Germania: trasporti pubblici quasi gratis. E da noi?
di Angelo Maddalena
Può essere uno spunto per affrontare una questione di cui si discute poco: tagliare i biglietti dei mezzi pubblici per ridurre l’inquinamento. Anni fa un ragazzo incontrato su un treno, al quale raccontavo del mio libro e monologo teatrale «Amico treno non ti pago» (Eris edizioni, 2011; seconda edizione ampliata 2013) mi diceva semplicemente che spingere dal basso verso un trasporto pubblico gratuito è l’unico modo per ridurre le emissioni di gas tossici nell’aria e nei nostri polmoni. La stessa cosa me l’aveva detta qualche anno prima un mio coetaneo incontrato in Francia. Nel 2016, all’inizio dell’anno, il Comune di Milano e quello di Torino per ridurre le emissioni sempre più tossiche resero gratuiti i mezzi pubblici per una o due settimane ottennendo buoni risultati in termini di riduzione dei gas tossici. Dal 2020 il Lussemburgo ha reso gratuiti i mezzi pubblici. E da qualche mese ci stanno provando Spagna e Germania. Ho visto che nel programma dei Frydays for future (nell’ultimo convegno di agosto a Torino) si è affrontato questo argomento: mi sembra un buon segno. Purtroppo non è un buon segno che molti giovani dei Frydays for future e di altri movimenti simili si adagino su proposte politiche narcisiste se non masochiste (rimando alla mia canzone «L’ecologista masochista»).
L’esigenza più importante da tirar fuori è quella di saper gestire le ansie interiori (perdita di cui parla Ivan Illich e non solo lui) e i conflitti, in una parola: l’arte di vivere! Questa è una grande falla quasi sempre aggirata da molti che impostano discorsi dall’alto o dal basso, sia di tipo ecologista che di lotta popolare.
L’economista Marco Ponti – sul quotidiano Domani del12 settembre – contesta l’ esperimento della Germania: non è abbassando le tariffe dei trasporti pubblici che si aiuta l’ambiente. La disonestà di questo ragionare sta nell’impostazione tutta numerica ed economicista ovviamente, ma anche nel voler subito, dopo meno di un mese dall’inizio dell’esperimento tedesco, tirare le fila per andare a conclusioni affrettate e comunque solo numeriche.
Da un punto di vista sociale – ma anche ecologico ed economico – ridurre i costi dei trasporti pubblici è quantomeno salutare. Però quando Ponti sfiora il discorso dei treni ad Alta Velocità bisognerebbe fargli leggere quello che scriveva il rimpianto Ivan Cicconi quando spiegava che i miliardi spesi per l’Alta Velocità erano rubati ai treni regionali.
Un esempio a portata di mano: in molte stazioni di grandi città si sta costruendo sempre più un paesaggio da mini lager e di apartheid fra chi viaggia in treni regionali e chi in quelli costosi e veloci. Prendiamo i tornelli e le barriere di controlli umani alle stazioni per come si sono sviluppati negli ultimi anni. Dal 2015, guarda caso in concomitanza con l’EXPO, alla stazione di Milano è iniziato il nuovo ordine di controlli all’ingresso dei binari, concepito come “emergenza” ma poi è rimasto.
Provvedimenti vomitevoli e disumanizzanti; anche a Perugia – per esempio nel Minimetrò, che ha un deficit enorme e una funzionalità quanto meno scarsa – se non hai il biglietto non puoi oltrepassare i tornelli e se riesci a passare dietro a qualcuno (facendo il “trenino”) rischi di ritrovarti prigioniero di apparecchiature costose e create solo per rafforzare una sorta di ricatto sociale, perché questo è il biglietto di un mezzo pubblico. Che sia così lo dicono spesso anche i ferrovieri o chiunque ci pensi un po’ e capisca l’ingranaggio, soprattutto negli ultimi vent’anni di criminalizzazione su chi viaggia a “ritmi popolari”. Proprio sul Minimetrò di Perugia esiste la regola abbacinante secondo la quale puoi salire con la bicicletta «ma solo nelle fermate estreme, cioè ai capolinea: Pian di Massiano e Pincetto». Io spesso da Fontivegge devo andare a Pian di Massino, 2 chilometri in discesa, poco male… ma è una questione di regole senza senso: il Minimetrò è sempre sottoutilizzato, ci sono al massimo 4 persone per ogni viaggio. Se non mi vedono io con la bici salgo a Fontivegge. Pochi giorni fa ho superato anche questa barriera: la voce del controllore (che non si vede ma c’è) mi dice che devo andare a Pian di Massiano. Non posso cedere a questo ricatto e vado oltre il tornello (pagando il biglietto di 1,50 euro). La “voce” tace e io salgo sul Minimetro. Ecco, non è solo questione di ridurre i prezzi o rendere gratuito un mezzo di trasporto pubblico: va bene come base ma poi occorre reimparare a vivere fuori dal controllo.
P.S. Proprio mentre scrivo è in atto il primo sciopero dei mezzi pubblici indetto dai sindacati per difendere gli autisti e i controllori di treni e autobus dalle aggressioni subìte negli ultimi mesi. La notizia cade a fagiuolo! Tre anni fa intervistai un autista di Umbria Mobilità: aveva subìto l’aggressione da parte di un passeggero (spesso le aggressioni sono causate dal fatto che i passeggeri non hanno il biglietto). Mi disse quell’autista che l’Azienda lascia spesso soli e senza protezione chi lavora. Tutto torna quindi? Nel mio libro «Amico treno non ti pago» c’è scritto – in sottotraccia ma è evidente – quello che molti, per ipocrisia e bigottismo (figli di malafede e complicità con il potere?) non hanno voluto vedere: il tentativo di un’alleanza fra passeggeri e lavoratori. L’accanimento contro chi viaggia sprovvisto di biglietto non solo produce le conseguenze citate ma va a scapito dei lavoratori più esposti, ovviamente autisti e controllori.