25 novembre, un atto politico
di Maria G. Di Rienzo
25 novembre, “Giornata mondiale contro la violenza sulle donne”. Se fate tale ricerca sul web in questi giorni troverete un bel mucchio di articoli e riflessioni su violenza domestica, femminicidio, stupro. Probabilmente vi aspettate che anch’io scriva di questi temi in occasione del 25 novembre, ma la verità è che lo faccio già per circa 200/250 giorni l’anno – i restanti sono dedicati alle altre cose che mi interessano in questo mondo, e vi assicuro che sono tante. Per cui vorrei invece cogliere l’occasione per parlare di un’altra forma di violenza contro le donne, quella che in nome del loro “benessere” o del loro “successo” comincia a farle oggetto di bullismo da quando frequentano le scuole elementari: e ormai ci sono abbastanza casi per dire che si sta scivolando verso il «da quando indossano il grembiulino dell’asilo». Mia nipote, uno scricciolo che oggi ha 10 anni, lo frequentava ancora quando una sua amichetta le disse che mangiare la tal caramella l’avrebbe fatta ingrassare. La mamma aveva istruito questa bimba per tempo su cosa ci si aspetta da una femmina, e cioè l’adesione acritica e ansiogena al modello in voga, e se interrogata al proposito poteva (e può) trincerarsi dietro il baluardo della “salute”. E’ sano per una bambina preoccuparsi delle calorie contenute in una caramella alla matura età di anni cinque, senza dubbio. Purtroppo, anche se al ventre in costante tensione della signora corrisponde una testa farcita di input pseudoscientifici provenienti dagli «studi americani che provano» e di angoscia e disprezzo rispetto al proprio corpo, la signora stessa si sbaglia. Potrei provarlo con una caterva di citazioni e di link a documenti e articoli, ma sono una conferenziera che non vuole annoiare il proprio pubblico. Per cui, farò un solo esempio.
«Look AHEAD», scritto proprio così (significa “Guarda avanti”), è un esperimento scientifico durato 11 anni, a cui è stata messa fine nell’ottobre 2012 perché non è riuscito a provare quel che doveva. E cioè che perdere peso è a priori un beneficio per la salute. L’esperimento ha coinvolto 5.000 diabetici, metà dei quali hanno partecipato a un programma con stretta sorveglianza che ha limitato i loro pasti a 1.200/1.800 calorie al giorno e li ha fatti esercitare per almeno tre ore a settimana. Il gruppo di controllo, l’altra metà, ha vissuto esistenze normali. E i risultati non presentano alcuna ambiguità: perdere peso non ha significato nulla in termini di riduzione di rischio per le malattie cardiovascolari e gli infarti. Inoltre, l’impegno intensivo di 11 anni a regime dietetico e fisico non ha prodotto, di media, che meno del 5% di perdita del peso complessivo. Francamente, non posso dire di averlo visto riportato dai media italiani, che pure strillano «una ricerca dagli Stati Uniti!» ogni qualvolta devono confermare un pregiudizio sessista, razziale, classista, eccetera. E’ probabile che non sia conveniente, in un momento in cui il ministero per l’Istruzione e la Ricerca universitaria (non della Sanità) manda gli industriali dell’alimentazione nelle scuole a «combattere il sovrappeso». Ma potrebbe tornare utile in un secondo momento, quando l’industria farmaceutica lo userà per dire: se lo stile di vita non ha funzionato, ecco qua la nostra nuova medicina dimagrante.
Perché siamo arrivati a questo scenario? Perché per controllare qualsiasi gruppo si voglia tenere in subordine, in questo caso le donne, non c’è niente di meglio che il produrre in loro l’interiorizzazione dell’inferiorità e della colpa. Come ci siamo arrivati? Così:
1. Convincete la popolazione che non essere magri è una malattia che va curata. Accoppiate a questo concetto quello che la vera bellezza in una donna è “pelle e ossa con grandi tette” e l’industria dei prodotti dietetici e i chirurghi plastici vi saranno immensamente grati, per non parlare dei creatori di moda che disegnano vestiti per il loro efebo ideale e fanno diventare le donne cadaveri ambulanti affinché riescano a indossarli. Televisione, giornali e cinema vi daranno entusiasticamente una mano. Tutto quello che può tenere le donne in stato di perpetua angoscia e disistima va di sicuro incoraggiato.
2. Premete perché le istituzioni implementino programmi di salute pubblica in accordo con le compagnie industriali, entrino nelle scuole e veicolino i concetti di cui sopra, spalmando sulla cancrena che in realtà essi sono una pesante verniciata di “scienza” (pseudo). Il principio all’opera, qui, è io do una mazzetta/un posto in Consiglio d’Amministrazione a te, tu dai un appalto pubblico a me.
