Ricordo di Antonio Caronia

Girando nei mondi altri: fra anni ’70, «Uau» e diverse umanità

di Giuliano Spagnul (*)

Giuliano-COPdue

Segnalo l’uscita del libro «Mondi altri. Processi di soggettivazione nell’era postumana a partire dal pensiero di Antonio Caronia», Mimesis 2016, pagine 278 per euro 24. L’indice è visibile qui: http://un-ambigua-utopia.blogspot.it/2016/06/mondi-altri.html.

Approfitto dell’occasione non per una recensione – spero siano altri a farla – ma per raccontare il mio rapporto con Antonio Caronia. Una memoria che credo possa essere utile per analizzare un collegamento fra quei tumultuosi anni Settanta e questa apparentemente statica e melmosa manciata di lustri di inizio di nuovo millennio. Ho conosciuto Antonio in una fredda serata milanese nel febbraio 1976 in piazza Duomo. Io ero un giovanissimo sottufficiale dell’Aeronautica Militare e lui un militante (in una certa misura “militare” anche lui) della IV Internazionale – piccolo gruppo trotzkista nella variegata costellazione della sinistra extraparlamentare d’allora – che mi intervistava, per la rivista «Bandiera rossa», in quanto rappresentante del movimento Sottufficiali democratici dell’Aeronautica Militare. Storie vecchie, oggi dimenticate, ma in quegli anni non è esistito strato sociale, culturale, di classe, ecc. che non fosse attraversato dal soffio dell’utopia rivoluzionaria. Il mondo militare non ha fatto eccezione, dall’obiezione di coscienza di anarchici e radicali fino ai Pid (Proletari in divisa) sostanzialmente i militanti di Lotta Continua che durante la leva partecipavano alle manifestazioni in divisa e con il fazzoletto rosso sul viso per non essere riconosciuti, e infine i sottufficiali dell’Aeronautica, il movimento più forte e mediaticamente seguito, il quale riuscì a portare (grazie all’essenziale aiuto di tutti i gruppi extraparlamentari) più di tremila sottufficiali a manifestare a viso scoperto. Ma questa è un’altra storia che forse racconteremo in un altro momento. Se ho ricordato questo inizio è perché, al di là dell’aneddoto, mi sembra che questi fatti aiutino a chiarire come in quegli anni tutto quello che di nuovo succedeva aveva una sorta di necessità, di bisogno collettivo di cambiamento, di un’urgenza rivoluzionaria che non risparmiava nessuno, fossero categorie umane- come gli studenti, gli operai, le donne, gli omosessuali, militari, preti ecc. – o forme culturali: cinema, teatro, editoria… oppure classi sociali: i ricchi coi loro sensi di colpa, i sottoproletari col loro bisogno atavico di riscatto ecc. ecc.

Poteva essere esente un settore che aveva come caratteristica intrinseca proprio l’immaginazione (verrebbe da dire «l’immaginazione al potere») come la fantascienza? La rivista «Un’Ambigua Utopia» nasce da questo terreno di coltura, da questo brodo rivoluzionario. L’ho già detto in altre occasioni – e anche Antonio alla fine mi ha dato ragione http://un-ambigua-utopia.blogspot.it/2014/12/antonio-caronia-quando-i-marziani.html – «UAU» non è stata una fanzine di sinistra ma una rivista di movimento che si è interessata sia della fantascienza che dell’immaginario nel senso più ampio del termine. Antonio entrò nel collettivo dopo il terzo numero della rivista e impresse una svolta radicale allo stesso. Ora vorrei chiarire qui una cosa la cui importanza cercherò di dimostrare alla fine di questo scritto: nonostante io fossi molto giovane e Antonio avesse undici anni più di me non fu in alcun modo una sorta di “maestro” nei miei confronti. Quando lui entrò nel collettivo io mi trovavo relegato in un angolo, l’editoriale del secondo numero aveva fatto retromarcia rispetto a quello del primo numero con il suo invito a distruggere la fantascienza. Nel conflitto tra una visione “settantasettina” (velleitaria e spontaneistica fin che si vuole, comunque ribelle) e una “riformista” che auspicava un possibile lavoro culturale da sinistra nei settori della cultura di massa, io – che rappresentavo la prima – avevo avuto la peggio e solo l’arrivo di Antonio aveva potuto ribaltare la situazione. Ci siamo serviti e aiutati a vicenda; lui con la sua maturità politica e culturale, io con il mio peso di ideatore della rivista e la mia esuberanza giovanile, abbiamo trasformato il collettivo in un’entità aperta, antidialettica, capace di produrre conflitti senza per forza ricondurli a una sintesi ma anche senza portarlo alla disgregazione. Non c’era una linea vincente, una tesi da votare che predominava sulle altre ma una pluralità di posizioni, di possibilità in conflitto permanente e creativo. Non posso dire di non aver imparato nulla da Antonio in quegli anni, ma posso sostenere che in un rapporto dare/avere il bilancio risulta paritario.

