Mullis, il Nobel che rubava paraffina
Di Alessio Adamiano – fedorpavlovic@yahoo.it
Quello è uno scienziato? Un nobel?
Sfido chiunque a pensarlo, guardando l’uomo seduto in maniera scomposta sulla sedia girevole al centro del palco mentre si agita e si muove nervosamente, e sentendo il pubblico ridere alle sue battute e rumoreggiare durante le sue riflessioni bizzarre sulla vita di Robert Boyle (http://www.youtube.com/watch?v=LNOtiRB3uyk).
Se non discutesse esclusivamente di argomenti scientifici, potreste pensare a uno di quei comici statunitensi irriverenti alla Bill Hicks, che parlano degli effetti positivi delle droghe, che criticano gli investimenti del governo in armamenti e propongono paradossi metafisici per deridere l’insensatezza della religione. Basta guardarlo, o ascoltarlo, per capire che Kary Mullis è lontano anni luce dall’immagine stereotipata del chimico topo di laboratorio, con gli occhiali e il camice bianco, che maneggia con destrezza delle provette trasparenti contenenti strani liquidi. Leggendo il suo libro “Ballando nudi nel campo della mente“, tradotto dall’inglese all’italiano per la Baldini Castoldi Dalai editore, si delinea il profilo di un chimico – un biochimico per l’esattezza – geniale e pasticcione, che indossa camicie hawaiane e che ruba paraffina dal laboratorio per usarla sulla propria tavola da surf prima di tuffarsi in acqua. Un’immagine diametralmente opposta a quella diffusa in Europa e nel mondo (ma soprattutto in Italia), dove la scienza e gli scienziati sono inevitabilmente collegati alla serietà, se non alla noia, di un mondo che esclude la fantasia e l’immaginazione dalla propria esistenza. Per contrasto, Mullis arriva ad affermare con convinzione che un laboratorio – il luogo della scienza per antonomasia – non è altro che “un posto come un altro per giocare”, una cucina in cui invece di verdure e spezie, si mescolano reagenti di ogni tipo.
Fin dai primi capitoli si rimane affascinati da questo personaggio controverso, con una vita non proprio morigerata alle spalle – è l’unico premio Nobel ad aver dichiarato pubblicamente di aver fatto uso dell’ LSD (dietil-ammide dell’acido lisergico) e ad aver descritto un ipotetico incontro con forme di vita extraterrestri – capace di spaziare, seppur maldestramente, da una parte all’altra dello scibile umano. La descrizione della scoperta della PCR, la Polymerase Chain Reaction, che gli valse il premio Nobel nel 1993, non occupa che le prime trenta pagine del libro mentre le rimanenti sono in buona parte dedicate alle sue esperienze paranormali con droghe e donne (ben tre ex-mogli). Nei capitoli in cui si ricorda di essere un Nobel, e quindi di dover dire qualcosa di sensato e di rilevanza globale, eccolo esprimere con durezza le proprie critiche ad HIV ed effetto serra, “senza peli sulla lingua”. È allucinante il racconto di quando sotto antistaminici, per viaggiare un po’ con una boccata di protossido di azoto, cade svenuto e rischia la menomazione della lingua e della bocca. Da questa e da altre vicende raccontate nel libro, si capisce la titubanza del comitato per l’assegnazione del Nobel nel conferirgli il premio, nonostante l’invenzione della tecnica che ha rivoluzionato lo studio del DNA: quelle che ci infila in testa sono idee pericolose, quasi sovversive, come ad esempio che l’effetto serra e il buco dell’ozono non esistono, oppure che la relazione AIDS/HIV non è mai stata scientificamente dimostrata. Un bel mattone da digerire, se si pensa che non è stato ancora smentito dalle alte sfere del WHO (World Health Organization), l’autorità di indirizzo e coordinamento dei sistemi sanitari degli stati membri delle Nazioni Unite, che voleva vaccinarci tutti da una normale febbre stagionale, la “terribile” suina. Il discorso però cambia per le sue dichiarazioni sui cambiamenti climatici globali, che sono in contrasto con moltissimi studi svolti nel massimo rigore scientifico. A suo discapito va ricordato che “Ballando nudi nel campo della mente” è stato pubblicato nel 1998, anni in cui la comunità scientifica era ancora divisa sull’argomento. E comunque stiamo parlando di un biochimico, e non di un climatologo! Per essere più espliciti, mentre per la questione HIV/AIDS possiamo concedergli il beneficio del dubbio (è il suo lavoro), le sue dichiarazioni sul riscaldamento globale sono affidabili quanto quelle dell’italico Zichichi, che è un fisico, sulla teoria evoluzionistica di Darwin. Mullis non sembra molto ferrato in materia e a volte le sue obiezioni su questo tema fanno sorridere per la loro ingenuità, come ad esempio quando ci ricorda che visti dal finestrino di un aereo sembriamo delle formiche, e che quindi non dovremmo avere la presunzione di crederci capaci di avere un effetto così rilevante sulla vita del nostro pianeta.
