Il Nicaragua tra retorica antimperialista e realtà neoliberista
La retorica antimperialista finisce per catalogare il Governo del Nicaragua come “di sinistra”, per quanto non esista concretamente alcuna politica di indipendenza né di sovranità economica.
di Bái Qiú’ēn
Debout! les damnés de la terre! Debout! les forçats de la faim! (Eugène Pottier, L’Internationale 1871)
La coscienza nazionale, invece di essere la coordinata delle aspirazioni più intime dell’insieme del popolo, invece di essere il prodotto immediato più palpabile della mobilitazione popolare, non sarà comunque che una forma senza contenuto, fragile, grossolana (Frantz Fanon).
Come abbiamo rilevato in articoli precedenti, l’oro è la principale materia prima esportata dal Nicaragua, che dal 2017 in poi ha aumentato del 150% le entrate. La seconda categoria è rappresentata dalle magliette in cotone realizzate nelle zone franche, seguite dal caffè, dal tabacco e da altri prodotti. Esattamente come per le migliaia di migranti che fuggono costantemente dal Paese, la loro destinazione principale si chiama «Stati Uniti d’America»: nel 2022 il 46,5% delle esportazioni (senza includere quelle delle zone franche) si sono dirette verso il grande e potente vicino del Nord, per un valore di oltre 3.857 milioni di dollari (sul totale di 7.359, oltre la metà). La bilancia dei pagamenti mostra un netto deficit commerciale, avendo importato merci per un valore complessivo di 11.246 milioni di dollari. Anche in questo caso, la maggior parte proveniente dagli Stati Uniti (US$ 3.027 milioni). Dati ufficiali del Ministerio de Fomento, Industria y Comercio (MIFIC). Secondo i dati del Banco Nacional (BNN), le esportazioni hanno invece raggiunto i 7.730,8 milioni di dollari, con una leggera differenza rispetto ai dati forniti da MIFIC: raramente, anzi quasi mai, i numeri forniti dalle diverse istituzioni collimano. Manco tra loro riescono a mettersi d’accordo le istituzioni governative e ciascuna opera come un vero e proprio “corpo separato”, nonostante dipendano direttamente dalla Presidenza della Repubblica, che non sa o non vuole coordinarle.
La costante e martellante retorica antimperialista (leggasi: anti-statunitense, come se fosse l’unico imperialismo esistente sulla faccia della terra) è un contenitore che consente a una certa propaganda di catalogare il Governo del Nicaragua come “di sinistra”, per quanto non esista concretamente alcuna politica di indipendenza né di sovranità economica (neppure come progettualità a lungo termine). L’estrattivismo sfrenato è alla base di tutta l’economia dell’esportazione, dall’oro alla carne, fino alla pesca intensiva soprattutto dei gamberi che impoverisce sempre più i mari (gli oceani). Non a caso, nel corso di oltre un decennio, dal 2007 in poi, il FMI si è costantemente complimentato con il governo del Comandante Daniel per aver ottemperato al pie de la letra alle sue stesse raccomandazioni, prima tra tutte: mantenere bassi i salari dei lavoratori (il salario minimo medio a partire dal 25 febbraio 2023 è di US$ 186,6, ovvero US$ 6,33 al giorno). Lo stesso ha fatto la Banca Mondiale, rilevando che «Prima del 2018, la crescita economica del Nicaragua era sostenuta da riforme orientate al mercato, da una sana gestione macroeconomica ancorata a un regime di tasso di cambio scorrevole (crawling peg), una prudente politica fiscale e una crescente offerta di lavoro». Nella sostanza si tratta dell’attestazione di una condizione a tutti gli effetti coloniale, assai simile se non identica a quella di qualsiasi governo di destra del subcontinente. Il Buon Governo è, nella sostanza dei fatti, il pronipote del colono creolo che, con l’Indipendenza dalla Spagna nel 1821, inizialmente con i libero-conservatori ha sostituito lo straniero e con l’avvento al potere della coppia Ortega-Murillo perpetua e “attualizza” i loro sistemi economico-politici, pur condannandoli retoricamente con quelle che il principe di Danimarca, lo shakespeariano Amleto, definiva «Parole, parole, parole».
