Scor-data: 26 febbraio 1861
Unità politica o accordo con la mafia?
di Luca Cumbo (*)
Fino al 1861 il potere reale in Sicilia fu esercitato da un’oligarchia di aristocratici, vescovi e borghesi carbonari in rotta con i Borboni e raggruppati in forme d’organizzazione che potrebbero essere definite antesignane dell’organizzazione tipica mafiosa contenendone tutti i tipici elementi: segretezza, ritualità, trasversalità nelle classi sociali, uso della violenza come mezzo “universale” di consenso e fedeltà.
I nobili feudatari avevano quasi sempre piccoli eserciti alle proprie dipendenze, sorta di “bravi” manzoniani che riscuotevano i tributi dai contadini dei feudi oltre che sbrigare “faccende” per i propri mandanti. Dal Medioevo in poi la Sicilia, soprattutto quella occidentale, è un brulicare di sette misteriche, fratellanze più o meno segrete. In epoca moderna, cambiando l’organizzazione del potere e dell’economia, anche borghesi come medici, avvocati, magistrati e soprattutto piccoli e grandi ufficiali dell’esercito borbonico furono cooptati in queste organizzazioni.
Il marchese palermitano Giuseppe La Farina dopo un lungo soggiorno in Piemonte, ospite di un tale Camillo Benso Conte di Cavour, tornò in Sicilia per organizzare la propaganda annessionistica. Il patriota Giovanni Corrao insieme a Rosolino Pilo presero contatti con le “fratellanze” dell’entroterra siciliano per preparare la venuta di Garibaldi, mentre il repubblicano-mazziniano Francesco Crispi si adoperava per rimpolpare l’esercito una volta giunto in Sicilia. Al comitato rivoluzionario si era unito anche il marchese Antonio di Rudinì.
Garibaldi, che pure non era all’oscuro dei movimenti siculo-sotterranei che precedettero lo sbarco dei Mille, non potè fare a meno di notare sul suo diario: «Francesco Crispi arruola chiunque: ladri, assassini, e criminali di ogni sorta».
La realtà è però che l’esercito borbonico non combatteva, ma ripiegava sempre per gli ordini dei suoi ufficiali collusi: quelle che l’agiografia risorgimentale riporta come grandi battaglie (Calatafimi su tutto) non furono altro che scaramucce. Del resto non si spiegherebbe diversamente com’è possibile che i soldati borbonici avessero sempre represso con successo ben più grosse rivolte in Sicilia mentre furono sconfitti da Garibaldi che, con appena 600 soldati, “liberò” Palermo.
Il 21 ottobre 1860 ci fu il Plebiscito per l’annessione della Sicilia al Piemonte, il voto “libero e segreto” funzionava così: le schede si depositavano in due urne diverse, poggiate su due piani di fronte alla commissione elettorale composta da mafiosi e garibaldini che guardavano con benevolenza i votanti, le urne sono una per il “Sì” e l’altra per il “No”. Il risultato lo abbiamo appreso da «Il Gattopardo» e si arriva dunque alla proclamazione di Vittorio Emanuele II Re d’Italia.
Il Senato a Torino adotta dunque il progetto di legge di ratifica ed eccoci così giunti alla «scor-data» di oggi:
SENATO DEL REGNO, SEDUTA DEL 26 FEBBRAIO 1861
«Sire!
La voce di Vostra Maestà ci annunzia l’avvenimento per cui s’adempie quel voto di unità politica, vagheggiato da tanti eletti spiriti, promosso da tanti nobill cuori, accompagnato da tanta pietà e da tante lagrime. Travaglio di molti secoli, spiegasi ora, mercè di un prodigioso concorso di cause diverse tutte a noi propizie, la grandezza d’Italia. Il valore degli eserciti, il senno dei popoli hanno raggiunto tale scopo che pochi anni addietro pareva eccedere ogni umana previsione».
