Scor-data: 4 settembre 1904

La fanteria spara sui minatori di Buggerru

di Daniela Pia (*)

Buggerru1904

 

La Sardegna, nei primi mesi del 1904, fu attraversata da un grande fermento e gli scioperi, diffusi nel territorio, portarono a galla le difficili condizioni di lavoro degli operai. A Montevecchio, Monteponi, San Giovanni e Ingurtosu i minatori scioperarono chiedendo un orario più umano e un salario dignitoso. In tutto l’Iglesiente i minatori erano una vera forza (circa 15.000) e le tensioni erano forti quanto forti erano le ingiustizie.

Gli arbitrii dei padroni, e dei loro servi obbedienti, erano all’ordine del giorno. Salari da fame e nessuna sicurezza in miniera furono alla base della costituzione, nei primi giorni del 1904, della Federazione regionale dei minatori che doveva difenderne le istanze. A Buggerru le miniere di calamina, blenda e galena, assai redditizie, erano sfruttate da una Società anonima francese denominata Malfidano il cui direttore era un turco, naturalizzato greco, l’ingegnere Achille Georgiades. Nel circondario tutto era di proprietà della società francese: i pozzi, la laveria, le officine, i magazzini, come la scuola, le case, la terra dove anche la costruzione di un un muretto di recinzione era vista come un abuso da reprimere. Raccogliere legna per il focolare era vietato, piantare un albero impensabile. Sembrava che alla società francese appartenesse la vita stessa, quella degli uomini che scavavano nelle profondità della terra, e quella delle donne e dei ragazzi impiegati alla cernita dei minerali. Un tetto sotto il quale ripararsi, un luogo nel quale farsi curare nell’eventualità non remota di un infortunio – o della frequente silicosi – erano “privilegi”. Il direttore Georgiades insisteva con il più rigido sfruttamento sottoponendo i lavoratori a orari durissimi: i turni avevano una durata non inferiore alle 9 ore; non esisteva il giorno di riposo settimanale; non esistevano contratti di lavoro, i minatori dipendevano interamente dai “caporali” che avevano il potere di assumere, licenziare, infliggere multe e punire. I lavoratori dovevano provvedere all’acquisto degli strumenti da lavoro ed erano tenuti persino a rifornirsi dell’olio per la lampada. Ogni cavillo sembrava lecito per rendere più gravoso un lavoro già tremendamente sfiancante. Fu così che – il 2 settembre 1904 – quando il direttore decise di ridurre ulteriormente il riposo previsto per il pranzo la situazione divenne esplosiva e i minatori reagirono con l’ unica arma a loro disposizione: lo sciopero.

Interruppero ogni attività e, in massa, si diressero verso l’abitato e il cuore della miniera pronti alla lotta ad oltranza; il giorno successivo, sabato 3 settembre, pozzi, officine, laveria e magazzini rimasero deserti, mentre una gran folla riempiva la piazza. La società francese non era più in grado di gestire la situazione e corse ai ripari chiedendo l’intervento del governo.

Il 4 settembre nel paese giunsero da Cagliari due compagnie del 42° reggimento di fanteria. La folla che gremiva la strada principale del paese li accolse in un silenzio ostile, respingente ma invano. Poco dopo i soldati con le baionette inastate si schierarono in assetto da guerra. Le minacce e i tentativi di disperdere con la forza i manifestanti da parte dei soldati non sortirono alcun effetto. Fu così che gli eventi precipitarono: i soldati imbracciarono i moschetti e spararono sulla folla inerme. La tragedia si consumò in pochi minuti: sulla terra battuta della piazza la folla vide stesi una decina di minatori. Fra loro Felice Littera di 31 anni, originario di Masullas, e Giovanni Montixi di 49 anni, di Sardara, giacevano privi di vita. Un terzo, Giustino Pittau, di Serramanna, colpito alla testa, morì in ospedale e, un mese dopo, si spense anche l’ ultimo dei feriti Giovanni Pilloni.

La notizia dell’eccidio di Buggerru suscitò grande emozione e clamore in tutto il movimento operaio italiano e le manifestazioni di protesta si susseguirono in molte città. La redazione del quotidiano «L’Avanti!» fu sommersa da comunicati in cui le organizzazioni di base del Psi condannavano gli assassinii di Stato invocando l’immediata proclamazione di uno sciopero politico generale nazionale contro il governo.

L’ eccidio, compiuto su operai inermi, era stato letto come la risposta dell’Italia ufficiale a un proletariato sfruttato e sofferente, che aveva avuto il “torto” di rivendicare migliori condizioni di lavoro e di vita. I fatti luttuosi vennero diffusi in tutta la loro brutalità e forte si fece sentire l’indignazione. Attestazioni di solidarietà giunsero persino dalla Svizzera dove, 300 scalpellini di Wassen espressero la loro protesta contro le scelte compiute dallo “zar Giolitti” augurandosi che «tutti i circoli e leghe promuov[essero] una seria agitazione onde [si] abbia da seppellire questo fucile, omicida dei proletari». Parole che si incisero nelle coscienze tanto da far crescere la consapevolezza che lottare era essenziale affinché giustizia fosse fatta e perché la dignità del lavoro e degli operai fosse salvaguardata. A sostegno della lotta dei minatori e per stigmatizzare l’eccidio, l’11 settembre si tenne a Milano un grande comizio e, di fronte alla reazione operaia sostenuta da quella contadina, Giolitti introdusse provvedimenti per la militarizzazione dei ferrovieri e per la mobilitazione straordinaria dell’esercito, senza però giungere ad attuarli.

A seguito della morte dei minatori caduti il 4 settembre 1904, venne nominata una commissione parlamentare di inchiesta sulla condizione degli operai nelle miniere sarde. Ne emersero scenari inquietanti, anche se non tutto fu reso noto. Ciò che rimase di quella dolorosa esperienza dei minatori sardi fu il nucleo che diede origine al primo sciopero generale della storia d’Italia. Era stato posto l’ accento sul valore della lotta di classe, la stessa che originò la mobilitazione, ineludibile per porre fine alle angherie.

A dimostrazione che i sardi saranno stati pure “pocos” ma non tutti erano “locos” e nemmeno “malos unidos”. Volendo. La lotta operaia lo testimonia ancora oggi, in questa controversa Sardegna, così come fece, seppur nel sangue, quell’esperienza del primo Novecento.

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su http://www.radiazione.info .
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… è un’impresa più complicata del previsto, vi aggiorneremo. (db)

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

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