17 aprile: avvelenare il mare, uccidere il pianeta

Era meglio dar retta a Platone sull’acqua di Fabrizio Melodia

Quando leggerete questo post mancheranno 19 giorni al referendum su trivella selvaggia ed eterna

Notriv-Imola

Qualche altra storia da ascoltare pensando al 17 aprile e al dopo (*)

Era meglio dar retta a Platone: «La legge sull’acqua sia dunque questa: chi corrompe con veleni l’acqua altrui sia citato in giudizio; se colpevole […] oltre alla multa sia condannato a purificare le fonti o il deposito d’acqua». E invece assistiamo a una brutta “querelle” sulle trivellazioni petrolifere in alto mare, per molti “triv benedette” se si tratta di posti di lavoro – quanti? – di risorse da utilizzare – a che prezzo per la collettività – e di far lavorare “in pace” il governo.

Si sta tacendo sul referendum del 17 aprile per non discutere nel merito ma anche per inficiare i sistemi della democrazia: si toglie potere al popolo sperando che il popolo sia tutto bue e non gli importi.

Del referendum del 17 aprile connesso a possibili storie della fantascienza che, anche qui, possono esserci d’aiuto a immaginare “altri futuri” ha già accennato db qualche giorno fa e io riprendo il filo dell’ecologia e delle possibili – probabili, se continuiamo così – apocalissi in un non lontano futuro.

«Nella fase finale del ventesimo secolo abbiamo avuto l’opportunità, prima accessibile solo attraverso la teologia o la finzione narrativa, di vedere oltre la fine della nostra civiltà, di scorgere, in una strana sorta di retrospettiva prospettica, come si presenterebbe la fine: come un campo di sterminio nazista, o un’esplosione atomica, o una wasteland ecologica o urbana. E se siamo stati in grado di vedere queste cose è solo perché esse sono già accadute» scrive James Berger nel suo saggio «Dopo la fine. Rappresentazioni del post apocalisse» (1999, University of Minnesota Press).

Grazie alla fantascienza possiamo tentare di lanciare uno sguardo nel futuro e vedere verosimilmente dove ci porteranno le nostre sconsiderate azioni, se non daremo ascolto alla Ragione, affidandoci ciecamente al Mercato che sempre di più sta stritolando l’umanità, a favore solo del 10 per cento – a dir tanto, forse solo l’1% – della popolazione.

Iniziamo con la gagliarda Mary Wollstonecraft Shelley, mamma letteraria della celeberrima «creatura» del dottor Frankenstein, ma figlia reale di quella Mary Wollstonecraft che fu filosofa e difensora dei diritti delle donne.

«L’ultimo uomo» – pubblicato nel 1826 – è considerato il miglior lavoro dell’autrice dopo «Frankenstein»: è un romanzo potente, antesignano della più moderna fantascienza apocalittica, dove s’immagina che l’umanità sia stata annientata dalla pestilenza. Ipotesi che sarebbe stata ripresa anni dopo dal noto scrittore – ma anche sovversivo, pugilatore, giornalista, avventuriero – Jack London, con il romanzo breve «La peste scarlatta» (1912), in cui si narra del 2073, sessant’anni dopo che una inarrestabile pestilenza, la “morte rossa”, ha eliminato gran parte della popolazione umana e fatto ripiombare i pochi sopravvissuti nell’età della pietra. James Howard Smith, un vecchio fra i pochi superstiti nell’area di San Francisco negli Stati Uniti, racconta come andarono le cose ai nipoti imbarbariti dei sopravvissuti, cercando di impartire loro una lezione di saggezza e di conoscenza.

Peccato che molti esseri umani siano un po’ duri di comprensione e non riflettano abbastanza sulle possibili catastrofi ecologiche e dunque sulla «coscienza del limite» che dovrebbe guidarci nelle scelte tecnologiche-politiche.

