2 ottobre 1944: si conclude la rivolta di Varsavia
di Silvia Boverini (*)
«Ogni abitante deve essere ucciso, senza fare prigionieri. Che la città sia rasa al suolo e resti come terribile esempio per l’intera Europa»
Heinrich Himmler, agosto 1944
Ogni 1° agosto a Varsavia, alle cinque in punto del pomeriggio, risuona l’ululato assordante delle sirene dell’antiaerea. Per un minuto la capitale polacca si ferma completamente. Tram e autobus smettono di circolare e molte vetture accostano ai marciapiedi, mentre le vie si riempiono di persone che sventolano bandiere polacche o indossano fasce biancorosse, tra i bagliori e il fumo di centinaia di bengala.
Gli abitanti della città commemorano così “l’ora W”, ovvero il momento esatto in cui il 1° agosto del ’44 ebbe inizio la resistenza armata agli invasori nazisti, nota come Rivolta di Varsavia. Alle 17 l’esplosione di una bomba nel quartiere della Gestapo diede il via all’insurrezione, e quarantamila soldati dell’armata partigiana clandestina (Armia Krajowa, l’Esercito Nazionale Polacco), aiutati da tutta la popolazione, in cinque ore di combattimenti si impadronirono di vaste parti della capitale. Con la Germania in difficoltà su tutti i fronti bellici e l’Armata Rossa alle porte della città, la liberazione sembrò possibile; ma in quei giorni si andavano costruendo gli assetti geopolitici che avrebbero connotato il mondo dopo la fine della guerra, e gli insorti polacchi rimasero intrappolati in una partita più vasta, giocata sopra le loro teste.
La Polonia era occupata militarmente dalla Germania da cinque anni in conseguenza del patto Molotov-Ribbentrop, che, oltre alla non aggressione reciproca, prevedeva anche clausole segrete per la spartizione del territorio polacco tra Germania e Unione Sovietica. Dal 1939 i principali leader politici avevano costituito a Londra un governo provvisorio, che affiancò gli alleati francesi e britannici nella guerra contro i tedeschi: l’esercito, rimasto prevalentemente fedele al governo in esilio, fu impiegato in parte nelle operazioni sui più importanti fronti bellici e in parte nella costituzione dell’Armia Krajowa in patria.
L’Esercito Nazionale clandestino, comandato dal generale Komorowski, fu poco operativo militarmente per la scarsità di armamenti e il timore di rappresaglie naziste contro i civili, ma nel 1944, quando la sconfitta tedesca apparve inevitabile e l’Armata Rossa sovietica penetrò in territorio polacco, il governo in esilio e i vertici militari sentirono la necessità di prendere l’iniziativa. Oltre a voler combattere l’occupante nazista, essi intendevano dimostrare agli Alleati di essere in grado di lottare per liberare la loro patria e conferire alla Polonia, per sottrarsi all’egemonia sovietica, un peso maggiore nelle trattative sul futuro assetto geopolitico mondiale.
I sovietici erano infatti considerati invasori quanto i tedeschi, soprattutto a seguito del genocidio di Katyń del 1940, in cui furono uccisi oltre 21mila polacchi, tra cui molti dirigenti e ufficiali dell’esercito; Stalin negò ogni responsabilità in proposito, attribuendo il massacro ai nazisti, il governo polacco in esilio non gli credette, furono rotti i rapporti diplomatici e Mosca iniziò a supportare invece il c.d. Comitato di Lublino, costituito da comunisti polacchi fuoriusciti.
L’Armia Krajowa, prevalentemente anticomunista, entrò quindi in azione per consegnare ai sovietici la città già liberata, e si venne a creare un paradosso per cui l’astio verso i russi era totale ma allo stesso tempo si sperava in un loro intervento per scacciare i tedeschi dalla città. Molti storici hanno in seguito valutato come ingenuità politica, se non vera e propria follia strategica, l’aver fatto affidamento al supporto sovietico.
Confidando sul rapido avvicinamento dell’Armata Rossa da est, gli insorti si erano dati l’obiettivo di resistere per una settimana: i combattimenti invece durarono 63 giorni e i sovietici non arrivarono. Nonostante gli appelli all’insurrezione mossi ai polacchi da Radio Mosca e da Lublino, le truppe sovietiche, arrivate il 3 agosto ai sobborghi di Varsavia sulla riva orientale della Vistola, subita una prima sconfitta dalle Panzerdivisionen tedesche smisero di combattere: problemi di rifornimenti insufficienti dopo la lunga offensiva, diranno. Inoltre, i vertici militari e politici moscoviti rifiutarono per sette settimane l’autorizzazione agli aerei inglesi, venuti dal sud Italia al prezzo di enormi perdite, di paracadutare armi e viveri per gli insorti e di atterrare nei loro territori.
Presenti su tutti i fronti di guerra, in Europa, in Africa, in Italia (dove vinsero i tedeschi a Montecassino e liberarono Ancona) i polacchi attesero invano l’aiuto dove si giocava per davvero la loro sorte, a Varsavia.
