Scor-data: 3 febbraio 1929
Una canzone (di Fausto Amodei) per Camilo Torres, prete guerrigliero, seguita da una (di Daniele Sepe) per gli altri «morti invano»
di db
Guerrilla Christ Oscar Rostgaard, 1969
Per ricordarlo ho deciso di postare «Proclama di Camilo Torres», la canzone – una fra le tante a lui dedicate – scritta e cantata da Fausto Amodei. Prete e sociologo colombiano, Torres era nato il 2 febbraio 1929 e morì il 15 febbraio 1966 con le armi in pugno perché si era convinto che quella era l'unica strada rimasta per liberare il suo popolo dalle oligarchie asservite all'imperialismo statunitense. La canzone di Amodei riprende l'ultimo messaggio di Camillo Torres - «Dalle montagne» - del gennaio 1966 che viene considerato il suo testamento politico e spirituale. Sotto ho postato – credo sarà chiaro il collegamento – il testo di una canzone di Daniele Sepe che molti hanno ribattezzato «Morti invano» ma il cui titolo originale è «Perché i vivi non ricordano». Possono essere ascoltate entrambe su Youtube.
Da molti anni i poveri della nostra patria,
da molti anni attendono il grido di battaglia,
il grido per gettarsi nella lotta finale
contro l’oligarchia e contro il capitale
contro l’oligarchia e contro il capitale.
A questo punto il popolo non crede
a chi ha il potere
a questo punto il popolo non crede
alle elezioni,
non c’è più via legale che possa esser tentata,
non resta altro al popolo che la lotta armata.
Il popolo è deciso a offrir la propria vita
per dare ai propri figli un tetto e da mangiare,
per dare soprattutto a chi verrà domani
la patria non più schiava dei nordamerìcani.
E devo dire al popolo che io non l’ho tradito,
son stato sulle piazze d’ogni città e villaggio
chiamando chi lavora ai campi e alle miniere
a unirsi e a organizzarsi per prendere il potere.
Chiunque è un patriota stia sul piede di guerra
finché possano sorgere i capi guerriglieri;
dobbiamo stare all’erta, scambiarci le opinioni,
raccoglier le provviste con armi e munizioni.
La lotta è prolungata
e i colpi all’oppressore sian piccoli, se occorre,
purché siano sicuri;
proviamo cosa valgono di fronte agli avversari
coloro che si dicono dei rivoluzionari.
Agisci senza sosta, ma agisci con pazienza,
la guerra sarà lunga e ognuno dovrà agire;
importa soprattutto che la rivoluzione
quando è il momento giusto ci trovi all’azione
Abbiamo incominciato perché la strada è lunga,
però questa è la strada per la rivoluzione:
con noi fino alla morte a unire e organizzare
con voi fino alla morte, la classe popolare.
Con noi fino alla morte perché siamo decisi,
con voi fino alla morte, a andare fino in fondo:
la presa del potere non è ormai più illusoria,
lottar fino alla morte vuoi dire la vittoria
Daniele Sepe. Perché i vivi non ricordano
Non canto per i vivi, non canto per loro
ché di miserie e disgrazie
ne ho viste tante in giro
e questa storia assurda non può tornare indietro
a pezzi li abbiam persi sui monti e nelle valli
nei fiumi e agli angoli, agli angoli delle strade
agli angoli degli occhi, agli angoli della bocca di
Garcia Lorca, morto invano
Camilo Torres, morto invano
Salvador Allende, morto invano
Víctor Jara, morto invano.
Montagne di cenci carne stracci
carta cuori unghie memorie
bruciati in fretta come nella camera
di scoppio di un motore
su una forca o con le fucilate
con la garrota o con la sedia elettrica
i vivi non ricordano lo sguardo
i vivi non ricordano lo sguardo
di Nicola Sacco, morto invano
Bartolomeo Vanzetti, morto invano
Giacomo Matteotti, morto invano
Giuseppe Pinelli, morto invano.
E più neri di prima sono ritornati
lo stesso cognome
Mussolini,
usano il televisore come un cavallo di Troia,
entrano nel futuro dei nostri figli
così come c’entrarono nel ‘920
per ricordarci che
per ricordarci che
a Brescia sono, sono morti invano
a Ustica sono, sono morti invano
a Bologna sono, sono morti invano
a Marzabotto, sono morti invano
perché i vivi non ricordano.
Si è ammutolito il mio strumento
quando ho capito che il popolo italiano
di mare, cielo e terra
deve saperlo che ci portano la guerra,
guarda nei libri devi ricordarlo
ogni quanto tempo in Europa c’è un conflitto
dove madri padri figlie e figli
sono morti da dimenticare perché i vivi non ricordano
perché i vivi non ricordano gli occhi dei
fratelli Cervi, morti invano
Lauro Farioli, morto invano
Marino Serri, morto invano
Giovanni Ardizzone, morto invano.
Sole, vento che rincorri i continenti
tu che accarezzi il viso delle genti
raccogline tutta la memoria
e fanne un solco nella terra
perché con il grano e con il pane
cresca anche il ricordo degli occhi
e del cuore di
Franco Serantini, hasta siempre
Claudio Miccoli, hasta siempre
Sotiris Petrulas, hasta siempre
Giorgiana Masi, hasta siempre
Grigoris Lambrakis, hasta siempre
Turiddu Carnevali, hasta siempre
Gaetano Bresci, hasta siempre
Walter Rossi, hasta siempre
Jolanda Palladino, hasta siempre
Ines Versari, hasta siempre
Pedro (Pietro Greco), hasta siempre
Camillo Cienfuegos, hasta siempre
Ernesto “CHE” Guevara, hasta siempre
Stephen Biko, hasta siempre
Patrice Lumumba, hasta siempre
Giovanni Passanante, hasta siempre
Emiliano Zapata, hasta siempre
Pancho Villa, hasta siempre
Salvador Allende, hasta siempre
Gennarino Capuozzo, hasta siempre
Jole de Cillia, hasta siempre
Duccio Galimberti, hasta siempre
Malcom X, hasta siempre
Oscar Romero, hasta siempre
…
Il potere, in ogni luogo e momento della storia, soffoca la memoria collettiva abbuffandola di certezze retoriche, di pettegolitica da BarSport o da economisti in coda alla cassa dei discount. Forse la memoria popolare di un tempo aveva nella sua semplicità gli anticorpi ai blob in cui oggi affogano i tele-consumatori. Un esempio dialettale veronese: quando una persona voleva far credere una cosa del tutto improbabile si commentava così : “Te vol farme credàr che el Signor l’é morto dal frèdo (anca se l’é) paròn de tuti i legnàri”