«32 e 16»: la storia di Samia Yusuf Omar arriva a teatro
di Monica Macchi (*)
«Sono stata felice, le persone mi hanno incoraggiato con il tifo.
Ma mi sarebbe piaciuto essere applaudita per aver vinto,
e non perché avevo bisogno di incoraggiamento.
Farò del mio meglio per non essere l’ultima
la prossima volta».
Samia Yusuf Omar
Atleta somala muore su un barcone per raggiungere l’Italia:
avrebbe dovuto partecipare alle Olimpiadi
Corriere della Sera, 20 agosto 2012
«Cosa facciamo noi
mentre il Mediterraneo si riempie di occhi aperti?»
Michele Santeramo
Sul palco un podio su cui si alternano tre attori in una dimensione narrativa: ed ecco la storia personale di Samia, degli allenamenti notturni in una Mogadiscio stretta nella morsa degli Shebab e del qat fino al viaggio a Pechino per le Olimpiadi del 2008, dove corre per i duecento metri, in maglietta sformata e fascetta bianca per il sudore a fianco di Veronica Campbell-Brown, tutina attillata, unghie laccate di rosso e un enorme solitario. Risultato scontato: Veronica Campbell-Brown, prima e Samia Yusuf Omar, ultima con trentadue secondi e sedici primi, così distaccata da finire fuori pure dall’inquadratura della telecamera. Eppure… eppure tutto lo stadio si alza ad applaudirla e lei capisce che la corsa, oltre ad essere la sua passione può anche essere il passaporto per crearsi un futuro da atleta in Europa. Ma non ha “il” passaporto, non ha certificato di nascita o altri documenti forse persi nei bombardamenti o negli scontri fra i signori della guerra e allora si mette a correre verso le Olimpiadi di Londra passando per Addis Abeba, Bengasi, Cufra, Tripoli e poi il Mediterraneo. Qui lo spettacolo cambia registro (grazie anche ad un eccellente supporto audio-visivo) diventando onirico, grottesco e surreale con due fratelli che si spulciano intonando una nenia infantile: pescano cadaveri, vivono su un’isola con topi e uccelli coi denti e pensano di essere gli ultimi superstiti del mondo incaricati di “fare l’umanità” attraverso l’incesto. Un misto di indifferenza e solipsismo di fronte all’immigrazione che (ri)suona cinismo nell’epitaffio finale: «Finché arrivano morti, quale è il problema?».
PS: La storia di Samia Yusuf Omar è raccontata anche nel libro di Giuseppe Catozzella «Non dirmi che hai paura»
Produzione ATIR Teatro Ringhiera, Milano
di Serena Sinigaglia
con Tindaro Granata, Valentina Picello, Chiara Stoppa
Durata 75 minuti
Scritto da Michele Santeramo, attore e autore di «Il Barone dei porci», «Konfine», «Sacco e Vanzetti, loro malgrado» e fondatore con Michele Sinisi della compagnia Teatro Minimo