Chi emigra: l’Italia è strana?
di Salvatore Palidda (*)
È possibile essere al tempo stesso il Paese degli emigrati, degli immigrati e del declino demografico? Nessun paradosso, spiega Salvatore Palidda, è il prodotto del liberismo e del lavoro come sfruttamento.
Da alcuni anni qualcuno s’è accorto che l’Italia non ha mai smesso di essere un paese di emigrazione mentre da almeno trent’anni si parla (e quasi sempre male) solo di immigrazione straniera. Inoltre, sebbene parziali per difetto, i dati mostrano che l’emigrazione è ripresa e aumenta proprio in zone di immigrazione crescente insieme a un altissimo numero di cancellati e nuovi iscritti all’anagrafe dei comuni anche per migrazione verso altri comuni. Questo lo si può verificare sia in piccoli comuni che sembrano estinguersi ma si popolano di immigrati, ma anche nelle grandi città che sono spesso di transito. Si tratta di dati parziali poiché tante persone non si cancellano dall’anagrafe del proprio comune di origine, quindi non si iscrivono a quella dei comuni dove sono andati a prendere domicilio, né all’anagrafe dei consolati nei paesi europei dove si sono installati, sia perché non è obbligatorio, sia perché spesso si tratta di soggiorni non molto prolungati, sia infine perché alcuni vanno a svolgere lavori al nero.
Il totale dei residenti in Italia al 1 gennaio 2019 è di 60.359.546, di cui l’8,7% di cittadinanza straniera (5.255.503 regolari) (cfr. dati Istat 2019), ergo gli italiani sono 55.104.043 (senza contare chi emigra all’estero senza registrarsi e gli stranieri irregolari che sono stimati a circa 500 mila persone).
Ma per avere un’idea parziale dei continui spostamenti di persone basta guardare il dato globale degli iscritti all’anagrafe dei comuni dal 2001 al 2018 e quello dei cancellati (iscritti provenienti sia da altri comuni, sia dall’estero e fra questi anche gli stranieri e fra i cancellati sia per altri comuni sia per l’estero e quindi far loro anche gli stranieri -vedi https://www.tuttitalia.it/statistiche/popolazione-andamento-demografico/). In 18 anni ci sono stati 33.381.047 di nuovi iscritti e 27.547.087 di cancellati (ma queste variazioni sono state ancora più forti dagli anni ’70 sino agli anni ’90 a seguito della fine delle grandi industrie e del loro indotto non solo nel triangolo industriale Torino-Milano-Genova, ma in tutti i siti di grandi fabbriche).
Ripetiamo i cancellati e nuovi iscritti sono solo le persone che hanno provveduto a segnalare il proprio cambio di residenza. Lo stesso vale per gli iscritti all’anagrafe italiani residenti all’estero (AIRE). Secondo i dati ufficiali (pdf) al 31.12.2017, l’AIRE contava 5.114.469 cittadini. Nel 2000 erano 2.353.000, nel 2005 erano 3.521.000, nel 2010: 4.115.000; nel 2016: 4.973.940. Un crescendo dovuto anche al fatto che prima pochi si iscrivevano mentre ora è spesso sollecitato dalle stesse istituzioni straniere.
Il continuo cambiamento di residenza registrato e non registrato sembra un fenomeno ancora più accentuato di quanto già si è avuto negli anni noti come quelli delle grandi migrazioni interne e verso l’estero non solo nel XIX secolo e prima e dopo la prima guerra mondiale ma ancora di più dopo la seconda guerra mondiale. Contrariamente allo stupido luogo comune non si è mai trattato e non si tratta neanche oggi solo di migrazioni dal sud verso il nord e l’estero e di va-e-vieni dei meridionali, ma di migrazioni dalle campagne verso le città e verso l’estero in tutte le regioni. Milano è per esempio la città che ha avuto un enorme cambiamento della popolazione residente, quasi come una città di transito e lo stesso vale per tanti comuni della sua provincia. Al 1° gennaio 2019 i 133 comuni della città metropolitana di Milano avevano 3.250.315 (https://www.tuttitalia.it/lombardia/provincia-di-milano/); ne aveva 560.315 nel 1861, 3.139.490 nel 1981 (punta massima della crescita prima di due decenni di diminuzione) e infine di nuovo crescita che si evince col dato del 2019. Ma ecco i dati del ricambio di popolazione anche se solo dal 2002 al 2018: 2.237.118 nuovi iscritti alle anagrafi dei 133 comuni e 1.785.258 cancellati (da e per altri comuni o da e per l’estero). Un andamento che rispecchia perfettamente il processo di cambiamento economico conosciuto dagli anni ’70 in poi. Ossia: il cosiddetto declino della società industriale con la fine di tutte le grandi fabbriche e del loro indotto e poi una ripresa secondo la logica liberista che ha prodotto dapprima destrutturazione economica e sociale di quanto esisteva e poi segmentazione eterogenea, discontinua e quindi instabile, ergo una mobilità sempre più forte della manodopera.
