SULLA PUNTA DELLE DITA
di Pabuda
mette una tale tristezza
‘sta storia
che non mi riesce
di raccontarla:
eppure – o, forse:
sarà proprio perché –
ce l’ho in mente tutta:
per filo e per segno:
odori, lampi di luce,
e poi, nel buio, un disegno:
fitto di parole proibite,
grida, musica, frusta, fango,
spine, schegge, stupri,
polenta rancida, danze,
messe e benedizioni.
una disdetta e un’angheria
talmente ripetuta e vischiosa
e densa,
laggiù, negli stati dell’America,
che raggruma anche l’inchiostro
della penna:
mi si macchiano le mani
e i quaderni:
alla fine,
la storia rimane appiccicata
sulla punta delle dita
e non posso scriverla.
una vergogna
così vicina, familiare e ruvida
che provando a dirla
mi s’incastra di traverso, in gola,
e la voce senza suono si consuma.
adesso come adesso,
riesco a dire soltanto due parole
ché prese così, da sole,
sembran buone:
zucchero & cotone.