Murakami e le sue T-shirt
un po’ invidioso, db si intrufola nel guardaroba di “un fenomeno globale”
Ha ragionissima Fabio Bartoli (*) su “Micromega”. Lo scrittore giapponese Haruki (nome) Murakami (cognome) – dalle sue parti nelle copertine usa prima il cognome – è «un fenomeno globale». Per una volta non un fanfarone nè astuto marketing: qualità ma anche ottime tirature. HM lascia il segno nella scrittura e nelle trame. Accade perfino nell’ultimo suo libro tradotto in italiano, che qualche perfido classificherebbe come una narcistica “paraculata” cioè «T le mie amate T-shirt» uscito da Einaudi, nella traduzione di Antonietta Pastore, con due anni di ritardo sull’originale.
Devo una premessa a chi sta leggendo. Sono prevenuto: amo Murakami (**). Molto, è una cotta “senile”.
E oltretutto via via ho scoperto di avere molte cosette in comune con lui: siamo entrambi bipedi terrestri (pensanti, grosso modo) con una forte passione per il jazz (***) e in più abbiamo sudato emozioni insieme – si fa per dire – correndo qualche maratona; ma soprattutto cerchiamo – lui da scrittore e io da semplice lettore – il sottile confine tra realtà e altri mondi meno visibili intorno a noi (“non siamo soli” se preferite dirla così, fra neuropsichiatria e astrofisica).
Ho scoperto adesso che ci unisce anche il diletto per le magliette “comunicanti”. Così eccomi a parlarvi, siore e siori, di «T le mie amate T-shirt»: 21 euro (purtroppo) per 179 pagine – ovviamente molto illustrate – con una bella, lunga intervista a Murakami di Nomura Kunuichi, intitolata «Le t-shirt che ho accumulato e quelle che non posso indossare».
Basta scorrere i titoli delle sezioni e guardare qualche immagine a casaccio, per capire i temi ricorrenti: surf; whisky; birre; hamburger (ecco 4 passioni che non condivido) «keep calm»; negozi di musica; un po’ di animali con forte predilezione per orsi e iguane; libri; volare nel cielo ma anche maratone e musica («sono un ascoltatore vorace») e a volte «tempo da perdere» come scherza HM con il suo intervistatore.
A proposito dello slogan «keep clam» che si scorge su migliaia di t-shirt in centinaia di versioni, Murakami racconta che in origine «Keep calm an carry on» (traduco per non anglo-parlanti: “stai calmo e va avanti”) era il poster creato «da un’agenzia di stampa inglese alla vigilia della Seconda guerra mondiale per tranquilizzare la popolazione e prevenire il panico». Profezie fa rima con parodie.
Avendo un po’ di soldini, HM può permettersi di comprare t-shirt, non indossarle e dimenticarle nei cassetti finchè una rivista non gli commissiona un po’ di articoli (tipo: meditazioni sul mio “guardaroba”) che finiscono per dare l’ossatura a questo libro, leggero ma divertente.
C’è un filo di Arianna? Forse. Si accumulano t-shirt per l’estetica o per ricordo; per la frase e/o il disegno; per collezionismo (costoso anche) e appunto per temi. Curioso che proprio uno scrittore parli così poco di ciò che si indossa per comunicare. Eppure l’abito come il logo (o il contro-logo) fanno il monaco, l’integrato e l’apocalittico. E se volete aggiungo il canonico: che ve lo dico a fààà?
Da poco mi hanno regalato una t-shirt provocatoria qb e splendida: la scritta è nientemeno che «Robot Lives Matter»; chissà se piacerebbe a Murakami.
(*) vedi Haruki Murakami, anatomia di un fenomeno globale di Fabio Bartoli
(**) Su un piatto della bilancia c’è la mia murakami-filia ma sull’altro pesa che l’idea di questo libro sia un furto perpretato nella mia mente: un plagio cioè di «77 anni, 77 t-shirt» – per la verità tutte diverse dalle sue – che avrei scritto intorno al 2025. Metto insieme il ladro di idee altrui e il dubbio che la macchina per viaggiare nel tempo si concretizzerà solo nel 2026: fino ad allora dunque parlando di libri altrui (a me rubbbbati) sarò obiettivo quasi come un sasso o un albero.
(***) Ho dedicato in “bottega” un articolo maniacale al jazz nelle pagine di Murakami; vi interessasse è qui: appunti-su-un-amore-a-tre-db-murakami-e-il-jazz