Ma in città s’è invece avuto non solo un gigantesco ricambio ma anche il fortissimo calo della popolazione residente perché s’è gentrificata: è diventata una città di uffici e negozi, seconde case per ricchi, una città troppo cara per giovani famiglie e quindi una città di vecchi e di giovani in movimento alla ricerca di una formazione, di esperienze ma pronti a partire verso l’estero o altre città. Nel 1861 Milano contava 267.621 residenti, nel 1971 ne aveva 1.732.068 (punta massima raggiunta con una continua crescita) e nel 2018 ne conta 1.378.689 (dato in crescita rispetto al calo continuo che c’è stato dal 1971). Ma se guardiamo al ricambio di popolazione solo dal 2002 al 2018 si sono avuti 941.641 nuovi iscritti e ben 690.777 cancellati. In proporzione il numero di cancellati era stato ancora più alto negli anni che vanno dal 1971 al 2002.
Ecco un insieme di dati tratti dal libro Socialità e inserimento degli immigrati a Milano. Una ricerca per l’Ufficio Stranieri del Comune di Milano. F. Angeli, 2000
Andamento residenti in Lombardia, prov. di Milano, in città e negli altri comuni dal 1861 al 1991
periodo | Lombardia | variazione | Provincia di Milano* | variazione | Milano capoluogo | variazione | comuni prov. MI | variazione |
1861 | 3.160.481 | 863.824 | 267.618 | 596.206 | ||||
1871 | 3.528.732 | + 368.251 | 918.601 | + 54.777 | 290.514 | + 22.896 | 628.087 | + 31.881 |
1881 | 3.729.927 | + 201.195 | 1.012.467 | + 93.866 | 354.041 | + 63.527 | 658.426 | + 30.339 |
1901 | 4.313.893 | + 583.966 | 1.311.563 | + 299.096 | 538.478 | + 184.437 | 773.085 | + 114.659 |
1911 | 4.889.178 | + 575.285 | 1.574.535 | + 262.972 | 701.401 | + 162.923 | 873.134 | + 100.049 |
1921 | 5.186.288 | + 297.110 | 1.729.374 | + 154.839 | 818.148 | + 116.747 | 911.226 | + 38.092 |
1931 | 5.595.915 | + 409.627 | 1.974.787 | + 245.413 | 960.660 | + 142.512 | 1.014.127 | + 102.901 |
1936 | 5.836.342 | + 240.427 | 2.175.400 | + 200.613 | 1.115.768 | + 155.108 | 1.059.632 | + 45.505 |
1951 | 6.566.154 | + 729.812 | 2.505.153 | + 329.753 | 1.274.154 | + 158.386 | 1.230.999 | + 171.367 |
1961 | 7.406.152 | + 839.998 | 3.156.815 | + 651.662 | 1.582.421 | + 308.267 | 1.574.394 | + 343.395 |
1971 | 8.543.387 | + 1.137.235 | 3.903.685 | + 746.870 | 1.732.000 | + 149.579 | 2.171.685 | + 597.291 |
1981 | 8.891.652 | + 348.265 | 4.018.108 | + 114.423 | 1.604.773 | – 127.227 | 2.413.335 | + 241.650 |
1991 | 8.856.074 | – 35.578 | 3.922.710 | – 95.398 | 1.369.231 | – 235.542 | 2.553.479 | + 140.144 |
fonte: Istat; dati dei censimenti (dal 1961 in poi i residenti degli altri comuni superano quelli di Milano città. Dal ’71 in poi i residenti dei capoluoghi diminuiscono passando da 2.509.004 del ’71 a 2.370.607 nell’81 a 2.077.652 nel ’91). Sino al 1991 qui citato la prov. di Mi comprendeva anche quelle di Lodi, Lecco e Monza. Tutta la Lombardia ha avuto una crescita costante tranne un lieve calo dall’81 al ’91 e oggi ha superato di poco i 10 milioni di residenti.
