26 luglio 1937, all’ospedale di El Escorial muore Gerda Taro
- di Benigno Moi
“Sai, Maria, all’ospedale da campo degli
americani, vicino all’Escorial, hanno portato la piccoletta bionda, quella fotografa che ti cercava sempre.”
”Gerda Taro?”
“Si, è finita sotto i cingoli di uno dei nostri carri armati, sul fronte di Brunete” [i]
Proprio a Brunete, centro a poco più di 20 km da Madrid, per tutto il mese di luglio del 1937 si svolsero combattimenti durissimi, nel tentativo repubblicano, inizialmente riuscito, di alleviare la pressione dei franchisti sulla capitale [ii]. Gerda Taro era stata l’unica reporter che riuscì a testimoniare la resistenza dei repubblicani [iii], corrispondente per il quotidiano parigino Ce Soir di Luis Aragon.
Gerda Taro morì in seguito alle gravissime ferite provocatele da un tank che, sbandando a causa dell’improvviso bombardamento d’un aereo franchista, il 25 luglio finì sull’auto sulla quale Gerda viaggiava, aggrappata al predellino esterno per poter fotografare meglio.
Una settimana dopo, a Parigi, una folla immensa (in molti parlano di 200.00 persone) mobilitata dal Fronte Popolare, accompagna la salma di Gerda Taro al cimitero di Père-Lachaise, nell’area riservata ai rivoluzionari. “Robert Capa, in prima fila, è distrutto: erano stati felici insieme, lui le aveva insegnato a usare la Leica e poi erano partiti tutti e due per la Guerra di Spagna. [iv]”
Sarà sepolta il 1° agosto, nel giorno in cui avrebbe compiuto 27 anni. Pablo Neruda e Louis Aragon ne leggono l’elogio funebre, mentre una banda suonava la Marcia Funebre di Chopin; Alberto Giacometti ne disegna la tomba.
Tomba che verrà danneggiata dai nazisti nel ’42 che occupano Parigi, che cancellano l’epitaffio, con l’acredine brutale verso la “tedesca rinnegata” diventata simbolo della Resistenza francese.
RobediCapa
Robert Capa è un fotografo americano nato a Parigi nel 1936, da madre tedesca e padre ungherese. Ha solo pochi mesi (pazientate a leggere e capirete) quando una sua foto, realizzata in Spagna, a Cordova, fa il giro del mondo e diventerà, col tempo, l’emblema della Guerra civile spagnola [v],
nonchè una delle più conosciute ed iconiche immagini di guerra di tutti i tempi.
La nascita di Robert Capa la raccontano tanti, fra le ultime la scrittrice italo/tedesca Helena Janeczek nel romanzo biografico La ragazza con la Leica [vi], vincitore del Premio Strega 2018.
André Ernő Friedmann e Gerta Pohorylle si conoscono a Parigi nel settembre del 1934. Lui è un giovanissimo fotografo di Budapest, arrivato a Parigi in fuga da Vienna, dopo l’avvento del Nazismo, dopo essere già scappato dalla sua Ungheria. Lei è una tedesca di origini polacche, di tre anni più grande; anche lei in fuga dalla Germania ormai in mano a Hitler. Entrambi antifascisti con simpatie comuniste, entrambi con un arresto [vii]
per motivi politici alle spalle, non tardano a mettere assieme i loro destini umani e professionali.
Ernő, fotografo già amico di Seymour e Cartier-Bresson, bravo ma di altalenante successo, procura lavoro a Gerta presso un’agenzia fotografica, e la introduce alla fotografia, suggerendole di usare una Leica, appunto.
Secondo molti è proprio lei, Gerta/Gerda, ad avere l’idea creare dal nulla il finto fotografo americano Robert Capa, un brand vincente per farsi conoscere dalle agenzie e dalle riviste, nome d’arte con cui Friedmann è universalmente conosciuto e mitizzato ancora oggi.
Inizialmente lo pseudonimo
Robert Capa, o semplicemente Capa, veniva usata per le foto di entrambi, indistintamente, che si spacciavano per gli assistenti del mitico Capa. Ciò ha fatto supporre che molte foto, anche di quelle che documentano la Guerra Civile spagnola, firmate Capa, siano opera di Gerda e non di André, come solo da poco è stato appurato per la famosa fotografia di un ferito trasportato in barella, che si dice abbia ispirato Hemingway per il romanzo “Per chi suona la campana”. [viii]
Gerda Taro credeva davvero nella formula del sodalizio, della “firma impersonale”; anche se ovviamente, quando si rendeva necessario farsi vedere di persona, o non basta fingersi i collaboratori, è Friedman ad “essere Robert Capa, un Friedmann che Gerda ha liberato dalla sua aria trasandata passandogli un po’ della sua innata eleganza.