Nonostante gli slanci critici mal calibrati e l’insensatezza del metodo, riportato a pagina 145, per il calcolo del valore del pi greco (davvero un erroraccio per un Nobel), il suo libro ha il grande merito di ricordare a tutti che il ruolo primario della scienza è quello di abbattere i pregiudizi e i luoghi comuni, andando oltre il semplice esercizio di un metodo razionale – quello scientifico – per innescare nella mente umana la curiosità di conoscere e l’immaginazione per comprendere le dinamiche della realtà in cui viviamo. Ed è a questo scopo che Mullis non ci parla solo di dati o di esperienze di laboratorio, ma estende le sue riflessioni al mondo del paranormale, soprattutto all’astrologia, puntando il dito sulla comunità scientifica internazionale che nel corso degli ultimi centocinquanta anni ha lasciato ai “ciarlatani” il compito di investigare l’influenza dei pianeti e delle stelle sulla nostra vita (beccati questo Zichichi! verrebbe da dire). Quindi, se la prossima volta doveste incontrare qualcuno che vi somiglia terribilmente per poi scoprire che è del vostro segno zodiacale, non vergognatevi di sentire l’impulso di curiosare nella vostra carta astrale perchè “non esistono domande che non si possono fare”. D’altra parte, in questa vita frenetica e frettolosa, da cui siamo sempre troppo assorbiti e che affetta il nostro tempo in mille impegni, a chi dovremmo chiedere dei chiarimenti, se non alle stelle, per ricordarci che siamo parte dell’Universo?
Se maometto non va… non mi è arrivata la notifica della pubblicazione, ma sono venuta a cercarti: sapevo bene di trovarti, qui, pronto a raccontare qualcosa che non conoscevo e ho letto con estremo interesse.
Grazie Alessio, mi hai messo curiosità di leggerlo e mi hai riconfermato una mia certezza: i camici bianchi, la seriosità esteriore, la “visiva professionalità” non aggiungono nulla alle reali capacità e qualità individuali.
A rileggerti.
clelia
Grazie Clelia.
Sono contento che il post sia riuscito a stimolare il tuo interesse.
A presto
Beh, non si può mai essere positivi al 100%, di solito vale la filosofia dello yin e dello yang … anche se non ce ne accorgiamo!
Sto leggendo il libro di Mullis e mi sono accorto dello strafalcione di pagina 145 sul pi greco. Mi sono imbattuto in questo blog alla ricerca, sulla rete, di qualcuno che se ne fosse accorto.
Data la gravità della cosa (e la sicumera con cui tutto il discorso viene fatto da Mullis per dimostrare di non essere uno sfigato con i numeri) ero in rete soprattutto per cercare se, in americano, non vi fosse qualche termine strano per identificare il rapporto aureo (il valore cui tende il rapporto tra un numero ed il precedente nella successione di Fibonacci), in modo da poter dare la colpa al traduttore: ma così non è.
Se aggiungiamo a tutto questo gli sproloqui sul clima e quant’altro troviamo nel libro viene proprio voglia di dire anche a Mullis “ufele’ fa ‘l to meste'”.
Grazie Vittorio per il commento.
Come vedi non sei l’unico ad essersi accorto dell’errore. Discutendone con alcuni Prof. di chimica con cui giornalmente ho a che fare e che hanno letto il libro, non siamo riusciti a capire come abbia fatto a tirar fuori quei numeri. La cosa simpatica è che all’inizio tutti/e hanno avuto l’impressione di non capire o che sia sfuggito qualcosa, quando invece è solo un’errore di Mullis.
L’errore non è di Kary Mullis che nel testo inglese scrive “It’s called the Fibonacci series, and if that isn’t
enough excitement for you, then you divide the last term by the one right before it and as the numbers get larger, you get a closer and closer approximation to something called Phi”, ma della traduttrice che evidentemente non conosce né il greco né la geometria. Infatti Phi (φ) indica la sezione aurea ovvero il numero di Fidia ottenibile dalla serie di Fibonacci (https://it.wikipedia.org/wiki/Successione_di_Fibonacci) come correttamente descritto da Mullis, e non pi greco (π)