Verso un trattato globale contro l’inquinamento da plastica
di Alessandro Scassellati (ripreso da transformitalia.it)
I leader mondiali hanno concordato di redigere un trattato “storico” sui rifiuti di plastica che viene salutato come il più grande accordo sul clima dall’accordo di Parigi del 2015. I rifiuti di plastica stanno soffocando il nostro pianeta, inquinando l’aria, l’acqua, il suolo e le catene alimentari di cui sia le persone sia la fauna selvatica hanno bisogno per sopravvivere. E mentre questa crisi si diffonde in ogni angolo del globo, finalmente si è deciso di stabilire delle regole per aiutare a re-immaginare il modo in cui produciamo, progettiamo, smaltiamo e riutilizziamo i materiali plastici da cui dipendiamo maggiormente. Perché mentre la plastica può aiutare a rendere i nostri ospedali più sicuri, a far durare il nostro cibo più a lungo e a rendere più efficiente la spedizione dei pacchi, non ha posto in natura. Sul tema dei rifiuti di plastica la California ha messo a punto un piano complessivo e sta cercando di attuarlo.
Un accordo globale sulla plastica
Capi di governo, ministri dell’ambiente e altri rappresentanti di 175 Paesi hanno concordato il 2 marzo scorso di sviluppare un trattato legalmente vincolante sulla plastica, in quello che molti hanno descritto un momento davvero storico1.
La risoluzione, concordata all’Assemblea delle Nazioni Unite sull’ambiente a Nairobi, in Kenya, chiede un trattato che copra “l’intero ciclo di vita” della plastica dalla produzione allo smaltimento, da negoziare nei prossimi due anni.
Un trattato voluto soprattutto dai Paesi del Sud del mondo (scarsi consumatori dei prodotti in plastica, ma ricevitori di rifiuti in plastica “esportati” dei Paesi ricchi, che non sanno come trattare) e che riterrà le nazioni, le imprese e la società responsabili dell’eliminazione dell’inquinamento da plastica dall’ambiente. Per questo è stato descritto dal capo del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) come il più importante accordo ambientale multilaterale dall’Accordo di Parigi sul clima nel 2015 e dal Protocollo di Montreal del 1989 che ha effettivamente eliminato gradualmente le sostanze dannose per l’ozono.
Circa 7 miliardi dei circa 9,2 miliardi di tonnellate di plastica prodotte tra il 1950 (quando le prime fabbriche hanno iniziato a produrre plastica dal petrolio, sostituendo il vetro e altri materiali in una vasta gamma di industrie) e il 2017 sono ora rifiuti. Dei rifiuti generati da quella plastica, meno di un decimo è stato riciclato, stimano i ricercatori. Circa il 12% è stato incenerito, rilasciando nell’aria diossine e altri agenti cancerogeni. La maggior parte del resto (circa il 75%), una massa equivalente a decine di milioni di balenottere azzurre, si è accumulato nelle discariche e nell’ambiente naturale. La plastica ha invaso gli oceani, accumulandosi nelle viscere dei gabbiani e dei grandi squali bianchi. Piove, in micro e nano particelle, su città, campagne (dove, tra l’altro, ogni anno milioni di tonnellate di plastica vengono utilizzate per i teli per la pacciamatura) e foreste dei parchi nazionali. Secondo alcune ricerche, dalla produzione allo smaltimento, è responsabile di più emissioni di gas serra rispetto all’industria aeronautica2.
Gli Stati membri dell’ONU hanno deciso che i seguenti elementi dovrebbero essere presi in considerazione nello sviluppo del nuovo trattato:
- obiettivi globali per affrontare l’inquinamento da plastica negli ambienti marini e di altro tipo e i suoi impatti;
- obblighi e misure globali lungo l’intero ciclo di vita della plastica, compresi la progettazione del prodotto (ecodesign), il consumo e la gestione dei rifiuti (ad esempio, introdurre misure che limitino la produzione di plastica difficile da riciclare e migliorino i tassi di raccolta per materiali come il PET, che possono essere riciclati, anche se imperfettamente, con le tecnologie esistenti. Questo anche se la maggior parte del PET – polietilene tereftalato – prodotto a livello globale non viene utilizzato per le bottiglie, ma per le fibre tessili che, poiché spesso contengono materiali misti, vengono raramente riciclate.);
- un meccanismo per fornire informazioni e valutazioni scientifiche rilevanti per le politiche;
- un meccanismo per fornire sostegno finanziario all’attuazione del trattato;
- misure di cooperazione nazionale e internazionale;
- piani d’azione nazionali e rendicontazione per la prevenzione, la riduzione e l’eliminazione dell’inquinamento da plastica;
- valutazione dello stato di attuazione del trattato.