Nel romanzo «Più verde del previsto» (prima edizione americana 1947, pubblicato su Urania nel 1981) lo scrittore Ward Moore metterà l’umanità davanti alle inevitabili conseguenze di un uso sconsiderato della scienza. Il suo protagonista Albert Weener, disoccupato in cerca di lavoro, incontra una scienziata geniale, tale Francis, la quale ha inventato un sistema per aumentare la capacità di nutrimento delle graminacee, in modo da ottimizzare la crescita e la resistenza delle piante. Accettando di malavoglia il lavoro, Weener innaffia per errore un giardino incolto, in cui è presente una comune erbaccia infestante. Tale erba, a contatto con la sostanza, cresce in maniera esponenziale, fino a ricoprire tutto ciò che la circonda e oltre, dimostrandosi resistente a ogni rimedio usato, dagli esplosivi ai lanciafiamme. L’erba ricopre ettari di terreno e poi … continenti, mentre Weener diventa in breve tempo uno degli uomini più ricchi del pianeta, totalmente menefreghista del disastro ambientale da lui stesso causato.

Alla fine sulla terra l’erbaccia infestante si è espansa in ogni dove, uccidendo qualunque altra forma di vita, mentre Weener e la scienziata Francis si rifugiano sul lussuoso yacht del magnate, con la speranza di aver trovato un rimedio. Ma presto l’erba arriverà sull’imbarcazione, essendo i semi trasportati dal vento.

Su registri simili lo scrittore britannico John Christopher – nome d’arte di Sam Youd – nel suo «Morte dell’erba» (1956). Il romanzo tratta dell’imbarbarimento della società in seguito al diffondersi del virus Chung-Li, il quale colpisce e irrimediabilmente distrugge tutti i tipi di quella che sinteticamente è definita “erba” (con maggior precisione, le piante appartenenti alla famiglia delle Graminaceae, fra cui il comune foraggio, il mais, il miglio, il sorgo, la segale, l’orzo, il riso e il grano) causando così la lotta selvaggia per l’accaparramento delle scorte alimentari. Il protagonista combatte per raggiungere la valle del fratello che rappresenta la salvezza, dove contro l’ottimismo ingiustificato elle autorità mondiali e la distruzione folle delle risorse, si sono isolate e difese le piante alimentari superstiti.

Per concludere il romanzo «Il vampiro del mare» (1958) di un altro scrittore inglese, il discontinuo Charles Eric Maine. Inizia così: «Se davvero gli oceani venissero a poco a poco inghiottiti dalla frattura in fondo al letto del Pacifico? La Terra rimarrebbe svuotata dal suo sangue, l’acqua, come se le fosse stato succhiato da un vampiro…». E’ questa l’agghiacciante ipotesi portata avanti nel romanzo, vicina al problema delle trivelle in quanto il mare viene trattato con la stessa superficialità di bambini che giocano con i secchielli: tre bombe H vengono fatte esplodere sul fondo del Pacifico, e i governi sono soddisfatti dell’«ottimo risultato». Non molto tempo dopo, il giornalista Wade viene a conoscenza che il livello dell’oceano “sembra” abbassarsi a vista d’occhio, secondo le stime degli scienziati, messi a tacere dalla censura dei governi implicati negli esperimenti nucleari. Poco a poco trapela la tremenda verità, ovvero che l’esperimento ha portato alla frattura della dorsale del Pacifico, la quale sta inghiottendo tutta l’acqua. La rete censoria viene tesa non tanto per impedire il panico popolare mentre si “rimedia” all’accaduto, quanto per consentire ai pochi eletti – cioè agli straricchi – di trovare posto nei rifugi appositamente allestiti nell’Artide, mentre il nostro pianeta viene sconvolto dai terremoti, i porti non sono più agibili e le comunicazioni si interrompono. E la Terra sprofonda nella barbarie…

Visioni tragiche non prive di verosimiglianza perché dove la Ragione umana naufraga – in nome del profitto e delle convenienze politiche – scatta l’autodistruzione mutua di massa.

