I caduti di Vicobello

Il 3 luglio 1944 in piazza del Campo, a Siena, fanno il loro ingresso gli alleati. La città è libera, ma in periferia, poco sopra la stazione ferroviaria, è ancora presente una guarnigione di tedeschi in fuga, seppur non ancora sconfitti. Sono delle raffiche di mitra ad uccidere tre giovani. Giorgio Domenichini, Umberto Grazzini e Pietro Cristofani avevano capito che la guerra ancora non era conclusa. Non se l’erano andata a cercare, come certa storiografia ha cercato di far passare quell’episodio, e Siena ha riconquistato la sua libertà anche grazie a loro, come racconta, insieme a molte altre storie, il volume Storia della Resistenza senese, realizzato dall’Istituto storico della resistenza senese e dell’età contemporanea “Vittorio Meoni”.

di David Lifodi

Il 3 luglio 1944 in piazza del Campo, a Siena, si festeggia la Liberazione. Sono arrivati gli alleati, accolti con gioia dalla popolazione e, all’interno del centro storico, si celebra la ritirata dei tedeschi. Le truppe francesi e marocchine sfilano tra le bandiere delle contrade del Palio (come testimoniato da alcune foto dell’epoca), ma nell’immediata periferia si combatte ancora.

Sulla collina di Vicobello, poco sopra la stazione ferroviaria, è ancora presente una nutrita guarnigione tedesca che è si in ritirata, ma per nulla intenzionata ad abbandonare la città senza colpo ferire. È in questo contesto che tre giovani, Giorgio Domenichini, Umberto Grazzini e Pietro Cristofani, appartenenti alla Guardia civica (una sorta di forza armata antifascista, anche se non dichiarata ufficialmente ), insieme ai distaccamenti del VII Raggruppamento partigiano Monte Amiata e ai francesi, attaccano le retroguardie tedesche in quello che fu quasi l’unico scontro armato all’interno del comune di Siena, le incalzano, ma restano uccisi.

Una lapide spesso curata grazie all’impegno dell’Anpi di Siena e di tutti coloro che via via vi portano i fiori (come in occasione dell’ultimo 25 aprile), ricorda i tre giovani, vittime non solo dei tedeschi, ma di una certa storiografia che ha voluto farli passare come degli ingenui che, quando la città era ormai liberata, scelsero di correre un rischio inutile. A quelli che, ancora oggi, continuano a pensare il classico “ma chi glielo fece fare?” è facile rispondere che Giorgio, Umberto e Piero avevano subito compreso come la guerra non si fosse conclusa con l’arrivo in città da parte degli alleati, non a caso le grandi città del nord sarebbero state liberate molti mesi dopo.

Non fu un sacrificio inutile quello dei tre ragazzi uccisi dai colpi di una mitragliatrice tedesca. Parla di questo episodio, e di molto altro, il libro Storia della Resistenza senese, realizzato dall’Istituto storico della resistenza senese e dell’età contemporanea “Vittorio Meoni”, dedicato ad analizzare le particolarità della Liberazione di Siena, che avvenne in una maniera molto sui generis, con un semplice passaggio di potere dalle istituzioni fasciste a quelle antifasciste: conquistare la liberazione tramite la lotta armata, come avrebbe desiderato fare il Cln sotto l’impulso del Partito Comunista, sarebbe stato un rischio enorme data la dimensione e la struttura della città.

Il Cln finì quindi per esercitare un’attività volta principalmente ad appoggiare la lotta partigiana nelle campagne, ma preferì non dar vita a nuclei armati all’interno della cinta muraria, soprattutto per via delle difficoltà rappresentate dalle modeste dimensioni della città, che avrebbero reso molto complesso nascondere a fascisti e tedeschi gli autori di sabotaggi e delle azioni di guerriglia e, per questo, prevalse alla fine l’idea di una transizione il più indolore possibile dei poteri chiedendo all’ambiguo podestà Luigi Socini Guelfi, ma soprattutto al capo della provincia Giorgio Alberto Chiurco, entrambi compromessi con il fascismo, di ricoprire un ruolo di interposizione fra la città e i tedeschi.

