasferimenti di armi e munizioni da guerra è diretto principalmente verso l’Ucraina, spesso attraverso la Polonia, un paese tornato al centro se non alla testa dello scontro politico-militare in corso in Europa. Ma allarmanti sono anche i massicci invii di armi verso l’Africa, in turbolente regioni in cui si acuisce lo scontro geopolitico e il conflitto intrecciano interessi economici (materie prime, petrolio, condotte energetiche) e dove causando spostamenti di masse di profughi civili che provocano devastanti crisi umanitarie.

Ancora obici riciclati all’Ucraina

Lo scorso 14 aprile abbiamo raccolto le testimonianze di viaggiatori che, nelle stazioni venete durante lo sciopero dei ferrovieri, hanno assistito al passaggio del convoglio di venti obici semoventi M109 dismessi dall’Esercito e donati all’Ucraina. Nuove immagini ci giungono dalla stazione di Verona Porta Nuova di un altro convoglio, il 28 aprile scorso: si tratta ancora degli stessi obici semoventi, nella versione L “migliorata” con cannone da 155 mm fabbricato da OTO Melara di La Spezia e montato complessivamente su 221 obici ex versione G, tra la fine degli anni Ottanta e la metà dei Novanta. Dovevano essere venduti al Pakistan, ma il contratto fu bloccato dall’amministrazione Trump. Una decina di esemplari è stata consegnata a Gibuti, parte del compenso per la base militare italiana nel territorio della ex Somalia francese. Parcheggiati nei depositi dell’esercito ne rimanevano ancora un centinaio, fino a che il governo Draghi ha deciso di destinarne una sessantina all’esercito di Kiev. Particolarità tecniche del cannone da 155 mm made in Italy, praticamente lo stesso che equipaggia i cannoni FH-70 a traino meccanico, sono la gittata massima di 24 km (rispetto ai 18 km della versione G) e la possibilità di utilizzare il munizionamento potenziato OTO-Vulcano e di lanciare granate nucleari tattiche…

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La controffensiva ucraina: l’irrevocabile, inutile strage – Davide Malacaria

 “L’Ucraina non è pronta per la sua grande offensiva, ma non ha scelta”. Questo il titolo di un articolo di Mark Galeotti per il The Times che inizia così: “Kiev non ha altra scelta se non quella di lanciare un’importante offensiva primaverile o estiva. I suoi leader sono sempre più intrappolati. Come ha affermato un funzionario della difesa americano: ‘Gli ucraini hanno sorpreso noi e Putin in passato, ma ora hanno molto meno spazio di manovra”.

Controffensiva spuntata, ma irrevocabile

“[…] Il presidente Zelensky – continua il giornale britannico – ha gestito l’Occidente con grande abilità, ma per mantenere tale sostegno deve dimostrare quello che gli addetti ai lavori di Washington chiamano piuttosto sfacciatamente un ‘ritorno dell’investimento’”.

Zelenky è chiamato anche a fare un’opera di “bilanciamento in politica interna”, dal momento che subisce la pressione dei falchi, aggiunge Galeotti.

Molto interessante anche un altro cenno, di tutt’altro tenore: “Un diplomatico occidentale ha parlato di una ‘surreale esperienza parallela’ avuta a Kiev: mentre i suoi interlocutori ‘dibattono su potenziali formati per i negoziati la sera”, il giorno successivo, in pubblico, ‘urlano che non possono darsi colloqui con la Russia’”. Vuol dire che spazi di manovra per negoziati esistono…

Galeotti continua parlando delle difficoltà in cui si dibattono le forze di Kiev, emerse anche dai documenti trapelati dal Pentagono: mancanza di munizioni, scarsità di blindati, poco o nullo supporto aereo, ridotte capacità delle truppe. E riferisce delle diffidenze ormai generalizzate riguardo la possibilità di ottenere una vittoria totale, in contrasto con la pubblica narrativa.

Ma “Kiev dovrà attaccare a prescindere, puntando probabilmente su qualche obiettivo ambizioso”, ad esempio Melitopol, “nodo stradale e ferroviario la cui liberazione taglierebbe il cosiddetto ponte di terra tra Crimea e Russia”.