Se e quanto Gerda sottovalutasse le sue qualità come fotografa, e sopravalutasse
quelle di André, io da neofita e profano
della materia non ho elementi per valutarlo e non lo faccio.
Elena Poniatowska, in Tinissima, fa dire a Gerda che parla con Tina Modotti : “Figurati che vuole tutto in comune e firma le fotografie fatte insieme: Robert Capa. Non mi dà fiducia. O solo ogni tanto. Si prende tutto ciò che è mio. I giornali e sulle riviste,‘Vu’, ’The Illustraded London News’, ’Regardes’, ’Berliner Illustrirte Zeitung’, se a lui qualche volta danno credito, perché non sempre glielo danno, a me mai, mai, mai e non ne posso più perché lavoro come o più di lui e sono brava o superiore a lui”.
Gerda non sa, e non saprà mai, chi è realmente la donna con cui si confessa (“Bob? È rimasto a Parigi, ma ci siamo lasciati, è un frivolo” (…)” La mia passione non è Capa, è la fotografia”). Non sa che dietro il nome Maria Sanchez si nasconde un’altra affermata fotografa, molto conosciuta anche in Europa per le sue foto messicane. E non sa che anche Tina ha avuto un suo maestro “ingombrante”, anche se mai invadente. Quello di Gerda è uno sfogo frutto anche della sua esuberanza e del suo entusiasmo giovanile; come se inconsciamente sapesse di non avere molto tempo. “Neanche matta mi sposo. Voglio la mia indipendenza; voglio un nome per me, non voglio essere l’ombra di Capa, la proprietà di Capa. Diventerò più rispettata, più famosa e più conosciuta di lui, vedrai. Faccio amicizia con più facilità di lui; è me che cercano” (…) “Sono stanca di fargli da secondo. La relazione fra uomini e donne sarà sempre una relazione di potere, per questo non mi sposerò mai. Tanto meno con Bob”. [ix]
Quanto Gerda muore Bob Capa è a Parigi,
e in qualche maniera si porterà sempre dietro il comprensibile rimorso di non essere stato anche lui a Brunete, con lei. Lui, che continuerà il suo lavoro di fotografo di guerra (sue le immagini dello sbarco in Normandia) sfidando spesso la sorte quasi, ha scritto qualcuno, in cerca di una sorta di redenzione.
“I due si presero, si lasciarono, si presero e lasciarono ancora e si amarono ininterrottamente; lui per tutta la vita la chiamò “mia moglie”. Nel 1938, un anno dopo la lancinante morte di Gerda, Capa manderà in stampa Death in the Making, con molte foto scattate insieme e un palpabile segno di un’unione mai davvero tutto interrotta con un destino per certi versi simile nella fine: anche lui morirà sul campo, durante la guerra d’Indocina nel 1954, dilaniato da una mina” [x].
Robe di Gerda, robe di Bob
Da qualche anno qualcuno sta provando a capire quali degli scatti attribuiti indistintamente alla coppia potessero essere di Gerda, e quali di Bob. Non solo in base alle testimonianze o ai documenti, ma anche in base al formato dei negativi (ricostruendo quali macchine fotografiche usassero in determinati periodi od occasioni, per esempio), al tipo di inquadratura, sulla base del fatto che era soprattutto di Gerda la caratteristica di considerare la fotografia come militanza, il volere che i suoi scatti
riuscissero a documentare quanto più possibile sulle persone, sui fatti e sui luoghi che documentava.
Uno studio brasiliano di Intercom (Sociedade Brasileira de Estudos Interdisciplinares da Comunicação)
presentato al 40° Congresso brasiliano di Scienze della comunicazione, analizzava alcune foto di Taro e di Capa, con gli stessi soggetti, studiandone le differenze riconducibili al “punto di vista” femminile di Gerda, donna emancipata e attenta a evidenziare e valorizzare il ruolo delle donne durante la guerra civile.
Un contributo determinante a questo lavoro di attribuzione degli scatti, e di studio delle differenze fra le foto di Bob e quelle di Gerda, è stato dato dal ritrovamento in Messico nel 1986 di una valigia contenente miglia di rullini di Capa, Taro e David “Chim” Seymour (il terzo degli amici partiti da Parigi per documentare la Guerra civile, anche lui poi morto nel ’56 mentre documentava la Crisi di Suez), valigia uscita rocambolescamente dalla Spagna nel ’36 e ritrovata casualmente solo 68 anni dopo e divenuta pubblica solo nel 2007.
Il lavoro di ricerca sulle foto firmate genericamente Capa è sicuramente importante per ridare a Gerda Taro il ruolo che merita nella fotografia sociale e di guerra del Novecento. La sproporzione fra la sua notorietà e quella di “Bob Capa” (anche facendo la tara del fatto che Robert operò per ancora tanti anni, documentando tanti conflitti) rimane una piccola ingiustizia cui rimediare.
Ma il sodalizio non fu una mera operazione commerciale o pubblicitaria. I due erano accomunati da passioni e interessi molto simili «la loro militanza è la voglia di immaginare tutto ciò che è possibile per se stessi e per gli altri. Non vogliono farsi dettare la vita dalle circostanze, rifiutano un destino già scritto. Se sono eroi, lo sono della sopravvivenza. Picareschi, quindi. Per quei ragazzi, lottare e divertirsi era la stessa cosa: era la vita» [xi].
«Robert Capa, all’inizio, era anche uno pseudonimo di coppia. Non si può dire che siano stati creduti fino in fondo, ma l’invenzione ebbe fortuna con la stampa. E questo fece la differenza. Mescolavano le loro foto, le firmavano a volte Capa-Taro, a volte solo Capa. In ogni caso, lo slancio di due ventenni che danno vita a un personaggio fittizio come a uno spazio da condividere alla pari è affascinante. Quando Gerda muore, la maschera di Capa resta attaccata al volto di André. E per lui essere diventato Capa grazie a Gerda è stata un’eredità pesantissima». [xii]
Nell’agosto del 36 vanno in Spagna e “Raccontano la città in subbuglio nella lingua universale delle immagini, che dalle pagine esposte nelle edicole di mezzo mondo, affisse nelle sedi di partito e sindacali, sventolate dagli strilloni, riutilizzate per avvolgere uova e prodotti della terra, saltano in faccia persino a chi non compra o non legge i giornali” [xiii]
Taro, Taro, Taro
Questa scordata non vuole, e soprattutto non può, essere un approfondimento critico
sulla fotografa Gerda Taro, e neppure un
ritratto storico e biografico per il quale rimandiamo alle fonti che citiamo in coda all’articolo. Vuole invece dare un piccolo contributo alla doverosa e piacevole riscoperta di una persona eccezionale, tanto amata ed ammirata nel corso della sua breve vita quanto troppo velocemente dimenticata.
Il fatto che al suo funerale ci sia stata una folla immensa ad attraversare Parigi è anche la testimonianza che Gerda rappresentava in quel momento tutti gli antifascisti che solidarizzavano con la Repubblica spagnola, che avevano capito l’importanza di quella ultima disperata battaglia contro i fascismi che stavano per travolgere l’Europa e il mondo intero.
Sono molte le figure, soprattutto donne, che pur avendo avuto vite straordinarie, interessanti e belle da sentir raccontare, vengono dimenticate con troppa facilità. Eppure sono proprie le vite di chi ha dato un contributo alla costruzione del nostro presente, di una parte significativa del nostro substrato culturale. Gerda Taro, grazie al recente lavoro di molti studiosi, anzi soprattutto studiose, negli ultimi anni sta conoscendo un meritato ritorno di popolarità, con biografie (anche in forma di graphic novel), articoli su riviste di fotografia o di militanza politica, persino tributi musicali di giovani band, mostre fotografiche.
Google ha dedicato a Gerda Taro il suo Doogle del 1 agosto 2018. Nel 2019 la IV edizione di Woman (una collettiva organizzata dal museo MOA di Eboli) era dedicata a Taro; hanno aderito 42 artisti da Italia e Stati Uniti, e in occasione dell’esposizione (di cui esiste anche un catalogo), nel maggio del 2019, è andato in onda uno spettacolo teatrale scritto da Luigi Nobile e Maria Gasparro: Gerda, istantanee di un amore, che prende spunto dal libro di Susana Fortes del 2010.
Nei giorni scorsi, disponibile sino al 24 agosto, sul canale tv francese France 5 è stato trasmesso il documentario “Sur les traces de Gerda Taro” 2020, 55 min. di Camille Ménager: http://www.brotherfilms.fr/films/
Ci sono foto che fanno parte del nostro immaginario collettivo, le vediamo -anche fra quelle che accompagnano quest’articolo- e vedendole le “riconosciamo”; ma troppo spesso non siamo capaci a contestualizzarle, non ne conosciamo la storia, non ne abbiamo gli strumenti e questo ci fa perdere buona parte delle emozioni e del fascino, che invece scopriamo quando abbiamo la fortuna di poter approfondire.
“Aveva uno spirito rivoluzionario, Gerda, “la biondina” (Pequeña rubia), come l’avevano soprannominata in Spagna; e aveva uno sguardo fotografico forte. I suoi scatti mostrano una vicinanza fisica ed emotiva ai propri soggetti, forse non dimenticando quanto affermava Robert Capa: “Se una foto non è buona non eri abbastanza vicino”. Tali soggetti sono per lei sempre umanissimi, costantemente evidenziati grazie a un preciso taglio prospettico e sono loro, i protagonisti della guerra, soldati, civili e vittime, al centro dei suoi racconti per immagini. Spesso
emergono i suoi archetipi prediletti: il soldato, il miliziano e il contadino; ma anche le donne, soprattutto intellettuali e miliziane; e l’infanzia (rubata). Sempre, l’inquadratura è sempre equilibrata e palesa un linguaggio con un che di eleganza sottile, mai assente, nemmeno in reportage tra i più duri. Per Gerda è indifferente l’uso della macchina fotografica: che sia la Rolleiflex o la Leica; ma quando usa questo apparecchio più agile e compatto – ne utilizzò due diversi modelli, da 35 mm con lenti diverse, sicuramente tra metà febbraio 1937 e la sua morte – i suoi scatti ne guadagnano in drammaticità e migliore tecnica, aumentano in intuitività e rapidità” [xiv].
“Malgrado la tua morte e le tue spoglie,
l’oro antico dei tuoi capelli
il fresco fiore del tuo sorriso al vento
e la grazia quando saltavi,
ridendo delle pallottole,
per fissare scene di battaglia,
tutto quanto, Gerda, ci rincuora ancora.
Luis Perez Infante [xv]
Irme Schaber, Gerda Taro.Una fotografa rivoluzionaria nella guerra civile spagnola, Ed. DeriveApprodi, 2007
Helena Janeczek, La ragazza con la Leica, Ed. Guanda, 2017
Sara Vivian, Gerda Taro (grafic novel), Ed. Contrasto, 2019
Susana Fortes, Istantanea di un amore, Editore Nord, 2010
François Maspero, L’ombra di una fotografa, Ed. Archinto
Articoli vari
https://left.it/2021/03/14/che-pasionaria-gerda-taro/
Materiali in rete su Gerda Taro
https://marcocrupi.it/2017/01/gerda-taro-una-vita-vissuta-allombra-di.html
http://www.arte.it/notizie/milano/dieci-podcast-per-conoscere-le-grandi-fotografe-18101
https://podcasts.google.com/feed/aHR0cHM6Ly93d3cuc3ByZWFrZXIuY29tL3Nob3cvNDc3MDUwNy9lcGlzb2Rlcy9mZWVk/episode/aHR0cHM6Ly9hcGkuc3ByZWFrZXIuY29tL2VwaXNvZGUvNDM2MDI1ODQ?sa=X&ved=0CAUQkfYCahcKEwjYpvnxu8fxAhUAAAAAHQAAAAAQAQ
https://www.doppiozero.com/materiali/gerda-taro-e-vivian-maier
https://www.sicilianpost.it/gerda-taro-leroina-del-fotogiornalismo-a-lungo-oscurata-da-robert-capa/
http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/gerta-pohorylle/
http://archive.nytimes.com/www.nytimes.com/slideshow/2007/09/21/arts/20070922_TARO_SLIDESHOW_11.html
http://www.lavocedinomas.org/news/dal-messico-alleuropa-il-viaggio-della-valigia-di-robert-capa
La canzone Taro dedicata a Gerda nel 2012 dalla band indie inglese Alt-J https://www.youtube.com/watch?v=S3fTw_D3l10
Un video dedicato a Taro, con foto sue, manifesti della resistenza spagnola e canzoni di lotta antifasciste: Cuentos de resistencia-Gerda Taro https://www.youtube.com/watch?v=9CH1oVyaXkQ
https://www.youtube.com/watch?v=pZEYUX3tgz0 video spagnolo su battaglia Brunete
NOTE
[i] Secondo Elena Poniatwoska (Tinissima, Nova Delphi 2016) è così che Tina Modotti, alias Maria, viene a sapere della morte di Gerda Taro.
[ii] https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Brunete
[iii] https://spanishsites.org/gerda-taro-and-the-battle-of-brunete/
[iv] Helena Janeczek, La ragazza con la Leica, Guanda editore, 2017
[v] https://it.wikipedia.org/wiki/Robert_Capa#La_foto_del_miliziano_colpito_a_morte
[vi] Helena Janeczek, La ragazza con la Leica, cit.