La risoluzione riconosce inoltre che l’inquinamento da plastica costituisce una minaccia per tutti gli ambienti e pone rischi per la salute umana. Riconosce il ruolo del settore privato e di tutte le parti interessate nello sviluppo e nell’attuazione del trattato e sottolinea che il problema dovrebbe essere risolto attraverso misure lungo l’intero ciclo di vita, dalla produzione all’uso, fino alla gestione dei rifiuti, al riciclo e al riutilizzo.
Sullo sfondo di turbolenze geopolitiche, “l’assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente mostra il meglio della cooperazione multilaterale“, ha affermato Espen Barth Eide, presidente dell’UNEA-5 e ministro norvegese per il clima e l’ambiente. “L’inquinamento da plastica è diventato un’epidemia. Con la risoluzione di oggi siamo ufficialmente sulla buona strada per una cura”.
Inger Andersen, il direttore del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, ha affermato: “Abbiamo appena annunciato la risoluzione che apre la strada all’azione globale per #BeatPlasticPollution. L’accordo ambientale più importante dall’accordo di Parigi. Il lavoro inizia ora!“. Andersen ha descritto l’accordo come un “trionfo del pianeta Terra sulla plastica monouso“, ma ha avvertito che il mandato non concede alle parti interessate una “pausa di due anni“.
Parallelamente ai negoziati su un accordo internazionale giuridicamente vincolante, l’UNEP lavorerà con qualsiasi governo e impresa disposti lungo tutta la catena del valore per allontanarsi dalla plastica monouso (solo il 10%-15% della plastica monouso viene riciclato a livello globale ogni anno), nonché per mobilitare finanziamenti privati e rimuovere gli ostacoli agli investimenti nella ricerca e in un nuova economia circolare. L’Unione Europea ha approvato due direttive antiplastica che impongono entro il 2025 almeno il 25% di plastica riciclata e mettono al bando il monouso per uso alimentare (cannucce, piatti, posate, contenitori, etc.), mentre la prevista entrata in vigore dell’imposta europea sulla plastica è stata per ora sospesa. Sono due anni ormai che la Cina – il principale produttore di plastica al mondo – ha introdotto divieti o restrizioni alla produzione o vendita di prodotti, compresi sacchetti e posate di plastica monouso, con un calendario ambizioso per la loro rimozione dal mercato. Alcuni prodotti monouso dovevano essere sostituiti con prodotti alternativi – in plastica biodegradabile (PBAT e PLA) – in meno di un anno, ma ora il governo cinese sembra averci (almeno in parte) ripensato, sia per i costi economici sia perché non è ancora del tutto chiaro se la plastica definita biodegradabile lo sia veramente.
La pandemia da CoVid-19 ha aumentato la domanda di plastica monouso, intensificando la pressione sull’ambiente, secondo una ricerca pubblicata lo scorso autunno. Più di 8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica associati alla pandemia sono stati generati a livello globale, con oltre 25.000 tonnellate che sono entrate nei mari, per lo più rifiuti sanitari provenienti dagli ospedali. Inoltre, alcune leggi volte a ridurre l’inquinamento da plastica sono state rinviate in molti Paesi. “La massa totale di plastica prodotta supera sia la massa complessiva di tutti gli animali terrestri e marini sia il confine planetario di queste nuove sostanze, spostandoci fuori da uno spazio operativo sicuro per l’umanità“, ha scritto un gruppo di scienziati in un editoriale per Environmental Health News. “Eppure l’industria continua a proiettare crescita, investendo miliardi di dollari in nuove infrastrutture e opponendosi agli sforzi nazionali e ora internazionali per frenare sia la produzione di plastica che l’inquinamento“.