Occorre una profonda riflessione riguardo alla Terra come bene comune, di cui tutti siamo in prima persona responsabili e il cui egoistico sfruttamento porterà ineluttabilmente all’estinzione della razza umana.

Il referendum del 17 aprile contro le trivellazioni nel suo piccolo è importante. Anche coloro ai quali non importa di andare a votare dovrebbero riflettere sull’importanza, allargando i propri interessi oltre l’orticello casalingo.

Nelle pochissime discussioni italiane sulle trivellazioni quasi mai si fa cenno alla fragilità dell’ecosistema dell’Adriatrico, già duramente compromesso per le speculazioni e per le violenze subite negli anni passati. Non si accenna minimamente che le zone costiere sono quelle con il più alto tasso di produttività marina. Non si fa alcuna menzione riguardo all’esistenza di accordi per la salvaguardia dell’ambiente marino dall’inquinamento (Convenzione di Barcellona, 1976) o di protezione delle biodiversità (Convenzione di Rio, 1994) sottoscritte e impegnative anche per l’Italia. E neppure si rammenta che anche i valori estetici del paesaggio e dell’ambiente sono tutelati dalle leggi del nostro Paese (articolo 9 della Costituzione).

Per parafrasare il Platone citato all’inizio, le leggi per coloro che inquinano o minano la sicurezza e la salute dell’ambiente devono essere chiare e rispetttate: che tali criminali non possano più nuocere.

(*) Questa è la seconda parte di una possibile narrazione che intreccia trivelle e fantascienza. La prima parte era qui: Avvelenare il mare: con o senza trivelle e si potrebbe proseguire. Un altro scrittore inglese inglese John Brunner scrisse sul “terra-cidio” in due dei suoi romanzi più celebri: «Tutti a Zanzibar» del ’67 e «Il gregge alza la testa» del ’72. Solo allarmi? E se la fantascienza invece avesse anche lanciato – in forma di letteratura ovviamente, come le si addice – idee originarie per affrontare la quotidiana “finitezza” delle risorse, per combattere lo spreco e la nostra crescente incapacità di affrontare la complessità e di programmare/immaginare i futuri possibili? Mi permetto di proporre a qualche editore intelligente di ristampare l’esaurito «Gli anni della città» di Frederik Pohl. E intanto consiglio a chi sta leggendo di cercare la riedizione di «Ecotopia», un romanzo (ma anche saggio e profezia) di Ernest Callenbach: nel 1975, quando uscì negli Stati uniti, vendete un milione di copie. In italiano è stato ristampato – per la terza volta – nel 2003 da Blu Edizioni e credo sia ancora rintracciabile,

Proseguire allora… anche dal vivo se ci invitate da qualche parte per discutere del 17 aprile, per ragionare su come invertire la rotta. Nella locandina qui sopra come vedete una iniziativa di questo genere “debutta” domenica a Imola. Per cambiare l’oggi dobbiamo immaginare un futuro davvero diverso. Mentre ci ragioniamo… facciamo partire il passaparola: il 17 si vota sì. (x la redazione Daniele Barbieri e Fabrizio Melodia)

Qui in “bottega” ogni giorno parliamo – l’opposto insomma di ciò che fanno i “media di regime” (cioè quasi tutti) – del referendum “no triv” . Ma bisogna che ognuna/o in questi pochi giorni faccia la sua parte: si informi e informi, racconti in giro cosa accadrà se non si raggiunge il quorum o se si perde il referendum (in teoria possibile, praticamente impossibile). Muoviamoci contro la «dittatura del petrolierato», contro chi vuole giocare con le nostre vite. Aiutateci nel nostro lavoro informativo mandando alla “bottega” informazioni, storie, vignette, immagini… Noi posteremo tutto.

 

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *