27 giugno in piazza contro il fascismo di Erdogan
L’appello di Uiki e Rete Kurdistan. A seguire testi ripresi da Anf, da Rete jin e da Radio Cento Mondi
Appello per una mobilitazione per la tutela dei diritti umani e la liberazione dei detenuti politici in Turchia
Dopo il fallito colpo di stato del 15 luglio 2016, il governo turco ha dichiarato lo stato di emergenza. È stato rinnovato ogni tre mesi per un periodo totale di due anni. Lo stato di emergenza è stato applicato senza nessun quadro giuridico ed è stato concepito e utilizzato come strumento di repressione autoritaria contro gruppi di opposizione della società. Innumerevoli sono state le violazioni dei diritti umani, della libertà di stampa, del diritto ad eleggere ed essere eletti, dei diritti sociali ed economici, della libertà individuale e della sicurezza personale. Il governo turco ha utilizzato lo stato di emergenza per ignorare la costituzione e i trattati internazionali, per minacciare col terrore la popolazione e reprimere i gruppi di Opposizione: per deprivarli dei loro diritti economici e sociali o per arrestarli. Sebbene lo stato di emergenza sia stato ufficialmente rimosso, continua ad essere applicato nelle province curde. Agendo attraverso con i decreti legge il governo turco ha esautorato, tra il 2016 ed il 2018, 95 delle 102 municipalità e arrestato 93 sindaci. I nostri ex co-president Selahattin Demirtaş e Figen Yuksedag sono tra i 15 deputati di HDP arrestati e si trovano ancora dietro le sbarre. Nel mese di maggio 2020 sono state depositate presso l’Assemblea Nazionale turca i procedimenti di revoca dell’immunità parlamentare di 19 deputati di HDP tra cui Pervin Buldan Co-presidente del partito, Sezai Temelli, Saliha Aydeniz, Remziye Tosun, Ömer Faruk Gergerlioğlu, Şevin Coşkun, Feleknas Uca, Meral Danış Beştaş, Musa Farisoğulları , Tayip Temel , Ebru Günay, Kemal Bülbül, Pero Dündar, Nuran İmir, Gülistan Kılıç Koçyiğit, Ayşe Acar Başaran, Dersim Dağ, Mensur Işık, Ömer Öcalan.
La sconcertante repressione nei confronti dei politici democratici continua a pieno regime in Turchia. Il 4 giugno 2020 i deputati di HDP Leyla Guven e Musa Farisoğulları e il deputato del CHP Enis Berberoğlu sono stati privati del loro mandato parlamentare e incarcerati. Sebbene Leyla Guven e Musa Farisoğulları avessero l’immunità parlamentare dopo essere stati eletti come deputati nel 2018, il procedimento in tribunale contro di loro non è stato sospeso ed è proseguito. Il 24 settembre 2019 la Suprema corte di appello ha emesso la propria sentenza di condanna: 9 anni di pena detentiva per Musa Farisoğlulları e sei anni per Leyla Guven sulla base di accuse collegate al terrorismo. Il 22 maggio a Diyarbakir un’operazione di polizia ha preso di mira l’associazione di solidarietà delle donne Rosa e 12 attiviste, tra cui l’ex sindaca di Bostanici Gulcihan Simsek e Havva Kiran delle Madri della Pace, sono state arrestate e incarcerate.
Più di 5,000 funzionari e militanti di HDP sono incarcerati per il loro impegno politico, e ciò rappresenta altro sintomo di come il regime turco non tollera alcuna forma di opposizione, reprimendo e privando della libertà tutti coloro che si oppongono al governo turco.
Alla privazione della libertà personale si accompagnano i trattamenti inumani e degradanti cui vengono sottoposti in carcere che hanno raggiunto il massimo della riprovevolezza durante l’attuale pandemia del COVID 19.
Il regime turco ha infatti di recente emanato un provvedimento di amnistia che ha interessato circa 90.000 detenuti condannati per reati talvolta di notevole gravità e pericolosità sociale escludendo dal beneficio tutti i condannati per reati di natura “politica” e tutti i prigionieri politici in attesa di processo in palese violazione degli articoli 2 e 10 della costituzione turca, nonché dell’articolo 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tutto ciò ha impedito la liberazione di circa 50.000 detenuti tra i quali migliaia di politici, membri del parlamento, sindaci curdi, intellettuali, rappresentanti delle ONG, attivisti per i diritti umani, studenti, artisti, giornalisti, ecc.
