23 giugno, una «scor-data» fra il personale e il sociale
La notte di san Giovanni: da Trapani al popolo berbero del Nord Africa passando per San Giovanni in Persiceto (Bologna)
di Lella Di Marco
Io giovinetta, a Trapani attendevo la notte di San Giovanni un anno intero. Come la notte di Natale ma mi sentivo più protagonista.
Si prevedeva, in quella notte, il mio futuro da SPOSA.
Del resto che senso avrebbe potuto avere la vita di una donna senza un marito? Tutti l’avrebbero guardata male e mancato anche di rispetto…
Quella notte coltivava la speranza che si sarebbe avuto un ruolo sociale e magari cominciare a preparare la dote che da sola rappresentava il valore materiale della donna.
Del resto si diceva da tutte le parti in Sicilia «a figghia in fasce e la dote nelle cascie» (la figlia ancora in fasce e la dote pronta nelle casse). Così fin dalla nascita cominciavano a regalare alla neonata capi per il corredo e oggetti per le attività “femminili”.
IN ATTESA DELLA NOTTATA fra il 20 e il 21 giugno da Trapani i miei genitori mi accompagnavano dalle cugine in campagna a Marausa a qualche decina di chilometri, vicino Marsala, nel feudo di mio zio, noto latifondista dell’epoca, denominato “u turcu” per la grande forza che possedeva. Sembra che da solo riuscisse a spostare un trattore… Uomo generoso e moderno con i suoi vassalli tanto che quando i contadini gli offrivano la figlia appena sposata per lo jus primae noctis, lui apprezzava molto il gesto ma declinava “il regalo” e ricambiava con gli auguri e un dono in denaro
Non so se da quelle parti siano mai passati i turchi, ma Marausa che forse deriva dall’arabo “Mara u zack” – pascolo povero – potrebbe avere visto colonizzatori arabi, magari “mezzi” turchi, approdati anche in altre zone della Sicilia, che in qualche modo hanno lasciato segni delle loro tradizioni e cultura.
E’ facile trovare ancora oggi in Sicilia tradizioni recenti che si mescolano a riti antichi, fra il sacro e il profano: diffusi in tutti i Paesi ad economia agricola, forse in ogni parte del mondo, e che in molte zone persistono nonostante le trasformazioni sociali e culturali.
Nel trapanese e in altre zone agricole della Sicilia, riti e tradizioni legati alla botte di mezza estate persistono e non hanno il sapore fasullo delle feste di solstizio d’estate organizzate da agenzie turistiche. La tradizione non si inventa. Contiene elementi atavici che si mescolano (sempre sacro e profano) magari in parte rinnovandosi ma fuori da quel contesto… non funziona.
Capisco bene quello che mi dicono i miei amici musulmani quando praticano il ramadan da soli in casa in un paese che non è il loro, senza la condivisione della famiglia e della comunità di appartenenza. Si sentono estranei, lontani da quanto appartiene loro e costituisce parte dell’identità.
Se io emigrata nel profondo nord dalla Sicilia, cerco di far rivivere le emozioni che ho provato a mia figlia o a mio nipote, riproponendo – ora nella mia casa a Bologna – i riti della festa dei morti o di San Giovanni , il risultato è una gran noia e incomprensione. Se rileggo invece le pagine di Giuseppe Pitrè (*) mi emoziono ancora e mi ci ritrovo come parte della mia vita. Anche se non è proprio contemporaneo e neppure del secolo scorso quanto lui ha documentato vive ancora in molti Paesi dell’area mediterranea, in maniere di cui lui stesso non aveva conoscenza.
Infatti mi raccontano le mie amiche berbere del nord dell’Africa, il 24 giugno – oltre ai riti propiziatori per un buon raccolto – è un giorno scelto per le nozze. Si celebrano i matrimoni e si festeggia il raccolto.
In Emilia ci sono usanze gradevolissime: la raccolta delle erbe e le noci ancora verdi con il mallo tenerissimo, per fare il nocino. È una tradizione che rimane viva per san Giovanni. Tralasciando riflessioni sul noce e il suo valore simbolico (streghe, sabba, folletti…) quasi ogni famiglia bolognese “doc” prepara il nocino che offrirà a Natale; ciascuno/a ne ha uno particolare… Ci sono anch’io con una ricetta in parte basata sui racconti di anziane/i e un po’ personalizzata: per offrirlo a inizio anno assieme al limoncello preparato con limoni di Bagheria e “cotto” al sole di agosto, come da tradizione siciliana.
