Boccascena, le conseguenze dell’amor teatrale
di Susanna Sinigaglia
Boccascena
ovvero
Le conseguenze dell’amor teatrale
di
Antonio Attisani, César Brie
con
Antonio Attisani, Giulia Bertasi, César Brie
Bizzarro, sgangherato, trash, grottesco, poetico, sardonico, beffardo, corrosivo, graffiante, onirico, malinconico, impietoso: tutti questi aggettivi si addicono allo spettacolo rappresentato dal 4 al 16 ottobre al Teatro Cucina nell’ex Ospedale psichiatrico Paolo Pini.
Due vecchi attori, vecchi amici, si rincontrano per caso sul palco di un teatro, sospinti da motivazioni aleatorie. Entra per primo César-il-Gatto, cui il servo di scena (terza presenza silenziosa e indispensabile, interpretata dalla brava Giulia Bertasi) offre un flauto. In mezzo al palco troneggia una figura avvolta in un drappo bianco, come una statua in attesa dell’inaugurazione. In fondo, pendono dal soffitto due cordicelle che sostengono un secchio ognuna. Scopriremo presto a quale uso siano destinati i due secchi.
César-il-Gatto si slaccia i pantaloni e resta davanti al pubblico con le brache calate, in mutande. Poi fa il gesto, quasi osceno, d’infilarsi il flauto fra le natiche; in seguito, scopriremo che è la citazione di un suo vecchio lavoro teatrale, uno sberleffo a se stesso. Il servo di scena gli toglie il flauto dalle mani e va ad appenderlo a un gancio. Tutti gli oggetti sono appesi ad appositi ganci, lì vengono prelevati e lì fanno ritorno. César-il-Gatto si ricompone e il servo di scena va a scoprire la misteriosa figura, la “statua”, che altri non è se non Antonio-la-Volpe. Si trova su una sedia a rotelle, avvolto in un cappotto, con tanto di bastone e valigetta. I due s’incontrano dopo tantissimi anni in cui non si sono mai visti perché non si sono mai cercati.
Già dalle prime battute, s’intuisce che lo spettacolo non sarà un’elegia della vecchiaia e quale sarà il modo di affrontare il tema che fa da sottofondo a tutta la pièce: il processo d’invecchiamento di una generazione la cui giovinezza è stata derubata del sogno più bello, quello di poter cambiare il mondo!
E ora, dopo essersi incontrati e riconosciuti, entrano subito in media res e vanno “a buttare, acqua”: è la prostata bellezza! Ecco la funzione dei due secchi.
La commedia si svolge lungo 8 quadri; ognuno viene annunciato da un cartello che di volta in volta porta il servo di scena.
Il primo titolo è “Incontro”.
All’inizio sembra che l’incontro fra i due sia perfettamente casuale, un errore dovuto a confusione senile. Poi, dopo essersi scambiati qualche amara/corrosiva confidenza sulle loro vicende durante gli ultimi anni, e aver constatato che è meglio essersi trovati in un teatro piuttosto che in un ospizio, Antonio-la-Volpe ricorda che sono lì perché hanno una missione da compiere: devono ammazzare Pinocchio, ma non spiega perché.
Emergono le diverse scelte di vita, le carriere diverse: César-il-Gatto aveva seguito la sua parabola attraverso il teatro riuscendo ad affermarsi senza rinunciare all’impegno politico, mentre Antonio-la-Volpe aveva lasciato la scena dedicandosi allo studio e all’insegnamento, ovviamente del teatro.
Il quadro finisce come segue.
César-il-Gatto: “Io sono un attore: so niente ma capisco tutto”.
Antonio-la-Volpe: “Io sono un professore, capisco tutto. Ma non mi è servito a niente”. E conclude tra il serio e il faceto: “Mi sa che una storia così va a finire male!”
Nel secondo quadro, “Vocazione”, César-il-Gatto declama un’ode:
“Sono attore e mentitore…
finto il grido di dolore
il sangue che scorre in scena
è soltanto del colore.
“È crudele la pietà…
La morale una puttana…”
E chiude la battuta Antonio-la-Volpe
“…del giornalista ha la penna
e del prete la sottana.”
In questo quadro, fra battute al vetriolo che feriscono le orecchie come lo stridio del gessetto sulla lavagna (ammesso che qualcuno se lo ricordi), comincia una sequela di ricordi, racconti di momenti memorabili, tragici. Viene rievocato il tempo dell’uccisione di Moro quando si comprese che tutto era perduto, che la storia aveva sancito una sconfitta epocale e le cui conseguenze così profondamente travolsero la vita delle persone che ne portarono diverse al suicidio o ad altre forme di autodistruzione.
Il quadro si conclude con uno scambio surreale. César-il-Gatto domanda:
“Perché dovevamo ammazzare Pinocchio?”