L’attuale pandemia del COVID 19 ha inoltre ulteriormente peggiorato le condizioni dei reclusi. Il 28 aprile il Ministero degli Interni ha affermato che sono stati rilevati 120 casi COVID-19 in 4 diverse carceri. Il 22 maggio il Ministero ha annunciato 82 casi COVID-19 nella sola prigione di Silivri e che un detenuto era morto. Sulla base dei rapporti delle famiglie e degli avvocati dei detenuti il numero di casi COVID-19 nelle carceri è molto più elevato. I reparti e i corridoi delle carceri non vengono puliti regolarmente. I prodotti per la pulizia vengono venduti nelle mense carcerarie a prezzi elevati e molti detenuti non possono permettersi di acquistarli. Maschere e guanti non sono regolarmente distribuiti nelle carceri di tutto il paese. Le autorità turche non seguono molti principi e linee guida specificati dall’Organizzazione mondiale della sanità, del CPT e dei commissari per i diritti umani delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa. Tutto questo consente una maggiore diffusione del virus senza che siano assicurate ai reclusi le cure necessarie con l’intento di decimare i prigionieri politici senza che nessuno sia in grado di controllare quanto avviene all’interno delle carceri turche.
La pandemia di covid-19 rappresenta inoltre un grande rischio per la salute e la vita umana e le donne ed i bambini sono particolarmente vulnerabili non protetti contro l’epidemia.
Rivendichiamo il diritto ad un’esistenza libera e dignitosa di ogni essere umano ed i principi cardine affermati nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e ripresi da Convenzioni e Trattati del Diritto Internazionale che tutelano i diritti umani e le libertà fondamentali devono essere assicurati a uomini e donne indistintamente in ogni parte e nazione del globo, quali che siano le loro opinioni politiche , il loro credo religioso, il loro orientamento sessuale o il Paese di provenienza, in particolar modo in Turchia dove gli stessi vengono sistematicamente violati.
A tale fine chiediamo a tutti coloro che su tali princìpi fondamentali del Diritto si riconoscono ed agiscono ad aderire sia singolarmente che nelle formazioni sociali o politiche cui appartengono, al presente appello rivolto ad assicurare il rispetto dei Diritti Umani in Turchia e la liberazione dei detenuti politici, condividendone e sottoscrivendo il contenuto e nel contempo realizzando iniziative e presidi in ogni paese europeo e città italiana il giorno:
27 giugno 2020 alle ore 17
– Per ottenere la liberazione di tutte le persone che a causa delle loro opinioni politiche in Turchia sono private della loro libertà personale, tra le quali tutti i co-sindaci, consiglieri comunali e provinciali dell’HDP, così che gli stessi possano esercitare la pubblica funzione che riveste la loro carica e nel contempo sia rispettata la libera espressione della volontà popolare come normalmente accade in ogni Stato di Diritto;
– Perché siano tutelati i diritti fondamentali dei prigionieri politici ristretti nelle carceri turche, anche mediante la concreta applicazione delle linee guida redatte dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, del CPT e dei commissari per i diritti umani delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa, così che i detenuti possano essere preservati dagli effetti nefasti del COVID 19 ;
– Per assicurare ai prigionieri politici i benefici di legge concessi ad altri detenuti senza che venga attuata alcuna discriminazione in loro danno;
– Per assicurare una esistenza Libera e Dignitosa ad ogni persona, con particolare riguardo alle donne ed ai bambini che in Turchia godono di minori tutele e sono perciò maggiormente esposte ed esposti a discriminazioni soprusi;
– Per sostenere ogni altra forma di denuncia e manifestazione di solidarietà per la Libertà di Espressione e di Pensiero affinché anche in Turchia possa essere assicurata la Libertà di Opinione garantita in ogni Stato democratico in tal senso
indirizzando la propria azione ai Governi, agli Organi e Rappresentanze Internazionali quali le Nazioni Unite, il Comitato per la prevenzione della tortura (CPT), l’Unione Europea, Amnesty International ed ogni altra organizzazione che opera a tutela dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali, affinché esercitino le necessarie pressioni politiche e diplomatiche sulla Turchia con la urgenza che la situazione attuale richiede così da poter salvaguardare la vita e le libertà fondamentali di tutti/e coloro che in detta nazione sono perseguitati e sottoposti a restrizione della loro libertà personale a causa soltanto delle loro opinioni politiche legittimamente manifestate ma mal tollerate dal regime turco.