Washington Post: la carneficina prossima ventura

A complicare le cose il fatto che l’annuncio dell’attacco, sebbene ottimo per sostenere la propaganda e così far affluire armamenti a Kiev, ha fatto perdere alle forze ucraine l’essenziale elemento sorpresa.

E ha permesso ai russi di preparare la difesa, come dettaglia il Time spiegando come questi abbiano ridotto gli attacchi, in particolare nell’area di Bakhmut (riducendo così le proprie perdite), per dedicarsi all’erezione di presidi difensivi.

Non solo, secondo M.K. Bhadrakumar, in questi giorni i russi, che hanno intensificato gli attacchi con droni, missili e artiglieria, stanno prendendo di mira la logistica e le concentrazioni dei militari ucraini per tagliare le ali all’attacco avversario (Indianpunchline).

Va da sé, infine, che chi attacca subisce maggiori perdite di chi difende. Così è giustificato quanto titola il Washington Post: “Una carneficina ancora più grande in arrivo”. Di interesse la conclusione, nella quale spiega che nonostante tale macelleria, la documentazione trapelata dal Pentagono indica che “in tutti gli scenari considerati i negoziati per porre fine al conflitto nel 2023 restano improbabili”.

Di interesse perché diversi politici e analisti prevedono che la controffensiva esaurirà le risorse ucraine ed eroderà il sostegno Nato, aprendo spazi al negoziato. Il Wp registra invece la spinta per una chiusura totale a tale prospettiva. Affinché la guerra prosegua fino all’ultimo ucraino.

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Se avessimo più di un martello… Forse non saremmo in questo guaio – Aurelien

Forse avete osservato la politica occidentale nei confronti dell’Ucraina nell’ultimo anno o giù di lì con stupefacente incredulità, e di tanto in tanto vi siete posti domande come: Si accorgono che non funziona, perché continuano così? Perché non accettano l’ovvio? Perché non provano almeno a fare qualcosa di diverso? Non sarete stati i soli. Non sorprende quindi che Internet, alla ricerca di qualsiasi spiegazione, abbondi di teorie cospirative di europei ricattati da Washington o altro. In realtà, quello che stiamo vedendo accade in molte crisi politiche. Io la chiamo la teoria dell’inerzia della politica, e spesso incoraggia gli Stati e le alleanze a continuare a fare cose stupide, perché non riescono a mettersi d’accordo collettivamente su qualcosa di meno stupido.

Si potrebbe pensare che ormai le leadership politiche occidentali abbiano iniziato a nutrire qualche piccolo dubbio sull’utilità della loro politica di confronto con la Russia, soprattutto dopo l’intervento di quest’ultima in Ucraina. Ci sono fattori di complicazione, naturalmente: per la classe dirigente europea, come ho spiegato, questa è una guerra santa contro l’anti-Europa a est. Per molte nazioni più piccole, con poche o nessuna fonte di informazione indipendente e poca influenza, c’è poca alternativa all’assecondare ciò che vogliono gli Stati più grandi. Allo stesso modo, alcuni Stati sono guidati principalmente da uno storico razzismo anti-slavo. (Non pretendo di capire cosa stia succedendo a Washington). Ma si potrebbe comunque pensare che ormai i dubbi si stiano insinuando: dopo tutto, gli europei alla fine hanno interrotto le Crociate quando è diventato chiaro che la Terra Santa non sarebbe mai stata liberata dagli invasori arabi.

Ma, come ho suggerito, questo schema è molto comune nelle crisi internazionali, e tra poco fornirò alcuni esempi passati. La teoria dell’inerzia della politica afferma che le istituzioni e i gruppi politici continueranno sempre a seguire le politiche esistenti, a meno che non venga esercitata una forza contraria sufficiente a farle cambiare. Pensate a una politica come a un oggetto che si muove nello spazio libero. Continuerà il suo percorso fino a quando qualche altra forza non lo colpirà. Maggiore è la velocità e maggiore è la massa, maggiore è la forza che deve essere esercitata. Ciò implica che il contenuto effettivo della politica, che sia sensato, fondato o addirittura praticabile, non è importante. Ciò che conta è l’inerzia accumulata della politica: quanto sostegno ha, da quanto tempo è in vigore e quanto è determinato questo sostegno. Nel caso dell’Ucraina (e non è l’unico) le forze che hanno agito sulla politica hanno di fatto aumentato la sua massa e la sua velocità nella stessa direzione. (Questo ha una relazione con le teorie di Jacques Ellul, di cui ho già parlato in precedenza, che sosteneva che quella che lui chiamava tecnica consiste in processi che pensiamo di sviluppare perché ci sono utili, ma che alla fine finiscono per controllarci).