Il pensiero dello psicologo e antropologo Frantz Fanon negli anni Sessanta e Settanta influenzò in modo notevole i movimenti rivoluzionari ed anticolonialisti di quel periodo storico. Questo pensatore nato nella Martinica francese e morto di leucemia a soli 36 anni, sosteneva tra l’altro che se una rivoluzione si fossilizza all’interno dello schema nazionale e nazionalista (da lui definito «trappola della coscienza nazionale»), pur considerandolo una componente essenziale per combattere il colonialismo, riesce solo a generare uno strato di burocrati tendenzialmente borghesi (e fondamentalmente corrotti, aggiungiamo noi), sempre pronti ad allearsi con il grande capitale internazionale. Per questo motivo fondamentale, criticava aspramente l’idea che sia sufficiente raggiungere l’indipendenza politica per risolvere tutto e, al contempo, metteva in guardia contro gli irreparabili danni causati dal culto del leader (della personalità) che, con il trascorrere del tempo, conduce inevitabilmente a una compressione delle libertà e alla implementazione di politiche economiche antipopolari: «si incarica il partito di una missione di sorveglianza delle masse. Il partito è un duplicato dell’amministrazione e della polizia e controlla le masse non per accertarsi della loro reale partecipazione agli affari della nazione ma per ricordare loro continuamente che il potere si attende da esse obbedienza e disciplina». Fanon aggiunse con amarezza che «Questa dittatura che si crede portata dalla storia, che si ritiene indispensabile ai primi tempi dell’indipendenza, simboleggia in realtà la decisione della classe borghese di dirigere il paese sottosviluppato dapprima coll’appoggio del popolo, ma ben presto contro di lui. La trasformazione progressiva del partito in un servizio-informazioni è indice che il potere si tiene sempre più sulla difensiva. La massa informe del popolo è percepita come forza cieca che si deve continuamente tenere al guinzaglio, sia con la mistificazione, sia col timore che le ispirano le forze di polizia. […] Si trasforma il militante in delatore» (I dannati della terra, p. 146).
Queste idee, in realtà assai più articolate di come le abbiamo descritte, influenzarono profondamente movimenti di lotta come i Black Panthers, i palestinesi dell’OLP ecc. oltre a personalità come Ernesto Guevara, Steve Biko e numerosi altri.
Pure dopo la liberazione dal colonialismo, con la trasformazione dei liberatori in nuovi colonizzatori, «I rapporti colono-colonizzato sono rapporti di massa. Al numero, il colono oppone la forza. Il colono è un esibizionista. La sua preoccupazione di sicurezza lo porta a ricordare a voce alta al colonizzato che: “Il padrone, qui, sono io”» (op. cit.).
Dopo lustri di perfetto consenso con gli imprenditori nazionali, quando nell’aprile del 2018 Daniel volle a tutti i costi riformare il sistema pensionistico, lo fece con meccanismi e schemi prettamente fondomonetaristi, dimostrando che la sua amministrazione “rivoluzionaria” presentava tutti i tratti caratteristici di un governo che impone misure tipiche di quel neoliberismo che lui e i suoi accoliti criticano a ogni pie’ sospinto e addirittura dichiarano esaurito: «el modelo neoliberal, que pretendió el dominio y sumisión de los pueblos del mundo, está agotado» (Daniel, 15 marzo 2023). Per non parlare del “matrimonio d’interesse” celebrato con la Chiesa cattolica, offrendo al cardinale Obando y Bravo e alla miriade di sette evangeliche la cancellazione totale dell’aborto, persino di quello terapeutico (sebbene fosse stato introdotto nell’Ottocento dall’oligarchia conservatrice e lo stesso Vaticano lo ammetta in taluni casi).
Per oltre un decennio Daniel ha goduto di quella pace sociale derivante dalle strette alleanze con l’imprenditoria privata, la Chiesa, l’antica controrivoluzione, gli organismi finanziari internazionali (che, al contrario di lui, non hanno minimamente mutato la loro visione del mondo e i loro obiettivi), e lasciando cadere verso la popolazione alcune briciole dell’enorme solidarietà economica concessagli dal Venezuela (4 miliardi di dollari in dieci anni, in buona parte a fondo perduto) e dagli stessi organismi finanziari internazionali, con un meccanismo caritatevole-populistico che da tempo neppure più attua la Caritas.