3. Alzate, per così dire, il livello dello scontro: la malattia del non essere magri deve assumere proporzioni bibliche, da film horror, da catastrofe ambientale. Parlate di “epidemie” di obesità, della “piaga” del sovrappeso, fingete di essere assai interessati alla salute dei bambini, e non preoccupatevi se dite queste fregnacce mentre personalmente siete una taglia 56: l’importante è che siate un maschio. Per un uomo potente o ricco la ciccia sui fianchi fa solo “maniglie dell’amore” e comunque la “bellezza” non è determinante in un uomo, ci mancherebbe, ma tanto per dare un altro aiutino ai nostri sponsor abbiamo bibite energomaschie e steroidi per i poveracci che ricchi e potenti non sono.
4. L’industria farmaceutica stappa a questo punto un’intera cassa di bottiglie di spumante, perché tutti i suoi nuovi inutili prodotti per dimagrire alzeranno alle stelle i dividendi degli azionisti e un simile lieto suono di cin cin viene dalle mafie che controllano lo spaccio di cocaina (vox populi dice che una bella bruciata di naso brucia un’altrettanto bella quantità di grasso).
5. Fate questo per un periodo abbastanza lungo di tempo, premiando le donne che hanno abbastanza soldi per la chirurgia plastica con l’apparizione in programmi televisivi e una manciata di seggi parlamentari. Sono serve mute e sono in trenta, ma non ha importanza, spacciatele come simboli che chiunque, se non è una schifosa cagna ingorda ed è disposta a darla via a comando come una cagna ben addestrata, può riuscirci… tanto, sempre una cagna resta.
6. Disumanizzate chi non si conforma al modello. Se dovete usare l’immagine di una donna grassa nascondete la sua testa e concentratevi sulle sue natiche o sulle sue cosce. Tanto, non sarà mica così svergognata da volersi far riconoscere, no? E se non è possibile, istruitela a mantenere gli occhi bassi e l’espressione afflitta. Dev’essere chiaro che è infelice, che si sente una cacca, che vorrebbe disperatamente essere magra, che è colpevole e schifosa. D’altronde, se la mostraste contenta e se qualcuno potesse guardarla negli occhi, c’è il rischio che la si consideri un essere umano.
Non so cosa stiate facendo o intendiate fare per il 25 novembre, ma fareste qualcosa per voi stesse oggi? Allora ripetete con me:
Il mio corpo non è malato.
Io non sono malata perché il mio corpo non corrisponde agli standard altrui.
Il mio corpo non è qualcosa che deve essere “prevenuto” o “sradicato”.
Il mio corpo non è un marchio di vergogna o un indicatore di fallimento.
Nessuno, nessuna organizzazione, compagnia commerciale, istituto o individuo ha il diritto di dirmi che devo “disfarmi” del mio corpo.
La mia carne, grasso compreso, non è un parassita che dev’essere tolto da me, ne’ un virus contro cui si deve essere vaccinati, ne’ un contagio che dev’essere messo in quarantena per salvaguardare il resto della società: è il mio corpo.
Il mio corpo è me, e io ho il diritto di vivere la mia vita senza essere insultata e soggetta a stigmatizzazione.
Il mio corpo è me, e io non mi scuserò perché esisto.
Per finire, vi dirò che capisco bene perché le donne “larghe” (che spesso sono anche muscolose e forti) disturbano lo status quo con il solo atto di esistere. Non sta bene che una donna occupi tanto spazio, metaforicamente o fisicamente. Spazio e visibilità hanno a che fare strettamente con il potere (il potere di fare, di decidere, di avere signoria su di sé) e il potere è ancora, ovunque, una cittadella patriarcale con i suoi riti bellici, di volta in volta omicidi o ridicoli, e la sua fraseologia da postribolo. Se non riuscite ad amare il vostro corpo largo per nessun’altra ragione, fatelo per questa: è un corpo radicale, trasgressivo, rivoluzionario. Il solo rifiutare di odiarlo, come tutto intorno a voi vi suggerisce, è un atto politico.
UNA BREVE NOTA
Gli articoli di Maria G. Di Rienzo sono ripresi – come le sue traduzioni– dal bellissimo blog lunanuvola.wordpress.com/. Il suo ultimo libro è “Voci dalla rete: come le donne stanno cambiando il mondo”: una mia recensione è qui alla data 2 luglio 2011. (db)
Un bellissimo articolo che ogni donna deve leggere.
Non ho, ne posso avere parole altre dopo averti letto Maria. Solo una piccola riflessione:se hai 5-10 kili di piu sei morbido/a, se hai 5…peggio 10 kili di meno sei….malato/a. Che la Vita ci sia leggera e magari Gioiosa. Marco.