Perché? Perché la politica è essenzialmente una questione di compromessi e di interessi condivisi. Ogni volta che è coinvolta più di una nazione, è necessario un compromesso di qualche tipo, perché, per definizione, gli obiettivi e le situazioni di due Paesi non possono mai essere identici. Aumentando aritmeticamente il numero dei Paesi, aumentano geometricamente le relazioni tra di essi. Questo significa che qualsiasi politica collettiva è un po’ come un iceberg: si vede la parte pubblica, che è il consenso, spesso faticosamente raggiunto, ma non si vede la massa privata, molto più grande, fatta di riserve, di accomodamenti inopportuni, di sordidi accordi di retroguardia, di eccezioni e trattamenti speciali richiesti, di resistenze nascoste e di molte altre cose. È normale che il consenso sia complesso e fragile, e questo va bene finché tutti vanno nella stessa direzione. Ma cosa succede quando ci si trova nella condizione di dover cambiare qualcosa?

Pensate a un esempio classico: La NATO alla fine della Guerra Fredda. L’intera giustificazione pubblica della NATO era stata la minaccia sovietica, che era appena scomparsa. Era dunque giunto il momento di chiudere i battenti? Beh, come ho già sottolineato in precedenza, la NATO presentava diversi vantaggi, non dichiarati ma importanti, per tutta una serie di Paesi, e di conseguenza c’erano preoccupazioni reali su ciò che sarebbe potuto accadere in Europa occidentale se fosse improvvisamente scomparsa. Ma in ogni caso, la NATO non poteva scomparire all’improvviso, perché i suoi membri avevano firmato, individualmente e in blocco, il Trattato sulle Forze Armate Convenzionali in Europa, che di fatto imponeva alla NATO di amministrarne la metà. Molto bene, quindi, ma che dire del futuro? I problemi fondamentali erano due. Uno era il ritmo isterico degli eventi dell’epoca e la proliferazione dei problemi. Oltre alla fine della Guerra Fredda in sé, alla fine del Patto di Varsavia e alla caduta dell’Unione Sovietica, all’unificazione della Germania e al piccolo problema di cosa fare delle armi nucleari sovietiche al di fuori della nuova Russia, c’erano banalità come la Prima Guerra del Golfo e le sue conseguenze, e (per gli europei) i Trattati di Maastricht sull’Unione Politica e Monetaria, oltre alla solita schiera di problemi transitori che reclamavano l’attenzione dei governi occidentali venticinque ore al giorno. Anche solo liberare un po’ di spazio nelle menti dei governi per iniziare a pensare al futuro della NATO sarebbe stato uno sforzo erculeo…

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Ucraina. La Cina spiazza gli Usa e strizza l’occhio alla Ue – Michelangelo Cocco

La Cina manderà in Ucraina e in “altri paesi” un inviato speciale per favorire una soluzione politica del conflitto in Ucraina. È questo il primo effetto concreto del colloquio telefonico di circa un’ora che mercoledì 26 aprile Xi Jinping ha avuto col suo omologo Volodymyr Zelensky.

Per la prima volta dall’invasione russa del 24 febbraio 2022, il presidente cinese ha discusso con quello ucraino, rendendo evidente con l’intervento diretto della massima autorità del partito comunista che l’attivismo diplomatico di Pechino è sostanziale e mira a fermare una guerra che danneggia gli interessi della Cina, peggiorando le sue relazioni con gli Stati Uniti e l’Unione Europea, e deprimendo il commercio internazionale.

 

Volodymyr Zelensky e Xi Jinping

La Cina si è finora mantenuta “neutrale”: non ha condannato la guerra d’aggressione del suo quasi-alleato, ma non ne ha nemmeno sostenuto lo sforzo bellico, mentre ha ribadito continuamente l’importanza dei princìpi di “sovranità” e “integrità territoriale” (dell’Ucraina).