I Paesi dell’ONU, che hanno tenuto colloqui a Nairobi nella scorsa settimana per discutere i termini del trattato, hanno convenuto che dovrebbe coprire la produzione e la progettazione delle merci di plastica, non solo i rifiuti. La risoluzione ha istituito un comitato di negoziazione intergovernativo, incaricato di redigere e ratificare il trattato. Inizierà i lavori quest’anno e mira a terminare entro il 2024.
La risoluzione introduce disposizioni anche per riconoscere la figura del raccoglitore di rifiuti, uno “sviluppo rivoluzionario” che interessa milioni di persone (i cosiddetti scavangers), secondo le ONG, e il riconoscimento del ruolo delle popolazioni indigene. È la prima volta che i raccoglitori di rifiuti, i lavoratori sottopagati nei Paesi in via di sviluppo che raccolgono plastica riciclabile e altri beni, vengono riconosciuti in una risoluzione ambientale.
Le ONG hanno descritto la risoluzione come un cambiamento fondamentale nell’approccio dei responsabili politici internazionali, che in precedenza si concentravano sulla plastica come problema dei rifiuti marini. Il mandato raccomanda misure per affrontare la produzione di plastica, che ora ammonta a circa 400 milioni di tonnellate all’anno e dovrebbe quasi quadruplicare entro il 2050, assorbendo il 10-13% del bilancio globale del carbonio. Hanno esortato i leader mondiali a mostrare ancora più determinazione nello sviluppo e nella finalizzazione dei dettagli del trattato nei prossimi due anni.
“Ci troviamo a un bivio nella storia quando le decisioni ambiziose prese oggi possono impedire che l’inquinamento da plastica contribuisca al collasso dell’ecosistema del nostro pianeta“, ha affermato Marco Lambertini, direttore generale del WWF International. “Ma il nostro lavoro è tutt’altro che finito: ora i leader mondiali devono mostrare ancora più determinazione nello sviluppo e nell’attuazione di un trattato che affronti la nostra attuale crisi dell’inquinamento da plastica e consenta una transizione efficace verso un’economia circolare per la plastica“.
Christina Dixon, vice responsabile della campagna oceanica presso l’Environmental Investigation Agency, ha dichiarato: “Questa risoluzione riconosce finalmente che non possiamo iniziare ad affrontare la plastica nei nostri oceani e sulla terraferma senza intervenire alla fonte.” Dixon ha affermato che il mondo è “all’inizio di un viaggio” verso l’ottenimento di un trattato legalmente vincolante.
Niven Reddy, coordinatore per l’Africa presso la Global Alliance for Incenerator Alternatives, ha dichiarato: “Questa pietra miliare non sarebbe potuta accadere senza un movimento globale che spingesse i decisori a ogni passo“. Joanne Green, una senior policy associate di Tearfund, ha dichiarato: “La giornata di oggi segna il primo passo verso la giustizia per le comunità colpite dalla combustione e dallo scarico di rifiuti di plastica. Il riconoscimento dei raccoglitori di rifiuti e del ruolo vitale che svolgono nell’arrestare l’inquinamento da plastica è atteso da tempo; i governi devono ora assicurarsi di avere un posto di primo piano al tavolo dei negoziati”.
Il trattato sarà accompagnato da un supporto finanziario e tecnico, compreso un organismo scientifico che lo consiglierà, e la possibilità di un fondo globale dedicato. La risoluzione è stata adottata a conclusione della riunione UNEA-5.2 di tre giorni, alla quale hanno partecipato più di 3.400 delegati in presenza e 1.500 partecipanti online provenienti da 175 Stati membri delle Nazioni Unite, tra cui 79 ministri e 17 funzionari di alto livello.
C’è una crescente preoccupazione pubblica per l’inquinamento da plastica. Più di 60 Paesi (tra cui quelli dell’Unione Europea) hanno già implementato divieti e prelievi sugli imballaggi in plastica e sui rifiuti monouso, volti a ridurre l’uso e migliorare la gestione dei rifiuti. Il consumo di plastica nei Paesi sviluppati è 2,5 volte superiore pro capite rispetto ai Paesi in via di sviluppo (90 kg contro 36 kg), secondo il gruppo di esperti Planet Tracker. Gli Stati Uniti sono il principale Paese consumatore di prodotti in plastica.
