Titolo scaduto

 a proposito degli intellettuali, oggi – di Enrico Euli (ripreso da Comune-info)

“E non sono affatto un’eccezione […] Ci sono milioni di altri come me. Persone ordinarie che incontro ovunque, tipi in cui mi imbatto al pub, conducenti di autobus e rappresentanti di ferramenta hanno la sensazione che il mondo stia prendendo una brutta piega. Possono percepire che le cose si stanno frantumando e che stanno collassando sotto i loro piedi. Ed ecco qui quest’uomo istruito, che ha vissuto tutta la sua vita tra i libri e che ha assorbito la storia finché non ha iniziato a uscirgli dai pori, e non riesce nemmeno a vedere che le cose stanno cambiando.1

1. L’intellettuale non è uno studioso, uno scienziato, un uomo colto. Può essere preparato, competente, efficace verso un compito, capace di perfette prestazioni. Ma non per questo diviene un intellettuale. L’intellettuale non si limita infatti a conoscere quel che si deve sapere nel suo campo e ad applicarlo correttamente, da specialista; non risolve ‒ solo e soprattutto ‒ problemi tecnici, pur potendo essere (anche) un tecnico. L’intellettuale comprende innanzitutto le relazioni e i contesti in cui quel determinato problema si pone. E scopre quindi che ‒ sempre ‒ un problema sorge all’interno di dilemmiben più ampi e controversi, irresolubili in sé e che coinvolgono proprio quei livelli superiori, relativi alla forma delle relazioni e dei contesti. L’intellettuale è colui che è capace, pertanto, di una lettura complessa. Questo è il primo impedimento che si para oggi dinanzi alla possibilità di essere e divenire intellettualiSiamo ormai formati soltanto all’esecuzione operativa di compiti, a partire da conoscenze tecniche utilizzabili nella risoluzione di problemi evidenti, lineari, urgenti. Anche la formazione scolastica ed universitaria si muove da tempo all’interno di questo triste mood dei nostri tempi, la standardizzazione: un movimento che è stato accelerato ancor più con la DAD, ulteriore passaggio verso l’allineamento-linearizzazione dei processi di insegnamento-apprendimento. E, all’interno di emergenze crescenti e sempre più frequenti (generate proprio dalla carenza di pensieri e visioni complesse, capaci di lungimiranza e interconnessione), questa tendenza viene ulteriormente rafforzata e giustificata in nome di una sedicente responsabilità: la tecnica si fa così da sé ideologia di se stessa (tecno-logia) e viene chiamata a salvarci dai problemi che essa stessa ha generato (o, perlomeno, aggravato) proprio in conseguenza della sua stessa epistemologiariduzionista. Il totalitarismo oggettivista, screditando la soggettività quale portatrice di un sapere legittimo, non può che espellere così dalla scena anche l’intellettuale stesso in quanto soggetto di conoscenza. L’epistemologia tecno-riduzionista si dimostra infatti capace di tutto, ma non di favorire – purtroppo ‒ la nascita e la crescita di intellettuali; anzi, ne rappresenta l’orgoglioso ed esaltato superamento in quanto con essa si andrebbe oltre l’idealismo intellettualistico classico e si configura quale alternativa per eccellenza antagonistica ad esso.

 

Lo guardai appoggiarsi alla libreria […] L’intera sua vita che gira intorno alla vecchia scuola e ai frammenti di latino, greco e poesia […] E fui colpito da uno strano pensiero. È morto. È un fantasma. Tutte le persone come lui sono morte. Mi venne in mente che forse molte delle persone che si vedono in giro sono morte […] Forse un uomo muore davvero quando si ferma il cervello, quando perde il potere di assorbire una nuova idea. […] Esistono molte persone così.2