Con la telefonata Xi-Zelensky, la Cina diventa di fatto l’unico grande paese a essere sceso in campo chiedendo la fine delle ostilità sulla base di un documento ufficiale, la “Posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina”, pubblicata il 24 febbraio scorso.

Grazie alla sua “neutralità”, Pechino può esercitare una potente leva nei confronti sia di Mosca (in virtù della quasi-alleanza Cina-Russia e del rapporto “personale” tra Xi e Putin) sia di Kiev, alla quale è legata da ottimi rapporti, anche commerciali, e che promette di aiutare finanziando la ricostruzione.

Xi si è accordato con Zelensky per spedire come inviato speciale a Kiev (e in “altri paesi”) una delegazione guidata da Li Hui, attualmente rappresentante di Pechino per gli affari eurasiatici.

Il numero uno del partito comunista cinese ha chiarito che il compito di Li sarà quello di aiutare a condurre “comunicazioni approfondite” con tutte le parti coinvolte per “trovare una soluzione politica alla crisi ucraina”. La nomina di un inviato speciale è il primo passaggio formale per tentare di mettere attorno a un tavolo negoziale russi e ucraini, sostenuti da una mediazione forte…

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Ordine mondiale e il De Profundis delle “regole occidentali” – Giuseppe Masala

“Il denaro c’è ma non si vede: qualcuno vince e qualcuno perde”

Wall Street, regia di Oliver Stone

Mentre continuano i combattimenti tra Russia e Occidente nell’Ucraina ridotta a campo di battaglia e con il povero popolo ucraino ridotto a semplice riserva di carne da macello, le cose più interessanti nel panorama internazionale continuano ad avvenire lontano da quelle terre martoriate, spesso a centinaia se non migliaia di chilometri.

In buona sostanza, come spesso accade nella storia, mentre gli occhi delle persone sono puntati su un determinato fatto, mani invisibili plasmano il futuro dei popoli senza essere viste, combattendo una battaglia su piani totalmente slegati da quelli relativi agli eventi bellici nei campi di battaglia.

Fuori di metafora, mentre tutti descrivono come risolutiva – in un senso o in un altro – la prossima offensiva ucraina per riconquistare parti del Donbass, magari fino ad avere nuovamente sbocco nel Mare di Azov, il corso degli eventi viene deciso sul piano della grande diplomazia e della grande finanza.

Sicuramente è da considerare come storico il discorso solenne del Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov che presiedeva la riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu del 24 Aprile. Dopo aver rimarcato tutti gli errori dell’Occidente allargato, ricordando le gravi conseguenze di ciò che considera “unilateralismo occidentale” e dell’ordine mondiale “basato su regole” (regole però variabili a seconda degli interessi occidentali come argomenta Lavrov), invita il resto del mondo e le Nazioni Unite a riformare la stessa ONU allargando il Consiglio di Sicurezza a paesi africani, sudamericani e asiatici, ovviamente riferendosi agli alleati BRICS India, Brasile e Sud Africa.

Inoltre il mitico “Soviet Sergej” ha cantato il De Profundis alla globalizzazione scaturita dalla caduta del Muro di Berlino e dalla fine dell’Unione Sovietica: “Nel disperato tentativo di affermare il proprio dominio punendo i disobbedienti, gli Stati Uniti sono arrivati a distruggere la globalizzazione, che hanno presentato per molti anni come un grande beneficio per l’umanità al servizio del sistema multilaterale dell’economia globale” (1).

Non mi pare esagerato dire che il discorso di Lavrov sia da considerare come una via di mezzo tra una dichiarazione di guerra e un ultimatum. In buona sostanza si chiede la fine dell’egemonia assoluta occidentale; la fine delle regole furbesche imbastite dall’occidente per torcere qualunque iniziativa a proprio vantaggio e soprattutto si chiede la fine dell’egemonia occidentale sulle Nazioni Unite (da cui molto spesso le iniziative anche militari degli USA e della Nato hanno tratto legittimità) aprendo il consiglio di sicurezza ad altre realtà che stanno emergendo in questo nuovo secolo. Pare anche difficile dire che Lavrov non abbia ragione quando chiede un posto tra i membri permanenti ad un paese come l’India che oltre ad essere una potenza nucleare è anche – ormai – il paese più popoloso al mondo. Poi certamente la Russia che si fa portatrice della bandiera dei paesi emergenti e ne sostiene le ragioni in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU ottiene anche un ulteriore vantaggio, quello di portare questi paesi inesorabilmente dalla propria parte isolando sempre di più l’Impero Occidentale. Uno smacco enorme per l’Occidente.