(*) Fin dal 1871 Giuseppe Pitrè – medico e a tempo perso “catalogatore” di fiabe e leggende popolari – nella sua celebre «Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane», raccolse i riti popolari intorno a San Giovanni. Il solstizio d’estate vede la gente di Sicilia protagonista di usanze che spaziano dal «cumparatu di S. Giuanni» (cioè fra compari) ad alcuni riti propiziatori e divinatori. Quella notte, secondo credenze popolari, era custode di tanti segreti che, aiutati da piccoli gesti, potevano essere svelati e a tale scopo si usavano tre «fiori di aprocchiu» (centaurìa): il rosmarino, noto anche per il suo utilizzo nei riti magici del calendimaggio, i capelli, i peli delle ciglia. Ritualità fondante del giorno di San Giovanni era il patto di comparato, che si stringeva sia tra gli uomini che tra le donne. “Comparati” che legavano d’affetto e rispetto reciproco i contraenti «megghiu d’i parenti». A Catania, i compari e le comari si scambiavano vasi di basilico adornati d’un nastro rosso.
La credenza più diffusa era quella di ricavare presagi sul futuro sposo dal diverso disporsi del piombo fuso lasciato cadere nell’acqua di una bacinella. Si crede di indovinare il mestiere dalla forma che prende la farina setacciata. Era di buon presagio se un fiore dai petali bruciacchiati lasciato quella notte all’aperto fosse restato «vegeto e ravvivato». Le ragazze di Erice traggono vaticini da una mela gettata in mezzo alla strada: guai se la raccoglierà un prete, meglio se sarà un uomo, nulla di fatto se sarà una donna. Le donne di Milazzo, dopo la novena, traggono responsi dalla prima frase che udiranno in strada. A Palermo le moglie dei marinai andavano al molo e chiamavano i mariti credendo di riceverne risposte. San Giovanni, secondo un’altra tradizione popolare, usava favorire gli incontri e i fidanzamenti. Inoltre in Sicilia proteggeva contro i fulmini: lo si invocava con un semplice «San Ciuvanni Battista» o, come riporta Antonino Uccello, con l’orazione «San Ciuvanni iàutu e ddanni / nn’at’a scanzari ri tt-rona eddi-lampi». Quando un neonato sbadiglia, uno spirito maligno può impossessarsi del suo corpo; e le donne prendevano le precauzioni del caso segnando con il pollice un triplice segno di croce sulla bocca del neonato mentre pronunciavano le parole augurali «San Ciuvanni, riccu e ddanni».
Assai strana e originale era la corsa di qualche dozzina di uomini di Monterosso che trasportavano alla vigilia della festa per tutto il paese un pioppo colossale con tutti i suoi rami al grido di «Viva lu Santu Travu», mentre su di esso due uomini battevano tamburo e grancassa. Il rito, citato da Pitrè, era diffuso in vari Paesi europei, soprattutto in quelli dove era sentito il culto degli alberi. Poteri divinatori, che sfioravano la magia, aveva il santo venerato nella chiesa di Marsala costruita sull’antro della Sibilla lilibetana e i suoi responsi non sempre erano benevoli. Tali riti non dovevano essere ben accetti alla Chiesa, se in un confessionale del XV secolo della Biblioteca comunale di Palermo era chiesto al penitente se durante tale festa avesse fatto «incantacioni ad erbio y ad cristalli et altri cosi mali chi si fanu in tali jornu». Dovettero intervenire, ancora due secoli dopo, i sinodi diocesani per condannare tali pratiche ma con scarsi effetti. La pratica di sortilegi e riti propiziatori era tanto radicata nella coscienza collettiva che si mantenne intatta con le sue paure ancestrali del futuro e con le speranze di poterle incanalare. Alcune credenze sui poteri sovrannaturali che si sprigionano nella ricorrenza di questa festa hanno un duplice aspetto: in Sicilia si teme la vendetta del santo contro coloro che non hanno rispettato “il comparatico”. Il santo richiede profondo e sincero rispetto, altrimenti piomba sull’empio la sua collera, come su quel contadino irridente di Capaci che volle far lavorare i suoi uomini nel giorno della festa. Il terreno dell’aia si spalancò – come riporta Pitrè – e inghiottì tutti, uomini e animali. Oppure un campanile crollato sui preti della Collegiata di Castelvetrano che litigavano. In altri Comuni si tramandava che il terreno rumoreggiasse nel giorno del santo o che si udissero grida misteriose. Ad Acireale restava stregato chi si addormentava sotto un albero se prima non avesse rotto un ramo. Il rito mi rievoca il coltello che mio padre infiggeva nell’immenso noce di Martino quando alla calura meridiana mi disponevo ad addormentarmi sotto la sua fronda. Perciò ancora oggi avverto il senso di paura per quel sortilegio contro un male misterioso e oscuro.