La vita, dopo «UAU», ci ha fatto seguire strade diverse e non ci siamo più visti per una decina d’anni. Poi negli anni Novanta un lento riavvicinamento (ricordo con commozione il corteo/manifestazione del funerale di Primo Moroni che abbiamo fatto assieme nel 1998) fino alla ripresa della discussione sulla storia di «Un’Ambigua Utopia» culminata con le ristampe della rivista e del libro «Nei labirinti della fantascienza» che abbiamo curato assieme.

Ora, a distanza di tre anni dalla sua scomparsa, posso dire che Antonio se non è stato un mio maestro di gioventù, lo è stato nella mia vecchiaia. In questi ultimi anni ho imparato – e forse si impara nel senso vero del termine proprio solo quando si è vecchi (maturi?) – che per essere maestri occorre dire la verità. La verità è quella cosa che anche se è spiacevole, ma ne siamo convinti, va detta. Questo non significa possedere la verità, significa più semplicemente che non si può dire ciò in cui non si crede, anche se abbiamo paura di chi è più forte di noi o più numeroso. Non è una cosa semplice anche se lo sembra. Imparare a essere coerenti sapendo di non possedere la verità ma di doverla dire impone una scelta di vita e una scelta molto poco comoda. È qualcosa che ha a che fare con la filosofia, con la filosofia del vivere, dove il dire è una pratica quanto l’agire e con le stesse responsabilità. Antonio nei suoi ultimi anni mi ha insegnato questo e soprattutto la capacità di fallire e di riconoscere nel fallimento la sua prerogativa maggiore, cioè la possibilità di riprovare di nuovo. E Antonio, a questo punto, avrebbe aggiunto: «e di nuovo ancora, e ancora»

(*) In “bottega” di Antonio Caronia si è parlato più volte. Codesto post doveva uscire lo scorso Marte/dì – anche se non solo di fantascienza qui ragiona Giuliano – ma è accaduto che invece dei 3 post previsti ce ne fossero 6 pronti; ho rimandato ma nel frattempo sono arrivati altri “fanta-post”: insomma il Marte-dì tracimava. Allora ho mandato un messaggio – serio il giusto e scemo qb – alla mia “piccola lista di fs”, eccolo. «Care e cari devo chiedervi aiuto; sempre più spesso il Marte-dì è così riiiiiiiiiiicco che devo rimandare pezzi già pronti e urgenti: a esempio la mia recensione dell’ultimo romanzo di Francesco Troccoli, un bel ricordo di Antonio Caronia scritto da Giuliano Spagnul, la seconda puntata di “scrivere fantascienza” di Giulia Abbate. E meno male che “Johnny” è in ritardo e che altre cose sono variamente posticipabili. D’altronde come piccola redazione abbiamo deciso che il Marte-dì NON deve avere più di tre fanta-post, intervellati da “non fanta”. L’aiuto che vi chiedo è questo: conoscete un modo di martedizzare il calendario, cioè moltiplicare i Marte-dì all’interno dei canonici 7 giorni? Voi direte: beh, basta chiamare Marte-bis un pezzo di giovedì o di mercoledì… Ceeeeeerto si potrebbe ma da voi, da noi, mi aspetto qualcosa di più fantasioso».

Confesso che non mi si è “filato” neppure un’animuccia; di solito ogni 10 destinatari in media 1 risponde… Era un quesito troppo scemo o troppo complesso? Boh. Così vado sul facile e posto “fuori orario”. Pericoloso? Può essere. Tenete presente, a esempio, che un famoso romanzo “catastrofico” inizia così: «Quando un giorno che sapete essere mercoledì comincia subito a sembrarvi domenica, vuol dire che da qualche parte c’è qualcosa che proprio non funziona». L’avete riconosciuto? E’ «Il giorno dei trifidi» di John Wyndham… o per essere più precisi di John Wyndham Parkes Lucas Beynon Harris. Bene, aspettando Marte-dì … ci vediamo abusivamente domani sera.

 

 

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