Ufficio informazione del Kurdistan in Italia, Rete Kurdistan Italia;
Per adesioni scrivere a info@retekurdistan.it , info.uikionlus@gmail.com
ALTRI MATERIALI – che i media italiani nascondono o minimizzano – SUL LAGER TURCHIA
Leyla Güven HDP: questo è un colpo di stato, non può essere chiamato diversamente (*)
Lo status di deputato della Co-presidente del DTK (Congresso della società democratica) e deputata di HDP ad Hakkari Leyla Güven, del deputato di HDP di Diyarbakir Musa Farisoğulları, e del deputato Partito repubblicano del popolo (HDP) di Istanbul, Enis Berberoğlu sono state revocate.
I tre deputati sono stati ufficialmente rimossi dopo che il vicepresidente del parlamento Süreyya Sadi Bilgiç ha letto le sentenze del tribunale all’Assemblea generale. Leyla Güven ha affermato che la decisione è una continuazione del “Piano del collasso” adottato durante la riunione del Consiglio di sicurezza nazionale (MGK) del 30 ottobre 2014.
Ostilità nei confronti dei curdi
Ricordando il colpo di stato del 2 marzo 1994 contro i deputati del DEP (Partito Democratico), Leyla Güven ha affermato: “La revoca dell’immunità parlamentare è una continuazione del colpo di stato politico iniziato il 2 marzo 1994, proseguito il 4 novembre 2016 (quando sono stati arrestati i co-presidenti e i deputati di HDP) e ripreso recentemente con la confisca delle municipalità di HDP. Questa è una politica di eliminazione, di inimicizia nei confronti dei curdi e un tentativo di eliminare la politica curda dagli ambiti democratici. È finalizzata al rompere l’insistenza dei curdi sulla politica democratica. Questa è l’imposizione forzata ai curdi: “In realtà non sei te stesso, esisterai finché ti muovi entro i confini che ho tracciato, altrimenti non riconoscerò la tua volontà’. È un passo per spezzare la volontà della popolazione di Hakkari e Amed (Diyarbakır). ”
L’alleanza AKP-MHP incoraggiata dal CHP
Leyla Güven ha criticato il CHP che ha votato “sì” alla revoca dell’immunità parlamentare durante la sessione svoltasi presso l’Assemblea generale del 20 maggio 2016. Ha affermato: “Se il CHP avesse evitato una simile posizione prima del 4 novembre, se avesse manifestato un atteggiamento più forte, L’AKP e il MHP non sarebbero stati in grado oggi di osare tutto questo. Sono davvero incoraggiati da questo atto del CHP. Quando il parlamento ha approvato la revoca dell’adesione parlamentare al CHP come partner, era evidente che ciò che stiamo vivendo oggi sarebbe effettivamente avvenuto ”.
Questo è un colpo di stato
Leyla Güven ha proseguito: “Siamo di fronte a un fascismo che prende di mira le tombe, i cadaveri e l’esistenza dei curdi. Di fronte a questi atti, la revoca della nostra immunità parlamentare non ha molta importanza. Condividiamo tutti i dolori subiti dalla nostra gente. Abbiamo sperimentato tutti i tipi di dolori insieme alla nostra gente. Per questo motivo questo è un sequestro della volontà, un fascismo, un colpo di stato e non può essere chiamato diversamente “
(*) da ANF
Le vite nere contano, le vite curde contano: siamo pronte a difenderle
di Rete jin
Costruiamo una vita libera insieme in memoria di George, di Barış, di tutte le persone che sono morte per mano del fascismo e del razzismo e di tutte le persone resistenti che ci hanno preceduto.
Traduciamo il comunicato da WomenDefendRojava (3 giugno 2020)
Questa settimana, molte persone negli Stati Uniti sono scese in strada a causa dell’uccisione razzista di George Floyd da parte della polizia. Le proteste continuano giorno dopo giorno con fermezza mentre lo Stato risponde con la più brutale violenza. Manifestanti e giornalisti vengono colpiti, arrestati e umiliati, senza rispetto per il diritto di protesta e per le vite libere dalla violenza.