2. Il secondo ‒ più recente, attualissimo ed ancora più evidente nel prossimo futuro ‒ fattore di impedimento all’esistenza di intellettuali è che essi possono nascere e vivere e prosperare solo all’interno di una vita socialeche li produca, li alimenti e li apprezzi. Non è più il caso della nostra cultura socialeviviamo infatti ‒ e sempre più totalitariamente ‒ in un contesto social-asocializzato, in cui le relazioni si svolgono perlopiù in ambiti virtuali, il dialogo e la conversazione sono ridotti a comunicazione trasmissiva, i legami deboli della rete vanno a sostituire i legami forti delle comunità sociali. In una simile prospettiva, non stupisce che il meta-livello comunicativo e cognitivo (tipico dell’atteggiamento intellettuale), ormai marginalizzato nel contesto sociale diretto, riemerga nel meta-verso (anche se soltanto nel nome). L’intellettuale, dentro un mondo siffatto, può preservare un ruolo soltanto come opinion leader da talk-show, spin doctor di un politico, influencer fashionista sui social, consulente esperto in un think-tank, ghost writer per l’industria editoriale. Sostanzialmente, vendendosi.Se non lo fa (ma anche se, soltanto, rifugge i social) si riduce a vestale di una religione demodè, a difensore nostalgico del tempo andato, a cultore di materie anacronistiche ed esoteriche. L’intellettuale, divenuto così residuale, fa la fine già vissuta dai sapienti nel V secolo a. C. (sostituiti dai filosofi), dai filosofi nel XVII della nostra era (surclassati dagli scienziati) e dai sacerdoti alla fine dell’Ottocento (surrogati da giornalisti e psicanalisti). Si potrà sempre riciclare anche così in esponente di un culturalismo vintage, che comunque potrà coltivare le sue nicchie ‒ ed i suoi dividendi ‒ nel mercato dell’edutainment .

 

Sarebbe esagerato dire che la guerra avesse trasformato le persone in intellettuali, ma per il momento li aveva trasformate in nichilisti […] Se la guerra non ti uccideva, era destinata a farti pensare. Dopo quell’indescrivibile e stupido caos non si poteva continuare a considerare la società come qualcosa di eterno e indiscutibile, come una piramide. Sapevi che non era altro che un casino.3

3. Il terzo impedimento è tutto interno a quel che è divenuta oggi la politica. L’intellettuale del secolo scorso è immediatamente caratterizzato dal suo engagement: non si poteva concepire come tale se non era impegnato in politica; non necessariamente in un partito, ma in un posizionamento etico, un orientamento di valori, un orizzonte culturale di scelte. Era partecipe, insomma, ‒ per statuto ‒ di un dibattito collettivo in cui è inevitabile schierarsi, confliggere, opporsi, proporsi, manifestare e manifestarsi, mettersi in gioco. Senza seguire i sondaggi o le convenienze del momento, ma aderendo ad idee e movimenti, o addirittura creandoli e seguendo il più possibile i convincimenti della propria coscienza. Tutto questo oggi non può più accadere, se non su singole questioni che non durano più di un attimo, fatte e disfatte come sono dai social-mediae dallo zapping emotivo degli astanti ‒ likers or haters ‒ trasformati in pubblico. L’evaporazione della politica è andata di pari passo, infatti, con la dissoluzione della società civile, ridefinita man mano come opinione pubblica e, al momento, ridotta a mero pubblico, ed in quanto tale sottoposto appunto a soli messaggi pubblicitari. La politica è divenuta oggi solo uno dei molteplici contest del marketing comunicativo gamificato, all’interno dell’immenso centro commerciale nel quale siamo costretti a vivere. Qui possono permanere balbettii, frasi sconnesse, parole ‒ pur talvolta intelligenti e ragionevoli ‒ che però trapassano nel tritatutto che ci informa su tutto e tutto riduce velocemente a scarto da rimuovere nei cassonetti indifferenziati dell’oblio. L’intellettuale, in un contesto simile, non può esistere, proprio perché vengono a mancare le condizioni di fondo per un impegno che vada oltre l’usa e getta del fast food politics. L’intellettuale potrebbe oggi esistere politicamente solo in quanto dissidente e renitente: ma le nostre società amano e difendono (a parole) solo i dissidenti degli altri. E ‒ a quei renitenti che fanno coscienziosamente il morto ‒ resta, se vogliamo essere onesti, solo il gusto di sopravvivere preservando il rispetto di se stessi. Che non è nulla, ma – sinceramente ‒ è poca cosa, che basta a star vivi, ma non a vivere.

