Ancora morte a Ravenna: ci sarà un colpevole?

di Vito Totire (*)

La morte sul lavoro di Vasile Burcut a Ravenna deve scuotere definitivamente le coscienze e indurre a passare ai fatti.

Ravenna non ha mai rimarginato la ferita del 13 marzo 1987 (strage della Mecnavi): da allora omissioni, parole al vento, lacrime di coccodrillo non hanno fermato – né potevano farlo – uno stillicidio continuo di morti. La strage sul lavoro ha le dimensioni di una guerra, peraltro apertamente dichiarata; le ultime misure del governo Draghi non hanno cambiato la sostanza. Noi non siamo contrari, anzi, all’aumento delle attività ispettive, ma da un lato questo incremento deve essere consistente e soprattutto mirato, dall’altro il nocciolo della questione è nei rapporti di potere sul luogo di lavoro fra operai e padrone; se non cambiano questi rapporti (a favore della classe operaia) e i lavoratori rimangono fruitori passivi di vigilanza esterna gli infortuni mortali potranno calare … ma il nostro obiettivo è invece raggiungere lo zero.

Quello che vediamo ogni giorno è solo la punta dell’iceberg; questa settimana abbiamo notificato alla Procura della Repubblica di Ravenna il decesso di un operaio del Petrolchimico già esposto a cancerogeni (avevamo già comunicato lo stato di malattia). Con gli organi di vigilanza si fatica a raccogliere dati e informazioni su rischi pregressi sui quali “nessuno ha indagato” ; per non parlare dell’Inail che, nella ricostruzione dei rischi, non si affida – interpellandoli – agli organi di vigilanza ma “si fida” del datore di lavoro e del suo “medico competente”.

Con la morte di Vasile Burcut dobbiamo tirare il freno di emergenza. Occorre una inchiesta giudiziaria ma anche popolare “dal basso”: in quella giudiziaria dobbiamo entrare come parte civile per propiziare un’indagine sull’infortunio mortale che non si limiti ai fattori fisici ma indaghi anche sugli aspetti organizzativi ed ergonomici.

Insomma bisogna impedire si applichino gli stessi parametri che hanno portato alla archiviazione dell’infortunio mortale accaduto sulla tangenziale di Bologna il 6 agosto 2018 (e tanti altri purtroppo).

Cosa significa lavorare su un’impalcatura per un over cinquantenne? Cosa significa un infortunio venerdì pomeriggio? Quante ore settimanali di lavoro aveva sopportato Vasile Burcut? Quante ore di pendolarismo ? Ed è stata fatta una esaustiva valutazione del distress come previsto dall’articolo 28 del TULS 81/2008 che indica la necessità di considerare anche l’età in relazione alla fatica e alle performances lavorative?

Pieno appoggio dunque al presidio indetto a Ravenna dallo SLAI-COBAS per oggi 12 febbraio – alle 16 – in via Carso, il cantiere dove Barcut è morto.

Nessuna assuefazione alle morti sul lavoro !

Nessun silenzio sula riduzione della speranza di salute dei lavoratori che ogni giorno è sacrificata cinicamente e consapevolmente al profitto !

Non possiamo poi tacere sulla vicenda amianto-Enichem. Nessun silenzio su una magistratura che prima assolve “per non aver commesso il fatto”, poi perché “il fatto non costituisce reato”, infine perché “IL FATTO ESISTE MA NON SAPPIAMO CHI E’ IL COLPEVOLE”.

(*) Vito Totire è portavoce della «Rete europea per l’ecologia sociale»

La foto riguarda Reuf Islami, un lavoratore immigrato morto lavorando a Bologna, 20 anni fa, che il Comune fatica a commemorare; in “bottega” Vito Totire ne ha scritto più volte (a esempio cfr Rimuovere l’omicidio di Reuf Islami non è possibile).

 

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