Renzi: dietro la pantomina i fondi del Next Generation

di Alfiero Grandi (*)

La crisi di governo è stata descritta da tanti come uno scontro tra persone. Questi elementi ci sono ma non sono decisivi. L’attacco a Conte ha nascosto, fino al camuffamento, che la principale ragione della crisi sono i fondi del Next Generation EU, indispensabile aiuto dell’Europa per sostenere la ripresa dell’Italia dopo le drammatiche conseguenze economiche e sociali causate dalla pandemia da Coronavirus. I fondi per l’Italia sono il 28 % del totale europeo, una percentuale tanto rilevante che un loro uso fallimentare avrebbe conseguenze pesanti non solo sull’Italia ma sulla stessa Unione Europea. Un fallimento segnerebbe la fine di ogni tentativo di adottare scelte europee che vanno oltre la sospensione delle regole europee dettate dall’austerità e dell’obiettivo di cambiarle prima che a qualcuno venga in mente di farle tornare in vigore. Ritorno in vigore che per l’Italia sarebbe una sciagura ingestibile con conseguenti tagli e sacrifici sociali di proporzioni senza precedenti.

Perché tra fine 2020 e inizio 2021 Renzi ha portato Italia Viva ad un attacco corsaro a Conte e al suo governo con l’obiettivo di farlo cadere?

Perché è chiaro che Renzi vuole ad ogni costo che Conte lasci la Presidenza del Consiglio. E’ vero che Renzi ha poco da perdere in termini di consensi, visto che è inchiodato dai sondaggi al 3%, forse ora è sotto. Ma questo non spiega granché, conferma solo che chi fa il corsaro in genere ha poco da perdere. In realtà Renzi ha inaugurato una stagione politica del conto terzi, infatti ha deciso questo attacco a Conte sia perché i 210 miliardi di fondi del NGEU saranno disponibili al 70 % nel biennio 21/22, sia perché ha capito (o gli è stato fatto capire) che interessi economici e finanziari potenti  vogliono ad ogni costo decidere chi e come usare questi fondi ed evidentemente il governo Conte non li lasciava tranquilli. E’ stato spiegato fino alla noia che questi fondi sono l’unico treno che passerà per rimettere in moto l’Italia, per ridargli slancio e che non ci saranno altre occasioni. Questi fondi fanno gola a molti che sperano di poterli usare e ad altri che sperano di trarne benefici per averli aiutati ad usarli. In sostanza chi decide avrà dei vantaggi di potere, di consenso, di sostegno e per chi oggi non li ha non è un incentivo da poco. Si potrebbe dire che è l’ultima possibilità per Italia Viva.

Certo il governo Conte ha fatto errori.

Ha rivelato, con l’indicazione di una complessa struttura “tecnica” parallela/sovraordinata ai ministeri e alle altre istituzioni, che intendeva gestire direttamente l’uso di queste risorse. Ha dato l’impressione di volere accentrare, di volere decidere senza condividere, di appoggiarsi essenzialmente sui progetti che grandi aziende e gruppi di vario tipo avevano pronti, senza capire che anche il progetto più condivisibile ha bisogno di una politica, di una strategia e questo non c’era nel primo progetto NGEU dell’Italia e perfino nell’ultima versione, pur migliorata, non ha la forza necessaria. Renzi ha attaccato su questo punto, affastellando problemi diversi, contraddittori, rivelando la strumentalità dell’attacco, con l’unico obiettivo di usare tutti gli argomenti, anche quelli contraddittori contro Conte e il governo. Uno per tutti: dire che il NGEU ha più condizionalità del Mes dovrebbe portare a non usarne le risorse, in realtà non è così. Nessuno, nemmeno Renzi, pensa di non usare le risorse del NGEU, anzi sembra meno deciso sul Mes. La disponibilità a sostenere un governo Conte 3 è suonata da subito falsa perché è evidente che se il Presidente del Consiglio ha i difetti di fondo e le responsabilità indicate nell’intervento di Renzi al Senato il vero obiettivo della crisi è scaricarlo. Stranamente i mezzi di informazione hanno ignorato che la BCE, dopo la crisi, ha dovuto fare interventi sullo spread italiano dopo mesi di tranquillità. Non tutti gli argomenti critici di merito portati sono per questo infondati. Anzi avrebbero dovuto essere affrontati in una discussione aperta con tutta la coalizione fin dall’inizio, ma suona falso il loro uso strumentale al solo fine di mettere in crisi il governo. La dichiarazione: partiamo dai contenuti, il resto lo vediamo dopo, è il culmine della rappresentazione teatrale che cerca di nascondere la verità.

Da tempo si pone un problema di fondo.