Qualcuno si ostina a definire questo sistema con il termine «socialismo», ma la vita quotidiana della popolazione nel suo complesso non è molto cambiata rispetto ai precedenti governi neoliberisti: il lavoro informale è l’unica possibilità di sopravvivenza per la maggior parte delle famiglie, dal 1990 a oggi e le poche opportunità di lavoro sono nelle zone franche o nel settore minerario.
Riconoscere questa realtà di fatto è il passo necessario per comprendere l’esplosione sociale dell’aprile 2018, che da parte della propaganda si è preferito nascondere sotto la teoria complottista e facilona del cosiddetto golpe blando. Ma, come affermò Pasolini nell’ultima intervista rilasciata prima di essere assassinato: «il complotto ci fa delirare. Ci libera dal peso di doverci confrontare con la realtà» («Siamo tutti in pericolo», La Stampa-Tuttolibri, 8 novembre 1975).
Piuttosto che confrontarsi con la realtà, è assai più facile e comodo parlare di «campagna globale di satanizzazione contro il governo democraticamente eletto del Nicaragua diretta da Washington» (Solidarietà europea con il Nicaragua [leggasi: con la famiglia Ortega-Murillo e relativa Corte], Londra 24-26 marzo 2023). Ciò consente di non ragionare e non analizzare, poiché per farlo sarebbe necessaria troppa fatica mentale. Più facile parlare di «satanizzazione» come processo politico, al quale contrapporre una vera e propria «guerra santa». Una posizione politica segnata dal ricordo della Rivoluzione Sandinista, che in offusca la possibilità di prendere posizione su quanto è accaduto negli ultimi anni e sta accadendo ancora oggi.
Esiste una sorta di doppia morale in una certa parte della “sinistra”: giustificare la repressione anche sfrenata quando governa la sinistra (o pseudo tale) e denunciarla come crimine quando governa la destra. Chiaramente qualcosa non funziona e denota un meccanismo mentale perlomeno distorto (quando non lautamente retribuito). Sono evidenti l’incapacità e la volontà di analizzare con serenità e serietà ciò che è accaduto e sta accadendo nel piccolo Paese centroamericano, con un meccanismo mentale assai simile a quello dei nostri attuali governanti italiani rispetto al fascismo. Il problema di fondo per chi si considera di sinistra è quando al governo ci sono i “nostri”, ovvero persone che usano un discorso progressista pur facendo una sfacciata politica neoliberista, nella quale i fatti contraddicono le belle parole che promettono costantemente l’avvento del Paradiso terrestre o di una Bengodi dietro l’angolo.
Il retorico e falso discorso antimperialista della coppia Ortega-Murillo raggiunge comunque il suo obiettivo, mettendo a tacere le critiche di una parte della “sinistra”, che teme di essere vista come filo-statunitense. Essere anti-statunitensi, però, non significa automaticamente coprirsi gli occhi e rinunciare a vedere e a denunciare le storture di un sistema economico-politico che dovrebbe essere alternativo.
Quello dei propagandisti è un discorso quanto meno fuorviante, se teniamo in conto il comunicato del Fondo Monetario Internazionale(FMI) del 27 gennaio 2023, in cui l’organismo finanziario si congratula per l’ennesima volta con il Buon Governo per le sue politiche macroeconomiche, per i suoi progressi in termini di trasparenza fiscale ed elogia «la solidità delle riserve di capitale e di liquidità del settore bancario», e via incensando. Evitando accuratamente di affrontare il progressivo deterioramento della situazione socio-politica interna e l’economia di sopravvivenza della maggior parte delle famiglie.