Gli risponde Antonio-la-Volpe:
“Perché è diventato un ragioniere qualunquista.”
…
“Ha tradito la vita partigiana, è
diventato un bravo bambino, un
giornalista.!
…
César-il-Gatto:
“Sono diventati tutti piccoli
borghesi di centrodestrasinistra.”
Un bel ribaltamento di ruoli, se pensiamo al racconto di Collodi.
Il terzo quadro riguarda le “Patologie”, tema molto caro alle persone anziane che spesso sembrano sostituire l’elenco dei loro acciacchi ai traguardi raggiunti, e se le appuntano al petto come medaglie di cui andare fiere…
César-il-Gatto, operazioni:
adenoidi a due anni senza anestesia
tonsille
appendice
due ernie inguinali
prostata
Antonio-la-Volpe:
cuore, alcuni infartini
ernia inguinale, anch’io
prostrata, diuretico tre volte la settimana… e la pressione va sotto i piedi
meningioma, tumore cervellotico: non è un cancro. Danno collaterale: l’impotenza.
César-il-Gatto: “Chi pensi che ti voglia scopare conciato così?
Ma se per César-il-Gatto resta memorabile l’operazione alle adenoidi subita senza anestesia all’età di due anni, per Antonio-la-Volpe memorabile resta invece la degenza per infarto in un ospedale di Cracovia, lo stesso dove era stato ricoverato Tadeusz Kantor anche lui per infarto. Qui aveva condiviso la stanza con un vecchio contadino che parlava solo il polacco. Facevano sempre finta di capirsi annuendo con la testa e un sorriso da ebeti, e col sorriso a volte “mandandosi silenziosamente a fare in culo”.
E César-il-Gatto: “Come si dice vaffanculo in polacco?”
Antonio-la-Volpe: “Fuck off”.
Il Teatro dell’assurdo, ma Antonio-la-Volpe e César-il-Gatto non aspettano più nemmeno Godot, incontra il teatro della morte. E Antonio-la-Volpe si sente “catapultato nel mondo kantoriano, dove la realtà del rango più basso incontra il sublime, il tragico la farsa… Tutti gli opposti del mondo”. E quando la moglie arriva per portarlo a casa, lui “era quasi triste per dover lasciare”.
Il quarto quadro è intitolato “Scuola”, dove Antonio-la-Volpe s’infila il naso di Pinocchio e troviamo personaggi memorabili come la sua insegnante di voce che aveva seguito Bertold Brecht al Berliner Ensemble e aveva lavorato per vent’anni nella Germania comunista. O quello di recitazione all’Accademia che diceva “non si può essere artisti tutte le sere alle nove” e la cui massima ambizione era fare il becchino nell’Amleto. È il quadro in cui César-il-Gatto sopprime Antonio-Pinocchio sparandogli un colpo alla nuca e annunciando “missione compiuta”. E così anche questa è fatta e Pinocchio esce di scena.
Il quinto quadro s’intitola “Sesso + teatro”, dove si dice che quando si entra nel mondo del teatro si scopre anche il sesso, come una legge inesorabile cui non si può sfuggire, con i suoi dritti e i suoi rovesci.
Il sesto quadro s’intitola “Ferite”, una diretta conseguenza del precedente, dove l’amore si trasforma in una gabbia, le relazioni si guastano e traditi e traditori si confondono nel gioco deformante degli specchi.
Antonio-la-Volpe: “Le più belle lettere d’amore che io abbia mai letto sono quelle che scriveva all’uomo della sua vita mentre lo tradiva con me…
“… finiamo per parlare di donne come vecchi bavosi”.
César-il-Gatto: “Ma io sono un vecchio bavoso! Tu no?”
Arriviamo alle battute finali. Nel settimo quadro, “Anestesia”, c’è una specie di resa dei conti, il sentimento di doversi avviare verso l’uscita di scena; timori di sofferenze che potrebbero cogliere prima della morte, mancanza di autonomia, dipendenza da altri. I due si siedono davanti a uno specchio e cominciano a truccarsi:
Antonio-la-Volpe da sposa, César-il-Gatto da sposo. È il momento di tirare le fila, il momento dei consuntivi, “quando sta per finire l’ultimo dei giri che ti hanno concesso…”
Infatti l’ottavo quadro s’intitola “Addio corpo”. I due salutano a turno le varie parti del proprio corpo ormai non più ben funzionanti e che presto smetteranno di funzionare del tutto.
César-il-Gatto:
“Oggi ti voglio proprio bene”.
Antonio-la-Volpe:
“Non ti preoccupare, passa”.
…
César-il-Gatto:
“Andiamo bella sposa?”
Antonio-la-Volpe:
“Andiamo, bello sposo.”
Anche se s’incamminano tenendosi a braccetto, dopo qualche passo si avviano in direzioni opposte. Non si lascia molto spazio alla speranza…