45 voci per un«dolce avvenire»
La crisi morde. Anche nei Paesi ricchi. La domanda decisiva è se si tratti di un incidente congiunturale, di errori rimediabili o se invece un sistema stia crollando per ragioni economiche, ecologiche, sociali ma anche per un vuoto di valori, di idee.
Parte da qui «Il dolce avvenire» (Diabasis: 16 euri per 348 pagine) curato da Alessandro Bosi, Marco Deriu e Vincenza Pellegrino che raccoglie analisi e proposte diverse – alcune lievemente più ottimiste e altre molto preoccupate – ma quasi tutte propositive, stimolate dai due curatori e dalla curatrice verso l’idea che questa crisi, pur drammatica, sia «una buona novella» se aiuta a cercare soluzioni e non toppe che salterebbero presto. Alla ricerca dunque di concrete vie d’uscita, raccogliendo l’invito della breve premessa a guardare «lo spiraglio di luce piuttosto che il muro da cui filtra», un muraglione riverniciato e abbellito da chi ripete il mantra del “non esiste alternativa”. Per ridare senso all’avvenire urge un cambio di paradigma, occorrono «Esercizi di immaginazione radicale del presente» come invita il bel sottotitolo.
Immaginare ovviamente non significa scherzare, lo si può fare con grande rigore. Persino le poche voci che in questo libro hanno “sposato” almeno in parte (a esempio Volontariato) o del tutto (Città e Scienza) la fantascienza o che tentano almeno un piccolo salto “in avanti ” nel tempo si propongono di indicarci sentieri praticabili. Insomma, anche senza abbracciare la science fiction, la maggior parte di autori-autrici osa spingersi molto avanti nell’ immaginare. Solo 3-4 si accontentano di raccontarci verità taciute (come le voci Finanza e Informazione, interessanti ma statiche): interessanti ma dell’oggi perciò ancora un passo indietro rispetto all’immaginazione… necessaria.
Opinioni diverse a volte (sulla questione scuola-pedagogia persino in conflitto fra loro nel dove e come cercare le soluzioni) ma più spesso sostanzialmente concordi su alcuni punti dell’analisi. A esempio che rispetto alle crisi passate esista una quadrupla frattura: una ecologica, una politica, una culturale e una relazionale. Su questa quarta frattura, quella delle relazioni umane, non a caso sono soprattutto donne (in testa Barbara Mapelli, Chiara Zamboni, la citata Pellegrino) a indicarci strade da percorrere.
Qualche assaggio. Partendo dall’introduzione, scritta a 6 mani cioè da Bosi, Deriu e Pellegrino. C’è un «divario fra Paesi ricchi e poveri» che nel XVIII secolo era 1 a 2, «nel 1965 era diventato 1 a 30, oggi è di 1 a 70 e tende a crescere». Ma rimane ben poco da … sfruttare. «Appare evidente a tutti (…) che si consuma più delle risorse disponibili». Se vogliamo salvarci insieme a questo ridicolo pianetino, che però è l’unico che abbiamo, ci sono alcune attività che devono cessare. Non si tratta solo di sprechi o di inefficienze da eliminare ma di una vera decrescita, come da tempo urla soprattutto Serge Latouche. Ma altre attività devono essere inventate, messe in campo, anche riscoperte da un passato (dai passati, molteplici come i futuri) più o meno lontano. Quel che va eliminato e ciò che va inventato riguarda noi – intendo Maria, Aldo, Karim, Nada che stanno leggendo – e dobbiamo ragionarci: se ci convince possiamo/dobbiamo provare a praticare subito queste piccole alternative quotidiane. Riconoscendoci tutte/i vittime (in diversi gradi, è ovvio) di questo sistema ma sapendo che – soprattutto in questa parte del mondo – siamo anche un po’ complici di un sistema ingiusto e distruttivo, moltiplicatore di malessere nonché… idiota.
Dunque c’è un terreno che riguarda noi, nel nostro agire di ogni giorno, cioè consumi, scelte, tempi di vita e lavoro, relazioni. C’è poi – è ovvio – la grande politica, con Obama o la Merkel a tentare qualcosa di nuovo (in Italia ci teniamo le tre scimmiette del non vedo, non sento, non parlo).
Sempre nell’introduzione ci viene scaraventato addosso un bel problema, individuale e collettivo: «L’immagine positiva del futuro si è rovesciata nel suo contrario». Nessun futuro, cantavano i Sex Pistols. Intorno a noi paura, infelicità, disagio e ancora paura… Dove son finiti i desideri? Le paure, come i consumi compulsivi, sono malattie. Ma chi ci cura? Tutte/i (o quasi) siamo partecipi di alcuni stili di vita e modi di pensare patologici, malati; ci siamo assuefatti e neppure ci riconosciamo malati.