Milano : nuovi iscritti e cancellati all’anagrafe
anni | nuovi iscritti | cancellati | saldo migr. |
1971-80 * | 37.362* | 47.656* | – 10.294* |
1981-90 * | 28.184* | 42.041* | – 13.857* |
1991 | 23.990 | 33.302 | – 9.312 |
1992 | 23.398 | 27.630 | – 4.232 |
1993 | 29.775 | 49.049 | – 19.274 |
1994 | 27.615 | 35.343 | – 7.728 |
1995 | 31.556 | 41.794 | – 10.238 |
1996 | 36.314 | 33.075 | + 3.239 |
1997 | 37.214 | 34.252 | + 2.962 |
totale 71-97 | 865.322 | 1.151.415 | – 286.093 |
fonte: ISTAT * media annuale; quindi l’andamento cambia positivamente dal 1996 in poi
Come mostrano diverse ricerche degli ultimi trent’anni in particolare in Francia, in genere gli immigrati dell’interno hanno uno scarso tasso di partecipazione alle elezioni locali (quelli dall’estero non hanno neanche il diritto tranne se naturalizzati, ma anche qui si tratta di una minoranza che tende a votare come i cittadini locali a volte con qualche preferenza in più per partiti del centro-sinistra). In altre parole, in generale gli immigrati dell’interno come quelli stranieri non hanno voce, non partecipano alla vita politica locale, cosa peraltro ormai ardua anche per i residenti da più lungo tempo vista l’eterogenesi della cosiddetta democrazia contemporanea. Da parte loro le amministrazioni locali non si sono mai mostrate interessate a sollecitare tale partecipazione così come i comuni d’origine hanno finito per considerarli “cittadini persi”, tanto quanto hanno sempre fatto i governi nazionali rispetto agli emigrati all’estero a parole corteggiati ma nei fatti abbandonati a loro stessi.
In realtà, in maniera più inconsapevole che consapevole, l’emigrato tende a pensare il comune e il paese di origine come i luoghi nei quali l’hanno fatto sentire fuori posto come se gli avessero detto “qua per te non c’è nulla, non ti resta che andar via”. E di fatto alle amministrazioni locali e nazionali fa comodo che persone che “non si trovano una sistemazione” se ne vadano, tanto si sa che quantomeno una parte torna, manda soldi a casa, compra prodotti del paese. Cero se tutti gli emigrati restassero nel loro comune d’origine sarebbe un bel problema soddisfare le richieste di disoccupazione, spese sanitarie e sociali ecc. Tutte le autorità e la maggioranza dei cosiddetti opinionisti non mancano di sparlare del problema del declino demografico e di versare lacrime di coccodrillo sia sui nostri giovani che emigrano, sia sul maltrattamento degli immigrati stranieri. Ma il paradosso di un paese di emigrati e di immigrati è palesemente apparente: chi emigra è perché non vuole fare lavori umilianti, malpagati e a rischio per la salute anche se spesso finisce per farli là dove emigra proprio perché il liberismo impera dappertutto e si fonda sulla negazione dei diritti dei lavoratori e sul loro trattamento come usa-e-getta. Gli immigrati stranieri non mancano vista la distruzione delle loro società d’origine da parte delle multinazionali anche italiane e servono bene come manodopera inferiorizzata e schiavizzabile al posto di chi emigra. Ma nessun governo osa programmare un effettivo risanamento e regolarizzazione delle economie sommerse che sono lavoro nero, semi-schiavitù, caporalato, collusioni con le mafie, evasione fiscale e corruzione delle parte delle agenzie di prevenzione e controllo e delle forze di polizia. Non è vero che non si può creare un’economia sana e regolare cioè legale, ma chi trae profitto dal sommerso pesa sulle scelte dei governanti e si tratta di un’area di popolazione relativamente vasta (come dice qualcuno sono quasi 10 milioni di elettori e nessun partito osa perderli). Il cosiddetto declino demografico italiano è un prodotto del liberismo che fa emigrare e riduce la maggioranza degli immigrati a condizioni di vita e di lavoro indecenti. Questa è la faccia del neocolonialismo che si riflette anche all’interno dei paesi cosiddetti ricchi a danno di emigrati e immigrati.