Smacco enorme che continua ad avere i suoi riverberi sul fronte fondamentale della cosiddetta de-dollarizzazione dei commerci internazionali. Infatti il vice premier russo Novak ha annunciato l’intenzione della Russia il passaggio pagamenti in yuan e rubli di tutti gli accordi bilaterali energetici del paese dando così un’altra mazzata all’egemonia americana.

E anche il governatore della Banca di Indonesia Perry Warjiyo ha annunciato che Giacarta sta già compiendo passi concreti verso l’allontanamento dal dollaro USA. Non si consideri questo annuncio come poco importante: l’Indonesia è un paese in via di forte sviluppo, con un PIL di 1 trilione di dollari, il più grande della regione, e 274 milioni di abitanti; ed è considerata uno dei Paesi a maggiore potenziale di crescita nei prossimi anni anche dalle grandi banche d’affari occidentali. Il fatto rimarchevole è che ormai tutto il mondo si sta ribellando all’egemonia – e oserei dire – al dispotismo occidentale.

Mazzate queste sul dollaro che – come ho già descritto in altri articoli – non sono ininfluenti sulla stabilità interna del sistema finanziario degli Stati Uniti e dei paesi occidentali. L’equilibrio finanziario di una nazione è dato dalla coincidenza tra risparmi e investimenti (R = I); quando i risparmi sono inferiori agli investimenti la differenza è coperta dai capitali provenienti dall’estero. Ora, si dà il caso che in USA i risparmi sono di molto inferiori agli investimenti visto che la posizione finanziaria netta del paese è negativa per oltre 16mila miliardi di dollari. Tutti capitali provenienti dall’estero, attratti certamente dalla possibilità di facili guadagni ma anche dalla necessità dei paesi d’origine di avere dollari come riserva (pensate solo alle banche centrali di tutto il mondo che investono le proprie riserve in dollari in titoli di stato USA). Se i paesi iniziano a liberarsi di dollari perché si è deciso di abbandonare questa moneta come standard dei commerci internazionali secondo voi quei capitali rimangono in USA? Certo che no. E allora qual è la conseguenza diretta? La conseguenza diretta è che si rompe quel fondamentale equilibrio nazionale tra risparmi e investimenti. E come è evidente le prime istituzioni a risentirne – spesso fino al default – sono le banche che appunto mettono in contatto i risparmi e la domanda di investimenti. Se i soldi prestati da una banca sono superiori ai risparmi depositati, alla lunga, la banca entra in crisi. E infatti…è notizia proprio di ieri che la First National Bank americana salvata appena un mese fa da un prestito di oltre 30 miliardi di dollari di un pool di banche USA sta nuovamente rischiando il fallimento e forse sarà nazionalizzata. La causa scatenante è stata appunto “la corsa agli sportelli” (che ora si fa silenziosamente davanti ai terminali di un computer) che ha colpito la banca con oltre 100 miliardi di dollari di depositi ritirati (2).

Ovviamente non possiamo dire se i capitali usciti dalla First National Bank si siano spostati da una banca all’altra degli USA o se, come penso io, almeno in parte siano defluiti dal sistema finanziario USA per approdare verso altri lidi più sicuri. Ma il pericolo è fortissimo.

Attendiamoci nei prossimi mesi nuove scosse nel sistema bancario occidentale, non solo americano, ma anche inglese, spagnolo, portoghese e teoricamente francese (nel senso che i francesi saranno probabilmente coperti dai ricchi tedeschi). Ovviamente attendiamo anche reazioni statunitensi sul piano militare.

Note

(1) L’AntiDiplomatico, Lavrov al Consiglio Onu (Discorso integrale in italiano), 26 Aprile 2023

(2) MilanoFinanza News, First Republic crolla, è fuga dai depositi per oltre 100 miliardi. Lo spettro del 2008, 25 Aprile 2023.

da qui

 

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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