Gli storici che hanno curato il volume, Alessandro Orlandini, Riccardo Bardotti, Michelangelo Borri, Pietro Clemente e Laura Mattei, hanno esaminato la complicata relazione tra antifascisti e repubblichini (a partire dalla richiesta di far ottenere a Siena lo status di città ospedaliera, allo scopo di risparmiarla dai bombardamenti alleati) e condotto un’attenta ricerca storiografica che, tramite la ricerca e l’attenta lettura della stampa cittadina fascista e antifascista, ha permesso di rivivere i fatti di quegli anni con maggiore consapevolezza.

Se è vero che a Siena l’unico episodio di conflitto a fuoco tra antifascisti e nazifascisti fu quello culminato con la morte di Giorgio Domenichini, Umberto Grazzini e Pietro Cristofani, in pieno centro storico le milizie nere picchiavano e torturavano. La loro base era prevalentemente nella cosiddetta Casermetta, dove oggi sorge l’Istituto storico della resistenza senese e dell’età contemporanea “Vittorio Meoni” ed un museo che racconta la Resistenza in Terra di Siena. All’epoca era inoltre l’Ufficio politico fascista da cui partivano gli ordini per arrestare i partigiani, detenuti anche nei locali sottostanti la tribuna scoperta dello stadio comunale.

Il volume ha inoltre un altro pregio, quello di aver raccolto numerose testimonianze orali e scritte su ciò che accadeva in città, e in tutta la provincia, durante gli anni del fascismo, a partire dalla memoria delle donne, a cui è dedicato un capitolo particolarmente interessante.

Se lo stabilirsi del fronte immediatamente a sud della città impedì l’avvicinamento della truppe partigiane, furono ben 4 le formazioni che dettero vita alla lotta armata nel territorio provinciale: XXIII Brigata Garibaldi Guido Radi – Boscaglia, Brigata Garibaldi Spartaco Lavagnini (queste due di orientamento comunista), Raggruppamento Monte Amiata, Gruppo Simar dettero vita ad alcune delle piu belle, eroiche e talvolta drammatiche pagine della Resistenza in Terra senese, dalla battaglia di Monticchiello del marzo 1944 (dove emerse un vero e proprio contropotere politico che mise in forte difficoltà i tedeschi) alla strage di civili a Palazzo d’Arceno (Castelnuovo Berardenga, luglio 1994) fino a quella di avvenuta alla Porcareccia (alle pendici del Montemaggio, Monteriggioni) dove furono condotti e fucilati 17 partigiani. A salvarsi fu solo Vittorio Meoni, che riuscì a fuggire nel bosco nonostante fosse ferito, un attimo prima che fossero azionate le mitragliatrici.

Il 26 marzo 1944 i partigiani avevano fatto prigioniero un ufficiale tedesco e il capitano della milizia forestale allo scopo di scambiarli con alcuni detenuti politici reclusi a Siena, ma due giorni dopo vi fu una violenta rappresaglia. Circa duecento fascisti giunsero a Casa Giubileo, il podere dove avevano trovato riparo i partigiani (e dove oggi sorge un centro didattico gestito dall’Istituto storico della resistenza senese e dell’età contemporanea “Vittorio Meoni”), li condussero a la Porcareccia e li fucilarono.

Come ha scritto il prof. Nicola Labanca nel suo saggio introduttivo, il volume ha contribuito ad analizzare «processi e trasformazioni che ancora, a quasi ottant’anni dagli eventi, continuano a stupire per la dimensione e la rilevanza, e che comunque hanno costruito l’Italia di oggi».

Storia della Resistenza senese

a cura dell’Istituto storico della resistenza senese e dell’età contemporanea “Vittorio Meoni”

Casa editrice Betti (2021),

Pagg. 275

Euro 20

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Leggi anche:

I limoni: ai tre ragazzi caduti a Vicobello per la liberazione di Siena il 3 luglio 1944 (si tratta di un ricordo del 2016, ma sempre attuale)

La rana gracida del partigiano Gino

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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