Nell’immagine il san Giovanni del Pinturicchio.
LE SCOR-DATE
Come sa chi frequenta il blog/bottega per due anni ogni giorno – dall’11 gennaio 2013 all’11 gennaio 2015 – la piccola redazione ha offerto (salvo un paio di volte per contrattempi quasi catastrofici) una «scor-data» che in alcune occasioni raddoppiava o triplicava: appariva dopo la mezzanotte, postata con 24 ore di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; ma qualche volta i temi erano più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi.
Tanti i temi. Molte le firme (non abbastanza probabilmente per un simile impegno quotidiano). Assai diversi gli stili e le scelte; a volte post brevi e magari solo una citazione, una foto, un disegno… Ovviamente non sempre siamo stati soddisfatti a pieno del nostro lavoro. Se non si vuole copiare Wikipedia – e noi lo abbiamo evitato 99 volte su 100 – c’è un lavoro (duro pur se piacevole) da fare e talora ci sono mancate le competenze, le fantasie o le ore necessarie.
Abbiamo deciso – dall’11 gennaio 2015 che coincide con altri cambiamenti del blog, ora “bottega” – di prenderci un anno sabbatico, insomma un poco di riposo, per le «scor-date». Se però qualche “stakanovista” (fra noi o all’esterno) sentirà il bisogno di proporre una nuova «scor-data» ovviamente troverà posto in blog; la redazione però non le programmerà.
Nell’anno di intervallo magari cercheremo di realizzare il primo libro (sia e-book che cartaceo?) delle nostre «scor-date», un progetto al quale abbiamo lavorato fra parecchie difficoltà che per ora non siamo riusciti a superare. Ma su questa impresa vi aggiorneremo.
Però…
(c’è quasi sempre un però)
… visto il “buco” e viste le proteste (la più bella: «e io che faccio a mezzanotte e dintorni?» simpaticamente firmata Thelonius Monk) abbiamo deciso di offrire comunque un piccolo servizio, cioè di linkare le due – o più – «scor-date» del giorno, già apparse in blog.
Speriamo siano di gradimento a chi passa di qui: buone letture o riletture
La redazione (in ordine alfabetico): Alessandro, Alexik, Andrea, Barbara, Clelia, Daniela, Daniele, David, Donata, Energu, Fabio 1 e Fabio 2, Fabrizio, Francesco, Franco, Gianluca, Giorgio, Giulia, Ignazio, Karim, Luca, Marco, Mariuccia, Massimo, Mauro Antonio, Pabuda, Remo, “Rom Vunner”, Santa, Valentina e ora anche Riccardo e Pietro.
Non avendo mai avuto occasione di leggere testi del Pitré non conoscevo le tradizioni siciliane del “San Giovanni d’estate”. Ma la mia ormai “quasi antica” lettura di “Riti precristiani nel folklore europeo” di Paul Sebillot (ed. Xenia, 1990) mi ha fornito un’ampia base di questo rito solstiziale “visto da Nord”.
Potrei anche pensare che in Sicilia l’abbiano portato i Normanni, se non sapessi che i riti del solstizio estivo (che celebrano il culmine solare e, contemporaneamente, ne esorcizzano l’inizio del declino astronomico) sono documentati in Egitto già nel sito pre-faraonico di Nabta-Playa (https://en.wikipedia.org/wiki/Nabta_Playa).
Purtroppo, almeno da qualche decennio, l’unica percezioni stagionale urbana (eccetto la “Festa dei regali d’inverno”, un tempo detta Natale -cioè il solstizio d’inverno) è la “stagione dei saldi”, che si celebra nelle vetrine con date multiple e variabili di città in città.
Giorgio