Guatemala: quale futuro dopo la mancata condanna di Ríos Montt?
di David Lifodi
Il recente ribaltamento della condanna a ottanta anni di carcere inflitta al dittatore guatemalteco Ríos Montt, che avrebbe segnato un evento storico di assoluto rilievo per tutta l’America Latina, il primo caso di un capo di stato del continente ad essere condannato per genocidio, rappresenta un pessimo segnale per tutti coloro che hanno a cuore la giustizia sociale, in particolare per i familiari dei desaparecidos, ancora grati alla giudice Jazmín Barrios, che era riuscita ad inchiodare il dittatore alle sue responsabilità.
Il verdetto dello scorso 10 maggio avrebbe potuto aprire la strada anche alla condanna dell’attuale presidente guatemalteco Otto Pérez Molina, comandante militare conosciuto con il soprannome di Tito Arias e anch’esso responsabile dei massacri ai danni della popolazione civile. Claudia Samayoa, a capo dell’Unidad de Protección a Defensoras y Defensoras de Derechos Humanos, sostiene che ci sono molti filmati in cui “Mano Dura” è ritratto ai piedi di civili assassinati mentre giustifica il lavoro sporco compiuto dai militari ai suoi ordini. Del resto, Molina era già stato chiamato in causa da alcuni testimoni nel corso del processo Montt e lo stesso giornalista Usa Allain Nair, presente nell’area di Ixcán nel 1982 durante lo scatenarsi dell’operazione “tierra arrasada”, si è chiesto: “Che ruolo ebbe Molina in tutto questo?” Sebbene lo stesso presidente guatemalteco millanti un ruolo di primo piano nella firma degli accordi di pace e abbia salutato la condanna del suo (disconosciuto) compagno d’armi come una prova del rispetto dei valori democratici in Guatemala, proprio meno di un mese fa non ci ha pensato due volte a dichiarare lo stato d’assedio e ad inviare oltre 3500 militari nel dipartimento di Jalapa, dove sta crescendo la ribellione nei confronti di un progetto di estrazione mineraria. Molina governa a colpi di decreti di stato d’assedio, rappresentando la faccia più feroce di un neoliberismo militarista che peraltro si era già mostrato in tutta la sua ferocia in occasione dei fatti di Santa Cruz de Barillas e Totonicapán nel corso del 2012, quando la popolazione si oppose alla costruzione di due centrali idroelettriche e fu repressa con violenza dalla polizia. Oggi le organizzazioni popolari guatemalteche stanno cercando di ricostruire con difficoltà un tessuto sociale distrutto da 36 anni di conflitto armato attraverso una lotta impari con l’oligarchia terrateniente per la difesa del territorio e delle risorse naturali. L’espropriazione delle terre per progetti di monocoltura e i megaprogetti minerari e idroelettrici sono all’ordine del giorno. È in questo contesto che la mancata condanna di un genocida quale è Montt non rende giustizia ad un’intera generazione sterminata dall’ex dittatore. Del resto, la stessa condanna emessa dal Tribunal A de Mayor Riesgo era arrivata dopo che Montt per tutta la sua vita ha fatto il bello e il cattivo tempo nel suo paese e adesso, a 86 anni, non è più utile a quel sistema di sfruttamento e dominio di cui è stato uno dei più fedeli paladini,tanto da essere ripudiato anche dal suo sodale Molina. L’attuale presidente guatemalteco prosegue l’oppressione con altri mezzi, quelli “legali” di accaparramento della terra ai danni delle comunità indigene e contadine, iniziato peraltro nel 1954 quando gli Stati Uniti organizzarono il golpe che rovesciò Jacobo Arbenz con la compiacenza di United Fruit Company per bloccare una timida riforma agraria. “Mano Dura” rappresenta gli interessi dei potentati economici che condizionano la vita e l’economia del paese, da Azazgua, che riunisce le principali compagnie produttrici di zucchero, a Grepalma, all’interno della quale sono riunite le otto famiglie che commerciano l’olio di palma. Molina difende il loro status quo e quello del Comité Coordinador de Asociación Agrícolas, Industriales y Financieraes (Cacif), uscito allo scoperto per difendere Montt, ricoprire d’insulti il tribunale che lo aveva giudicato responsabile del genocidio e celebrare l’annullamento della sua condanna come “una buona notizia per il paese”. Il Guatemala è diventato il crocevia centroamericano degli interessi agrari, finanziari e industriali per rapinare i campesinos e appropriarsi delle loro terre: il paese rappresenta la prima potenza regionale nell’esportazione dell’etanolo ed è il quarto a livello mondiale nell’esportazione dello zucchero. Ad oggi il genocidio di contadini e indigeni non ha più il volto di un dittatore militare appoggiato dagli Stati Uniti, ma la faccia delle corporazioni transnazionali appoggiate dalla borghesia locale. Da un recente rapporto pubblicato dal Comité de Desarrollo Campesino (Codeca) e intitolato “Situación Laboral Trabajadores/as agrícolas en Guatemala” emerge un paese in tutto e per tutto sottomesso alla Banca Mondiale e al Banco Interamericano de Desarrollo. Il 60% delle terre coltivabili del paese è nelle mani dei signori dell’agrobusiness: non solo lo stato ha impoverito i campesinos togliendoli la terra, ma ha finito per trasformarli in schiavi senza diritti. Inoltre, nelle 609 fincas del paese, il 91% degli operai sono indigeni con un basso livello d’istruzione o, più spesso, analfabeti, e di conseguenza non in grado di far valere le proprie ragioni. Nelle imprese dell’agrobusiness solo il 4% dei lavoratori è assunto a tempo indeterminato e meno dell’1% è iscritto ad un sindacato, poiché questo significa, nel migliore dei casi, il licenziamento e nel peggiore l’inserimento in una lista nera sulla quale sono stati ritrovati numerosi dirigenti indigeni assassinati. In questo scenario, molte organizzazioni per i diritti umani continuano a rimanere in guardia le organizzazioni paramilitari che agivano indisturbate sotto la presidenza Montt non sono state smantellate. È stato solo grazie alla resistenza di associazioni quali Conavigua (Coordinadora Nacional de Viudas de Guatemala), Famdegua (Asociación Familiares de Detenidos-Desaparecidos de Guatemala) e Gam (Grupo de Apoyo Mutuo) che le vittime della sparizione forzata non sono cadute nel dimenticatoio.
La giudice Barrios ha sostenuto che in Guatemala non può esserci pace senza quella giustizia sociale quotidianamente calpestata con le fumigazioni, l’invasione delle aree protette e il disprezzo dei diritti civili, umani e sociali. In molti, tra i movimenti sociali e le organizzazioni di sinistra,speravano che, dopo Montt, la proxíma estación sarebbe stata per Molina: solo allora questo martoriato paese centroamericano avrà saldato i conti il suo passato.
L’articolo è giustissimo.
Ottimo ed importante articolo sulla situazione in Guatemala. Come di’ altra parte lo sono tutte le note di David Lifodi su latinoamerica.
Per quanto riguarda Rios Montt, definito da un giornalista spagnolo di El Pais un ” payaso asesino”, la partita giudiziaria non e’ ancora completamente chiusa. Ora come ora non e’ ancora completamente libero ed ha un processo per sterminio che, purtroppo per ragioni politico-burocratiche si terra’ solo il prossimo 14 marzo 2014. Il tema va seguito per informare ed esercitare tutta la pressione possibile.