Tutta la baraonda di massoni passò poi all’incasso ed entrò nel Parlamento del regno (tranne Corrao, fatto fuori nel 1863), mentre qualche anno dopo riuscì a far convertire Crispi da repubblicano a monarchico. La conversione filomonarchica fu tanto apprezzata che nelle elezioni del 1882 la sinistra crispina ottenne in Sicilia 42 seggi su 48 (l’antenato del 61 a 0 berlusconiano) e nel 1887, fatto presidente del Consiglio dei ministri, divenne padrone d’Italia. Dopo Crispi un altro palermitano, Di Rudinì fu eletto presidente del Consiglio, i due si alternarono fino al 1898. Nel mezzo, oltre che una breve parentesi giolittiana, la spaventosa repressione con 30.000 soldati della rivolta dei Fasci Siciliani, una delle più grandi rivolte di stampo socialista in Europa.
E la mafia dov’era? La parola mafia (o maffia) diviene un termine di uso corrente e accettato a partire dal 1863, con il dramma dialettale «I mafiusi de la Vicaria» di Giuseppe Rizzotto e Gaetano Mosca: l’opera ebbe tanto successo da essere tradotta in italiano, contribuendo così a diffondere il termine su tutto il territorio nazionale. Una cosa è certa: prima dell’unità d’Italia il termine non esisteva. Il termine “Mafia” viene usato dopo l’unità, non c’è traccia di un suo utilizzo precedente. Secondo alcuni deriva dall’arabo mahias (millanteria) secondo altri dal termine toscano maffia (miseria). C’è però un’altra ipotesi poco conosciuta che merita di essere raccontata: il bizzarro poeta napoletano Francesco Gaeta – oggi dimenticato, nato nel 1879 e morto nel 1927 in circostanze poco chiare – era un massone “pentito” e raccontava come il termine “maffia” non fosse altro che “mass.ia” ovvero l’abbreviazione di “massoneria”; l’equivoco nasce dalla lettura della parola scritta e verrebbe dal fatto che la “s” nell’Ottocento era stampata in forma allungata “ʃ “, molto simile alla “f”, quindi “maʃʃ ia“. Curiosamente, Gaeta era un profondo conoscitore dell’opera di Alexandre Dumas (padre) che, iscritto alla massoneria, partecipò attivamente alla spedizione dei Mille.
Comunque si voglia intendere l’etimologia del termine, sta di fatto che di “mafia” prima dell’unità d’Italia non si parlava. La mafia per come la conosciamo oggi nasce da un patto, quello della massoneria criminale siculomeridionale con le istituzioni piemontesi che detenevano il potere politico ed economico. Questo patto è il Dna costitutivo dello stesso Stato italiano, regno o repubblica che sia: questa mafia non sarebbe esistita senza lo Stato, così come lo Stato italiano unitario non sarebbe esistito senza la mafia; essi sono i coscienti e sensienti pilastri della nascita di un nuovo sistema economico e sociale, di un nuovo modello su scala nazionale.
Alla luce di tutto questo, quella che oggi viene erroneamente definita “trattativa stato-mafia” – come se si trattasse di due parti in conflitto che negoziano una pace – svia il vero nocciolo della questione e cioè che l’Italia stessa, la sua unità, la sua identità, è totalmente fondata sull’accordo fra le due oligarchie di 150 anni fa: da un lato l’emergente borghesia piemontese e i regnanti savoiardi, dall’altro i poteri (più o meno occulti) siciliani e meridionali per spartirsi un bottino ben più grande del regno borbonico: l’Italia intera.
