Di-letta-rsi ad amputare la scuola
di Daniela Pia
In un articolo pubblicato sul «Corriere della Sera» nei giorni scorsi, Gianna Fregonara (oltre che giornalista moglie del premier) vorrebbe apparire super partes, raccontando della necessità di accorciare di un anno il percorso di studi. Siamo propensi a credere che non sia intervenuta nessuna interferenza fra ciò che ha imposto la spending review di Letta e il bisogno incontrollabile di fare cassa – attingendo ancora laddove non sono rimasti nemmeno i tetti, che crollano – e la posizione assunta dalla giornalista Fregonara. La quale nel suo pezzo sposa in pieno l’idea di ridurre a quattro anni l’istruzione superiore perché, a suo dire, ciò consentirebbe di «integrare la scuola con la società e con il lavoro», con «il fare esperienza». Sottolinea, inoltre che questa soluzione «Farebbe la felicità dei ragazzi e, secondo una parte consistente di pedagogisti ed esperti, anche il loro bene». E fra un beneficio e l’ altro, così en passant, aggiunge: «Sarebbe una boccata d’ossigeno per le casse dello Stato: risparmio stimato, tre miliardi». Sottolinea poi che la proposta piacerebbe sia ai professori universitari che agli imprenditori. Mentre parrebbero perplessi gli operatori del mondo della scuola – i soliti reazionari. Per avvalorare le sue tesi cita quindi il parere di Susanna Mantovani, professore ordinario di pedagogia all’università la quale evidenzia che «i ragazzi sono stufi, privi di motivazione» per cui questa riduzione potrebbe «diventare un anno di passaggio in cui si esce dalla gabbia dei programmi per incominciare a nuotare da soli». Anche per A. Gavosto della Fondazione Agnelli il taglio è auspicabile perché si tratterebbe «di non perdere tempo nell’ingresso del mondo del lavoro»; a suo dire «oggi i ragazzi nell’ultimo anno di superiori si annoiano: vorrebbero andare all’estero e invece sono lì bloccati. Sarebbe molto più utile riservare un anno di istruzione o formazione da poter usare durante l’esperienza lavorativa, sul modello anglosassone o scandinavo dei prestiti di onore». Non ci hanno fatto mancare nemmeno il confronto con il resto d’Europa questi tecnici, super esperti, e persino con l’America, senza mai accennare però alle diverse condizioni di partenza fra il nostro e quei Paesi; nemmeno un riferimento agli investimenti continui che hanno caratterizzato quei sistemi di istruzione.
Ecco fatto, basta prendere una giornalista che si di-letta di raccontare il nuovo che avanza nell’universo mondo-istruzione, si aggiunge una pedagogista titolata e la ciliegina di un economista: la torta fragrante è pronta per essere servita. La ricetta sarà capace di motivare, stimolare ,coinvolgere e finalmente rendere protagonisti gli studenti come nessun insegnante sarà mai capace di fare.
Tagliando la scuola di un anno, il quinto delle superiori, si apriranno nuovi orizzonti a questa generazione invisibile che avrà un’ iniezione di fiducia e ravviverà la speranza. Stiamo parlando, naturalmente di giovani studenti ma anche ex studenti, gli stessi che troviamo, loro malgrado, intorno ai trent’anni ancora parcheggiati a casa dopo avere elemosinato, fra colloqui di lavoro e curricula spediti, un qualsiasi impiego: «non un lavoro da diplomati, non un lavoro da laureati, ma solo un lavoro dal quale ricavare qualcosa per riempire lo stomaco»: nuotare da soli dice la Mantovani. In quale mare ce lo dovrebbe dire la Fregonara.
Perché fingono di non sapere, questi “Soloni”, che i giovani di cui straparlano poiché non hanno santi in paradiso se uscissero un anno prima dalla scuola andrebbero a ingrossare le file dei disoccupati, dopo aver assaggiato l’amaro calice che l’integrazione fra scuola, società e lavoro ha apparecchiato loro? Stages fatti a scuola all’ingresso dell’edificio, promosso ad hoc a livello di reception, al fine di svolgere le funzioni del bidello, del collaboratore scolastico che non c’ è.
Alternanza scuola-lavoro fatta spesso per offrire manodopera a costo zero. Finito lo stage questi ragazzi perdono interesse agli occhi del mercato e «sempre dianzi a lor imprenditor ne stanno molti» di questi nostri figli e studenti disarmati «dicono il loro curriculum, odono il rifiuto e poi son giù volti». Nel girone dei disoccupati. Quale vantaggio dunque avrà toccato con mano la dottoressa Fregonara per confezionare questo articolo così positivo se non entusiasta, per questa amputazione così attesa e desiderata nei piani alti?
Ai poster elettorali l’ardua sentenza.
E’ stato un errore di battitura…
Ho rimediato; complimenti per l’articolo pienamente condivisibile.
Un saluto
Carlo Salmaso
per il comitato genitori ed insegnanti per la scuola pubblica di Padova