Nell’introduzione è soprattutto il paragrafo scritto da Marco Deriu che ci invita a non ragionare sulla crisi ma sulla normalità che la precede e che causa questa crisi e le altre crisi che verranno. Se vedete in arrivo un altro diluvio universale, ecco le suggestioni di Gunther Anders e Jean-Pierre Dupy: proprio attraverso il racconto mitico di Noè impariamo cosa fare perché quello che deve accadere… diventi falso.
Nella chiusura dell’introduzione, Vincenza Pellegrino chiede «se ancora siamo capaci di pensare il futuro» e subito dopo «Cosa ci impedisce di pensare altrimenti?». Sono forse le domande-chiave dell’intero libro.
C’è giustamente molto mondo in queste 45 voci ma c’è anche uno sguardo particolare sull’Italia: dalle catastrofi fluviali al turismo che «presto sarà il nemico pubblico numero 1»; dalle meraviglie del Tirolo e persino Bergamo ai Gas (Gruppi di acquisto solidale), al prezzo delle abitazioni, al bel discorso di Beppe Englaro che Giovanni Allegretti usa come premessa per riflettere sui suggerimenti che stanno arrivando soprattutto… dall’America latina.
Sarebbe bello se queste suggestioni e provocazioni aprissero – a partire da questa rivista – una discussione. Avanti il prossimo.
BOX
Ecco le parole del «dolce avvenire». Acqua di Emilio Molinari; Agricoltura di Gianni Tamino; Animali di Annamaria Rivera; Architettura di Agnese Ghini; Centri storici minori di Manuela Ricci; Città di Daniele Barbieri (che spesso leggete su queste pagine) e Vincenzo Cossu; Clima di Luca Mercalli; Comuniczione di Rossella Bonito Oliva; Comunità elettive di Vincenza Pellegrino; Cooperazione di Marco Deriu; Cucina di Chiara Platania; Cura di Barbara Mapelli; Decrescita di Serge Latouche; Democrazia di Deriu; Diritto di Pietro Barcellona; Ecologia di Wolfgang Sachs; Economia di Alberto Castagnola; Educazione di Alessio Surian; Energia di Mario Agostinelli; Equità-sostenibilità di Paolo Cacciari; Finanza di Andrea Di Stefano; Imprese di Massimo Chiocca, Paolo Gardenghi e Luciano Mazzoni; Informazione di Maurizio Chierici; Laicità di Brunetto Salvarani; Lavoro di Ferruccio Andolfi; Legame sociale di Francois Fournier; Mercato di Marco Bonaiuti; Mezzogiorno di Amato Lamberti; Migrazione di Adel Jabbar; Monete di Maurizio Ruzzane; Movimento della brasiliana Moema Mirando; Pace di Enrico Euli; Partecipazione di Giovanni Allegretti; Cura di Barbara Mapelli Politica di Chiara Zamboni; Salute! (proprio così, con un ironico punto esclamativo) di Pietro Coppo; Servizi sociali di Annamaria Campanini; Scienza di Pietro Greco; Scuola di Alessandro Bosi; Sovranità alimentare di Francesca Bigliardi; Territorio di Osvaldo Pieroni; Traffico di Bosi; Università di Annamaria Pissi; Urbanismo di Nan Ellin; Volontariato di Roberto Abbate e infine V(u)oto ancora della Pellegrino.
UNA PICCOLA NOTA
Questa recensione è uscita con la firma Gianni Boccardelli sulla rivista «Come» nel gennaio 2010. E già che ci sono svelo un segreto (di Pulcinella). Gianni Boccardelli è uno pseudonimo che ogni tanto uso. Perchè? Sono quattro i motivi possibili. 1 – Mi chiedono di parlare di qualcosa in cui sono coinvolto (come in questo caso) e magari non mi va di scrivere in prima persona. 2 – Talvolta perché su quel numero della rivista o del quotidiano già ci sono altri articoli miei (un motivo scemo? Forse sì). 3 – Sono sotto contratto con un editore (mi è capitato pur se raramente) e mi sarebbe vietato scrivere altrove; 4 – Ogni tanto per una sorta di … dedica a due persone: una perduta (Gianni) che ha attraversato la mia vita in alcuni passaggi decisivi, l’altra presente (Boccardelli) che dal 1969 mi accompagna nella saggezza come nella pazzia.