 

Il grosso bombardiere nero ondeggiò leggermente nell’aria e sfrecciò avanti […] Uno dei venditori sollevò gli occhi a guardarlo per un secondo. Sapevo cosa stava pensando. Perché è quello che stanno pensando tutti gli altri. Non devi essere un intellettuale per fare certi pensieri oggigiorno. Tra due anni, tra un anno, cosa dovremo fare quando vedremo una di quelle cose? Precipitarci nel seminterrato e farcela addosso per la paura.4

4. Il quarto impedimento all’esistenza dell’intellettuale appare di natura ‒ come potremmo dire? ‒ cosmologica. La catastrofeche ci avvolge ‒ se si vuole tentare di essere ancora oggi degli intellettuali ‒ va ammessa e pronunciata. Una buona parte degli uomini di scienza e di cultura iniziano a riconoscerla, a smettere di rimuoverla; una parte continua invece, imperterrita, a negarla. Ma entrambe le parti continuano, perlopiù, a non riconoscere gli effetti dirompenti che la catastrofe in corso dovrebbe avere proprio sulla loro visione di se stessi (e di noi stessi, intesi come umani) nel cosmo. Il cosmo umano(e umanistico-umanocentrico) dell’Antropocene, infatti, va verso il caos: sta perdendo il suo ordine interno, vede dileguare il controllo che riteneva di poter esercitare sul pianeta, assiste attonito ai cataclismi che la natura gli scatena contro e a cui reagisce ancora una volta soltanto con artifici tecnici che riducano il danno, scelgano il male minore e ci allontanino ancor più da un buon vivere. Gli intellettuali, se ancora esistessero, dovrebbero riconoscere ‒ nella catastrofe ‒ anche il loro stesso fallimento: storico, culturale, ma ancor più ‒ potremmo dire ‒ ontologico. Non potrebbero farlo senza disconoscere ancor più il loro ruolo ed il loro senso. E, quindi, non lo fanno e non lo faranno. Ed è anche per questo che la catastrofe proseguirà ad avvolgerci ‒ intellettuali o meno ‒ nel suo funereo manto.

 

È strano. Non sono uno sciocco, ma nemmeno un intellettuale e Dio sa che in tempi normali i miei interessi non sono molto diversi da quelli che ci si aspetterebbe in un tizio di mezza età da sette-sterline-a-settimana con due bambini. Eppure, ho abbastanza buonsenso da vedere che la vecchia vita a cui eravamo abituati sta per essere completamente distrutta. Sento che sta avvenendo.5

5. Senza riconoscere il fallimento dell’umanesimo e senza attraversare la catastrofe non sussisteranno traiettorie future e ancora possibili per l’intellettualità. Senza una re-visione critica del passato (vero primo compito di un intellettuale oggi), ci si condanna a non poter vedere altro e guardare oltre.La catastrofe abbatterà il totem del TINA (There is no alternative), quinto ed ultimo impedimento, che da tempo ci induce a credere che ‘non ci siano alternative’ a questo nostro mondo, che definiamo ancora civiltà? Quando un giornalista inglese chiese a Gandhi che cosa ne pensasse della civiltà occidentale, il Mahatma rispose, spietatamente ironico: “Sarebbe un’ottima idea!”. Un intellettuale del futuro dovrebbe e potrebbe ri-guardare ironicamente quel che è stato l’umanesimo e riconoscerne i limiti intrinseci e quel che gli è mancato: un’umanità diffusa, partecipe e condivisa ‒ non imperialisticamente ‒ fra tutti gli umani, e un’ecologia della mente, capace di concepire l’umano in una rete di interdipendenze necessarie e vitali con il vivente. Solo se la specie umana riuscirà a fare questo salto quantico potrà sopravvivere e riiniziare a vivere culturalmente e intellettualmente. E, in un contesto così ridefinito, a far rinascere degli intellettuali. Sempre che, nel frattempo, non si sia estinta, dopo gli intellettuali, anche l’umanità stessa.

 

È strana quella tremenda tristezza che a volte ti attanaglia a tarda notte. In quel momento il destino dell’Europa mi sembrava più importante dell’affitto, delle rate per la scuola dei bambini e del lavoro che avrei dovuto fare l’indomani. Per chiunque debba guadagnarsi da vivere questi pensieri non sono altro che una totale sciocchezza. Ma non mi uscivano dalla mente […] L’ultima cosa che ricordo di essermi chiesto prima di addormentarmi era perché diavolo dovrebbero importare a uno come me.6

 

Bibliografia

Orwell G. (2021), Una boccata d’aria, RL edizioni, Milano, trad. it. di F. Vitellini (Coming up for air, Victor Gollancz Edition, UK, 1939).

1 Orwell 2021: 222.

2 Orwell 2021: 223.

3 Orwell 2021: 185.

4 Orwell 2021: 70.

5 Orwell 2021: 221-222.

6 Orwell 2021: 225.

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