[vii] Sull’arresto di Gerda c’è “una testimonianza di una compagna che racconta come Gerda al suo ingresso in cella si fosse scusata con le altre detenute per il proprio abbigliamento: “le SA mi hanno arrestata proprio mentre stavo uscendo per andare a ballare”. Divenne presto la Liebling, l’idolo, delle prigioniere: distribuiva le sigarette che il padre riusciva a farle arrivare, cantava arie americane, insegnava alle compagne parole di inglese e francese, lingue che lei padroneggiava con disinvoltura. Gerda escogitò ed insegnò anche a comunicare con le celle vicine con l’alfabeto dei colpi. Restò in prigione 17 giorni, salvata anche dal proprio passaporto polacco, dopo il suo rilascio decise, o i suoi genitori per lei, di lasciare la Germania” https://www.maestridellafotografia.it/fotografi/gerda-taro/
[viii] Due soldati trasportano un ferito in barella al Passo di Navacerrada, https://www.reflex-mania.com/gerda-taro/
[ix] Elena Poniatowska, Tinissima, cit. (pag 473).
[x] Barbara Martusciello su: https://www.artapartofculture.net/2018/07/13/chi-era-gerda-taro-la-ragazza-con-la-leica/
[xi] Intervista a H. Janeczek su Vanity Fair del 27.08.2017
[xii] id
[xiii] Helena Janeczek, La ragazza con la Leica cit
[xiv] Barbara Martusciello cit
[xv] Lus Perez Infante su: https://www.antiwarsongs.org/artista.php?id=1992&lang=it&rif=1
Grazie per aver fatto conoscere a me e spero a molte e a molti questa figura di militante e rivoluzionaria.
La memoria vive, e si riverbera sempre, quando si esprime la volontà, come espressa in questo ottimo scritto di Benigno Moi, di riportare alla comune attenzione la breve vita della fotografa/ combattente antifascista di Gerda Taro.
E’ sempre consigliabile la lettura del libro “ La ragazza con la Leica”, di Helena Janeczek ( nata a Monaco di Baviera in una famiglia ebrea-polacca, vive in Italia da oltre trent’anni………..), Guanda ed., prima edizione 2017, vincitrice del PREMIO STREGA 2018.
La “prefazione” è costituita da due poesie:
* di Georg Kuritzhes ( appartenete alla gioventù socialista, volontario nelle milizie internazionali nella guerra di Spagna – conobbe direttamente Gerda Taro)
“ Era chiaramente…la ragazza carina a cui,
come al destino, non si poteva che correre
dietro”.
* di Luis Perez Infante ( poeta, – Galaroza 1912─Montevideo 1968):
“ Malgrado la tua morte e le tue spoglie,
l’oro antico dei tuoi capelli
il fresco fiore del tuo sorriso al vento
e la grazia quando saltavi,
ridendo delle pallottole,
per fissare scene di battaglia,
tutto questo, Gerda, ci rincuora ancora”
Cannibali e Re, Gerda Taro
https://www.facebook.com/978674545584352/posts/5194638217321276/
Sono nato nell’anno in cui Gerda moriva. L’ho sempre amata fin da ragazzo.
LA RAGAZZA CON LA LEICA, il nuovo film di Alina Marazzi, tratto dall’omonimo romanzo di Helena Janeczek, è stato selezionato al Berlinale Co-Production Market 2024!
https://www.facebook.com/Vivofilmprod
https://filmitalia.org/it/film/177206/
Una breve sequenza di informazioni non cercate, mi ha condotto a questa Donna e Fotografa straordinaria.
Grazie alle pagine di questo sito, ho potuto conoscerne, a grandi linee, la storia insieme a diverse Sue foto.
Leggerò il libro “La ragazza con la Leica”.
Cercherò altre informazioni.
Vi ringrazio per queste Vostre pagine così ricche di informazioni e per l’elenco di altre fonti in rete: BRAVI!
Sulle orme di Gerda Taro, Raiplay,
https://www.raiplay.it/video/2022/07/Sulle-orme-di-Gerda-Taro-1a85a427-497e-447d-b612-ada513f2a705.html
https://m.youtube.com/watch?si=Rt4LKwG5QPEsOjph&fbclid=IwAR2R3aWMLWlzYUOyDx8Hwk3gYaGzowjyc6Yea8fwayEmVrbsKXZ6JV0W73U&v=9CH1oVyaXkQ&feature=youtu.be