La drammatica questione dell’inquinamento da microplastiche
Le immagini dell’inquinamento da plastica negli oceani e sulle spiagge sono ormai all’ordine del giorno e il problema è destinato a peggiorare. Due settimane fa, il primo Global Plastics Outlook dell’OCSE ha rivelato un drammatico aumento dei rifiuti di plastica fuoriusciti negli ambienti acquatici. Quel rapporto è arrivato solo un mese dopo che il World Wildlife Fund for Nature ha pubblicato uno studio che prevede un raddoppio delle microplastiche nell’oceano nei prossimi decenni.
Ormai, le microplastiche possono essere trovate ovunque, dai corsi d’acqua ai pesci fino all’interno dei tessuti molli del corpo umano. Ricerche scientifiche le hanno trovate nei polmoni delle ratte gravide e hanno scoperto che passano rapidamente nel cuore, cervello e altri organi dei loro feti; nei mammiferi, la placenta non blocca tali microparticelle.
L’impatto sulla salute delle microplastiche nel corpo è ancora sconosciuto. Ma, gli scienziati affermano che è urgente valutare il problema, in particolare per lo sviluppo di feti e bambini, poiché la plastica può contenere sostanze chimiche che potrebbero causare danni a lungo termine. Gli scienziati hanno dimostrato che i bambini alimentati con latte artificiale in bottiglie di plastica ingeriscono milioni di nonoparticelle di plastica al giorno.
L’inquinamento da microplastiche ha raggiunto ogni parte del pianeta, dalla vetta dell’Everest agli oceani più profondi, e le persone stanno già consumando queste minuscole particelle attraverso cibo e acqua e il respiro.
La situazione sta solo peggiorando: 11 milioni di tonnellate di plastica entrano negli oceani del pianeta ogni anno, una quantità che dovrebbe triplicare entro il 2040. Sebbene ci siano innovazioni promettenti che estraggono la plastica dal mare o la intercettano nei fiumi, questi progetti a malapena intaccheranno la quantità di inquinamento da plastica nei corsi d’acqua del mondo. Anche sotto le proiezioni più ottimistiche, queste tecnologie influenzeranno solo il 5-10% di tutta la plastica negli oceani.
E’ bene tenere presente che 20 grandi aziende statali e multinazionali, inclusi i giganti del petrolio (ExxonMobil è il più grande inquinatore di rifiuti di plastica monouso al mondo) e del gas e le aziende chimiche (l’americana Dow, la cinese Sinopec), sono responsabili della produzione del 55% di tutti i rifiuti di plastica monouso nel mondo, alimentando la crisi climatica e la catastrofe ambientale. La loro produzione di plastica è finanziata da importanti banche, tra cui le principali sono Barclays, HSBC, Bank of America, Citigroup e JPMorgan Chase.
Il piano plastica dello Stato della California
La California sta cercando di anticipare la risoluzione del problema, diventando il primo Stato degli Stati Uniti a mettere in atto un piano completo per affrontare le microplastiche. Il piano della California ha l’ambizione di indicare potenzialmente la via da seguire per la comunità globale che sta lanciando l’allarme sul terribile stato dei rifiuti di plastica. La tabella di marcia di 22 azioni è incentrata sulla prevenzione dell’ingresso di particelle di plastica nell’ambiente, sull’intercettazione dell’inquinamento da plastica e sull’educazione del pubblico sul problema.
Le ricerche scientifiche hanno scoperto che i corsi d’acqua della California sono già saturati di microplastiche, inclusi circa 7 trilioni di pezzi nella sola baia di San Francisco, molti dei quali si riversano attraverso gli scarichi delle acque piovane. Secondo il California Ocean Protection Council, le principali fonti di microplastiche sono pneumatici, tessuti sintetici, filtri per sigarette e prodotti alimentari in plastica monouso.
La strategia è fortemente incentrata sull’impedire che la plastica si disperda nell’ambiente. Raccomanda di vietare determinati prodotti, dando priorità al riutilizzo e limitando la plastica monouso. Altri meccanismi di prevenzione di questo tipo includono l’acquisto in tutto lo Stato di contenitori alimentari riutilizzabili, nonché il divieto di vendita e distribuzione di articoli per uso alimentare e imballaggi in polistirene espanso entro il 20233. L’enfasi sulla prevenzione è fondamentale, perché ripulire le microplastiche una volta che sono nell’ambiente è praticamente impossibile.
