Università malata (di neoliberismo) e società infetta

Il video con Virginia Magnaghi, Valeria Spacciante, Virginia Grossi con i commenti di Eliseo Martini e Claudio Giunta.  Ma anche Paolo Mottana e Cinzia Pennati (Penny) sul tramonto dell’università.

 

Università e invasione neoliberista – Paolo Mottana

Tanti hanno digerito come se niente fosse la trasformazione dell’università in azienda e degli studenti in clienti. Del resto sempre più spesso ciascuno di noi si considera “capitale umano”.

“Ogni volta che produciamo qualcosa per il mercato economico – scrive Paolo Mottana – e non per un intrinseco e appassionato interesse di ricerca o di relazione o seguendo un nostro desiderio, posto che non sia stato già plagiato dalla logica aziendale, stiamo rafforzando il sistema che ci distrugge, che distrugge la vita, le relazioni…”

Dobbiamo stare molto attenti a quello che ci sta succedendo, inconsapevolmente e perciò in modo tanto più incisivo. Lo vedo nei colleghi universitari che in questi anni hanno digerito come se niente fosse la trasformazione dell’università in azienda, il mutamento progressivo del loro linguaggio, l’accettazione supina di un sistema di ricerca totalmente nelle mani di un mercato finanziario e di fondazioni il cui scopo è tutt’altro che pacifico e che corrisponde perlopiù a logiche commerciali.

Hanno accettato che gli studenti fossero considerati clienti la cui soddisfazione e numerosità è diventato l’unico criterio di qualità, hanno accettato il benchmarking tra atenei, l’avvento della parola governance nel nostro mondo come se fosse cosa innocente e non l’avvento sempre più intenso della lingua capitalista neo-liberista e manageriale nel nostro mondo, l’insinuarsi di criteri di concorrenza nella valutazione delle persone a partire dalle loro qualità manageriali o di quelle di accaparrarsi fondi di ricerca piuttosto che nel merito di quello che fanno come docenti e ricercatori. Infine la squalifica, senza battere ciglio, di chiunque non accetti questo sistema di cose.

Che ci sta succedendo? Come abbiamo potuto divenire così ciechi? O forse non abbiamo mai visto? O forse abbiamo visto benissimo (il che sarebbe davvero inquietante)? Ricordo che anni fa, quando facevo presente a una Direttrice di Facoltà (all’epoca si chiamava ancora così) che stavamo muovendoci rapidamente verso la logica aziendale lei mi rispose che era ineluttabile e che “ora si fa così”, la stessa logica dell’ineluttabilità che fa sì che accettiamo il dominio del mercato e del neo-liberismo in ogni attività della nostra vita e che ormai ciascuno di noi si considera “capitale umano” e investimento personale, non diversamente da una quota di azioni, come se nulla fosse.

La stessa logica dell’unico mondo possibile che da anni l’ideologia neo-liberista con i suoi Chicago Boys e l’infiltrazione pervasiva in tutte le grandi istituzioni accademiche e poi statali e poi scolastiche ha fatto sì che tutti fossimo arruolati nel grande esercito dell’autopromozione, dell’autoinvestimento, dell’autosfruttamento e questo solo per rendere ancora più forte un sistema di dominio che non sembra volersi far sfuggire più nulla, facendo del valore economico l’unico e ormai sacro criterio di distinzione qualitativa tra le cose, le persone, le scelte.

Sono sgomento davanti a tutto questo e invito tutti a sorvegliarsi con grande attenzione perché ogni volta che produciamo qualcosa per il mercato economico e non per un intrinseco e appassionato interesse di ricerca o di relazione o seguendo un nostro desiderio (posto che non sia stato già plagiato dalla logica aziendale) stiamo rafforzando il sistema che ci distrugge, che distrugge la vita, le relazioni, quel residuo di qualità umana che stava nel cercare l’armonia con tutto ciò che ci circonda e nel rispetto per ogni altro.