Soltanto due giorni fa, il giovane curdo Barış Çakan è stato ucciso dai fascisti in Turchia. Un’altra persona curda uccisa dal fascismo che lo Stato turco promuove e protegge, sia attraverso la polizia, l’esercito e i servizi segreti che attraverso fascisti che agiscono impuniti per le strade. Soltanto qualche settimana fa diverse attiviste per la libertà della donne e rappresentanti del popolo curdo in diverse istituzioni sono state colpite e arrestate.
Questi non sono eventi isolati: sia l’uccisione di George che quella di Barış sono parte dell’ideologia su cui si basa lo Stato. Un’ideologia razzista sciovinista che è espressa in diversi luoghi e in diversi modi, ma che è parte dello stesso sistema di Stati-nazione capitalisti basati sulla mentalità maschile di potere e dominazione.
Con questa mentalità provano a dividere la società, creando un nemico in chiunque sia diverso, che sia per colore della pelle, etnia o genere. Generano odio per mantenere il loro potere. Barış e George non sono stati sfortunatamente gli unici a pagare con le loro vite per la brutalità di questo sistema. La storia della comunità nera e quella del popolo curdo sono state storie di oppressione e resistenza.
Dalla tratta degli schiavi neri alle politiche razziste e alla violenza di oggi, dal massacro di Dersim all’occupazione della Siria del Nord e dell’Est da parte della Turchia e dei suoi alleati jihadisti, vediamo la continuità del sistema e la mentalità che sta portando al collasso dell’ambiente, che nega libertà alle donne e alla società. Vediamo come la guerra contro la società sia espressa ogni giorno dalla modernità capitalista e dalla mentalità patriarcale contro il volere democratico del popolo.
Una guerra che si esprime in particolare sui corpi e sulle vite delle donne, come possiamo vedere nella regione occupata di Afrin. Qualche giorno fa è stato pubblicato un video che mostrava donne che sono state rapite e tenute prigioniere in condizioni disumane e violente da gruppi jihadisti supportati dalla Turchia, dagli Stati Uniti e dal resto della NATO. Questi Stati supportano gruppi che rapiscono, torturano e uccidono donne ad Afrin, così come la polizia, che uccide persone nere restando impunita e attacca e abusa donne. Qui e là, combattiamo la stessa guerra e, in quanto donne, poiché siamo il primo obiettivo, dobbiamo essere la prima linea di resistenza.
Lo Stato difende per sé il monopolio della violenza, mentre l’autodifesa è etichettata come terrorismo, sia che si pratichi nelle strade degli Stati Uniti, sia sulle montagne del Kurdistan. Ma, come spiega giustamente Abdullah Öcalan, “una pace senza autodifesa è un’espressione di rassegnazione e schiavitù.”
Nei territori liberati della Siria del Nord e dell’Est abbiamo un chiaro impegno per la pace. Sappiamo che senza giustizia non c’è pace. Senza etica non c’è pace. Senza democrazia del popolo, non c’è pace. Senza libertà delle donne non c’è pace. Questo è il motivo per cui stiamo costruendo e difendendo un sistema che si basa sulla liberazione delle donne e un sistema democratico ed ecologico che protegge come valori inalienabili il diritto all’autodifesa e alla coesistenza dei popoli, delle religioni e dei gruppi etnici.
Perché giorno dopo giorno continuiamo a essere bombardati, uccisi e umiliati. Continuano a metterci gli uni contro gli altri, dividendo la società. E questo è il motivo per cui la nostra maggiore arma per difenderci come società è rimanere uniti, nella diversità che ci forma, guardando alla differenza come qualcosa che ci arricchisce.
La nostra oppressione ha la stessa origine e perciò dobbiamo combattere insieme per metterle fine, per difendere una vita libera. Combattere l’uccisione dei curdi in Turchia è combattere l’uccisione di persone nere negli Stati Uniti. Combattere l’invasione della Siria del Nord e dell’Est è combattere il razzismo della polizia. Difendere il Rojava è difendere la comunità nera e difendere la comunità nera è difendere il popolo curdo.
