Se lo Stato “educa” minacciando
91esima puntata dell’«Angelo custode» ovvero le riflessioni di ANGELO MADDALENA per il lunedì della bottega
La minaccia spesso paralizza invece di far muovere…
A chi si lascia allarmare da quei presunti No Vax che minacciano e terrorizzano, bisogna ricordare che ad agosto 2012 Draghi disse pubblicamente: «Non vaccinarsi significa morire e far morire». Ho conosciuto più di una persona che aveva mezza idea di fare il vaccino e dopo quell’affermazione si è convinta a non vaccinarsi. Credo che molte proteste popolari innescatesi da agosto in poi siano partite (anche) da lì: non dico che Draghi abbia esagerato apposta per scatenare proteste e utilizzarle per mantenere l’attenzione su aspetti superficiali e divisivi del discorso pubblico (non sarebbe la prima volta che il potere usa meccanismi simili) ma di fatto siamo in questo pantano. Però vorrei andare anche al livello di efficacia psicologica. Ho studiato i meccanismi psicologici che sono alla base di reazioni da parte di chi viene avvertito di un pericolo. Per esempio: se tu dici a qualcuno (bambino o adulto che sia) «Lavati i denti perché se no i denti si cariano» paradossalmente questo tipo di allarme paralizza chi se lo sente dire; quindi, anche se fosse vero il nesso matematico che chi non si vaccina muore e fa morire, non funziona come “meccanismo” che fa assumere un comportamento conseguente (faccio fatica a pensare che a certi livelli non si conoscano certe psicologie e non si ragioni almeno un po’ prima di fare affermazioni pubbliche).
Qualche giorno fa mi ha impressionato ascoltare alla radio una giornalista che intervistava uno dei responsabili dell’Istituto superiore di Sanità con domande-illazioni del tipo che ci sarebbe un aumento di contagi e questo indurrebbe a confermare l’urgenza di vaccinarsi tutti e cose del genere, ma l’intervistato rispondeva che i contagi ci sono ma i ricoveri sono pochi e non in terapia intensiva; poi la giornalista incalzava che i vaccini sono importanti e urgenti ma lui ridimensionava la situazione. Allora ho pensato che noi ogni giorno siamo bombardati da quelle illazioni dei media e il pericolo maggiore è la “lontananza” dalla versione di molti tecnici; cioé se parlassimo con loro direttamente avremmo una visione meno allarmante. Quasi tutti i media esagerano e strillano. Non dovrebbero cercare le notizie e controllarle? Ma a parte Report chi lo fa?
Consiglio la lettura (in particolare da pagina 53 a pag. 63) del libro «L’epoca delle passioni tristi» di Miguel Benasayag e Gérard Schmit, in particolare l’aneddoto di Pierre: è un uomo con problemi di comunicazione che mentre mangia, insieme alla famiglia, sentendo la notizia della mucca pazza, butta il piatto in aria e si mette a urlare. Commentano gli autori: «l’unica persona ad aver preso coscienza della notizia sulla mucca pazza e ad averne capito la portata è Pierre, è l’unico a non aver dissociato quello che ascoltava da quello che viveva. Normale o malato?». Il libro è stato pubblicato nel 2004, i due autori sono psicanalisti con impostazione filosofica: mi sembra tracciano un quadro del nostro tempo. Fra l’altro scrivono: «La perdita degli ideali e la tristezza hanno portato la nostra società ad abbandonare un tipo di educazione fondata sul desiderio. L’educazione dei nostri figli non è più un invito a desiderare il mondo: si educa in funzione di una minaccia, si insegna a temere il mondo, a uscire indenni dai pericoli incombenti. Questa inversione di tendenza nel modo di educare rappresenta un cambiamento culturale fondamentale, ma raramente è stato considerato tale». Poi (a pag. 59) scrivono così e sembra parlino di certi risvolti psicomediatici degli ultimi mesi: «Temendo la potenza del desiderio, molti possono trovare una certa utilità nell’uso ‘ragionato’ della minaccia. Benché sicuramente non usino la minaccia come fa uno Stato nei confronti di un altro, professori e genitori possono essere tentati di utilizzare l’informazione sui pericoli incombenti del futuro come strumento educativo, per il bene dei giovani. Ora, dal punto di vista psicanalitico, ogni tentativo di educare qualcuno fondandosi sulla minaccia è destinato a fallire». Poi fanno riferimento a Freud e a Kant. Io invece mi fermo qui, per chiudere un discorso iniziato con la presunta “etica” della minaccia per convincere o persuadere, anzi “educare”.
La vignetta – scelta dalla “bottega” – è di Mauro Biani
QUESTO APPUNTAMENTO
Mi piace il torrente – di idee, contraddizioni, pensieri, persone, incontri di viaggio, dubbi, autopromozioni, storie, provocazioni – che attraversa gli scritti di Angelo Maddalena. Così gli ho proposto un “lunedì… dell’Angelo” per aprire la settimana bottegarda. Siccome una congiura famiglia-anagrafe-fato gli ha imposto il nome di Angelo mi piace pensare che in qualche modo possa fare l’angelo custode della nuova (laica) settimana. Perciò ci rivediamo qui – scsp: salvo catastrofi sempre possibili – fra 168 ore circa che poi sarebbero 7 giorni. [db]
Molto interessante, grazie.
A mio avviso le minacce non servono a “convincere”, in questo momento, ma a identificare un nemico e a canalizzare su quello l’odio sociale.
La minaccia certo punisce, fa paura, peggiora la vita, e questa è la “punizione” per chi non obbedisce. Ma soprattutto, la minaccia vuole alludere, con la sua durezza e supposta necessità, a un concreto pericolo portato dalle persone a cui la minaccia è diretta: tutte le altre, dunque, vedono come un problema e come un pericolo le persone che sono minacciate.
Si tratta di un meccanismo arcinoto teorizzato tra gli ultimi da Goebbels, che lo mise in atto esattamente così. E che mi ricorda molto la caccia alle eresie del Basso Medioevo, che fu funzionale alla creazione di una ortodossia e al consolidamento di una egemonia culturale.
Da parte mia sono chiaramente identificabile come strega (da mo’!) e ora a quanto pare sono anche persona che muore e fa morire. Non provo agitazione contraria, dato che le mie decisioni sono state prese molto tempo fa e non mi pare di doverle rivedere; né ho paura, non ancora, almeno, nonostante non sia ignifuga e senta da un po’ un certo calduccio.
L’amarezza, però. Quella è un’onda che a giorni alterni mi bagna i piedi o mi sommerge.
Grazie anche per la citazione a «L’epoca delle passioni tristi», me lo procurerò, lo iato normalità-malattia ha veramente un mondo di esplorazioni da poter fare.