Occorre letteralmente rifiutarsi, fare sciopero bianco, difendere il vecchio valore di un’istituzione che ancora non moltissimi anni fa, pur con i suoi molti difetti, era organizzata per promuovere il libero sapere, la circolazione della cultura (anche di quella critica) e il gusto di tramandare ai più giovani il rispetto per le idee nella loro pluralità ma anche nel loro significato emancipatorio, liberatorio e non succube del potere, se possibile in tutte le sue forme.

da qui 

Nessuno è riuscito a fermarle – Cinzia Pennati (Penny)

Le ho ascoltate due volte, al minuto 34. La prima volta da sola, l’altra con mia figlia. Queste tre ragazze Virginia Magnaghi, Valeria Spacciante, Virginia Grossi, potevano prendersi il loro diploma e chiuderla lì, invece, si sono esposte e non credo l’abbiano fatto a cuor leggero, tanto è vero che la voce, a tratti, tremava (qui il video che ha fatto il giro del web con il discorso delle tre neolaureate durante la consegna diplomi alla Normale di Pisa, ndr).

Era una voce mai arrogante, friabile ma determinata, non c’era nulla in loro “delle donne con le palle”, quelle donne di sistema di cui in Parlamento e fuori ne abbiamo una grande rappresentazione. Non c’era emulazione dell’uomo che comanda, soggetto e oggetto del patriarcato, c’erano tre giovani donne che hanno condiviso un’azione politica e un messaggio fondamentale per tutti e tutte noi.

Da insegnante, mentre queste tre giovani donne parlavano, pensavo che i nostri ragazzi e ragazze hanno diritto a una scuola non performante ma formativa, non competitiva ma in grado di mettere in azione le competenze individuali nell’azione collaborativa. Un sistema scolastico non frontale, io insegno tu galleggi, ma relazionale, il successo dipende anche dal modo in cui stiamo dentro alla relazione di apprendimento-insegnamento.

Inoltre, nel loro discorso, hanno evidenziato come la scuola e la ricerca siano al servizio non della società e del benessere di tutti ma alle logiche di mercato. Quella scuola-azienda che tanto detestiamo perché non libera ma soggetta al potere economico.

Non hanno dimenticato nessuno, hanno ringraziato tutti i lavoratori e le lavoratrici, anche quelli che omettiamo tutti perché non stanno seduti dietro ad una cattedra.

Hanno parlato chiaramente della disparità di genere, del lavoro di cura che ricade sulle donne incompatibile, spesso, con il desiderio di raggiungere i propri traguardi lavorativi.

Hanno parlato del divario tra nord e sud, di chi tra di loro, ragazzi e ragazze, proprio per la competizione e il modello performante a cui sono sottoposti, si è perso per strada.

A un certo punto mentre parlavano hanno usato parole così potenti che mi sono commossa. “Se noi siamo arrivate qui non è grazie a questo sistema, è nonostante questo sistema”.

Ho pensato a tutti quegli insegnanti e genitori che credono che la disciplina, la meritocrazia, la competizione, la performance, fortifichino l’animo e debbano essere il “fulcro” del sistema scolastico. Ecco, quando pensiamo a riformare la scuola, invece di attaccarci all’innovazione digitale come panacea di tutti i mali, dovremmo pensare ad ogni singola parola di questo discorso.

Inoltre, ci terrei a ribadire che Virginia Magnaghi, Valeria Spacciante, Virginia Grossi, rappresentano per me, quel femminile – che non ricalca il modello maschile – che dovrebbe entrare in politica. Quella capacità di tenere insieme ogni parte, di riconoscere il valore individuale ma, soprattutto, collettivo, di prendersi cura in modo giusto della distribuzione del potere. Quella capacità conciliante, non performante, non discriminante, non patriarcale, capace di non negare la propria friabilità ma di inglobarla e superarla.

Nonostante quella voce tremante, nessuno è riuscito a fermarle, eppure la rappresentazione del potere a cui siamo abituate e abituati, le capacità di leadership che ci hanno imposto, a tratti volgare, presuntuosa, privilegiata, esclude tutte le abilità di cui queste giovani donne si sono fatte portatrici.

Ma quanta forza, potere e determinazione c’era nel loro modo di porsi e nelle loro parole?