La mafia non è il picciotto siciliano o il bacio di Riina, la mafia è dal 1861 quel sistema di potere che ha decretato l’unità d’Italia, è una sorta di cabina di regia, una cupola, in cui entrano a pari titolo i feudatari siciliani, i massoni siciliani e nordici, gli industriali e finanzieri del nord. La mafia è il modello coerente che ha provocato i fatti di Bronte, dove il garibaldino Nino Bixio fece esecuzioni sommarie per sedare la rivolta anti-nobili e anti-preti; è il modello che all’indomani del Plebiscito ha depredato il Sud per finanziare lo sviluppo del Nord; è il modello che ha introdotto il servizio militare nel Sud; è il modello che ha garantito stabilità al fascismo (non si creda alla fuffa che Mussolini combattè la mafia, numerosi podestà siciliani erano mafiosi essi stessi); è il modello che ha consegnato la Sicilia (e l’Italia) agli Usa – nel 1943 Lucky Luciano era a Termini Imerese per preparare lo sbarco americano, fatto ancora oggi negato da molti storici ma confermato dai documenti dei servizi segreti statunitensi -; è il modello della strage di Portella della Ginestra; è il modello che durante il boom economico ha fornito la manodopera a basso costo dal Sud verso il Nord favorendo un’emigrazione epocale – la mafia di allora, come le mafie di oggi, lucrava sulle migrazioni –; è il modello che negli anni ’70 del Novecento riforniva la Edilnord di Berlusconi (che su questo blog di solito viene indicato come signor P2-1816) con immensi capitali per costruire Milano 2; è il modello che ha permesso alle fabbriche del nord di inondare il sud con migliaia di tonnellate di rifiuti tossici. La mafia è quel modello che adesso si guarda intorno per capire chi sarà il nuovo referente che garantirà la stabilità del sistema.
Scrive Leonardo Sciascia ne «Il giorno della civetta» (pubblicato da Einaudi nel 1961): «Forse tutta l’Italia sta diventando Sicilia… A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno… La linea della palma… Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato… E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già oltre Roma…».
(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata», di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione la gente sedicente “per bene” ignora, preferisce dimenticare o rammenta “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 25 febbraio avevo ipotizzato: 1296: bolla «Clericis laicos»; 1569: bolla antisemita di Pio V; 1638: nasce un famoso mercante di schiavi danese; 1643: a Kieft massacro di Algonchini; 1655: pazzesca storia di santità e possessione (Marie del Vallèes); 1973: storica frase di George Washington; 1870: primo afroamericano al Senato; 1889: si suicida Stanislao Rampolla, poliziotto anti-mafia; 1894: nasce Ernst Friedrich («Guerra alla guerra»); 1941: sciopero generale anti-nazista in Olanda; 1942: avvistamento di un presunto Ufo a Los Angeles; 1947: Stalin alla prima di «Ivan il terribile»; 1952: decreto vaticano contro don Zeno Saltini; 1957: la Cia approva i progetti sulla «deprivazione sensoriale»; 1964: Clay (cioè Mohamed Alì) batte Liston; 1986: il dittatore Marcos in fuga; 1988: Zanotelli a Korogocho; 1994: massacro a Hebron; 2008: incredibile storia psik raccontata da Wallraff: 2009: in vigore legge italiana stalking. Ancor più le «scor-date» del giorno successivo… così ho deciso di anticipare a oggi questa. Ma chissà, a cercare un poco, quante altre «scor-date» salterebbero fuori ogni giorno.
Molte le firme e diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevissimi, magari solo una citazione, un disegno o una foto. Se l’idea vi piace fate circolare le “scor-date” o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)
A complemento di questo pezzo interessante, per chi voglia vedere in dettaglio altri truculenti aspetti della conquista del Sud da parte dello stato savoiardo e della spoliazione, con tutte le conseguenze, non ultima la deportazione di massa di milioni di meridionali con l’emigrazione forzata, può essere interessante leggere “Terroni” con sottotitolo “Tutto quello è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero Meridionali” di Pino Aprile, Edizioni PIEMME, 2010.
Laddove si vuole (di)mostrare come la spoliazione continui ancora oggi e si svelano i meccanismi del drenaggio delle risorse dal sud al nord. In ogni caso, la storia che gli italiani non studieranno mai a scuola.