Qualche curiosità
La maggioranza degli iscritti all’AIRE si trovano in Europa (2.767.926) e nelle Americhe (2.059.422). La più alta presenza di italiani è in Argentina con 819.910 iscritti, segue la Germania (743.622) e poi la Svizzera (614.996).
La regione dove si evidenzia il numero più elevato di emigrati regolare secondo l’Aire è la Sicilia (755.947), seguita dalla Campania (495.890), dalla Lombardia (473.022) e dal Lazio (450.847). Può stupire il dato della Lombardia e del Lazio ma si tratta di regioni di transito, cioè luoghi di immigrazione da dove si re-emigra.
Le province con il maggior numero di italiani iscritti all’Aire, sono Roma con 352.200 iscritti, Cosenza (167.939), Agrigento (154.979), Napoli (136.923), Salerno (135.878) e Milano (135.144). Questi dati mostrano che le grandi città sono in testa quali luoghi di transito.
Per quanto riguarda l’età, gli iscritti di età compresa tra 41 e 60 anni sono 1.457.507, di cui 797.078 maschi e 660.429 femmine), segue di poco la fascia di età compresa dai 21 a 40 anni: 1.454.232, di cui 766.373 maschi e 867.859 femmine (è significativo l’alto numero di donne giovani che anche in questo manifestano volontà di emancipazione). Gli iscritti all’estero di sesso maschile sono in totale 2.655.147 (52%) mentre quelli di sesso femminile sono 2.459.322 (48%), in altre parole sono finiti i tempi in cui emigravano solo gli uomini soli.
Un caso emblematico di un piccolo paese e della Sicilia
Tanti sono convinti che San Cono (Catania) sia un comune che gode di una notevole riuscita economica in particolare grazie alla coltivazione del fichi d’India. Anche in qualche ricerca sul calatino si afferma che San Cono non debba essere considerato come comune economicamente depresso, fatto che invece colpisce San Michele di Ganzeria, Mirabella Imbaccari e altri comuni della zona. Ma se questa valutazione fosse corretta la vera riuscita economica dovrebbe andare a beneficio della maggioranza della popolazione e dovrebbe quindi quantomeno limitare l’emigrazione di giovani e meno giovani. Invece a San Cono solo una minoranza di imprenditori agricoli hanno effettivamente avuto una buona riuscita sebbene con grandi difficoltà e sebbene per nulla stabile, nonostante abbiano ampliato in misura considerevole la loro proprietà e le terre coltivate anche in affitto. C’è poi un’altra minoranza che sembra godere di una sorta di riuscita economica “drogata” perché dovuta a finanziamenti di progetti fasulli che hanno permesso ai beneficiari di acquistare auto tipo SUV e altri mezzi con anche il rischio di trovarsi poi indebitati mentre non hanno avviato alcuna attività.
Allo stesso tempo c’è stato un aumento molte forte dell’emigrazione e in generale un declino demografico molto preoccupante. Secondo i dati Istat a fine 2018 i residenti a San Cono erano circa 2600 di cui quasi 300 immigrati stranieri regolari (e forse almeno altri 100 irregolari e ancora centinaia di irregolari per i lavori periodici di raccolta dei fichi d’India e altri frutti). Si può stimare che altre circa 300 persone siano emigrate senza aver cambiato residenza mentre oltre 1900 persone risultano iscritte all’AIRE (anagrafe residenti all’estero-dato fornito dal Comune in maggio 2019). In altre parole, i residenti a San Cono stanno per diventare meno numerosi degli emigrati all’estero e in altri comuni d’Italia, notoriamente al Nord. Come tutti sanno in paese, la maggioranza dei giovani tendono a emigrare. Secondo alcuni perché non vogliono fare i lavori pesanti o umilianti nelle piantagioni di fichi d’India anche se spesso finiscono per svolgere attività al semi-nero o al nero e altrettanto pesanti e umilianti al nord e all’estero. In realtà, l’economia del fichi d’India sembra produrre poche occasioni di impiego accettabile. La maggioranza dei residenti è composta da pensionati e le persone che hanno oltre 65 anni sono più del doppio di quelli che hanno da zero a 14 anni; quest’anno a San Cono si arriverà a stento ad avere il numero sufficiente per costituire una prima elementare. Allora perché ignorare gli emigrati e questo inquietante declino demografico? Perché gli stanziamenti europei per le zone depresse del calatino escludono San Cono poiché classificato come comune con buoni “parametri” economici? Sono corretti dei parametri che ignorano l’emigrazione? Non è forse vero che la riuscita economica di una minoranza di fatto corrisponde a questa amara conseguenza? Non è forse vero che il successo del fichidindia corrisponde a un’immigrazione solo in parte regolare ma anche in parte assai irregolare cioè di ragazzi che lavorano al nero e magari vivono nei casolari in campagna in condizioni di indigenza e sono pagati con salari miserabili?