A questo punto non c’è migliore conclusione per questo post che quella formulata da loro: “La retorica dell’eccellenza su cui il sistema scolastico e sociale poggiano, non è compatibile con l’incompletezza e la fallibilità di ognuno di noi”. Eccola la scuola di cui avremmo bisogno.

da qui

 

Non sono in credito – Claudio Giunta

Come altre persone che lavorano nell’università, e soprattutto come altri ex allievi della Scuola Normale di Pisa, ho ascoltato il discorso pronunciato da tre normaliste in occasione della consegna dei diplomi di licenza, discorso molto severo circa il sistema universitario italiano (iniquo, precarizzato, asservito a logiche neoliberiste) e critico con il modo in cui si vive e si studia alla Normale (enorme pressione sugli studenti, carrierismo, scarsa collegialità, maschilismo):

L’ho ascoltato, devo dire, con scarsa simpatia, persino con un certo fastidio. Dal momento però che conoscenti e amici di cui ho stima sono rimasti – al contrario – favorevolmente impressionati, vorrei provare a spiegare, anzitutto a me stesso, le ragioni di questa mia insofferenza…

continua qui

Claudio Giunta e l’apologo della pompa di benzina – Eliseo Martini 

Breviario in 15 punti per non perdere la fede nell’intelligenza. Una polemica che parte dalla denuncia del neoliberismo da parte di tre normaliste

1

Se fosse soltanto per il livore che esprime e la totale vacuità delle sue argomentazioni, l’articolo di Claudio Giunta che prende posizione su “il Post” contro l’intervento di Virginia Magnaghi, Valeria Spacciante e Virginia Grossi, le tre studentesse della Normale di Pisa, non varrebbe neanche un briciolo dell’attenzione che il suo autore cerca disperatamente. Diverso è invece se quella lunga e paternalistica filippica viene analizzata come artefatto tipico di una intellettualità (ex) di sinistra sepolta nel sistema universitario italiano, tanto da essere diventata muta nel dibattito pubblico ma che è sempre pronta a prendere posizione contro chi ha il coraggio di metterne in discussione i privilegi e l’autorità morale.

Claudio Giunta e il suo intervento bilioso ben rappresentano questa parte del mondo intellettuale che ha assunto il motto thatcheriano “there is no alternative”, ben nascosto dietro la parvenza di una critica corrosiva all’esistente che non risparmia i “luoghi comuni della sinistra” (l’impegno, per citarne uno) e che strizza l’occhio alla moda del “non politicamente corretto”, in un mercato dell’attenzione nel quale l’importante è differenziarsi per godere del proprio quarto d’ora di celebrità.

Insomma, divertimento assicurato.

2

Questo artefatto intitolato un po’ ambiguamente “Non sono in credito” si presenta ai lettori e alle lettrici con una lunga introduzione che – sulla scorta di una citazione – ha lo scopo di fornire una prima argomentazione al fastidio risentito da Claudio Giunta per il consenso suscitato in molti suoi conoscenti (normalisti come lui) dalle parole delle tre studentesse. Ma serve soprattutto a soddisfare il narcisismo del letterato che ne cita un altro e che usa la letteratura come strumento di analisi. L’argomentazione, ridotta all’osso, è ben riassunta dalla frase in cui Giunta esprime la

“poca considerazione che ho per le opinioni dei più giovani quando queste opinioni riguardano aspetti della vita associata della quale per forza di cose essi non hanno ancora un’esperienza sufficientemente ampia e varia.”

Boom.

3

Le critiche politiche e ben argomentate portate nel dibattito dalle tre studentesse della Normale di Pisa (che sono riassunte in un articolo pubblicato sul sito web della rivista “il Mulino”) non sono da prendere in considerazione secondo Claudio Giunta semplicemente perché provengono da esseri umani giovani. In questo caso l’argomento chiude ad ogni contestazione perché si appoggia su una caratteristica biologica che di per sé esclude dal dibattito pubblico una larga fetta della popolazione mondiale. E’ un argomento di autorità e quindi assolutamente non democratico, perché ancorato a una qualche supposta “naturalità”: “sei giovane? E allora che ne vuoi sapere?”. Chiuso il discorso.

Com’è ovvio si tratta di una argomentazione irricevibile per qualsiasi persona dotata di un minimo di buon senso e che dimostra come pure il raggiungimento di una certa età e di una certa esperienza non basta ad evitare di dire un sacco di scemenze. Ma vogliamo forse impedire ai professori universitari maschi, bianchi e di mezz’età di esprimere il loro autorevole parere? E quale sito di informazione, rivista online, sezione culturale di quotidiano se ne priverebbe mai?…

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Redazione
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