Come donne, prendiamo l’impegno di combattere per una libertà che liberi tutta la società. Il nostro impegno è di ricostruire una società che viva insieme come una comunità nella sua diversità, in risposta a così tanta distruzione, divisione e odio. Il nostro impegno è nel difendere la vita di fronte alla morte che ci è imposta.
Difendiamoci dal razzismo, dal fascismo e dalla mentalità patriarcale degli Stati-nazione capitalisti. Costruiamo una vita libera insieme in memoria di George, di Barış, di tutte le persone che sono morte per mano del fascismo e del razzismo e di tutte le persone resistenti che ci hanno preceduto. Insorgiamo e organizziamoci perché soltanto insieme renderemo il razzismo un doloroso ricordo di una storia finita.
Per tutti i martiri, dal Rojava al mondo, diciamo apertamente che “le vite nere contano”, “le vite curde contano” e siamo pronte per difenderle fianco a fianco.
Arrestate in Turchia le donne del movimento femminile kurdo
RadioCentoMondi (27 maggio 2020) di Marco Marano
Arrestate le attiviste del movimento “Rosa Women’s Association” attivo nella Turchia del sud, in quegli insediamenti kurdi dove da cinque anni la repressione di Erdogan contro la cittadinanza e le istituzioni locali è feroce, al punto di far parlare di “genocidio politico”.
Bologna, 27 maggio 2020 – È successo venerdì scorso. Una denuncia per terrorismo a 18 attiviste del movimento Rosa Women’s Association, alcune di esse esponenti del partito di sinistra kurdo HDP. Tutto è stato avviato in seguito ad una indagine aperta dalla Procura della Repubblica di Diyarbakir.
Dichiarazioni segrete portate come prove
Il 22 maggio è stato emesso un mandato di cattura per 12 di loro, che sono state prelevate ed arrestate. Cinque rilasciate su cauzione e una messa agli arresti domiciliari. Come ormai nella prassi del dominio autoritario turco, le accuse non sono suffragate da prove documentali ma da dichiarazioni di persone anonime, tenute segrete. C’è da dire che da dopo l’assedio del 2016 tutte le organizzazioni femminili sono state chiuse, l’unica rimasta a supportare la violenza contro le donne era l’Associazione Rosa.
Le accuse surreali
Le accuse esplicitate durante gli interrogatori hanno lasciato sbigottiti gli avvocati difensori. Il repertorio è stato molto vario: dal motivo per cui veniva organizzata una manifestazione per l’8 marzo, al sostegno dato dal “Consiglio delle madri della pace” per uno sciopero della fame contro la carcerazione di Abdullah Öcalan; ancora la vicinanza al movimento delle donne libere, e persino la stigmatizzazione dei femminicidi, che dimostrerebbero la natura terrorista dei comportamenti insiti nel movimento femminile kurdo.
Il “crimine” della doppia leadership
Ma le accuse più stringenti hanno riguardato la gestione del sistema territoriale da parte dell’HDP, i cui leader nazionali come Selahattin Demirtaş, sono in carcere da tre anni. Ad essere messo sotto accusa è il sistema paritario di genere in relazione alla doppia leadership sia dentro il partito che fuori nelle istituzioni locali. Cioè a dire che, in qualsiasi contesto, se c’è un presidente uomo ci sara una co-presidente donna e viceversa.
Infine, ma non ultimo in ordine d’importanza, sono stati contestati alle donne inquisite degli slogan cari al movimento, il primo dei quali è “Donne, vita, libertà”, oppure “Non ostacolare il nostro libero arbitrio”…
Il crimine è protestare contro il patriarcato
Il Movimento delle donne libere (TJA), ha emesso un comunicato dove chiarisce in modo inequivocabile cosa stia succedendo in Turchia:
“Il diritto e la libertà delle donne all’organizzazione indipendente vengono considerati una questione incriminante. Tutti gli usi del diritto alla libertà di espressione a favore della libertà delle donne sono trattati come prove incriminanti. Questi attacchi mostrano che il governo dell’AKP-MHP sia intenzionato a continuare le sue politiche misogine, militariste, razziste, sessiste e moniste, usando la religione. Essere una donna, essere kurdo, vivere nella geografia kurda provoca un triplice aumento dell’oppressione.”
FONTE e immagine: ANF News
L’IMAGINE IN EVIDENZA è di Gianluca Costantini.