È probabile che San Cono sia destinato a diventare sempre più un paesino in estinzione che sopravvive di una nicchia produttiva per buona parte grazie al lavoro nero di immigrati, in certi casi schiavizzati, nonostante la buona integrazione di altri grazie a una buona parte dei sanconesi.
Se si riconoscono questi aspetti negativi di questa realtà bisogna allora investire in una ricerca seria per pensare a cosa fare. Per esempio attività di trasformazione delle risorse naturali per produrre prodotti ecosostenibili e benefici per l’ecosistema, quali cosmetici naturali, prodotti biologici, e in particolare una diversificazione indispensabile per non far deteriorare l’ecosistema. Il biomimetismo, gli allevamenti biologici, le relazioni fiduciarie fra produttori e consumatori potrebbero permettere una distribuzione alternativa dei prodotti evitando le logiche del mercato dominato dalla grande distribuzione.
Bisogna incentivare i giovani a specializzarsi in scienze della terra, in biologia, in marketing, in un’agronomia che non sia finalizzata solo a una produttività per il profitto immediato, ma a un insieme di saperi e conoscenze che servano alla prosperità di tutti e alla posterità cioè al futuro.
La situazione di San Cono può essere considerata un caso estremo di questo paradosso che consiste in una riuscita economica di pochi e di una quasi monocultura (anche a rischio di problemi per l’ecosistema). In realtà altri comuni sono colpiti dallo stesso fenomeno in Sicilia e in tutt’Italia.
In Sicilia si hanno oscillazioni poco rilevanti, ma c’era un aumento sino al 2013 (5.094.937) e poi una continua diminuzione sino a passare un po’ sotto i 5 milioni nel 2018. In realtà ci sono alcune provincie che aumentano, altre che hanno un andamento irregolare ma con scarse variazioni e altre che diminuiscono senza discontinuità.
L’aumento di popolazione corrisponde alle note zone di produttività che si nutre spesso di immigrazione straniera o anche da altri comuni puntando spesso sui bassi salari o sul lavoro nero.
In provincia di Ragusa si ha quasi sempre aumento costante da 295.246 nel 2001 a 321.370 nel 2017 (e piccola diminuzione nel 2018) e sono noti i casi estremi di neo-schiavitù. In provincia di Siracusa si ha aumento quasi costante dal 2001 al 2014 (405.111) e poi leggera diminuzione sino al 2018 (399.224). In provincia di Palermo si ha la punta massima nel 2014 con 1.276.525 residenti e poi calo sino a 1.252.588 nel 2018. In prov. di Trapani si ha un aumento sino al 2010 (436.624) poi calo sino a 430.492 nel 2018. Nella città metropolitana di Catania si tocca il massimo nel 2014 (con 1.116.917 di residenti) e poi si ha una leggera diminuzione sino a 1.107.702. In quella di Caltanissetta la punta massima si ha nel 2003 (275.908) e poi si ha una continua diminuzione sino a 262.458 nel 2018. Nella provincia di Agrigento si ha la punta massima nel 2003 con 456.818 e poi diminuzione sino a 434.870 nel 2018. Invece nella Città metropolitana di EN si ha una continua diminuzione dal 2001 al 2018 (passando da 176.959 a 164.788). Lo stesso in provincia di Messina si ha una continua diminuzione da 661.708 nel 2001 a 626.876 nel 2018.
A Caltagirone si ha il massimo nel 2009 (39.610) e poi diminuzione sino a circa 37.8823 nel 2018. A Mirabella il massimo di residenti si ha nel 2013 (6.618) e poi diminuzione sino a 4.682 nel 2018. A San Michele di Ganzeria invece dal 2001 si ha diminuzione costante da quasi 5.000 a 3000. A San Cono il calo demografico è ancora più netto: dopo aver raggiunto il massimo storico nel 1991 (3780 residenti) c’è sempre diminuzione sino a 2.656 nel 2018.
(*) ripreso da Comune-info