La proprietà pubblica deve avere solo il compito di salvare aziende in difficoltà con costi rilevanti per la collettività per poi lasciare al cosiddetto mercato il ruolo di giudice della bontà dei comportamenti delle aziende pubbliche (tutte o in parte non importa)? O invece deve esserci un mandato dell’azionista pubblico, in un quadro di programmazione e di sviluppo. Ad esempio intervenendo in settori innovativi in cui i privati entrano malvolentieri, o perché richiedono investimenti ingenti che solo un interesse pubblico può motivare. Mariana Mazzucato ha contribuito a rendere esplicite le scelte di cui ci sarebbe necessità. Non può essere l’azionista, il Ministro dell’Economia, a dare le direttive alle aziende pubbliche, né può risolvere il problema la nomina di amministratori di fiducia e nemmeno quella sorta di nuova Iri che è la Cdp. Il governo ha bisogno di una sede di politica di qualità per disegnare il futuro. In passato lo ha fatto il Ministero della programmazione economica. Alcuni interventi decisi da Arcuri, commissario per l’emergenza Covid 19, sono stati tipici atti di politica industriale, a volte di creazione di nuovi settori produttivi, vaccini compresi. Azione giusta ma figlia dell’emergenza e non di una riflessione di fondo come dovrebbe essere quella di riportare in Italia (e in Europa) produzioni strategiche per la salute pubblica per garantire l’autonomia nazionale.

E’ questo l’impianto di riflessione sull’Italia del futuro: quali produzioni, quale preparazione e quale coinvolgimento dei lavoratori sono necessari.

In altre parole occorre smettere di strimpellare qua e là per costruire una sinfonia di interventi, il più possibile organica, per individuare la transizione dell’Italia dal prima del Covid al dopo. Nulla sarà più come prima, a partire dalle drammatiche divaricazioni sociali. L’Italia perde in un anno il 10% del Pil, ma all’interno ha alcuni milioni di lavoratori autonomi e dipendenti che sono schiacciati verso il basso, verso una stentata sopravvivenza, mentre una ristretta cerchia aumenta volume di affari e ricchezza e questo richiede strategie altrettanto forti per un riequilibrio, anzitutto fiscale. Le banali risposte sulla patrimoniale lasciano interdetti. Da un lato si propone di sostituire con le risorse europee (67 miliardi del NGEU) finanziamenti già previsti per interventi di varia natura, con la preoccupazione di contenere il deficit che è ormai al 10% del Pil, mentre il debito va verso il 160 %, ma dall’altro non si vogliono affrontare i problemi delle ricchezze oggi distribuite peggio di prima. Colpisce che non si proponga di istituire un’agenzia specializzata per la gestione del debito pubblico nazionale sul modello tedesco e non è cosa da poco. Il NGEU deve essere usato tutto per rimettere in moto il paese, non per finanziare scelte già decise, semmai politiche fiscali adeguate possono far fronte alle esigenze già previste. Perché la scommessa è che gli investimenti sostenuti dall’Europa aiutino lo sviluppo a ripagare il debito per evitare macelleria sociale. Tutte queste scelte dovrebbero fare parte di un progetto che ha come obiettivo centrale di mantenere e rilanciare l’unità del paese, respingendo le suggestioni che vengono dalle regioni che vogliono correre da sole, salvandole dalla loro stessa miopia, perché il Sud è il primo motore di una possibile ripresa italiana. Don Lorenzo Milani sosteneva che non si possono fare parti uguali tra diseguali. Vanno individuati gli obiettivi produttivi e sociali che debbono caratterizzare il futuro dell’Italia.

Occorre un progetto, chi lo elabora, chi lo approva, chi lo sostiene, cercando un nuovo equilibrio sociale.

Questo nel progetto italiano non c’è in modo coerente. Ci sono spunti, ma tante scelte indicate sembrano più l’adesione ai piani di grandi gruppi che una convinta riflessione sulla loro utilità. La scelta green ad esempio non può essere un capitolo, per quanto il più consistente ben 69 miliardi, ma deve essere coerente ovunque nei contenuti, in tutti i capitoli e non basta certo allocare molte risorse sul risparmio energetico degli edifici. L’idrogeno combinato con produzione elettrica sostenibile è o no una scelta di fondo dell’Italia? L’eolico off shore in Italia può essere una scelta di fondo e abbiamo le competenze per realizzarlo. La decarbonizzazione serve solo a sostituire il carbone con il gas che produce sempre CO2? O si passa direttamente ad un rilancio di tutte le rinnovabili e allo stoccaggio della produzione elettrica da rinnovabili al massimo livello, in modo da lanciare un progetto di futuro ambientale ecocompatibile e di sanificazione del territorio, per il quale occorrono molte risorse. In altre parole il 2050 è un limite massimo, ma l’Italia farebbe bene ad anticiparne gli obiettivi. Il fatto che Renzi abbia usato strumentalmente questi problemi non deve portare a posizioni difensive, di difesa acritica del testo. Del resto solo un forte rilancio del progetto di un’Italia futura può rompere i giochi strumentali e mobilitare le migliori energie nazionali. Questa è la migliore risposta agli attacchi corsari per fare cadere il governo e a quanti lo hanno spinto a farlo. Certo il personaggio Renzi ha esagerato come sempre. Come quando ospite dell’erede al trono saudita non ha trovato di meglio che paragonare un regime sanguinario al rinascimento, riconoscimento che fatto dall’ex sindaco di Firenze suona come una bestemmia,

(*) questo articolo è stato scritto prima dell’incarico a Mario Draghi ma l’analisi conserva tutta la sua attualità e verità; la “bottega” ringrazia Mario (non Draghi, un altro) che ce l’ha segnalato. La vignetta – scelta da noi – è di Mauro Biani.

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