Il piano dello Stato si concentra anche sull’istruzione, ma non per veicolare il solito messaggio della responsabilità personale. Negli ultimi anni, c’è stata una spinta da parte dei produttori di plastica a far assumere alle persone l’onere di assicurarsi che la plastica non entri nell’ambiente, mentre l’idea qui è che i produttori hanno maggiori responsabilità e le persone dovrebbero sapere perché. In sostanza, istruzione significa: volere che le persone capiscano perché le microplastiche sono potenzialmente un grosso problema e come sia possibile adottare misure prima che peggiori.
Dal punto di vista scientifico, la strategia si concentra sul monitoraggio di quante particelle di microplastica si trovano in diverse parti dell’ambiente, il che è fondamentale per capire cosa c’è nell’ambiente e da dove proviene. Alla fine, l’obiettivo è definire dei livelli massimi consentiti di microplastica per i corsi d’acqua e gli oceani costieri. La strategia riadatterà anche le infrastrutture delle acque piovane e impedirà alle aziende di scaricare illegalmente i minuscoli pellet che costituiscono gli elementi costitutivi della maggior parte della plastica.
Alessandro Scassellati
- L’inquinamento da plastica è stato dibattuto alle Assemblee ambientali delle Nazioni Unite nel 2015, 2017 e 2019 e ha ricevuto ulteriore impulso dalla Conferenza ministeriale sui rifiuti marini e sull’inquinamento da plastica a Ginevra, Svizzera, convocata nel settembre 2021 dai governi di Ecuador, Germania, Ghana e Vietnam. Da allora, secondo il WWF Global Plastic Navigator, 154 Paesi hanno espresso interesse a negoziare un nuovo accordo globale sull’inquinamento marino da plastica. Di recente, il segretario di Stato americano Anthony Blinken aveva annunciato il sostegno degli Stati Uniti ai negoziati multilaterali su un accordo globale per combattere l’inquinamento da plastica negli oceani. Sebbene la maggior parte dei Paesi sia favorevole a un nuovo accordo globale sull’inquinamento marino da plastica, un piccolo ma significativo gruppo di Paesi, che include Cina, Paesi dell’Asia centrale e del Golfo, non aveva rilasciato alcuna dichiarazione pubblica a sostegno di un trattato globale e un Paese, l’India, aveva solo accettato di considerare la sua posizione. Il progressivo inquinamento di mari, fiumi e laghi, è dovuto a tre principali fattori: l’acidificazione dell’acqua, la riduzione dell’ossigeno e l’infestazione delle microplastiche che ormai sono entrate anche nella catena alimentare umana. Nanoparticelle di pneumatici (composte da vari materiali tra cui gomma sintetica, agenti di riempimento, oli e altri additivi) inibiscono la crescita e causano cambiamenti comportamentali avversi negli organismi che si trovano negli ecosistemi d’acqua dolce e degli estuari costieri.
- Questo problema di inquinamento è aggravato, affermano gli esperti, dal fatto che anche la piccola quota di plastica che viene riciclata è destinata a finire, prima o poi, nella spazzatura. Il riciclaggio termomeccanico convenzionale, in cui i vecchi contenitori di plastica vengono macinati in scaglie, lavati, fusi e quindi trasformati in nuovi prodotti, produce inevitabilmente prodotti più fragili e meno durevoli rispetto al materiale di partenza. Nella migliore delle ipotesi, il materiale di una bottiglia di plastica potrebbe essere riciclato in questo modo circa tre volte prima che diventi inutilizzabile. Più probabilmente, verrà “riutilizzato” in materiali di valore inferiore come vestiti e moquette, materiali che alla fine verranno smaltiti nelle discariche. Ci sono aziende – come la startup francese Carbios – che stanno sviluppando dei metodi di depolimerizzazione, e quindi di riciclaggio dei rifiuti di plastica, che utilizzano enzimi e batteri che si nutrono di plastica (in particolare di PET), ma i risultati rimangono ancora controversi, soprattutto riguardo al costo economico di questi metodi.
- A novembre, gli elettori della California avranno la possibilità di approvare una misura che richiederebbe che tutti gli imballaggi, i contenitori e gli utensili in plastica monouso siano riutilizzabili, riciclabili o compostabili entro il 2030.
vedi anche: https://riforma.it/it/articolo/2022/03/10/un-passo-contro-la-plastica di Alessio Lerda