Oltretutto, essendo cieca di fronte alla realtà, la propaganda non si rende conto della contraddizione in cui cade: continua a parlare delle sanzioni ad personam affermando che frenano o bloccano lo sviluppo del Paese e al contempo osanna il costante sviluppo economico che, stando ai dati ufficiali, è innegabile. Pur con alcuni aspetti non proprio positivi per un Paese essenzialmente agricolo, come l’importazione di tonnellate di riso dagli Stati Uniti e da altri Paesi, o di grano e farina dalla Russia.
Forse qualcuno tra i lettori ricorda l’interrogativo che si poneva Michel Foucault: «Come fare per non diventare fascisti anche (e soprattutto) quando ci si crede dei militanti rivoluzionari? Come liberare i nostri discorsi e i nostri atti, i nostri cuori e i nostri desideri dal fascismo? Come lavar via il fascismo che si è incrostato nel nostro comportamento?» (introduzione a: Gilles Deleuze e Félix Guattari, L’Anti-Edipo, 1977). Interrogativi da porsi ancora oggi e, sperabilmente, a cui rispondere con i fatti.
La “linea rossa” oltre la quale si cade inevitabilmente nel pensiero fascista o parafascista è l’inaccettabilità sempre e comunque della repressione e della negazione della libertà di pensiero, ossia della politica vista nell’ottica bellica, consistente nella sconfitta e nell’annientamento (anche fisico) del nemico, con o senza armi. Ciò non significa ignorare il ruolo storicamente nefasto degli Stati Uniti, bensì porre l’accento sul diritto dei popoli a mobilitarsi e a resistere contro ogni forma di autoritarismo comunque mascherato.
Già Herbert Marcuse nel suo Il marxismo sovietico (Soviet Marxism, 1958) rilevò la perdita dell’ardore rivoluzionario e il conseguente abbandono di una vera coscienza rivoluzionaria, che aveva trasformato l’URSS in un sistema economico e sociale sostanzialmente capitalistico e, in quanto tale, essenzialmente repressivo: l’essere umano è sottoposto a una morale repressiva che non realizza i sui veri bisogni ma li sottomette a interessi particolaristici.
Il “guardare dall’altra parte” di una certa sinistra (che si auto-considera dura e pura ma che è semplicemente vetero-stalinista), non solo sta arrecando enormi danni al popolo nicaraguense e agli stessi militanti sandinisti, ma sta anche perdendo di credibilità, essendo disposta a seguire la stessa strada del baffuto georgiano o dei suoi attuali nipotini russi e nicaraguensi.
Per la cronaca, alla fine di marzo 2023 Laureano Ortega in visita ufficiale a Mosca è stato decorato per volere di Putin con l’Ordine dell’Amicizia, con foto ufficiale di Lavrov che gli appunta l’onorifica medaglia sulla giacca.
Nel 2006, in piena campagna elettorale, qualche oppositore affermò che Daniel, se avesse vinto le elezioni (come avvenne), aveva soltanto due opzioni: distruggere il Paese con ricette economiche assurde e impraticabili o trasformarsi in neoliberista. Non aveva prevista una terza opzione: fare entrambe le cose, contemporaneamente e al peggio delle sue capacità.
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Un racconto fantastico, ma non troppo, uscì dalla fervida fantasia di Gabriel García Márquez e fu pubblicato in spagnolo nel 1975: El otoño del patriarca. Ben cosciente che in America Latina i dittatori o muoiono di vecchiaia o fuggono o finiscono ammazzati, è un’affabulazione a più voci che si dipana senza chiarire a chi appartengano i vari monologhi, intrecciando svariati punti di vista narrativi. È la storia di un personaggio talmente anziano che neppure ricorda la propria età ma regna da tempo su un Paese non meglio identificato e collocato geograficamente sulle sponde del Mar Caribe. È il prototipo del dittatore latinoamericano che incarna la banalità del male, però il popolo lo vede come una vera e propria leggenda: arriva infatti al potere dopo la guerra civile e la deposizione di un precedente dittatore.
Questo patriarca, circondato da postulanti e adulatori, è legato sentimentalmente a una giovane donna, l’ex novizia Leticia Nazareno, che controlla tutto e nella sostanza dirige un governo parallelo, esercitando una grande influenza su di lui, riuscendo a essere sempre più invisa sia all’interno della cerchia del potere sia della popolazione in generale, poiché permea tutto lo Stato con corruzione, clientelismo e nepotismo. Nella descrizione di Gabo, i due costituiscono a tutti gli effetti la caricatura di una famiglia medievale di tipo monarchico.