L’Armia Krajowa godette però del pieno sostegno della popolazione, che costruì trincee e barricate, organizzò comitati spontanei per la distribuzione di cibo, posta e comunicati, per spegnere gli incendi, alloggiare i profughi, curare i feriti e seppellire i morti. L’insurrezione del ’44 fu l’ultima di tante: da centocinquant’anni i polacchi insorgevano contro i più diversi occupanti, ma questa fu la prima che vide il coinvolgimento della cittadinanza, cui si unirono 150 ebrei ungheresi e cecoslovacchi appena liberati da un vicino campo di concentramento. Gli insorti potevano contare su un apporto di circa 40000 combattenti, comprese 4000 donne, ma avevano armi solo per 2500, e affrontavano 15000 soldati tedeschi – che nei due mesi di battaglia arrivarono a 30000 – supportati da carri armati, aviazione e artiglieria.
I tedeschi commisero ogni sorta di crimine di guerra: stupri di massa, uccisioni a sangue freddo di feriti e prigionieri, bombardamenti indiscriminati del centro cittadino, incursioni nell’ospedale, donne e bambini usati come scudi umani.
Dopo sessantatré giorni, 15.200 combattenti polacchi uccisi, 5000 feriti, 15000 prigionieri e 200.000 vittime civili, il 2 ottobre fu siglata la resa: i tedeschi riconobbero agli insorti e ai civili catturati lo status di prigionieri di guerra, tutelati quindi dalla convenzione di Ginevra, ma imposero l’evacuazione della città in previsione dell’esecuzione dell’ordine di totale distruzione di Varsavia. Civili e militari polacchi si consegnarono ai militari tedeschi nell’inerzia di quello stesso esercito sovietico che altrove stava combattendo vittoriosamente contro la Wehrmacht. Circa 55.000 civili furono inviati ai campi di concentramento, altri 150.000 ai campi di lavoro forzato e 700.000 in totale furono costretti ad abbandonare la città.
Varsavia fu saccheggiata, data alle fiamme e rasa al suolo, fabbricato per fabbricato, monumento per monumento, da corpi delle SS sottratti al combattimento per tale scopo. Quando, nel gennaio 1945, l’Armata Rossa entrò finalmente nella capitale abbandonata anche dai tedeschi, gli edifici sulla riva occidentale della Vistola risultavano distrutti all’85 per cento.
L’epilogo della rivolta incrinò i rapporti fra gli Alleati e il governo polacco, che il 3 ottobre rilasciò un comunicato:
Non abbiamo ricevuto alcun sostegno effettivo. […] Siamo stati trattati peggio degli alleati di Hitler in Romania, in Italia e in Finlandia. La nostra rivolta avviene in un momento in cui i nostri soldati all’estero stanno contribuendo alla liberazione di Francia, Belgio e Paesi Bassi. Ci riserviamo di non esprimere giudizi su questa tragedia, ma possa la giustizia di Dio pronunciare un verdetto sull’errore terribile col quale la nazione polacca si è scontrata e possa Egli punirne gli artefici.
Solo nel febbraio ’45, alla Conferenza di Jalta, il governo polacco apprese che Churchill, Stalin e Roosevelt si erano accordati – quasi un anno prima della rivolta – perché la Russia mantenesse i territori polacchi acquisiti nel 1939 e inglobasse il resto della Polonia nella propria orbita. L’NKVD, la polizia politica sovietica che sarebbe diventata il KGB, si diede subito da fare per identificare gli ex membri della Resistenza e migliaia di polacchi furono uccisi, deportati o imprigionati. La storiografia occidentale ha a lungo rimosso questo pezzo di storia, unico nel suo genere, in cui un governo fantasma esiliato a Londra e il suo esercito clandestino vennero tenuti vivi e tutelati nel segreto dalla popolazione, che pienamente li appoggiavano.
Nel dopoguerra la città vecchia venne ricostruita identica a come era in precedenza e oggi è riconosciuta come patrimonio dell’Umanità.
Silvia Boverini
FONTI:
S. Morosi e P. Rastelli, “Varsavia 1944: generosa follia e ferocia impunita”, http://pochestorie.corriere.it;
“La Rivolta di Varsavia (Powstanie Warszawskie), 1° Agosto – 2 Ottobre 1944”, www.quipoloniaeitalia.wordpress.com;
www.anpi-lissone.over-blog.com;
“La liberazione di Varsavia”, www.ilpost.it;
Berardi, “La resistenza al nazismo esaltata dalla destra polacca”, https://eastwest.eu
(*) ripreso da www.me-dia-re.it; grazie a Remo per la segnalazione.
Nella seconda foto (ripresa da Wikipedia) i carristi del 3º Corpo carri sovietico a 14 chilometri da Varsavia nell’estate 1944.
MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.
Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.
La redazione – abbastanza ballerina – della bottega