«Il generale», come è comunemente chiamato, si manifesta in due modi distinti: la prima è l’uomo e la seconda, il mito. Non è l’uomo reale, bensì l’uomo mitico che ha un immenso potere: è un santo, l’incarnazione del Paese, ma ciò è pura falsità, poiché il mito è solo un’illusione, per quanto possa conferirgli un potere reale: «por el invento malsano de mostrar en público una cara que no era la suya [per la malsana invenzione di mostrare in pubblico un volto che non era il suo]».
Vari personaggi con biografie assai diverse (Patricio Aragonés, Saturno Santos, José Ignacio Sáenz de la Barra, Rodrigo de Aguilar) riescono a ottenere un immenso potere e ne abusano costantemente, senza alcun ritegno. Mentre Bendición Alvarado, semplice donna del popolo e madre del patriarca vive in un’estrema povertà senza sapere che il figlio le ha intestato tutto il cospicuo patrimonio accumulato nei lunghi anni di potere. Quando muore, la devozione popolare unita a un notevole servilismo nei confronti del dittatore fa sì che nascano innumerevoli leggende sui miracoli da lei compiuti.
Un bel giorno il patriarca decide di espellere dal Paese tutti i religiosi, rompendo pure le relazioni con il Vaticano che non vuole santificare la madre e ne espropria e confisca tutte le proprietà, espellendo i religiosi dal Paese, completamente nudi (per la cronaca: meno drastica la Policía del Nicaragua, che il 3 aprile 2023 ha espulso dal Paese il sacerdote panamense Donancio Alarcón, abbandonandolo scalzo alla frontiera con l’Honduras).
Il racconto di Gabo, fantastico ma non troppo, si conclude con la morte del centenario Zacarías (questo è il nome del patriarca, il cui cognome resta ignoto), quando «ajeno a los clamores de las muchedumbres frenéticas que se echaban a las calles cantando los himnos de júbilo de la noticia jubilosa de su muerte y ajeno para siempre jamás a las músicas de liberación y los cohetes de gozo y las campanas de gloria que anunciaron al mundo la buena nueva de que el tiempo incontable de la eternidad había por fin terminado» [estraneo ai clamori della folle frenetiche che scendevano nelle strade cantando gli inni di gaudio della notizia gaudiosa della sua morte ed estraneo per sempre alle musiche di liberazione e ai razzi di gioia e alle campane di giubilo cha annunciarono al mondo la buona novella che il tempo incalcolabile dell’eternità era finalmente terminato].
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Il lato più tragico che la propaganda non vuole vedere è che, se un malaugurato giorno dovesse prevalere la destra, in Nicaragua non solo sarà cancellato qualunque ricordo di Daniel e della sua Corte, ma faranno la stessa fine pure la storia e le idee sia di Sandino sia della Rivoluzione Popolare Sandinista (RPS). La destra nicaraguense non ha la capacità di distinguere tra Sandino, la RPS e la coppia regnante. Sarebbe sufficiente leggere con attenzione le dichiarazioni che gli esponenti dell’oligarchia libero-conservatrice hanno fatto negli ultimi anni e pure nell’attualità per rendersi conto che, come spesso avviene, il bambino sarà gettato assieme all’acqua sporca. Il lato tragico è che buona parte di responsabilità ricadrà sull’ottusa propaganda che non riesce a vedere la realtà del tradimento degli ideali rivoluzionari e si ostina a raccontare un sogno che è solo nella sua stessa fantasia (malata?), facendo il gioco della destra e fingendo poi di meravigliarsi se questa farà il proprio sporco lavoro.
«El Sandinista debe tener un auténtico espíritu crítico, ya que tal espíritu de crítica constructiva le da consistencia mayor a la unidad y contribuye a su fortalecimiento y continuidad» (Carlos Fonseca, ¿Qué es un Sandinista?, 1975).